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L'altro Mondo - seconda parte
La mattina dopo si alzò dal letto, e non provava il benché minimo affanno per il mancato riposo ma cercò di nascondere, riuscendoci in buona parte, quella paura radicata ancora nelle sue memorie. Fece colazione lentamente, ripensando a quello che aveva provato, scambiò poche parole con i suoi familiari adducendo come scusa il fatto che non aveva preso sonno presto, e quindi si sentiva stanca. Decise poi di scendere a fare una passeggiata da sola, pensò che magari cambiando per un attimo ambiente sarebbe riuscita a non pensare a quel sogno, o che forse sarebbe riuscita ad incontrare qualcuno con cui scambiare quattro chiacchiere, cosa che la avrebbe comunque aiutata; decise però di non prendere appuntamenti, voleva fare qualcosa di diverso dal solito, qualcosa che forse la avrebbe aiutata nel suo intento, come le diceva un qualche pensiero nascosto. E così fece infatti, camminò per molto ed incontrò due persone, due “conoscenti”, con i quali scambiò appena qualche battuta, niente di speciale di certo dal distoglierla dal suo pensiero fisso. Camminò così tanto e non se ne rese conto proprio perché la sua mente si posava su quella strana visione: voleva significare qualcosa di specifico? Perché le era stata posta quella domanda? E soprattutto perché quella creatura era B, certo in una versione nuova e terrificante? Solo dopo un bel po’ di tempo si rese conto di aver camminato così tanto, e di trovarsi ora in una zona molto trafficata, così ripensando a tutta la strada che doveva fare sbuffò, distogliendosi così per un po’ dai suoi pensieri.
«Ehi F che ci fai quaggiù??», questa frase, preceduta da un leggero colpo di clacson, bastò a farla girare verso un’auto che riconobbe subito e che le fece volare subito alla mente il colore nero perfetto delle piume dell’ala sinistra della creatura che aveva “infestato” il suo sogno la sera prima: il paragone le saltò alla mente forse non a caso, perché la macchina era guidata proprio da B. Per un momento rimase attonita vedendolo, ma poi la ragione prese il sopravvento e le fece subito rispondere «eh è una storia…lunga da raccontare, ora stavo tornando a casa comunque» ed accompagnò a questa affermazione uno dei suoi indescrivibilmente belli e disarmanti sorrisi. «A casa? Beh ne hai di cammino da fare, ti va un passaggio così magari mi racconti questa “storia lunga”? eheh». La giovane accettò l’offerta e il ragazzo in fondo a sé ne fu felice. Quando quella entrò in macchina non concesse però il solito saluto al ragazzo: essa era ancora presa da quello che chiamava sogno, e così quasi per avere una certezza si avvicinò a B accarezzandogli la guancia sinistra in un modo delicatissimo e a dir poco improvviso. Egli, che aveva sempre nascosto i forti sentimenti che provava per lei con successo, per un momento provò un leggero brivido sulla pelle, e quando lei gli sorrise dolcemente (anche per la certezza acquisita di essere davanti al suo vecchio amico) lui le accarezzò la mano, ancora posata sulla sua guancia, e sorrise a sua volta. Quando poi si spezzò questo momento il ragazzo tornò come al solito a guidare, parlando con lei, dicendole che aveva portato la sua fida auto ad un autolavaggio (forse proprio per questo le ricordò le piume nere della creatura dei sogni appena la vide), e chiedendole come mai si trovasse proprio lì. La solare ragazza, forse presa dalla sua constatazione, non rispose a quella domanda, che fu subito ripresa da B: «Ehi, perché non mi rispondi?!», disse con un tono scherzoso, ma queste semplici parole bastarono a far rabbrividire la ragazza che si girò spalancando i suoi ipnotizzanti occhi, che divennero intrisi di una folle paura. Aveva di nuovo sentito le parole pronunciate dalla voce mostruosa, e pronunciate proprio dalla persona più “vicina” a quella creatura: «ferma…ferma la macchina» balbettò, e B confuso acconsentì e accostò, pensando che la bella avesse dimenticato qualcosa dietro di sé. Ella però aprì la portiera e si catapultò fuori quasi cadendo, rimanendo paralizzata sul marciapiede e fissando il ragazzo ancora all’interno. Egli quindi preoccupato uscì dalla vettura e si avvicinò a lei, chiedendole amorevolmente cosa le fosse successo, ma quella cercò di bloccare le braccia del ragazzo, il quale si era limitato a gesticolare dolcemente, cercando di rassicurarla una volta notata la paura che si proiettava violentemente da quegli amati occhi. F non riusciva più a parlare, e muoveva solo il capo accennando ad un “no”, mentre cominciava a piangere: B allora si avvicinò a lei non potendola vedere soffrire così tanto. Mosse appena le braccia e la giovane mollò la presa, così potette sfiorarle le spalle chiedendole premurosamente cosa fosse successo: notando però che stava tremando pensò che stesse perdendo conoscenza, così la abbracciò dolcemente, ripetendole «F, ci sono io qui, non preoccuparti, non succede niente» con una voce a dir poco rassicurante. A questo punto la ragazza si riprese con un movimento appena più veloce della testa, e alzò la testa per guardare negli occhi B: notò subito la sua preoccupazione e capì che era causata da sé stessa, ma soprattutto notò che erano gli occhi innocenti del suo vero amico, non di una creatura demoniaca. Così per scaricare la tensione e per rassicurare colui che inizialmente l’aveva fatto per lei, lo strinse in un abbraccio quasi asfissiante, che fece riacquistare un certo “calore” ai due, una distrutta dalla paura l’altro tremante dalla preoccupazione. Rientrarono nella nera vettura non preoccupandosi dei pensieri degli altri attorno e cercarono di sorvolare su quell’avvenimento inizialmente, anche se non ci riuscirono. Una volta a casa della ragazza i due si abbracciarono di nuovo, questa volta in macchina, per salutarsi definitivamente. Si lasciarono ancora un po’ sconvolti ma probabilmente, da quello che si poteva cogliere dai loro sguardi, si volevano più bene di prima. B non potette fare altro che pensare a quell’accaduto, alzando poi il volume dell’autoradio e correndo a casa, F invece cercò di dimenticare mentre saliva le scale per tornare all’appartamento della sua famiglia. Passarono entrambi la serata da soli. F oramai non si interessava più del suo sogno, forse perché l’incontro con B l’aveva aiutata, e decise di andare a letto presto, per recuperare il sonno della notte precedente. Così, dopo aver salutato i familiari presenti, tornò in camera sua, spense le luci e si posò con dolcezza sul suo letto. Mai prese sonno così velocemente, e riuscì ad avere alcune ore di sonno piacevoli, non disturbate né dalla sua mente né da avvenimenti esterni. Dopo circa 4 ore però venne di nuovo catapultata nella dimensione di un sogno e, come mai le era successo prima, questa volta aveva memoria di quello che aveva visto la notte prima, anzi lo ricordava proprio chiaramente, come fosse accaduto poco prima. Questa volta si trovava all’esterno di una enorme villa, proprio davanti al portone d’ingresso. Le ispirava sicurezza quella bellissima abitazione e decise di aprire quella grandissima porta, e una volta varcata si trovò in un immenso salone, totalmente pieno di persone le quali vestivano indumenti d’epoca ed avevano tutte il viso coperto da una maschera: si girarono contemporaneamente tutte quelle figure non appena la proprietaria del sogno aprì rumorosamente il grande passaggio. Erano davvero tantissimi e tutti come se stessero aspettando l’inizio di una musica che li invitasse a ballare. Si avvicinò a loro e notò che erano tutti molto cortesi, si appropinquavano a lei quasi come se volessero chiederle il permesso di un ballo, attratti da quella figura che avrebbe ammaliato qualunque essere. La ragazza quindi si sentì lusingata e sorrise, e aveva intenzione di capire chi fossero quegli uomini, poiché poteva forse conoscerli: questo fu probabilmente l’errore principale della serata, sarebbe stato meglio non sapere. Quando infatti uno dei tanti “cloni”, per via della maschera simile a quella delle bambole d’epoca, si avvicinò alla giovane, essa con delicatezza gli tolse la copertura del viso ma di nuovo la paura si impossessò di lei, e lasciò cadere l’oggetto in terra frantumandolo. Certo non si svegliò poiché il suo corpo dopo lo spavento occorso la notte precedente era ormai abituato a simili avvenimenti, ma esso tremò lo stesso, come scosso da una scarica elettrica. Quando scoprì il viso di quell’uomo infatti, notò che esso non aveva faccia: né occhi, né naso, né bocca, niente che potesse far affermare che quella cosa di color bianco candido fosse un viso di una persona. Di nuovo gli occhi della sua proiezione onirica si spalancarono, ma ancora incredula la fanciulla si girò e vide una figura femminile che si avvicinava a lei: provò a togliere la maschera anche ad essa, ma anche questa non aveva faccia, così come le altre due figure che si lasciarono strappare l’oggetto. Proprio in quel momento tutti i presenti nell’enorme salotto tolsero via la maschera mostrando all’attonita F la loro totale uguaglianza: il panico si impossessò della sognatrice che cominciò a scappare verso il centro del salotto dopo che un fulmine aveva squarciato il cielo all’esterno, come aveva potuto constatare scrutando attraverso le gigantesche finestre della camera. Mentre correva tutti quegli esseri la seguivano come se potessero vederla, ma non accennavano ad avvicinarsi ad essa, la lasciarono infatti correre riuscendo così a farle aprire un corridoio verso una piccola rampa di scale che collegava la parte bassa del salotto con un piano rialzato di circa mezzo metro: al di sopra delle scale le sembrò di vedere una figura che indossava ancora la maschera, l’unica tra le migliaia oramai presenti (le figure infatti sembravano sempre di più in quell’enorme spazio). Inizialmente la notò ma non ci fece caso, poi man mano che si avvicinava ad essa non riusciva a non fissarla, come se la ipnotizzasse. Una volta alle scale dovette fermarsi al secondo gradino: comparve un leone dal portamento maestoso che passò davanti alla figura in maschera, quasi volesse difenderla, e poi si fermò in posizione seduta accanto alla gamba sinistra di quello. Era ora il momento per quell’essere di togliersi la maschera, e così fece, turbando ulteriormente il precario equilibrio che manteneva F ancora in quel mondo: era di nuovo B, che di nuovo mostrò le due ali dal piumaggio differente. Il suo viso era rivolto in basso, a metà tra il terreno e il dolce viso della ragazza, ma gli occhi erano come al solito puntati negli occhi di lei, come se volesse scrutarle l’anima ma a sua volta come se si lasciasse studiare. Dopo pochi secondi di sguardi, la giovane donna notò una sorta di movimento negli occhi dell’altro: inizialmente pensò che si stava sbagliando, ma poi non potette notare che un fuoco stava bruciando in quegli occhi, cosa che la fece ulteriormente terrorizzare. Di un colpo la creatura alata alzò la testa e allargò le braccia e tutte le strane figure senza viso che circondavano quel luogo acquisirono il viso di B, il quale pronunciò alcune parole con la terribile voce che aveva fatto scappare dal sonno la fanciulla solo la sera prima: «Devi rispondermi» disse, e fece paralizzare F. In quell’istante tutto intorno a lei svanì, eccetto il leone, che si era alzato e le si era avvicinato: la ragazza stava per piangere, era al limite di sopportazione ma non riusciva a scappare via quasi fosse stata paralizzata per davvero, ma venne rassicurata dai movimenti di quell’affascinante felino, il quale la annusò e le accarezzò il corpo, partendo dalla gamba sinistra e girando intorno ad essa per poi porsi di nuovo davanti a lei. Dopo ciò riuscì a muoversi di nuovo, e una lacrima leggera le sgorgò dall’occhio destro, come per liberazione; poi sorrise e cercò di fare una carezza all’animale, il quale di colpo cominciò a sanguinare dal dorso. F quindi ritirò la mano e si coprì la bocca, e vide il sangue della bestia sgorgare da più zone del corpo e sempre più copioso, infine esso si girò verso di lei la quale potette notare la mutazione del suo viso: proprio come il sogno del giorno prima, la faccia del leone era per metà normale e per metà scheletrica. La ragazza, terrorizzata come non mai, si coprì completamente la bocca per trattenersi e cominciò a piangere più forte che poteva non appena l’animale prese fuoco e scomparì. Subito dopo sentì due mani che leggere le toccavano i gomiti: accennò appena a girarsi verso sinistra poiché quel tocco non le causò paura ma le ispirò sicurezza, poi sentì una voce leggerissima all’orecchio destro, era B (o almeno il B abitatore dei sogni) che aveva avvicinato la sua testa a quella di F e le sussurrò: «non preoccuparti, non voglio farti del male, sono qui per difenderti…». Quella frase fu pronunciata in un modo delicatissimo, ella smise di colpo di piangere (anche se il suo viso rimaneva coperto di lacrime) e cercò di girarsi per guardare il suo amico, il quale ora sfiorava leggermente col suo viso la spalla destra della ragazza. All’improvviso però sentì allentare il tocco delle mani di B e si sentì circondata dalle risate di quegli uomini senza viso scomparsi prima, anche se non poteva vederli. Così si svegliò di nuovo di colpo, senza balzare ma spalancando gli occhi: rimase bloccata in quella posizione fino al mattino seguente. Quando si alzò era distrutta non tanto per il sonno perduto, quanto per le nuove paure e i nuovi interrogativi che prendevano piede in lei: quei sogni dovevano pur significare qualcosa. Cercò di evitare un confronto con i suoi parenti e per lo più ci riuscì, dovendosi preparare per uscire e per partecipare ad un incontro col suo gruppo di amici, come aveva fatto proprio due giorni prima. Si vestì invero svogliatamente, e lasciò casa soprappensiero fissando il terreno per pensare a quello che poteva trovare nella sua mente. Raggiunti gli altri puntò diritta verso M, incollando sulle sue labbra un bacio che lo avrebbe zittito probabilmente per il resto della giornata: fu infatti lunghissimo ma a dir poco passionale. Il ragazzo infatti non proferì parola quando F gli disse che aveva bisogno di parlare con B, il quale era arrivato in quel momento e aveva parcheggiato l’auto a pochi passi da loro: lo raggiunse in macchina e non gli diede il tempo di salutarla poiché attaccò subito un discorso veloce e preciso. «Ecco, B, è meglio che non ci vediamo più per un po’, anzi è meglio anche evitare di parlare o scriverci, devo riflettere a fondo su di una cosa, poi quando ne sarò venuta a capo ti farò sapere io…», il suo viso era deciso e cupo, quello di B preoccupato e già in parte triste, anche se riusciva a nascondere fin troppo bene i suoi sentimenti, volendo affrontare il problema razionalmente: «come mai mi dici questo? Ho fatto qualcosa? Qualche errore di cui stupidamente non mi sono reso conto? Dimmi tutto ti prego, sai che voglio parlare con te» si rese conto però che la ragazza non era troppo aperta al dialogo in quel giorno: «no guarda, non è il caso ora di parlarne, te l’ho detto, poi ti farò sapere…». B fu preso da quel discorso, e ne rimase colpito e scosso, cercò ancora di replicare ma ciò che pronunciò non giocò a suo favore: «ma, F, ti prego dimmi cosa è successo, io non voglio farti del male, sono qui per difenderti…» non finì di pronunciare quella frase che venne subito interrotto dalla giovane: «no basta adesso davvero non mi va di parlarne, io vado ci vediamo». Lasciò di colpo l’auto e il ragazzo rimase bloccato per quel comportamento, mentre la guardava che le scappava dalle mani per correre dal suo ormai unico punto di riferimento, M. Fecero così la loro solita passeggiata, questa volta però con M ancora stordito per lo scossone di poco prima, F ancora piena di paura per la nottata e B incredulo per il discorso che aveva avuto, mentre altri amici ed amiche cercavano di comprendere perché fosse così “giù”, poiché si era staccato dal gruppo che seguiva i due fidanzatini. La mattinata si concluse così come era iniziata, senza alcun interesse a proseguirla da parte di tutti. Coloro che solitamente davano vita a quelle passeggiate erano o turbati o tristi per gli avvenimenti descritti, e non riuscivano a farsi consolare dagli altri presenti. M quindi cercò di invitare ad uscire F anche quella sera ma la ragazza rifiutò, mentre era ancora avvolta nei suoi pensieri, e il suo fidanzato non insistette, forse ancora sotto l’effetto del bacio stordente. Tornarono tutti a casa, tutti per passare la solita giornata, tranne la splendida F, ancora occupata a cercare un significato per quei suoi sogni, e il triste B, che pensava al discorso che aveva avuto con la ragazza che segretamente amava. Le ore passarono con la loro consueta velocità e la notte arrivò: F tremò al solo pensiero di doversi avvicinare di nuovo al letto, come se avesse visto la creatura che infestava i suoi sogni stesa su di esso ad aspettarla, ma poi si distese delicatamente coprendo la sua morbida pelle con la coperta, unico scudo esterno per il suo avvenente corpo. Di nuovo il sonno si impossessò di lei, nonostante la sua mente non ne sentisse il bisogno in quel momento. Riuscì comunque a recuperare qualche ora di sonno, ma di sicuro di meno di quelle del giorno prima, le quali furono circa quattro. Dopo poco però si ritrovò di nuovo nel luogo apparentemente paradisiaco del primo sogno, l’immenso campo sovrastato da un cielo terso, questa volta era però più vicina a quella zona oscura che in passato la stava per far scappare dal sogno. Guardava quella zona con odio e cercò di evitarla dopo averla fissata, poi di colpo vide ergersi ai suoi fianchi due immense mura che si innalzavano fino al cielo, cercò quindi di girarsi dietro di sé, ma di colpo apparse un altro muro che le chiudeva la strada anche in quella direzione: si rese conto di trovarsi in un corridoio a senso unico che l’avrebbe condotta direttamente verso la zona oscura e malvagia, e quindi pensò bene di non muoversi dalla sua posizione, appoggiandosi alle mura formatesi: purtroppo questa sua idea venne vanificata dopo qualche istante, quando si rese conto che proprio il muro dove si era poggiata si stava muovendo, e anche a gran velocità, verso quella nefanda zona. Tentò di fermarlo ma non ve n’era modo, quindi cominciò a correre con i suoi piedi notando che il muro si era fermato, come se prima avesse voluto invogliarla a muoversi. Era costretta a correre verso quella odiata zona, e con tutte le sue forze. Arrivata lì venne come annunciata ad un nuovo mondo da un lampo che toccò terra poco distante dalla sua posizione, il quale fu subito seguito da un tuono molto potente e che causava uno strano effetto di riverbero. Si sentì indifesa e impaurita, pensando che ci potessero essere altre creature, quasi certamente pericolose, in quella zona. Notò poco distante da lei una casa e, dopo un dubbio iniziale, si precipitò verso essa sperando di trovarvi riparo. Una volta entrata si rese conto che non poteva difenderla più di tanto, a causa delle mura piuttosto fragili, fatte di un legno ormai marcio forse per l’età, che ad occhio le sembrò antidiluviana, inoltre era completamente priva di qualsivoglia mobilio o suppellettile qualsiasi. Dopo aver fatto un giro di ricognizione, tornò nel piccolo atrio principale per sorvegliare la fragile porta, ma fu colta da un forte spavento quando si rese conto che in un angolo di quella camera era presente la creatura che infestava ormai da troppo tempo i suoi sogni: il suo cuore cominciò a battere più forte che mai e, nonostante avrebbe voluto cacciarlo via, il fiato per pronunciare la benché minima parola le mancò non appena quello aprì le sue ali e alzò il suo viso, che mostrava un sorriso che ai suoi occhi parve subito malvagio, per fissarla. La povera ragazza cercò di rintanarsi nell’angolo opposto a quello in cui si trovava la creatura che lei vedeva come un demonio dalla faccia conosciuta. Quest’ultimo abbassò le braccia e le ali e cercò di avvicinarsi alla sognatrice con un viso questa volta pulito, essa però cominciò a piangere cercando di allontanarlo nonostante non potesse ancora toccarlo: quello si fermò ma solo per un istante, infatti ricominciò subito ad avanzare verso di lei che era ormai in delirio dalla paura, con il viso totalmente coperto dalle lacrime. Una volta raggiunta, la creatura alata si piegò sulle ginocchia per potersi avvicinare alla giovane e con una mano le accarezzò il viso con una delicatezza impensabile, asciugandole anche parte della faccia. Essa quindi si girò per guardarlo negli occhi senza fermare il pianto, e vide che un sorriso benevolo e solare era nato sul viso di colui che lei giudicava come un nemico: ciò riuscì per un momento a calmarla, fino a che di nuovo una vampata di paura si impossessò di lei, una paura quasi violenta, che la fece scattare in piedi per allontanare l’unico abitatore della casa all’infuori di lei. I due continuarono a guardarsi, uno ancora sorridendo, questa volta con un velo di tristezza forse per la forte volontà che li aveva separati, l’altra invece smetteva in quel momento di piangere, ma era ancora affannata per la disperazione di poco prima. Nessuno dei due parlò, solo il “B alato” cercava di comunicare con lei tramite sguardi, poi proprio F si fece forza e cercò di dare inizio ad un discorso, in modo da non far terminare il sogno come tutti gli altri: «tu…tu cosa vuoi da…me…perché…perché ogni notte mi costringi a soffrire in questo modo…cosa ti ho fatto io, e perché ti presenti a me con…con il viso di una persona che…esiste davvero». L’altro per un momento rimase confuso, o almeno questo si poteva afferrare dall’espressione assunta dal suo viso e in generale dalla sua testa, che si piegò verso destra, come se non avesse afferrato le parole della ragazza, chiare nel significato ma tremolanti nell’espressione. Dopo qualche sguardo l’uomo alato prese la parola: «cosa intendi dire con perché? Io esisto davvero, altrimenti non sarei qui davanti a te, F…» la ragazza si sentì presa in giro dopo quella frase, e lo fece comprendere tramite il suo sguardo, a momenti feroce. Ma proprio in quel momento si rese conto che quel sogno era troppo “vero”: mai aveva provato qualcosa del genere in vita sua, si sentiva intrappolata in quel sogno più che sentirsi padrona di esso, e mai aveva provato così tante emozioni differenti in un mondo creato dalla sua mente, cosa che lo rendeva ancora più reale. L’altro nel frattempo continuò: «e, dimmi, cosa intendi dire con “soffrire”, perché mai dovrei farlo? Te l’ho già detto l’ultima volta, io sono qui per difenderti», F avvicinò le mani alle orecchie come per non ascoltarlo, poi si avvicinò velocemente a lui e, mentre quello avvicinava le braccia per abbracciarla, la ragazza lo colpì ripetutamente in petto cominciando di nuovo a piangere, poi disse: «devi smetterla! Perché mi prendi in giro! Smettila! Ti odio! Qualunque cosa tu sia, ti odio!». La proiezione onirica quindi, dopo averla osservata per qualche secondo, chiuse le sue braccia delicatamente attorno al suo corpo turbato per abbracciarla. La giovane lo lasciò fare mentre continuava a piangere disperatamente, ma trovò stranamente un appoggio mentale in lui, riuscì a calmarsi grazie a quell’abbraccio e grazie al sorriso di quella creatura, che vide spostando il suo viso verso l’alto: continuarono a fissarsi per un bel po’ di tempo, con gli occhi che parlavano per loro; in quelli di uno c’erano una sicurezza e una dolcezza che F non si sarebbe mai aspettata, giudicando anche dai suoi, ancora distrutti e supplicanti clemenza a quella creatura temuta ma ora in un modo molto più contenuto. La paura la abbandonò del tutto, e spostò le sue braccia, piegate scomodamente sul petto dell’altro, attorno al suo corpo, potendo così sfiorare le sue morbide ali, e appoggiò la testa al posto della precedente posizione delle mani, stringendo il corpo dell’altro più forte che poteva. Sentì ridere leggermente l’altro che lasciò la presa e la ragazza, dandogli le spalle e allontanandosi verso l’angolo che occupava prima. Di colpo si girò mentre pronunciava una frase: «ora devi solo scegliere…», quando finì di voltarsi però il terrore saltò di nuovo ferocemente sulla già fortemente provata F: il viso dell’abitatore dei sogni infatti era diviso in due parti, metà teschio e metà uomo, così come aveva già visto altre volte. Camminando all’indietro si chiuse di nuovo nell’angolo, con il fiatone e gli occhi sbarrati, mentre il suo corpo, nel mondo esteriore, stava contorcendosi in un modo a momenti sovrumano, cominciando a sudare freddo. Le sue mani si aprivano in continuazione, come volessero fugare un dolore troppo forte. Nel frattempo, nel mondo onirico, quella figura vivente nella sua mente si piegò verso il basso coprendosi il viso con le mani, poi dopo pochi secondi tornò a guardare la ragazza: ora la sua faccia era di nuovo interamente umana, ma F diffidava ancora di lui. Essa si alzò da terra, essendo scivolata per suo volere lungo il muro, volendo a momenti scomparire, ma rimase in quell’angolo, dal quale poteva fissare l’altro e poteva guardare la porta. L’altro intanto riprese la parola: «devi solo scegliere, non devi temermi. Scegli, me –a questa parola indicò se stesso- o loro –e indicò la porta con la mano aperta e distesa-. Ora, sta a te». La cosa che più la preoccupò fu la voce che pronunciò la parola “loro”, quella voce malvagia che aveva sentito già in passato, rimbombante e accompagnata da un forte effetto di riverbero. Non aveva capito cosa volesse intendere con quella domanda così lo fissò, aspettando una risposta, ma dopo qualche istante qualcosa cominciò a colpire pesantemente la porta, che stranamente non crollò. Urla strazianti cominciarono ad accompagnare quei possenti colpi, urla non appartenenti al pianeta in cui fisicamente lei viveva, ma nemmeno alla sua mente, esse erano qualcosa di raccapricciante anche se ascoltate a gran distanza, colpivano direttamente zone remote del cervello, passando bruscamente e malvagiamente per gli organi adibiti alla percezione del suono, ferendoli immancabilmente. Eppure la figura alata sembrò conoscere bene quel suono, e lo ignorò come fosse stato un comune rumore, attendendo risposta alla sua domanda. Quando la giovane era sull’orlo di una crisi, il frastuono e i colpi continui alla porta cessarono; F quindi fissò la porta e poi diede un’occhiata al ragazzo, quindi si scaraventò sulla porta con uno scatto velocissimo, aprendola al volo e trovandosi all’esterno. Qui la follia cominciò a stendere le sue fredde e malvagie mani sulla mente di quel povero essere, a causa di quello che vide: il cielo era diventato rosso scuro, e ciò che gli rimaneva di normale erano le venature scure che dovevano rappresentare probabilmente le numerose nuvole del luogo, e il rumore di sottofondo era qualcosa di anormale per il continuo cambiamento di frequenza che si poteva avvertire. Ciò bastò a farla fermare a guardarsi intorno, ma ciò che le fece mancare il respiro fu il battito del cielo: dopo qualche istante infatti tutto ciò che era sopra di lei cominciò a battere rumorosamente e lentamente, come se fosse intrappolata in un enorme cuore. Quei battiti disgustosi continuarono senza mai fermarsi, e dopo poco si rese conto che l’intero cielo si stava avvicinando a lei, comprimendosi come una stella prima dell’esplosione in nova. Il fiato le mancò del tutto, come se l’ossigeno fosse stato succhiato via da quel mondo, si girò cercando di nuovo la creatura che l’aveva posta di fronte a quella scelta, forse era l’unico che poteva aiutarla, ma quando si voltò lo vide di profilo ancora all’interno della casa: egli mosse il capo annuendo ad una negazione, poi le voltò le spalle e davanti a lui una luce intensa apparve, e in essa egli scomparve, alzando le gambe una alla volta e infilandole in quello squarcio luminoso. La ragazza cercò di urlare ma il fiato era sempre di meno e tutto ciò che riuscì a pronunciare fu un leggero gemito, e coprendosi la bocca inciampò all’entrata della casa senza però subire alcun danno. Prima di svenire si rese conto che la creatura onirica appena scomparsa le aveva lasciato una piuma, per metà bianca, la metà destra per la precisione, e l’altra metà nera. La strinse in mano non appena sentì di nuovo un grido straziante dietro di lei, quando si girò notò il cielo vicinissimo, a momenti tutto intorno alla casa, ma l’urlo proveniva da un essere ripugnante, alto molto di più di qualunque altra creatura umana, la sua figura mostruosa, probabilmente dalla pelle squamosa, molto robusta e dal cranio duro già alla sola vista. Fissandolo dalla paura si rese conto che la fronte era come divisa in due parti distinte ma solidamente unite tra loro e che inglobavano gli incavi adibiti agli occhi nelle creature “normali”: quest’essere infatti non aveva alcun tipo di occhi, eppure puntava con estrema precisione la sua preda, sbavando avidamente dalla sua bocca, dotata di denti molto più aguzzi di un qualunque altro animale conosciuto nel mondo “reale” (cos’è reale…?). Non appena quel mostro lanciò un secondo urlo la fanciulla si svegliò di colpo, con la fronte coperta da un sudore freddo, gelido, e cominciò a piangere cercando di non farsi sentire da nessun abitante della sua casa. Aveva dormito qualche ora di più rispetto alla giornata precedente, ma un sonno talmente tormentato non le sarebbe comunque servito a riposare le sue membra ormai a pezzi da tempo.