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    Lo Zio L'avatar di Nightlight
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    Predefinito I racconti di The Underground

    Obi-Fran Kenobi ha scritto ven, 16 aprile 2004 alle 15:25
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    La Nuova Morte.





    Capitolo 1. Uccisione.


    "Suona" pensò Michael alle sette e quarantacinque di un orribile lunedì.
    La notte precedente aveva messo l'ora legale. Brutta cosa perdere un'ora di sonno di lunedì.
    D'altronde non avrebbe mai potuto andare a letto un'ora prima: la sua vita sociale lo stava ancora reclamando l'ultima volta che aveva guardato l'orologio, all'una di notte.
    Ma se esiste una cosa più brutta di perdere un'ora di sonno di lunedì, forse quella è il suono della sveglia mentre stai ancora sognando.
    Michael stava facendo un sogno molto nitido e profondo; correva senza sosta e a perdifiato in un ampia valle verde, con un cielo azzurrissimo e tante nuvole bianche e perfette, mentre il sole era quasi all'orizzonte. D'improvviso il sole era calato e una fredda notte senza stelle aveva sostituito senza preavviso il paesaggio da quadro in cui stava correndo mezzo secondo prima. E proprio mentre cominciava ad intravedere, in lontananza, una figura incappucciata che sembrava venirgli incontro, un grosso corvo -almeno credeva di ricordare che fosse un corvo- gli aveva sfiorato la testa gracchiando, con una voce stranamente metallica e artificiosa, molto simile a quella della sua sveglia. La sveglia. Maledetta sveglia.
    "Per colpa tua devo andare a lavoro!"
    Ma non capiva ancora bene quello che diceva. Michael pensò che essere strappati da una fase r.e.m. dal bieco rumore di una sveglia con molta probabilità è un'esperienza simile ad un'overdose, o ad un'ubriacatura con un mix quasi letale di alcolici. Ma non lo pensava con cognizione di causa, dato che non aveva mai provato nessuna di queste esperienze.
    Si, sicuramente doversi alzare il lunedì mattina dopo l'ora legale per andare a lavoro mentre si sta ancora sognando è una delle cose più brutte che possano succedere ad una persona comune.

    "urgh!"
    Non c'era che dire: alzarsi dal letto, in quel momento, sembrava a Michael un'impresa degna di un qualche riconoscimento importante, sicuramente a livello mondiale. Aveva molto freddo, e quando si ricordò che questo era dovuto al fatto che non aveva acceso il riscaldamento la sera precedente non la prese molto bene. Le piccole rughe sulla fronte che gli si formavano quando si corrucciava iniziavano già a marcarsi definitivamente sulla sua giovane cute, così come gli angoli della bocca, troppo abituati ad incurvarsi verso il basso.
    L'acqua era fredda, e i vestiti ghiacciati. Non aveva voglia di farsi il caffelatte, però il latte da solo era freddo e non aveva voglia di usare il microonde per riscaldarlo. Gli aveva giocato troppi scherzi quel microonde. Ok, per quanto l'aveva pagato si poteva dire che facesse il suo onesto lavoro, ma forse sarebbe stato il caso di spendere un pò di più, per una volta. Michael non era tirchio. Almeno, non era tirchio riguardo le cose che gli interessavano. Considerava il nutrirsi una cosa inevitabile, che andava fatta per forza, e che rubava tempo alle cose che uno ha veramente voglia di fare. per questo odiava il nutrirsi e, ovviamente, tutto quello che è legato ad esso, come un forno a microonde, ad esempio. Per questo quando era "costretto" a comprare qualcosa per la cucina, lo faceva controvoglia e finiva per risparmiare comprando dei completi rottami. Fatto sta che quel microonde gli aveva già bruciato diverse cene e una volta quasi stava per dare fuoco alla casa, quindi non gli rimaneva molto simpatico, e optò per un succo di frutta e pane e marmellata.
    "Uh... Ho preso quelle pratiche? Si, sono in macchina."
    Prese le fredde chiavi di casa e quelle della macchina e uscì nel freddo pianerottolo. Ma questo era niente rispetto al mordente gelo che lo aspettava fuori. La sua piccola auto scassata lo guardava con uno sguardo di dolore da sotto lo strato di fredda brina che la ricopriva. Quando inserì la chiave nella serratura Michael fu quasi convinto che anche lei avesse avuto un brivido di freddo.
    Le mani tremanti nei guanti, accese il motore e tolse il freno a mano. Testò l'aria condizionata per vedere se... Già! Non aveva l'aria condizionata.
    I denti gli battevano, così li strinse, così forte da pensare che gli sarebbe venuta un'emicrania, e partì.
    Almeno, le pratiche erano effettivamente sul sedile del passeggero, e non avrebbe dovuto affrontare nuovamente il freddo esterno per tornare in casa a cercarle.
    Il viaggio fu freddo e noioso finchè i suoi occhi semicoperti dalle palpebre ancora mezze addormentate non dovettero obbligatoriamente spalancarsi.

    STUMP! cr-crrr!
    Frenò.
    Un'orribile nuvoletta di lunghe penne nere stava volteggiando intorno al lato destro del suo cofano. Inchiodò, e non si curò della lunga suonata di clacson dell'auto che aveva dietro, obbligata a inchiodare a sua volta. Invece, sfilò la cintura di sicurezza e uscì dalla macchina intimorito, con la mano guantata sulla bocca, a vedere cosa aveva fatto. La sua coscienza gli impose di fare il giro largo, forse per temporeggiare e raccogliere la forza mentale sufficiente a dominare la situazione, o forse per semplicissima e cinica suspance.
    "Oh, no..." eh si...
    "Oh, no, no..." e invece si.
    Ma come si fa a mettere sotto un corvo?
    "Ma come si fa a mettere sotto un corvo?! Stupido corvo, non potevi volare come fanno tutti gli uccelli di questo schifo di mondo?!" Sicuramente la giornata non era iniziata nel migliore dei modi.
    "Che è successo? Ha bisogno di aiuto?" Un tizio grasso, forse un automobilista, si era fermato per dare una mano. O forse per soddisfare la sua curiosità.
    "No, io... Il corvo..." e si grattava la testa, e poi si portava le mani alla bocca, e poi nei capelli, e poi si grattava la gamba, ma non gli prudeva così si portava le mani alla bocca.
    "Oh... Caspita, ma come si fa ad investire un corvo?! Ah ah ah!" rise "Via non ne faccia un dramma, era solo un uccello!" aggiunse, visto il comportamento nervoso di Michael, e soprattutto le sue lacrime silenziose.
    Lacrime silenziose? Ma stava piangendo?! Perchè?! Michael nemmeno si era accorto di stare piangendo. Non riusciva a spiegarselo, non ce n'era motivo... Almeno, non secondo il modo in cui era sempre vissuto! Non era certo un animalista, o un altro maniaco delle difese degli animali... In fondo di corvi ce ne sono tanti, e gli uccelli si mangiano cotti in forno... Perchè diavolo stava piangendo davanti il corpo esanime di quell'animale?!
    "Si, ma... Un uccello. Ha ragione. Beh, grazie dell'interessamento!". Si voltò senza guardarlo e rientrò in macchina.
    "Prego..." disse il tizio grasso, con tono vaporoso, e pensando che sembrava proprio un pazzo, quello lì.
    Michael per poco non ebbe un conato di vomito quando, ripartendo, schiacciò il corpo del corvo, le cui ossa emisero un rumore piuttosto grottesco e raccapricciante.
    Ed era pure in ritardo.




    Capitolo 2. Hai un'aria strana.


    "Stai bene, si?"
    "Si, Annie, grazie. E' solo che... Io ho... Beh, mi è successa una cosa strana."
    "Mh. Quanto strana? Più strana di quella volta che pensavi di essere diventato cieco?"
    "Spiritosa. Ma niente, è una sciocchezza..."
    "E dai, su. Guarda che non avere almeno una persona con cui poter parlare liberamente in ufficio fa male alla salute!" Annie era molto simpatica e carina. Adesso gli stava porgendo un bicchierino di plastica pieno di cioccolata calda.
    "Uff... dai, perchè insisti?" il fastidio di Michael cresceva di secondo in secondo.
    "Ah beh, se non vuoi parlare non sei mica obbligato eh." come solo le donne intelligenti sanno fare, Annie risultò effettivamente convincente, con quel tono tra l'offeso e il malizioso. Michael raccolse la sfida verbale.
    "Oooh dai! Come sei drastica... Niente, è una sciocchezza, ho investito un corvo." Michael cercò di dare il tono più piatto che potè all'ultima frase.
    "Un corvo?" Annie si sforzò molto per non dare a vedere che la cosa la divertiva, e ottenne il risultato opposto. Michael sbuffò.
    "Si un corvo, va bene? Tanto adesso dirai..."
    "Ma come si fa ad investire un corvo?!" dissero all'unisono.
    Annie cominciò a ridere forte, ma poi vide che Michael aveva un'aria davvero strana.
    "Ehi! Senti, ma era solo un corvo... Perchè te la prendi così? Ci sei rimasto molto male?"
    "Non so, è strano... Non dovrei sentirmi in colpa?" Conosceva la risposta che avrebbe ricevuto. Non solo. Conosceva anche la risposta che avrebbe dato lui! Ma era assurda, troppo assurda. La accantonò in un angolo lontano della sua mente.
    "In colpa? Per un uccello?" Se Michael avesse scommesso con qualcuno, avrebbe vinto.
    "Eh eh... No, certo. Però io ho..." ma voleva davvero dire ad Annie che aveva pianto per un corvo? Il telefono dell'ufficio di Annie lo salvò.
    "Ops, mi squilla il telefono! Mi finisci di raccontare più tardi!" il sorriso di Annie era senz'altro radioso. Lo faceva stare bene.

    "Ehi, stai bene, Michael?"
    "Si, George..."
    "Uh, che faccia, che ti sei fatto ieri sera? Ah ah ah!"
    "Niente, ho solo molto sonno..."
    "Mamma che faccia, Michael!"
    "Eh, ho dormito molto male stanotte, non farci caso..."

    Rientrò a casa, ed era convinto che quella fosse stata la giornata più brutta e faticosa della sua vita. Quando si tolse il giubbotto, i guanti e la sciarpa, ancora si sentiva un cadavere. Il riscaldamento entrò in funzione e la giornata cominciava a diventare quasi un ricordo lontano. Si mise sul divano ed accese la televisione: tsè, in fondo era stata una giornata come tante altre. Finito di cenare, aveva già dimenticato tutto. Quando però, una volta a letto, entrò a pieno regime nel mondo dei sogni e si ricordò del corvo, non si sentì poi così rilassato.
    "Uh, è già ora di alzarsi? Ma non è suonata la sveglia..." erano le tre.
    "Sete..." erano le cinque.
    "Devo andare in bagno." erano le sette e un quarto.
    Alle sette e quaranta cominciò la sua ultima fase r.e.m.
    Correva senza sosta e a perdifiato in un ampia valle verde, con un cielo azzurrissimo e tante nuvole bianche e perfette, mentre il sole era quasi all'orizzonte. D'improvviso il sole era calato e una fredda notte senza stelle aveva sostituito senza preavviso il paesaggio da quadro in cui stava correndo mezzo secondo prima. E proprio mentre cominciava ad intravedere, in lontananza, una figura incappucciata che sembrava venirgli incontro, sentì un miagolìo stridulo alle sue spalle. Si girò e un grosso gatto bianco si avventò come volando sulla sua faccia. Il miagolìo stridulo assomigliava tremendamente al suono della sveglia.
    "No, no NO! ANCORA!!!" pensò che forse se qualcuno gli avesse potuto strappare l'anima avrebbe provato una sensazione più piacevole, rispetto a quella che provava in quel momento. Decisamente la sveglia che rompeva i suoi sogni per lui era come una spada che gli trafiggeva i polmoni.
    Un gatto. Il giorno precedente aveva sognato un corvo, e poi ne aveva investito uno. Allora oggi avrebbe investito un grosso gatto bianco? Gli piacevano i gatti. Meglio, diciamo che gli erano indifferenti. Ma amava i cuccioli. Ecco, i gattini erano una delle poche cose che trasformavano il suo broncio in una risata sincera. Lo facevano veramente stare bene, così piccoli e delicati, con le piccole unghie e i dentini, e quel miagolìo ancora da maturare, molto più vicino al pigolìo di un pulcino. Sua mamma ne aveva molti, nella casa in campagna. Ma sua mamma adesso non c'era più, e nemmeno la casa dov'era nato e cresciuto. Uscì di casa pensieroso e preoccupato.

    Si avvicinò al punto in cui il giorno prima aveva investito il corvo. Ancora una volta, si comportò come non si sarebbe mai aspettato. Tremava, ed era in un incredibile stato di agitazione e angoscia. Ma arrivato a quel punto maledetto, non vide gatti. Nè bianchi nè neri, nè grandi nè piccoli. Non c'era più traccia neppure del corvo.

    "Come va stamattina?" Annie, il volto radioso, il sorriso dolce...
    "Meglio, grazie, Annie." mentì spudoratamente. La sua faccia parlava più sinceramente della sua lingua.
    "Certo. Sai che mi sono appena licenziata perchè non mi trovo bene a lavorare con te?"
    "Ah, davvero?" Michael dimostrò ampiamente che la sua attenzione si trovava a livelli molto bassi. Annie se ne era accorta, ovviamente, ma per poco non si offese, sentendo quella risposta. Decise di prendere Michael per le spalle e scuoterlo come un albero.
    "Ehi!!! Sveglia!!! Michael!!! Sono Annie, pronto?!"
    "Oh, scusami, anche stanotte ho dormito poco e male. Cosa hai detto?" si grattava nervosamente il naso.
    "Niente, niente. Senti, fai qualcosa, vai a letto prima, prenditi un sonnifero leggero... Valeriana! Ecco, prendi delle pastigliette di valeriana, rimedio naturale, e ti distende i nervi, che ne dici?"
    "Valeriana hai detto? Ok, proverò..." Ma il suo tono era troppo spento perchè Annie potesse credergli veramente. Ma lei decise di non insistere e tornò alla sua postazione.

    Decisamente Michael odiava la pausa pranzo. Era troppo breve per poter tornare a casa a mangiare, o andare a un bar o un ristorante; ma era anche troppo lunga da sopportare. I suoi antipatici colleghi parlavano di facezie e cose frivole, oppure di lavoro. E lui odiava entrambe le cose. Eh già: odiava il suo lavoro. Non è una bella cosa, soprattutto quando si è coscienti del fatto di non sapere fare altro, e che trovare un altro tipo di lavoro non sarebbe stata una cosa veloce ed indolore, e soprattutto non avrebbe garantito che si sarebbe trovato meglio. Eppure, cosa aveva da lamentarsi? Il salario era buono... in ogni caso nella media, e bene o male nel suo ufficio nessuno lo disturbava mai. Eppure... Eppure c'era qualcosa di celato; una malinconia oppressiva ma invisibile, nella sua tangibilità. Forse quello di cui Michael aveva davvero bisogno era semplicemente una finestra, nel suo grigio e freddo ufficio male illuminato. Così anche quella pausa pranzo, nonostante i pensieri che gli correvano in testa giocando a nascondino, nonostante i chiacchiericci di sottofondo di persone inutili, nonostante lo schifoso tramezzino molliccio comprato nel distributore, finì.

    Uscendo da lavoro investì un gatto.
    Bianco, ovviamente. Ma non era grande come quello del sogno: era un cucciolo. Eh, come poteva lui, povero umano medio, con una velocità di riflessi quasi annullata dalla fatica mentale della giornata lavorativa, con un'auto da nemmeno tremila euro con le gomme quasi finite e i freni poco buoni, evitare un giovane gattino che corre giocando in mezzo ad una strada stretta uscendo da un cespuglio posto sul ciglio della strada?

    Fu solo un attimo, talmente veloce che nemmeno se ne accorse. Talmente veloce che passò avanti, perchè non si rendeva ancora conto che poteva appena aver ucciso un gattino. Ma quando realizzò il fatto, l'ignobile specchietto retrovisore non lasciava spazio a dubbi: il riflesso della strada che si trovava dietro di lui mostrava il corpo disteso di un gatto bianco in mezzo alla strada.

    C'erano migliaia di spiegazioni per palesare la sua innocenza. Qualsiasi tribunale dell'Universo, qualsiasi possibile razza aliena capace di pensare non lo avrebbe ritenuto responsabile. Non c'era giudice che l'avrebbe condannato, tranne se stesso.
    Urlò. Urlò forte, e un neonato che stava dormendo si svegliò, a dieci chilometri di distanza, ma forse fu solo una coincidenza.
    Poi Michael prese il cellullare.
    "No-no-non può! Non è mica morto, come può essere morto? Però sicuramente è rimasto ferito. Eh si, è ferito per forza, l'ho steso con la macchina! Quindi a-a-adesso chiamo il pronto intervento per gli animali, ce l'ho il numero, ce l'ho..." La rubrica del cellulare non gli era mai sembrata così male ordinata. Non riusciva a trovare quello che cercava. Ma davvero aveva il numero del pronto intervento per gli animali? E perchè? Da quando, poi? L'aveva cercato dopo aver investito... Cosa aveva investito il giorno prima? All'agitazione si aggiunse altra agitazione, data dal fatto che non ricordava nulla con precisione di quello che era successo il giorno prima. Ma era sicuramente la nevrosi del momento, pensò.
    "P-p-pronto? Aiuto! Ho investito un gatto. Un gattino, è un cucciolo. Cosa... Voi potete... Cosa devo fare?"
    "Signore! Pronto?! Si calmi e mi ascolti! Il gattino è ancora vivo?"
    "E' vivo?"
    "Non lo so! Deve controllarlo lei!"
    "Già! O-o-ora controllo, aspetti in linea, per favore."
    Fu obbligato a farlo. Dovette uscire a vedere cosa aveva fatto. Un passo, due...

    "Uuuh... Uuuh..." singhiozzava.
    La verità era sempre più vicina. Ed era troppo rossa per i suoi gusti. Il gatto era bianco, doveva essere bianca anche la verità. Invece era rossa. Proprio, molto rossa.
    Il piccolo collo spezzato, piegato all'indietro, in modo innaturale.
    La lingua, rosa e piccola, fuori dalla bocca. I dentini rotti, prima ancora di poterli usare per difendersi dagli animali cattivi.
    Un occhio chiuso. L'altro invece fuori dell'orbita. Michael poteva vedere il nervo ottico.

    Gli cadde il cellulare, e poi cadde lui. In ginocchio, a piangere come un bambino, la faccia nelle mani. Stavolta lo stava facendo molto rumorosamente.

    "Pronto? Signore! E' ancora in linea?"

    Quanto passò? Guardò l'orologio, ma non indicava il passare dei secoli. Quando si alzò Annie era davanti a lui, che lo aiutava ad alzarsi.
    "Dai, asciugati quelle lacrime." Annie glie le stava asciugando lei, quelle lacrime. Con un fazzolettino. Gli accarezzava i capelli.
    "Annie... Cosa mi succede?" singhiozzava ancora, ma si faceva capire. Si sentiva un bambino.
    "Cosa vuoi che ti succeda? Dormi poco e sei distratto... Poteva capitare a tutti!"
    "Ma è capitato a ME. E due giorni di fila! Cosa investirò domani? Un cane? O magari un cavallo? Forse sarà una persona! E poi... mi sento disperato quando succede. Non te l'ho detto, ma anche ieri ho pianto..."
    "Senti, prenditi un pò di ferie... Una settimana, che te ne pare? Ci penso io alle tue pratiche, quanto lavoro sarà mai? Stai a casa, ti rilassi, esci con qualche amico... e dormi abbondantemente! Quando tornerai non investirai più nessuno, vedrai." lo baciò sulla guancia, e Michael trasalì. Si guardarono negli occhi, e Annie vide un uomo-bambino, così sensibile e fragile, bisognoso di protezione e affetto. Michael invece non potè che ricevere conferma della bellezza di Annie... Ma lui le piaceva? Forse...




    Capitolo 3. Una settimana di ferie?

    Michael stava facendo un sogno molto nitido e profondo; correva senza sosta e a perdifiato in un ampia valle verde, con un cielo azzurrissimo e tante nuvole bianche e perfette, mentre il sole era quasi all'orizzonte. D'improvviso il sole era calato e una fredda notte senza stelle aveva sostituito senza preavviso il paesaggio da quadro in cui stava correndo mezzo secondo prima. E proprio mentre cominciava ad intravedere, in lontananza, una figura incappucciata che sembrava venirgli incontro, sentì una voce chiamarlo, da sinistra. Era il suo amico Max.
    "Ciao Max!"
    "Ciao Michael! Che succede?"
    "Non so, però questo cambiamento repentino del tempo non mi piace!"
    "Ma dai, è normalissimo in questa zona! Non vedi com' è bello?"
    "Normale? Ma non succede da nessun parte del Mondo!!! E poi lo vedi quel tipo con il cappuccio? Cosa vuole?" Si girò verso la figura incappucciata per indicarla, ma non c'era più.
    "Quale tipo?"
    "Strano, lì c'era..." Si voltò verso Max, e Max aveva la faccia imputridita di uno zombie, i verdi pezzetti di carne attaccati al teschio, le orbite vuote e buie.
    Si svegliò di soprassalto, scosso, madito di sudore, il respiro affannoso. Erano le undici di mattina.

    Si alzò e chiamò Annie. Lei e Michael si conoscevano dalle scuole medie; periodo quello in cui Annie aveva una cotta per lui, anche se non si fece mai avanti. Michael invece era ancora troppo piccolo per accorgersene, o troppo stupido, forse. In ogni caso non ci fu mai niente di più che amicizia tra di loro. Finite le medie andarono in due scuole superiori differenti, sebbene con lo stesso indirizzo, e si persero di vista. Si incontrarono solo un anno dopo il diploma, quando Michael finì il suo anno "di riflessione", come lo aveva chiamato lui (in realtà si traduceva in nullafacenza assoluta a casa dei genitori), e trovò lavoro nella ditta in cui lavorava anche adesso. La ditta dove lavorava anche Annie. Come se i sei anni non fossero mai passati, il rapporto che aveva con lei rifiorì istantaneamente. Michael spesso pensava che se non ci fosse stata lei, si sarebbe licenziato dopo pochi mesi, e probabilmente nemmeno avrebbe cercato altri lavori. Si sarebbe abbandonato all'apatia.
    I genitori di Michael erano morti in un incidente d'auto subito dopo la sua assunzione, e Michael si vide costretto a crescere di punto in bianco. Arrivò a quel famoso momento in cui si capisce chi sono le persone che ti vogliono veramente bene, che ti sono veramente amiche. Non la sua ragazza, che lo lasciò qualche mese dopo, non riuscendo a sopportare la sua depressione. Non la maggior parte dei suoi amici, che lo lasciarono a se stesso, parlando male di lui quando non c'era. Non i parenti, ma questo già lo sapeva. La sua famiglia aveva cattivi rapporti con i parenti, per antichi dissapori, per quello che ne sapeva. Insomma, quando il mondo gli crollò addosso Michael si trovò sorpreso nel constatare che poteva veramente contare solo su due persone: Max ed Annie. Max era un amico della scuola superiore, sempre attivo e spigliato, riusciva ad essere allegro in qualsiasi situazione. Grazie a queste due persone Michael ritrovò pian piano la voglia di vivere e di lottare. Vendette le proprietà dei genitori, ricevute in eredità, e andò a vivere in un appartamento, da solo. Con molti arranchi, riuscì a mantenere il lavoro. Quando non riusciva a finire le pratiche in tempo, era Annie che ci pensava. Quando era da solo a casa, e la depressione lo prendeva, e non si faceva trovare, Max ed Annie lo trovavano lo stesso, e gli stavano vicini.

    Decisamente, se era ancora lì, era grazie a loro.
    Ma Michael era comunque cambiato radicalmente e profondamente. Col tempo aveva sviluppato la ghiandola del cinismo, e non trovava più nulla che lo emozionasse davvero. Si identificava nei personaggi dei film noir, disillusi della vita, sarcastici e pungenti, che non si meravigliavano mai di nulla. E lasciava che la vita e il tempo gli scorressero semplicemente addosso.

    "Pronto? Michael? Come va? Vedo che hai dormito un pò di più almeno oggi!" rispose Annie al telefono.
    "S-si, ho dormito abbastanza. Annie, devo dirti una cosa, mi sento in ansia..."
    "Adesso non posso, c'è il direttore che passa di qui ogni cinque minuti, ci sono dei clienti importanti. Ti passo a trovare dopo cena, che ne dici?"
    "Dopo cena? Si, va bene. A stasera allora."
    "Ok, ciao! Goditi le ferie!"
    "Grazie, Annie." Ma lo disse dopo aver sentito Annie riagganciare.

    Fu una giornata all'insegna della noia. In televisione non c'era niente degno della sua attenzione. Provò a leggere qualcosa, ma gli frullavano troppi pensieri in testa. Quando si accorse di stare leggendo la stessa riga per la tredicesima volta, lanciò "La metaformosi, di Franz Kafka" lontano e decise di fare un giro nei suoi pensieri.

    Cosa era successo il giorno prima? Qualcosa di brutto... ma cosa? Non se lo ricordava affatto. Si ricordava di aver avuto una specie di "sogno rivelatore". Non credeva affatto a quelle cose, tutte baggianate, secondo lui. Eppure, eppure... Si ricordava una cosa analoga anche del giorno precedente. Aveva ucciso qualcuno? Ma com'era possibile che non ricordasse?
    Quello che sentiva quando ripensava ai due giorni precedenti era solo un'opprimente sensazione di dolore e tristezza, un sentimento così forte da lacerargli il petto. E poi c'era stato quell'incubo, con Max. Sarebbe successo qualcosa a Max? Avrebbe fatto LUI qualcosa a Max?
    Gli tornò in mente quella strana sensazione che aveva provato quando aveva chiesto ad Annie se si sarebbe dovuto sentire in colpa per quello che aveva fatto, qualsiasi cosa avesse fatto. L'aveva nascosta in un angolo lontano della mente, era inconcepibile, ma ripensandoci adesso... Gli sembrava così naturale... Non era senso di colpa, era senso del dovere. Si sentiva in DOVERE di fare quello che aveva fatto. Questo pensiero lo scosse.

    Dopo cena arrivò Annie. Si sentiva teso all'inverosimile, e Annie, naturalmente, se ne accorse.
    "Uff. Mi sa che nemmeno le ferie ti abbiano aiutato, eh?" aveva un tono sconsolato.
    "Annie, siediti. Scusa se ti aggredisco, ma ho assolutamente bisogno di sapere delle cose." Annie lo guardò con uno sguardo incuriosito. Inarcò le sopracciglia senza volere.
    "Cosa è successo ieri? Cosa ho fatto? E l'altro ieri?"
    "Oh, è questo... Mi dispiace Michael, so che ci stai male, ma non dovresti fartene una colpa, in fondo può succedere a chiunque!" Annie era diventata di nuovo la madre, ma stavolta Michael non aveva intezione di fare il bambino.
    "Ok, bene, non ti preoccupare, mi è passata, ma COSA di preciso ho fatto? Per cosa dovrei sentirmi in colpa?" La faccia di Annie si fece interrogativa. Era la faccia di uno che sta cercando di dire una cosa che ha sulla punta della lingua.
    "Beh... uh. Dunque, hai fatto... Accidenti, sai che non me lo ricordo?" rise "Dev'essere veramente una cosa irrilevante, non ti pare?"
    "Io credo che non sia irrilevante AFFATTO. Mi sento davvero strano, Annie, e non riesco a ricordare di preciso cosa ho fatto in questi ultimi due giorni. So che è stato qualcosa di brutto, ma non posso focalizzare l'accaduto. E poi ricordo dei brutti sogni..." fece una pausa. Odiava dover dire quella parola. Soprattutto davanti ad Annie. "...premonitori." Annie sembrò divertita.
    "Oh, mi sa che la cosa è più grave di quanto sembri, se proprio tu mi vieni a dire di aver fatto dei sogni premonitori su qualcosa! E su cosa, di preciso?"
    "NON LO SO!" Michael si accorse di essersi scaldato eccessivamente. "Scusami. Il fatto è che sono sicuro di aver sognato qualcosa riguardo questi fatti che non riesco a ricordare. Ma se è veramente così, sono piuttosto agitato, perchè stanotte HO SOGNATO MAX!"
    "Max?"
    "Max." Annie non era più divertita. La faccia di Michael era davvero seria. Era sempre seria, veramente, ma in quel momento lo era particolarmente.
    "E... Ricordi altri particolari del sogno?"
    "E' tutto il giorno che provo a ricostruire. Ci sono io che cammino in un parco, o un giardino... Forse è una vallata, ma non importa. E' tutto sereno e pacifico, e ad un certo punto tutto si fa buio. C'è un uomo -cioè, non so se è un uomo- c'è una persona incappucciata, che cammina verso di me, lentamente. Non mi fa paura, so che non devo temerlo, ma mi sento inquieto. E poi arriva Max, così, dal nulla. Io gli indico la persona incappucciata, che però è scomparsa e a Max succede qualcosa di brutto... Forse è morto, non so, però mi parla ancora, con la faccia di un cadavere."
    Ci fu un lungo silenzio.
    "Io... Non so che dirti."
    "In effetti non lo saprei nemmeno io, se fossi nei tuoi panni."
    "Capita a tutti di fare brutti sogni. E poi secondo l'interpretazione dei sogni, la Morte rappresenta un passaggio, un cambio di stato... Dei cambiamenti nella vita, in generale, un nuovo modo di porti nei confronti di qualcosa o qualcuno. Potrebbe essere, no?"
    "Si, potrebbe." Annie vide che Michael non era affatto convinto.
    "Ascolta, non prendere troppo sul serio questa faccenda... Certo, è strano che non ricordi quello che è successo ieri e l'altro ieri ma..."
    "Ma nemmeno TU lo ricordi!"
    "Ma dai, sono stanca, ho dovuto lavorare un sacco oggi, con il titolare che passava di continuo davanti al mio ufficio e tutti quei clienti!" sorrise, ma Michael non ricambiò il sorriso. La sua faccia era sempre tesa.
    "Esci stanotte?" chiese lei, nello sforzo di cambiare discorso.
    "N-no."
    "Perchè?"
    "Non ho... Uhm, voglia."
    "Perchè non chiami Max?"
    "Perchè ho paura." Aveva paura? Aveva davvero paura?
    "Giusto. Si, si." Lo stava palesemente prendendo in giro.
    "Senti, lo chiamerò domani, va bene? Stanotte dormo, e domani e lo chiamo e andiamo a fare qualcosa insieme, ti sta bene?"
    "Mh. Un buon affare." Sorrise, si alzò e lo baciò sulla fronte. Avrebbe voluto dargliene altri... Ma per Michael lei era solo un'amica, e... "Che sciocca." pensò.
    "Adesso vado, sono molto stanca." Michael la guardò andare verso l'ingresso.
    "Grazie, Annie." ma lo disse quando la porta si chiuse e Annie era già nel corridoio, dietro di essa.




    Capitolo 4. Una telefonata.

    Drin! Drin! Drin!
    "Pronto?" disse Max alla cornetta. Attese invano una risposta.
    "Pronto?!" disse, alzando il volume. Sentiva dall'altro capo della cornetta un lieve fruscìo. Pensò ai soliti scherzi dei ragazzini.
    "Eh eh eh, dai ragazzi, non dite niente? Che scherzo sarebbe? Il silenzio non fa ridere, vi pare?" e lo pensava veramente. Quanti scherzi al telefono aveva fatto con i suoi amici, al tempo delle medie!
    Il fruscìo si fece più forte. Max non riusciva a riagganciare. Poteva e doveva farlo, ma la sua mente si stava decisamente rifiutando di eseguire l'ordine di riagganciare la cornetta.
    D'un tratto Max sentì una cosa che non aveva mai sentito. Una voce -almeno poteva immaginare che fosse una voce- profonda e cupa, lentissima. Poteva quasi sentire quanto fosse densa e pastosa, in quello strano gorgogliare di suoni mai sentiti, di sillabe impronunciabili, che sembravano appartenere ad una lingua aliena. Quello che più allibiva Max, però, era la maestosità con cui quei suoni venivano pronunciati. Quella strana voce esplicava chiaramente l'antichità della sua origine, la sua possanza immortale, che sembrava esistere da quando il tempo cominciò ad esistere. Max era ammaliato, completamente rapito da quelle sequenze vocali indecifrabili, eppure così chiare nella sua testa... Era un messaggio.
    "La mia ora..." aprì la bocca, in un misto di sorpresa e ammirazione, quando si accorse che il respiro gli stava venendo meno, e sentiva il suo cuore pulsare intensamente dentro la gabbia toracica, con un'insistenza che non aveva mai provato, con una forza tale da spaccargli il torace per uscirne a saltelli. Ma non ne uscì: solo, si contrasse per l'ultima volta, in uno spasmo mortale, per poi squarciarsi a metà.

    "Mi spiace, signora" disse il dottore del pronto intervento, giunto con la squadra dell'ambulanza a casa di Max. La mamma di Max era andata a portargli i vestiti che aveva lavato per lui e l'aveva trovato lì, per terra, senza vita. I soccorsi non servirono, era passato troppo tempo dalla morte. Portarono via il corpo.

    Michael intanto stava facendo un sogno molto nitido e profondo; correva senza sosta e a perdifiato in un ampia valle verde, con un cielo azzurrissimo e tante nuvole bianche e perfette, mentre il sole era quasi all'orizzonte. D'improvviso il sole era calato e una fredda notte senza stelle aveva sostituito senza preavviso il paesaggio da quadro in cui stava correndo mezzo secondo prima. Poi intravide una figura incappucciata che gli si avvicinava, sempre di più, lentamente. Si fermò a pochi metri da lui e parlò. Michael non riusciva a vedere la sua faccia, ma sentiva la voce, e la capiva; ma capiva anche che non stava parlando nessuna lingua che lui avesse mai sentito parlare in vita sua... Eppure la capiva.
    "E' iniziata." disse la figura incappucciata, con cadenza lenta e tono tranquillo. Michael le chiese che cosa fosse iniziata.
    "La sostituzione. Finalmente."
    "Non capisco."
    "La cosa non mi meraviglia."
    "Voglio dire, puoi spiegarmi meglio? Essere più esaustivo?"
    "Non necessito che tu capisca, adesso." la voce della figura non aveva alcun tono, sembrava non avere alcuna intenzione nei confronti di Michael. Tuttavia lui non si sentiva assolutamente a suo agio, nonostante fosse il SUO sogno. Si sforzò di pensare subconsciamente che quello era il SUO sogno. Il suo sogno, il suo sogno, il suo sogno.
    "Vattene!" urlò alla figura.
    "Posso andarmene, se vuoi. Ma non puoi evitare di incontrarmi. E questo, se lo vuoi sapere, non è nemmeno il tuo sogno."
    "Che vuoi dire? Aspetta!" si rese conto di quanto ridicola fosse la sua contraddizione, ma chi poteva deriderlo, in un un suo sogno? In ogni caso, la figura aveva deciso per lui, e se ne era andata. Rimasto senza parole, in quello scenario freddo e buio, Michael si voltò, d'istinto, per andare verso... Beh, per andare da qualche parte nel suo sogno. E davanti a lui c'era Annie. Apriva la bocca, e ogni volta che lo faceva sentiva il rumore di una porta che viene percossa.

    Stavano bussando alla porta. Si tolse gli sfilacciamenti dei sogni rimastigli negli occhi con i pugni chiusi e si alzò, con grande sforzo fisico e mentale. Quando aprì la porta e vide Annie con gli occhi arrossati e pieni di lacrime, non fece in tempo ad aprire la bocca in segno di stupore che se la ritrovò tra le braccia, urlante e singhiozzante.
    "E' morto, Michael! E' morto!" Michael non sapeva come comportarsi. Il suo istinto non gli diceva nulla, ma riuscì a pensare che probabilmente era la situazione in cui lui doveva abbracciarla dolcemente e consolarla, così ci provo, in modo molto impacciato.
    "Sssh, calma, non piangere. Cosa è successo? Chi è morto?" Ma Annie non riusciva parlare bene, emetteva solo respiri affannati e singhiozzi. Michael non l'aveva mai vista così. Chiuse la porta e la diresse sul divano, a sedere. Aspettò che si calmasse il tanto che bastava per farla parlare e poi le richiese di spiegargli cosa fosse mai successo.
    "Max. Max è morto, Michael". Fu evidentemente uno sforzo immane per lei concludere quella frase senza piangere, così si rifece una volta terminata, ributtandosi tra le braccia di Michael. Michael, per canto suo, era rimasto come paralizzato. Si sentiva più freddo di una lastra di ghiaccio, sia fuori che dentro.
    "Lo so." disse. Ma non lo fece apposta, gli uscì naturalmente dalla bocca.
    "La mamma di Max ha telefonato anche a te?" chiese sorpresa Annie. Cosa avrebbe dovuto risponderle? "No, ne ero sicuro perchè ho sognato che moriva"? Così mentì.
    "Si, ha chiamato anche me." I minuti scorrevano, con pacata calma, come se non valesse la pena che il tempo passasse. E pian piano, Annie si calmò.
    "Michael..."
    "Si, Annie?"
    "Posso dormire da te stanotte?"

    Come stava Michael? Non lo sapeva affatto. Se lo stava chiedendo da circa quattro ore, insonne, sul divano, con Annie addormetata sulla sua spalla. Erano rimasti lì, dopo lo sfogo di Annie, e poi lei si era addormentata.
    Lui la guardava, ma stava pensando a Max. Non stava male! Non stava male affatto! Ma perchè? Era la persona più importante della sua vita! Colui che insieme ad Annie era riuscito a tirarlo fuori da un baratro esistenziale buio e senza fine, senza via di scampo! Era il suo amico Max! E lui non l'aveva ancora pianto. Quelli non erano nemmeno i pensieri più brutti che gli stavano circolando in testa... Stava scandagliando la mente alla ricerca di un bocchettone artificiale da cui stavano uscendo frasi come "E' stato un bene" "Doveva accadere" "Non c'è nulla di sbagliato". Lui ascoltava quei pensieri scorrergli dentro, e non se li spiegava. Aveva un male in testa, evidentemente... schizofrenia o una di quelle cose là, e tuttavia non riusciva ad esserne spaventato. Si stava abituando a quelle sensazioni, che aveva da due o tre giorni, da quando, cioè, aveva compiuto quegli atti orribili di cui non aveva memoria. Ma erano poi così orribili, in fondo? Quelle sensazioni, continuava a dirsi, avrebbero spezzato la ragione di chiunque, avrebbero reso matto un qualsiasi, maledetto, comune mortale, e lui era lì, tranquillo e beato, con la notizia della morte della persona più importante della sua vita, e tutto quello che riusciva a fare era starsene seduto sul divano, con la sua bella amica Annie tra le braccia.
    Già, la sua bella amica Annie. Bella, amica Annie, con quelle labbra sottili, come disegnate sul candore della sua pelle. Avrebbe analizzato ogni centimetro del corpo di Annie, aveva deciso. Partì dai piedi, lentamente, per poi risalire lungo i fianchi tondeggianti, fino al ventre, fino al seno, e poi il collo, così sottile e liscio, il mento, la bocca, il naso... Si accorse che Annie lo stava guardando. Era sveglia, e lui non l'aveva mai vista con quello sguardo. Era uno sguardo che aveva un significato solo, e anche un imbranato come lui non poteva non capirlo, così si baciarono.

    "Non dovresti fare così." disse la figura incappucciata. Michael ormai capiva benissimo dove voleva andare a parare.
    "Parli di Annie, giusto? Perchè non dovrei?"
    "Non dovresti fare così con nessuno. Ti sarà controproducente. La sostituzione potrebbe essere più dolorosa."
    "Non ti capisco. Smettila di parlare per enigmi, e potrò risponderti a tono!"
    "Mi capisci eccome. Mi hai capito dal primo momento. Hai sempre saputo, e sempre taciuto. Ma non posso biasimarti, poichè io feci lo stesso."
    Stava ancora sognando, ma Michael si sentiva lucidissimo, come non si era mai sentito in sogno. Si ritrovò a pensare con disarmante facilità che quello non era affatto un sogno fatto sulla Terra, ma semplicemente un luogo etereo sospeso tra diverse dimensioni, dove lui e quella strana figura incappucciata si stavano dando appuntamento ormai da quattro giorni.
    Ma quello che più lasciava sconvolto Michael, era il fatto che quella figura umanoide parlava come se conoscesse esattamente gli anfratti più reconditi dei suoi pensieri; e non era telepatia: era proprio come se egli stesso formulasse le frasi della figura incappucciata.




    Capitolo 5. Omicidio.

    Michael e Annie si svegliarono nello stesso momento e si guardarono intensamente. Non c'erano parole da dire, non c'erano azioni da fare: il momento si esplicava da sè, in un linguaggio di sguardi intensi e profondi. Era una situzione satura da molto tempo, ma ora il blocco era stato tolto, e Annie si sentiva felicissima. Michael invece si sentiva solo insicuro, riguardo le emozioni che provava. Gli ultimi giorni l'avevano sconvolto al di là di ogni possibile concezione, e si trovava in uno stato confusionale abbastanza forte da non riuscire a distinguere l'amore dall'indifferenza. Annie ruppe il silenzio:
    "Ti amo Michael... Ti ho sempre amato."
    Era la prova che Michael aspettava. Una cosa del genere avrebbe dovuto smuoverlo... Invece, niente. Si ritrovò ad arrancare tra i suoi pensieri, mentre cercava qualcosa da dire per non rovinare la felicità di Annie... "Anch'io"? No, sarebbe stato troppo compromettente... "Grazie"? Ma si poteva dire "grazie" in risposta ad una dichiarazione d'amore? L'aveva sentito in un film, ma non ricordava se era una commedia demenziale o un film drammatico. Forse la cosa migliore sarebbe stata non dire niente... Anzi no, avrebbe sorriso! Ecco, si, avrebbe sorriso!
    Michael sorrise e sembrò funzionare: Annie ricambiò il sorriso e non disse niente. Rimasero ancora un pò abbracciati, nel letto, poi si alzarono e si rivestirono.

    "Annie è tardissimo, non vai a lavoro?" chiese Michael, dopo aver visto l'orologio.
    "No, penso che mi darò malata... Voglio stare con te per tutta la settimana!" sorrise e baciò di nuovo Michael. Era un buona notizia? O una pessima notizia? Michael non riusciva a decidersi.
    "Andiamo a fare un giro al parco? E' una bellissima giornata!" propose Annie. Michael accettò, nella sua perpetua indecisione, e uscirono.
    Passarono una giornata piacevole, al tiepido sole che cominciava a manifestare la sua presenza proprio in quei giorni. Girarono tutto il parco tre volte, fermandosi sulle panchine davanti al lago, comprando delle ciambelle calde, dando da mangiare ai piccioni e alle colombe, ai cigni e alle papere.
    Parlarono molto, di tutto e di tutti, avevano tante cose da dirsi, che non si sarebbero potute dire tra amici, ma solo tra amanti, e scoprirono entrambi lati di loro stessi che non avevano mai conosciuto. Per la prima volta negli ultimi quattro giorni Michael riuscì a non pensare ad altro che ad Annie, e distese finalmente i nervi. Almeno, finchè non rientrarono in casa, e la voce gli parlò.

    Un baritono stonato, ecco cosa poteva rappresentare bene il suono di quella voce. Un profondo boato dal suono ancestrale, che stava suonando proprio dentro la sua testa... e pericolosamente vicino ai timpani, a quanto sembrava.
    "Ora-tocca-a lei."
    BANG. Sembrava proprio un colpo di pistola, anzi: tre colpi di pistola, uno per ogni parola che la voce aveva scandito, con un'irreprensibile precisione. Poteva essere intesa in mille modi, quella frase. Era talmente ambigua da non avere alcun significato, ma non per Michael... Lui sapeva esattamente cosa significasse. E allora si chiese se non sapesse già da prima ciò che doveva fare... Se non lo sapesse semplicemente da sempre. Non trovò risposta.

    "Certo che fa caldo... Non hai caldo?" disse ad Annie.
    "Caldo? Addirittura? Va bene che è uscito il sole, ma non ti sembra di esagerare?" rispose lei sorridendo. Michael sbirciò di soppiatto le sue mani: stavano tremando, ma non sentiva freddo, ne caldo. Non sentiva assolutamente niente: passione, amore, compassione, tristezza: niente. Solo una cosa, una cosa che non era riuscito a spiegarsi nei giorni precedenti, che aveva accantonato nei meandri della sua testa, che fino a quel momento si era rifiutato di accettare: senso del dovere. Aprì le braccia dentro di se, e accettò il suo Destino, e in quell'istante Michael cessò di esistere.

    "Vieni qua in terrazza, c'è l'aria fresca e un vento leggero..." Annie aprì la porta-finestra che dava sulla terrazza e invitò gestualmente Michael a raggiungerla per coccolarla. Lui si avvicinò a lei, lentamente, come se i piedi gli pesassero almeno cento volte di più, ma non era un peso morale che stava bloccando il suo cammino, era semplicemente la calma di chi ha tutto il tempo che desidera per fare ciò che deve, il passo di chi vive nell'eternità.
    "E sia." dichiarò Michael. La possanza nella sua voce lo meravigliò.
    "Come?" chiese Annie.
    "Niente." rispose lui.
    Annie poggiava la schiena sul basso davanzale, e aveva le braccia aperte ad accogliere il suo nuovo amore, e il sorriso sulle labbra, pronte per baciarlo. Michael entrò lentamente nella terrazza, aprì le braccia verso Annie e la tenne forte a sè, così calda nella frescura che il vento portava. Strinse la presa, sempre di più.
    "Michael?" Annie era divertita dalla presa che diventava sempre più forte, ma si aspettava il suo rilascio a breve, anche.
    Michael strinse di più.
    "Sei mia." disse, con voce tombale. Il divertimento di Annie finì.
    "Michael? Con che voce parli? Mi fai paura... Mi fai male! Michael smettila di stringere così forte!!!" stava cominciando a spaventarsi, ma non lo era ancora abbastanza. Lui la sollevò da terra.
    "Michael cosa fai? MICHAEL HO PAURA, SMETTILA!"
    Il suo corpo sul davanzale, il suo corpo nel vuoto, il suo corpo che precipita, in una caduta senza fine, verso l'oscurità.
    Michael fissò Annie cadere, senza provare emozione alcuna. Una lacrima gli cadde dagli occhi nel vuoto, una lacrima con volontà propria, che portava nel baratro, insieme ad Annie, tutta l'umanità che gli era rimasta.

    Michael si voltò e vide la figura incappucciata. Era la prima volta che la vedeva al di fuori dei sogni, e gli fece una strana impressione, inserita in quel contesto. Non disse niente, e lui nemmeno, ma la figura alzò le mani e abbassò il cappuccio. Michael non rimase assolutamente sorpreso nel vedere la sua faccia: una faccia comune, di un tizio comune.
    "Accetti?" disse il tizio comune.
    "Non posso che farlo." rispose in tono spento Michael.
    "Ovviamente."
    Michael si mise a sedere sul davanzale, alzò lo sguardo al cielo, e si lasciò cadere all'indietro. Ogni metro che copriva nella sua caduta nel vuoto, era un ricordo che svaniva: il suo sesto compleanno, la prima bicicletta, la fidanzatina delle elementari, il primo giorno di medie, Annie. L'esame delle medie, l'entrata alle superiori, i nuovi amici, Max, il diploma, i suoi genitori, la casa, il lavoro, Annie.
    Come bolle di sapone argentee li vedeva volare via con lentezza e delicatezza, in quella caduta che sembrava non avere fine, che lo stava conducendo non alla morte, ma verso un nuovo orizzonte che era obbligato a scoprire. Riatterrò in piedi, come volando, accanto al corpo senza vita di Annie, circondato da decine di persone dagli sguardi preoccupati e spaventati, mentre il suono delle sirene si avvicinava.
    Chi era quella ragazza stesa per terra? Michael ricordava solo grande dolore e sofferenza.




    Capitolo 6. Domande e risposte.

    "Chi sei?"
    "Perchè me lo chiedi?"
    "Per scrupolo."
    "Capisco. Rimasugli di mortalità. Io sono la Fine."
    "La Morte?"
    "Nella tua cultura potrei essere chiamato così, ma in realtà il significato del termine è inteso in modo altamente ambiguo e impreciso, nel tuo Mondo. Io sono semplicemente ciò che si trova all'altro capo della corda chiamata Vita, che è cominciata con l'Inizio."
    "Tu... Uccidi le... Uhm." Il cervello di Michael stava provando un sforzo micidiale. E' difficilissimo parlare di cose che non si possono assolutamente comprendere. "Tu prendi le anime... Uccidendo le persone?"
    "Che orribile definizione grossolana! Io concludo ciò che qualcun'altro ha iniziato. Sono solo parte di un percorso."
    "Di un ciclo?"
    "Non uso le parole a caso, ho detto 'percorso'. Nemmeno a me è dato sapere come funzionano queste cose e dire che si tratta di un ciclo sarebbe troppo avventato da parte mia." Michael fece una faccia offesa.
    "Oh, questo mi distrugge. Non sei depositaria della Verità?" Michael marcò l'ultima parola, per far capire al suo interlocutere che l'aveva pronunciata con la lettera maiuscola.
    "La Verità, dici? Cosa mai ti fa pensare che ce ne sia una sola? In cinquecento anni non ho mai visto nel tuo Mondo ne nel mio qualcosa di Assoluto. Direi che il Tutto viene creato grazie alla sovrapposizione e al complemento di molte Verità."
    "Non capisco."
    "Non me ne stupisco, ma capirai con la pratica."
    "Vivi da cinquecento anni?"
    "'Vivo' non è la parola corretta. Esisto da cinquecento anni... più o meno. Ero un mortale come te, in origine."
    "E io devo... prendere il tuo posto. Devi morir..." si interruppe. Aveva imparato qualcosa da quella conversazione. "devi cessare di esistere?"
    "Potrò riposarmi, si. Il mio compito deve passare a te, tramite la Sostituzione. La tua vita sarà prolungata di circa cinque volte, e non invecchierai mai."
    "Io non so niente di questo... Ehr... Lavoro."
    "Non c'è bisogno di sapere niente, ma solo di sentire. Ci sono Forze che governano il Tutto, e anche io non sono che un piccolo meccanismo microscopico, come lo sarai tu. Hai già sperimentato come funziona. Saprai sempre cosa fare, dove e quando."
    "Il 'come' non è importante?"
    "No."
    "Com'è possibile?"
    "Ricorda sempre che non sei tu ad uccidere. Non sei tu che compi un omicidio. Tu porti solamente la Fine. Un mortale può rimanere colpito in una sparatoria, avere un infarto o suicidarsi. Queste sono tutte cause di morte. Tu NON SEI causa di morte. Porti solamente la Fine." Michael era contratto in uno sforzo mentale enorme.
    "Immagina un giradischi." questo era facile.
    "Ok, un giradischi."
    "Quando il disco è finito, continua ugualmente a girare a vuoto, no?"
    "Si."
    "Tu sei la persona che preme l'interruttore per farlo smettere di girare. Ma il disco è già finito di per sè." Michael si illuminò.
    "Penso di aver capito, ma ho un'altra domanda... La gente non mi vede? Sono invisibile?"
    "Non sei invisibile. Sei diventato un'Entità... un'elemento, come è elemento l'aria che i mortali respirano, come lo è l'acqua che bevono e la terra che calpestano."
    "Ma io posso vedere la terra..."
    "Ma non puoi vedere che vive e respira; che mangia e uccide, anche. Come mortale, sei cosciente della sua esistenza, ma cosa ne sai, in fondo? Ne puoi conoscere la composizione chimica, puoi prevederne gli spostamenti, se studi per tutta la tua esistenza... Ma sai giustificare la sua Entità? E' come conoscere il significato di Infinito: non puoi nemmeno immaginarlo, perchè la tua mente non è adatta a farlo... I mortali devono vivere confinati nel loro confortevole mondo. Ognuno deve stare al posto proprio."
    "Nessuno saprà mai niente?"
    "Negazioni così importanti non si possono assolutamente pronunciare. Come ti ho detto, nemmeno io posso sapere cosa accadrà. Ma per ora, il fatto che tu possa concludere il percorso esistenziale di una persona non ha assolutamente riflessi nel mondo mortale. Tu non esisti affatto, si può dire, nel mondo mortale. Tra l'altro, chiunque abbia contatti con te, non ricorderà niente di quello che fai o hai fatto, a loro o ad altre creature." Michael decise di lasciare le sue personali elucubrazioni per dopo. Ora aveva troppe domande da fare, e decise di farlo senza riprendere più fiato di quanto gli servisse per formulare la domanda successiva.
    "Non ricordo niente. Niente di specifico, intendo..."
    "So cosa intendi."
    "Niente immagini, facce, o luoghi... solo sensazioni."
    "E' l'unica agevolazione che ci è stata concessa. Non ricordiamo i volti delle persone su cui poniamo la nostra spada, ne il nostro passato, ne niente che possa turbarci dal nostro compito. Ma, ahimè, nemmeno le Forze che ci governano sanno toglierci le nostre emozioni."
    "Possiamo solo... ricordare il dolore?"
    "Teoricamente potremmo ricordare anche la gioia... Ma che gioia reca il nostro compito?"
    "Non lo so, che gioie reca il nostro compito?"
    "Non reca gioie, il nostro compito." Michael aveva capito che era una domanda retorica, ma non poteva dare niente per scontato. Forse la Morte l'aveva capito, e per questo non si arrabbiò.
    "Quindi le emozioni umane sono qualcosa di così potente da trascendere la grandezza delle Forze che governano il Tutto?"
    "Così pare."
    "E dicevi di non conoscere la Verità!"
    "Come ti ho detto, queste sono solo DELLE Verità. Ma è normale che a te bastino, arrivato solamente a questo punto."
    "Che vuoi dire?"
    "Voglio dire che nel corso dell'Eternità avrai modo di rimpiangere di non poter sapere altro."
    "Ma alla fine anche io cesserò di esistere? Perchè parli di eternità?"
    "Così come non conosci il significato di Infinito, non puoi conoscere quello di Eternità. L'Eternità può essere anche un solo minuto, talvolta."
    "Forse riesco a capire."
    "Non abbastanza, credimi."

    Ci fu, per la prima volta dopo la lunga e serrata discussione, un attimo di silenzio. Michael stava riordinando i pensieri, ma non poteva assolutamente riuscirci, era qualcosa al di là della sua portata. Si sentiva la gola secca. La Morte stava ascoltando tutto quello che diceva, anche all'interno della sua testa.
    "Non puoi avere la gola secca. E' una cosa che dipende dal tuo pensiero."
    Michael si sforzò di pensare di non avere sete... Anzi, rimosse dal suo cervello lo stesso concetto di sete, e quello di acqua. La gola non gli sembrò più secca. Non gli sembrò più e basta, decise poi. Era pronto per altre domande.
    "Come posso essere in più posti nello stesso momento?"
    "L'Ubiquità è il secondo potere che ci è concesso, oltre a quello di porre Fine alle cose viventi. Esplora la tua mente e riuscirai a capirlo."
    Michael chiuse istintivamente gli occhi, e si mise a fissare il buio dell'interno delle sue palpebre. Si meravigliò molto quando, riaprendoli, si trovava di nuovo nel Mondo a lui familiare (ormai non più molto, in verità), con le mani intorno al collo di un giovane ragazzo. Il ragazzo si accasciò a terra, senza fiato, e tutta la gente che gli era intorno gli corse intorno strillando e gemendo. Michael si rese conto delle parole della Morte: nessuno poteva vederlo, nessuno poteva rendersi conto della sua Entità. Non era logicamente possibile per un mortale essere cosciente della sua presenza.
    Sentì come un pizzicore dentro il cervello, si concentrò su di esso e si sentì come risucchiato e poi espulso attraverso uno stretto passaggio. Era da un'altra parte, e stava "ponendo fine" ad un'altra esistenza. Ancora non riusciva a dire che quello non era un omicidio. Cominciò ad apprezzare la concessione delle Forze superiori: non ricordava affatto la vita che aveva terminato solo pochi istanti prima, così come non ricordava di avere investito un corvo lunedì, di aver schiacciato un gattino martedì, di avere avuto una conversazione senza senso con quello che ricordava come un vecchio amico e di averlo ucciso con la sua sola voce, ne di avere, infine, ucciso Annie.
    Volle semplicemente trovarsi su una comoda sedia: lo pensò ed avvenne. La voce della Morte era adesso alle sue spalle.
    "Comodo, ti pare? Puoi prenderti una pausa quando vuoi, almeno."
    "Non posso farcela."
    "In realtà, sei l'unico che può farcela. Non nascono molte persone con la mente adatta a reggere questo peso. Il compito della Fine può essere eseguito solo da una mente razionale ma aperta al punto di riuscire a comprendere l'irrazionale, talmente disillusa da riuscire ad immaginare sempre un livello di esistenza superiore a quello in cui si trova al momento, e deve essere stata forgiata da più esperienza possibile, nel minor tempo possibile. Unione degli opposti."
    "Unione degli opposti..." ripetè la frase come fosse una litanìa.
    "Devi essere il vertice che unisce tutti i punti, Michael."
    "Michael?"
    "Era così che ti chiamavi."
    "Che ne sarà di te?"
    "Io non sarò più." La Morte prese la mano di Michael, e la pose all'altezza del suo cuore. Ci fu uno scambio di sguardi fuggente, e quella che era stata l'Entità della Fine fino all'istante precedente, divenne solo una ventata piena di polvere grigia, polvere che penetrò negli occhi di Michael, nel suo naso, nella sua bocca, nelle orecchie e tra i capelli, sulla pelle e tra le unghie. La assorbì come fosse un'aspirapolvere, una spugna asciutta buttata in una piscina. L'assimilazione era completa, la Sostituzione terminata.




    Capitolo 7. La nuova Morte.


    Così cominciò. Ciò che Michael era, ora non era più. Tutto quello che aveva fatto, vissuto, provato, sperimentato era sparito. Ricordi belli e ricordi brutti, momenti che gli avevano cambiato la vita, che glie l'avevano distrutta e poi ricostruita, per poi distruggergliela di nuovo... Tutto spazzato via. Se avesse ancora potuto provare sensazioni ed emozioni umane, Michael si sarebbe sentito vuoto, ma libero. Libero dalle sofferenze e dai rimpianti, dai sensi di colpa, dai moti di disgusto, dall'odio e dall'amore, dal pianto e dall'indifferenza, dalla rabbia e dal rancore.

    Stava facendo degli esperimenti con i suoi nuovi poteri. L'ubiquità era senz'altro quello che preferiva, perchè gli consentiva di fare tutto quello che doveva e contemporaneamente tutto quello che voleva. Era come vivere infinite esistenze, tutte contemporaneamente, ma riuscire lo stesso a tenere il controllo di ognuna. Il tempo non passava, per il semplicissimo motivo che era già passato e al contempo doveva ancora essere creato. Michael si trovava in varie dimensioni in cui niente di quello che conosceva aveva senso. Pian piano le parole della vecchia Morte risultavano più chiare e semplici, pian piano riusciva ad abbracciare il significato di Eternità ed Infinito.
    E nel frattempo faceva il suo lavoro, staccando teste in violenti incidenti automobilistici, squartando corpi di perfetti sconosciuti, dirigendo mani di assassini più o meno casuali; e mano a mano che diventava sempre più bravo nel suo compito, cominciava a distaccarsi dal concetto di "valore della vita". Purtroppo però, pur non ricordandosi assolutamente niente dei suoi lavori, provava una soffocante sofferenza, ogni volta che pensava a loro. E questa secondo lui era una punizione, per il compito che doveva sbrigare. Pensava spesso alla comicità del fatto che le misconosciute e astratte Forze che regolano il Tutto dessero una punizione a colui che doveva svolgere un compito che gli avevano assegnato loro stessi.
    Uccise un certo Lorenzo, e al contempo si trovò al cinema a vedere "Il Settimo Sigillo", al momento della sua pubblicazione.
    Contemporaneamente era perso nei suoi pensieri sdraiato su un divano di una casa che non conosceva, aspettando che la sua vittima rientrasse ed accendesse la luce, per far esplodere la casa che Michael si era premurato di riempire di gas.
    Andò in Francia per uccidere Angelo, in Spagna a strappare la vita di Maximilian e poi a Londra a terminare l'esistenza terrena di Luke. In Germania doveva invece far brillare una bomba in un supermercato al momento giusto, e aveva diverso lavoro da sbrigare in Medio Oriente.

    Così il tempo, nella sua relatività, passava, anche per Michael. Si rendeva conto sempre di più di quale lavoro dovesse mai fare e cominciò a spiegarsi alcuni toni tristi che aveva colto nella voce della Morte passata. La solitudine lo portò velocemente a parlare con se stesso.
    "Se esiste l'orrore, io sono l'orrore." quasi mai riusciva a pensare a qualcosa di allegro.
    "Se esiste la sofferenza, io sono la sofferenza. Vedo vite scivolarmi tra le dita, e di loro ricordo solo il pianto. Mi è stato dato potere ma insieme alla condanna. Se esiste la tristezza, io sono la tristezza.
    Per me nulla è più giusto ne sbagliato, opero secondo mia volontà, eppure non ho volontà se non quella che mi è stata concessa da altri. Se esiste la schiavitù, io sono la schiavitù. Non provo dolore per le persone e ne più le amo o le ricordo. Per questo, se esiste l'indifferenza, io sono l'indifferenza.
    Sono ciò che non voglio, e ciò che ho sempre desiderato essere. Provo rabbia, ma solo perchè la ricordo dalla mia vita mortale."
    Lo tormentava, tra tutte le spiegazioni che la precedente Morte gli aveva dato, una particolare frase: "le emozioni umane sono qualcosa di così potente da trascendere la grandezza delle Forze che governano il Tutto". Non era giusto questo. Esistere solo per soffrire... Esistere per soffrire... Eppure era sicuro di ricordare che era esattamente quello che pensava di stare facendo quando era un mortale! Ma quale disilluso? Ma quale duro dalle mille esperienze? Era stato ingannato, di nuovo. In vita era stato portato a credere che non valesse la pena di vivere, ed ora era stato portato a credere che valesse la pena porre fine alle esistenze mortali! Era di nuovo un burattino, di nuovo nelle mani di qualcosa di più grande e potente. Sentì le emozioni rientrargli nelle vene, il sangue a fiotti riscaldarsi dalla rabbia e dall'agitazione, e allo stesso tempo, sentì i blocchi che le Forze Superiori gli avevano dato cercare di calmare quelle emozioni potenti.
    "Le emozioni umane sono qualcosa di così potente da trascendere la grandezza delle Forze che governano il Tutto." Click, click, click! Scattavano le rotelle e gli ingranaggi nel cervello di Michael, mentre si sforzava a ricomporre i pezzi di un quadro che era stato più volte distrutto e ricomposto, cercando di mostrare un'immagine diversa da quella che era in origine.

    "Gggh..." Stava sanguinando dal naso, e il calore gli scaldava la faccia. Sentiva gli occhi uscirgli dalle orbite, le dita intirizzirsi in una stretta convulsa, infliggendogli ferite sui palmi delle mani.
    "Ora io..." ora lui ricordava, stava ricordando. Aveva associato delle facce alle emozioni, dei nomi alle facce, dei ricordi ai nomi.
    "IO... MI... CHIAMO..."
    Il cielo tremò, in quella dimensione di cui in fondo lui nulla sapeva, e sembrò mettersi in tremenda agitazione e ribollire, tra rigurgiti di tuoni e boati lontani, mentre l'Universo si richiudeva su se stesso, inorridito per quello che stava per succedere.
    Nel buio, una faccia: Annie.
    "IO MI CHIAMO MICHAEL!!!" sembrò a Michael di essersi strappato delle pesanti catene di ferro con le sue sole mani mortali, mentre la stretta bloccante delle Forze che inibivano i suoi ricordi si dipanava velocemente, come lembi di vestiti di seta strappati, che svolazzano via intimiditi e impauriti, insicuri del Futuro che verrà.
    Tutta la vita, la sua lunga, interminabile vita, secondo per secondo, gli passò davanti agli occhi. Si accorse di quanto futili erano stati alcuni suoi comportamenti, di quanto inutili fossero tutte le regole e le costrizioni che erano applicate all'Universo. Lo vide. Vide l'Universo nella sua totalità, e comprese tutte le risposte di tutte le domande, mentre il suo corpo si disfaceva, accartocciandosi come un sacco di tela svuotato, incapace di tenere ancora dentro di sè l'Entità di Michael, che cresceva esponenzialmente mentre assorbiva infinite quantità di informazioni. Ora capiva cosa volesse dire Eterno e Infinito, ora non aveva più dubbi ne paure, aveva i suoi ricordi e le sue emozioni, e insieme alle sue, quelle di tutto ciò che vive. Incontrò il corvo nero, che si posò sulla sua spalla, ed incontrò il gattino bianco, che fece le fusa ai suoi piedi. Vide Max venirgli incontro salutandolo, e infine, potè abbracciare di nuovo Annie, e baciarla per l'ultima volta.
    "Mi hai salvato. Molte volte." le disse, ma lei non poteva sentirlo.
    Michael aveva il Tutto nelle sue mani.

    Come sibilanti fantasmi, le altre Forze Superiori cominciarono a ronzargli intorno, cercando di ingurgitare la sua essenza. Ma Michael ora comprendeva anche le loro Entità: fece un gesto ed esse si dilatarono fino a scomparire. Adesso era solo, di nuovo... Ma stavolta era una solitudine assoluta, completa. C'era lui e lui solo, assolutamente nessun'altro, nel Tutto. Ancora una volta, non era poi cambiato granchè, ma almeno non era più un burattino, non era sotto la volontà di nessuno. Ora lui era ciò che non si può superare.

    Volse lo sguardo verso la Terra.
    "Che ognuno viva la propria esistenza come gli è consentito." disse, e svanì, lasciando la Terra ed i suoi abitanti a vagare nel Tutto, finchè il Tutto se ne fosse stancato.



  2. #2
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    Predefinito Tropical - antonyfirst

    antonyfirst ha scritto dom, 16 maggio 2004 alle 23:36
    Questo è l’incipit di una specie di romanzo fantastico-onirico che sto costruendo, non so cosa ne verrà fuori, il disegno è ambizioso. Sicuramente sarà un esercizio di stile (anche se procederò lentamente, visto che ho altro da fare e scrivoa tempo perso). Spero di tirar fuori qualcosa da dentro di me, e spero di ricevere da voi suggerimenti, perplessità, qualsiasi cosa, e di riuscire a comunicare qualcosa di quello che passa dalla mia penna (e di seguito dalla tastiera )
    Noto che sono stato un po' recalcitrante prima di mettere ciò che ho scritto sl forum, in fondo è mettersi in discussione, anche se si è "protetti" dall'anonimato

    Tropical

    Scena 1

    La luce soffusa della stanza del motel era sufficente per lasciar trapelare il candore del suo viso. Era così bella. Lui non riusciva a togliersi dalla testa il defunto marito della giovane, gliel’avrebbe voluto far dimenticare, essere all’altezza di un uomo che non c’era più, con cui non poteva competere.
    Non riuscì a lasciarsi andare, donarsi a lei coronare il sogno d’amore cullato per cinque anni. A letto con lei, fallì. Il momento tanto agognato era svanito come una bolla di sapone. La bruna Kyoko aveva capito: “Non devi misurarti con nessuno, tu sei tu e basta”, avrebbe voluto dirgli. Ne avrebbero parlato al fresco della sera poco dopo, lui si sarebbe finalmente rassicurato, e in un altro momento avrebbero fatto finalmente l’amore, carichi di affetto, speranza, passione. Prima di sposarsi,mesi dopo, l'avrebbe colpito con una frase, “ti prego, vivi un giorno più di me”.

    Ma mi svegliai prima. La paura di deludere le aspettative della propria donna, qualsiasi sia il modo, vive in ognuno di noi, dopo tutto.
    Le avrei voluto dare di più, essere tutto per lei, nella parte che giocavo nel sogno con quella ragazza, figlia di un matrimonio spezzato dalla malattia, così bella e dolce ed anche ribelle, eppur piena di dubbi, della paura di non poter più amare, di non poter ricambiare chi le avrebbe donato tanto affetto.
    E lì l’amavo. Ricostruendo un film da una storia letta per caso.
    Le ultime immagini, ormai remote, si sciolsero in una luce abbagliante: mi raddrizzai sui gomiti, liberando gli occhi da un raggio di sole che sfuggiva alla finestra. Ero sveglio. Ma nel cuore non avrei dimenticato.


    Afir impugnava il volante diretto al luogo della partenza. Il viaggio ormai era alle porte, sarebbe stato un trampolino di lancio per tutti, una grande prova. Sarebbero cresciuti.
    “Gimme more, gimme more, if you love me gimme more…” Intanto la canzone che rimbombava dalla radio si riallacciava al ricordo sfocato della notte, restituendogli le sensazini oniriche eppure così reali prodotte dal suo inconscio.
    Sfrecciò sull’asfalto lucidato dal sole di luglio, ormai prossimo all’incontro.

  3. #3
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    Predefinito Anno 2430 - ILSAGGIO

    ILSAGGIO ha scritto mar, 05 ottobre 2004 alle 02:18
    ... chiedo subito scusa se quanto sto per postare dovesse essere OT o in un'area sbagliata, ma per quanto giri e rigiri a me sembra che l'unico posto dove postarlo sia Underground, poi non so!

    Allora, mi sono messo in testa di scrivere una storia di cui ho già in parte sognato, in parte inventato il plot completo...
    Questa sera, in preda ad insonnia &t raptus ispirativo ho buttato giù il primo capitolo.

    Dato che , vista la mia costanza potrei non finire mai una storia del genere senza prima averne qualche parere, la posto qui di seguito:



    ANNO 2430



    Mentre si avvicinava al locale in cui aveva appuntamento con Carla, Simone continuava a perdersi con la mente in quelle poche parole che lei aveva lasciato nella sua segreteria testuale: “Ci vediamo al Musitron Pub alle otto?”.
    Dopo tanti mesi passati a pensare a lei, ad aspettare una fugace occasione per uscire insieme, e dopo tante notti passate insonni, improvvisamente era stata lei stessa a contattarlo per dargli un appuntamento: non riusciva ancora a crederci, e con aria trasognata si dirigeva verso il Musitron.

    Il Musitron era un locale relativamente recente, aperto in uno spazio dove fino a poco tempo prima vi era un semplice homefood ; L’insegna rotonda e luminescente, con i caratteri gotici del nome del locale sospesi in un incrocio di proiettori al laser, era un fedele richiamo all’ambiente interno, così come alle decorazioni esterne che incorniciavano le finestre.
    Impulsi luminosi attraversavano i neon di cui il Musitron era più infarcito che qualsiasi altro locale.
    Un vero luogo di tendenza, dove ultimamente trovare posto a sedere oltre le dieci era un’impresa pressoché impossibile.

    Un’ultima occhiata al terminale audiovisivo per sincerarsi che nessuno lo avesse cercato nel frattempo e poi Simone tolse il volume ai segnali acustici di avviso , per evitare di essere disturbato in quella che sperava fosse una splendida serata. Ancora immerso nei suoi pensieri varcò la soglia del locale ed entrò, guardandosi febbrilmente intorno nel timore che Carla fosse arrivata prima di lui.

    Dopo aver inserito il suo codice di credito nella doppia porta interna, adocchiò un tavolo ad un angolo , che appariva abbastanza discreto da ospitare il suo importantissimo appuntamento: un rapido tocco allo schermo posizionato sullo schienale gli permise di sistemare meglio l’aspetto originariamente spoglio del tavolo stesso.
    “Ma si… chi se ne frega, tanto domani deve arrivarmi l’acconto per il lavoro dei Ferretti…” pensava, mentre con il suo codice acquistava una skin romantica nella speranza di far colpo su Carla ed indirizzare in un certo modo la serata.

    Dopo alcuni minuti, Carla arrivò.

    Nel suo solito aderente grigio con lo smile giallo al petto, attraversò la sala ancora non molto affollata salutando con un cenno il DJ e alcune sue amiche.

    “Ciao…” esordì Simone, lasciandosi sfuggire un’espressione imbarazzata.
    “Ehi… non mi aspettavo fossi già arrivato…” disse Carla. Al suo solito, nelle sue parole vi era sempre una indefinibile sicurezza, come se qualsiasi cosa stesse succedendo non potesse coglierla di sorpresa.
    “Ma stavolta ho l’asso nella manica” pensò Simone emozionato all’idea di poterla stupire.
    Un tocco sul pannello e attorno al tavolo si creò un alone scuro , che impediva sguardi indiscreti dall’esterno. Piccole luci soffuse presero ad illuminare i due da un punto indefinibile dietro i cuscini delle poltroncine. Punti luminosi , simili a stelle, cominciarono a volteggiare in maniera lenta ed armonica sopra le loro teste, all’interno della cupola scura virtuale che Simone aveva programmato.

    “Oh… questo…” Carla si guardò intorno con un sorriso di meraviglia . Centro, Simone era certo che nessuno fosse mai riuscito a strappare quell’espressione a Carla.

    Dopo alcuni convenevoli che i due non mancavano mai di scambiarsi, Simone si decise ad ordinare: “Menù” disse distrattamente mentre perdeva lo sguardo negli occhi di lei , e un pop-up con il modulo di ordinazione apparve alla sua destra.
    “Champagne?” ironizzò.
    “Scemo!” disse divertita Carla, e selezionò un cocktail esotico.
    Simone, da parte sua, ordinò un doppio whisky , ed un istante dopo apparvero sul tavolo le bevande richieste.


    Verso le dieci, mentre il Musitron cominciava a riempirsi di ragazzi , Simone e Carla decisero di uscire per evitare la ressa. Appena fuori dal locale lei lo guardò fisso negli occhi con un’intensità che lo fece sentire a disagio.
    “Domani ci rivediamo… magari al Hure , così parliamo di cose più serie… che ne dici?”
    “Io … uh, si certo… “ La confusione lo assalì improvvisamente. Lo Hure!! Il locale dove tradizionalmente si entra in due da single e si esce in coppia! “ ...certo, a domani sera al Hure. Alle otto” disse infine tutto d’un fiato.
    “Bene… a domani allora!” disse lei, e Simone la guardò allontanarsi e dissolversi al primo angolo.
    Non riusciva ancora a credere a quello che aveva detto Carla e rimase qualche secondo dov’era, in preda a una sensazione fortissima ma ancora indefinibile. “Calmati, Simò, non è ancora fatta… non sbagliare proprio adesso eh?” disse a sé stesso, e si avviò verso l’incrocio alla sua sinistra.
    Si avvicinò al cavo argentato e applicò il polso con il suo codice connessione.
    “Disconnetti” disse, e pochi attimi dopo anche il suo avatar si dissolse come quello di Carla.


    Nella penombra del suo loculo, Simone si tolse il cavo di induzione dalla porta SW-HL posta sulla sua tempia sinistra.
    Si alzò dalla sedia di connessione e digitò sulla tastiera a muro i comandi di abitabilità notturna.
    La sedia, il case del suo terminale e tutte le apparecchiature di connessione vennero trasportate nei loro scompartimenti e dall’alto scese il suo letto con il pannello di connessione minimale che di notte si usava per essere contattati o per altre esigenze.
    Era uno dei pochi lussi che si concedeva negli ultimi tempi: dopotutto vi era un altro pannello di connessione esattamente nella zona di nutrizione, ma la sua innata pigrizia gli faceva preferire di rimanersene a letto per sbrigare qualsiasi faccenda fuori orario.

    Eppure, prima di andare a dormire, utilizzò il pannello nella zona di nutrizione per acquistare quello che gli serviva: aveva da un paio di giorni finito i cibi primari e non poteva certo andare avanti ordinando quelli già pronti, viste anche le sue condizioni finanziarie.
    Si collegò al suo homefood di fiducia: dopo sette anni di clientela aveva ormai uno sconto del 16,23 % su ogni acquisto, e questo gli permetteva di risparmiare parecchi crediti.
    Pochi secondi dopo l’ordinazione, un leggerio e ripetuto “bip” proveniente da un piccolo schermo posto a fianco alla porta lo avvisò che all’entrata del palazzo qualcuno aveva premuto il pulsante corrispondente al suo loculo.
    Premette il tasto di visualizzazione e l’immagine di una servocar di consegna apparve, con il codice di ordinazione che faceva bella mostra di sé nella parte inferiore del piccolo monitor, quella riservata ai codici identificativi;un veloce tocco sul tasto di accettazione e il sistema automatizzato del palazzo dove viveva recuperò il suo acquisto e lo consegnò direttamente nell’area di arrivo , situata a fianco alla zona toeletta.
    “… ai pezzi di ricambio hardware penserò domani, dopotutto non si è ancora rotto niente di importante… ma non potrebbero inserire anche quelli nelle liste minimali? A connettersi per queste cose si perde sempre un sacco di tempo…” pensò Simone,gettando un’occhiata distratta all’involucro metallico contenente ciò che aveva richiesto poco prima.
    “Beh, buonanotte a me, e cerchiamo di essere in forma per domani!” si disse, mentre, con un bicchiere d’acqua appena preso dal dispensatore si dirigeva verso il suo letto.
    Si tolse l’aderente nero (colore che utilizzava ormai da una decina d’anni) con la scacchiera stampata sul petto, e si infilò in un goffo pigiama verde, unico oggetto totalmente fuori tempo al quale Simone si era affezionato. Riteneva il “pigiama” molto più comodo dell’aderente termosincronizzatore , almeno per le lunghe dormite.
    Mise la testa sul cuscino ad aria plasmata convinto di non poter facilmente prender sonno vista la serata e, ancor di più, vista la giornata successiva che lo attendeva;ma il sistema automatizzato del suo loculo, percependo lo stato di tensione del suo organismo, abbassò leggermente la temperatura e spanse nell’aria aromi distendenti.
    “Pronto ed efficiente come al solito ,eh?” disse , come rivolgendosi alle pareti, e con un accenno di sorriso sprofondò nel sonno.





  4. #4
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    Predefinito Fantasy - Dolphin

    Dolphin ha scritto mar, 12 ottobre 2004 alle 19:01
    Ovviamente non è finito ,e lo continuerò solo se piace a qualcuno.
    Si tratta di un fantasy.
    Fatemi sapere ,sempre che abbiate voglia di leggere


    L’INIZIO

    Scese ancora la notte.Rivolse uno sguardo verso la ciotola di legno, sperando così di stimolare almeno un po’ di quell’appetito di cui oramai aveva perso ogni traccia, ”è inutile, non ho fame”disse. Theril afferrò la scodella che conteneva pane, zuppo di una brodaglia dal colore poco raccomandabile, e tenendola con il braccio steso di fronte a sé, la ripose sul davanzale della finestra, ”domani potrei aver fame, e per una notte non nutrirò questi maledetti topi di fogna “ pensò. Dinanzi alla finestra non poté fare a meno di notare che quella notte, una misteriosa Luna faceva capolino all’orizzonte attraverso le sbarre. Sospirando a pieni polmoni, osservò il bagliore che la Luna posava sugli alberi innevati sopra la collina, una luce bianchissima, che riflessa sulla neve faceva sembrare il paesaggio come pietrificato da un incantesimo. Ogni volta che si sorprendeva a guardare il paesaggio esterno, finiva con l’infuriarsi con se stesso, ”sempre la stessa storia!” disse, ”volo di fantasia in cima a quella collina, poi mi volto e devo vedere l’orrore in cui mi trovo!”L’aspro confronto tra la cella e la bellezza del mondo, lo turbavano ogni volta di più. Si girò molto lentamente, e tenendo chiusi gli occhi, decise di procedere tastando il muro fino a trovare la tavola su cui giaceva la notte. Un’asse di legno spesso, attaccato al muro da due cardini, sostenuto da catene, che finivano fino al soffitto.”Così potrò coricarmi senza rovinare la bellissima immagine che ho impresso nella mente, e se sono fortunato, questa notte sognerò solo colline e paesaggi innevati” si disse. Addolcito nell’umore, si coricò, e solo quando fu completamente disteso riaprì gli occhi. Rivolse lo sguardo verso il soffitto, in direzione di un piccolo pertugio, e ammirando attraverso osservò, ”Stelle…, anche quella notte era piena di stelle”. La vista del cielo stellato gli riportava ogni volta alla mente, la sera in cui ebbe inizio una lunga avventura, “una notte che non dimenticherò facilmente”. Si abbandonò ai suoi ricordi, e il viso si contrasse in smorfie come di dolore,erano sensazioni che gia conosceva , e ne era nauseato.”Forse dovrei evitare di osservare da quel maledetto buco sul soffitto”disse,”forse dovrei staccare dal muro e dalle sue catene questa tavola di legno e cambiargli posizione, forse riuscirei ad addormentarmi in pace ,senza lasciarmi assalire dal mio passato”. Giusto il tempo di girare lo sguardo e capire se e dove avrebbe potuto appoggiare il ripiano,che un grosso ratto attraversò la stanza camminando nervosamente, strisciando sul muro con il fianco ,e sbattendo la sua coda filiforme sulle grate al momento di uscire dalla cella.Con i pensieri congelati e lo sguardo fisso, osservò il grosso topo mentre voltava l’angolo attraversando le sbarre.La penombra, e le zone buie negli angoli, non aiutava certo a capire cosa facesse e da dove venisse.Aguzzando la vista ,lo vide fermo e rivolto verso di lui, orami al sicuro al di la delle sbarre .Gli parve di cogliere uno sguardo impertinente da parte del grosso topo,”Se avessi qui i miei pugnali ,a quest’ora saresti impalato fuori dalla buca da dove esci, serviresti da monito per i tuoi amichetti a cui piace tanto passeggiare nella mia gabbia!”Urlò nervosamente.Per tutta risposta ,il grasso e grosso ratto, percorse qualche centimetro in avanti verso le sbarre ,e prese a rosicchiarne una con ferocia. Theril fu sicuro di sentire come un formicolio all’altezza delle caviglie. Comprese immediatamente, che l’idea di dormire in terra cambiando posizione alla tavola ,era una pessima idea.Con un brusco movimento ,come per un rilassamento improvviso dei muscoli,tornò a distendersi,e non appena si rilassò ,ecco che i suoi ricordi riaffiorarono.
    Erano passati 18 mesi oramai da quella sera.Una sera come molte n’erano trascorse,tra bevute e canti, nella solita taverna,con i soliti amici.Soltanto due per la verità, uno si chiamava Bredd, un Nano dalle mani sempre rosse e dita tozze, l’unico fabbro del paese,e l’altro si chiamava Barl, un umano che con Theril possedeva in comune una stazza non proprio imponente. Amico fin dall’infanzia, erano molto legati fra loro, non solo affettivamente, ma da qualche tempo oramai svolgevano assieme alcuni lavoretti su commissione.Per quanto riguardava Bredd invece, ancora si rammaricava per il modo in cui lo conobbe e divenne amico. Non che la cosa lo facesse soffrire più di tanto, ma si rendeva conto che non tutto era accaduto ,come dire ,casualmente.Ricordava ,come una notte di qualche anno prima ,decise di rubare una spada con una bellissima elsa, che all’apparenza doveva valere molto. Vi erano pietre incastonate tutte intorno, di diversa forma e di diversa grandezza.”Deve valere molto”, bisbigliò Theril alla vista di quell’arma.Aveva avuto modo di notarla il pomeriggio dello stesso giorno, quando chiese a Bredd di rinforzare il manico del suo vecchio pugnale, e di dare una ribattuta alla lama giacché c’era.Era poggiata sopra una mensola di legno sul punto più alto della bottega,ed era stata una fortuna che l’avesse vista,poiché come al solito ,la bottega di Bredd era sempre stracolma di oggetti ,fra pezzi di armatura e armi di vario genere. La favorevole posizione geografica del paese, lo rendeva l’unica via d’accesso da Est per la capitale. Distante un solo giorno di cammino a piedi ,e poche ore a cavallo.Era un continuo via vai di mercanti e cercatori d’avventure, o di semplici famiglie alla ricerca di fortuna nella grande città porto e Capitale Urnan’Sahar.
    Erano la benedizione dei gestori di taverne,e di chiunque potesse offrire un servizio al gran affluire di stranieri che approfittavano per alloggiare e riposarsi prima di giungere alla meta. E così lo stesso Bredd, era sommerso dalle richieste dei viandanti che arrivati in paese per riposare, desideravano che le loro armi o armature fossero lucidate o riparate ,pronte per la loro partenza.Dunque aveva deciso,”questa notte quella spada finirà nel mio baule” pensò.La bottega era sorvegliata tanto di giorno che di notte, da due guardie che si davano il cambio ogni sei ore,e che Bredd pagava piuttosto profumatamente. Non era uno dei soliti lavoretti su commissione ,e dopotutto non era tenuto ad informare Barl della sua decisione.Dopo un pasto leggero ,attese disteso sul letto il tempo che lo separava dal colpo, poi verso la mezzanotte aprì il cassetto del comodino di fianco al letto,e ne tirò fuori una mappa molto dettagliata, che rendeva nei minimi dettagli la posizione delle abitazioni di Miral viste dall’alto.Aveva segnato sulla mappa ,tutta una serie di percorsi che si snodavano sopra i tetti, una mappa molto utile per passare inosservato ,ma anche per precipitose ritirate. “L’Acciaio di Bredd” ,così si chiamava la bottega, era posizionata dietro una delle vie più grandi di Miral,e per sua fortuna era anche agevolmente raggiungibile percorrendo i tetti con passo leggero.Dopo una ripassata mentale al percorso da fare ,sia per arrivare ,ma anche per darsela a gambe, tirò fuori una sacca da sotto il letto, uno ad uno passò in rassegna i suoi attrezzi del mestiere,ne controllò lo stato e li ripose nella sacca nera. Theril, come mezz’elfo aveva in se una dote innata,aveva una vista ottima anche al buio,e questo era di sicuro un gran vantaggio,inoltre era di corporatura piuttosto esile ,alto non più di un metro e sessanta,molto agile,passo leggero e mano lestissima.Non aveva fatto sempre il ladro,ma ne aveva tutte le doti.Prima di uscire si cambiò d’abito,una calza aderente e scura,un corpetto di pelle ,con grosse cuciture all’altezza delle spalle,guanti,stivali, e un mantello con un grande cappuccio ,che nei momenti di pericolo lo rendevano invisibile se nascosto nell’ombra. Prese poi la sacca degli attrezzi ,passò la tracolla di cuoio al di sopra della testa e l’appoggiò sulla spalla destra,posizionando la sacca alle spalle, prese poi una lunga fascia nera di tessuto morbido e ci assicurò la borsa ,in quel modo gli attrezzi sarebbero rimasti schiacciati al suo fianco, e non avrebbero emesso alcun rumore. Chiuse il mantello sul davanti con lacci di cuoio disposti su tre file, avvolto e incappucciato poteva mimetizzarsi perfettamente negli angoli bui.Con le mani sotto il mantello controllò che le due tasche interne contenessero entrambi i pugnali ,e poi uscì sul tetto ,attraverso la finestra della sua camera. Afferrò il medaglione che aveva al collo, e con gesto istintivo lo baciò ,tirò un sospiro ,e si mise in marcia.Procedette secondo percorsi fatti più volte ,balzando da un tetto all’altro,e sporadicamente accovacciandosi quando sentiva rumori nelle vicinanze.In dieci minuti era giunto a non più di tre abitazioni dalla bottega.Strisciando fino al bordo del tetto ,si sporse per vedere l’ingresso e la guardia di turno,”la notte è propizia sussurrò”.Era una notte molto buia ,senza luna e con nuvole minacciose che a tratti lasciavano intravedere il cielo stellato ,e in altri momenti gettavano ombre nerissime su di una notte gia tenebrosa di per se.
    “Entro poco dovrebbe sopraggiungere la seconda guardia per il cambio”pensò.Era quello il momento che aveva scelto per infiltrarsi nel negozio di Bredd,”devo approfittare delle quattro ciance che scambieranno fra loro,è un piccolo vantaggio che non devo lasciarmi sfuggire”disse fra se e se. Theril conosceva bene l’edificio, e sapeva che sul retro vi era una botola chiusa con un lucchetto, che dava direttamente sulla cantina .All’interno, una piccola grata sul soffitto, sarebbe divenuta l’accesso al laboratorio.Nel silenzio più assoluto il mezz’elfo udì dei passi piuttosto pesanti avvicinarsi ,e lui che nel frattempo si era nascosto dietro al comignolo della casa adiacente ,cominciò a scendere sul retro aggrappandosi con tutte le sue forze su di un grosso ramo che superava in altezza il tetto ,e trattenendo il fiato lo percorse a forza di braccia sino al tronco , da li scese utilizzando i sui rampini ,senza emettere un fiato.Si appoggiò sulla parete della casa,e guardando sulla sua destra poteva vedere la botola con il grosso lucchetto.Sbucando con il viso incappucciato rivolto verso la strada, vide l’ombra di un uomo che si avvicinava, generata da una lanterna vicina. A voce bassa le due guardie cominciarono parlare tra loro.”Ora!”,pensò Theril.Con passo leggerissimo e avvolto completamente nel mantello, si mosse e raggiunse il retro della bottega.”Ora non devo perdere tempo” rifletté.Si accasciò ponendosi di fronte alla botola ,estrasse fuori dalla borsa uno straccio ,e avvolse in modo molto accurato e stretto il grosso lucchetto.Ora con un piccolo attrezzo da scavo ,prese a rimuovere il terriccio tutt’intorno alla botola ,e dopo un po’ venne allo scoperto la giuntura dello sportello con il resto della struttura. La giuntura era tenuta insieme da semplici chiodi e poi interrata.”Sciocchi”pensò,”chiudono le loro porte con enormi lucchetti ,e non si preoccupano di come è costruito il resto”.Con un semplice piede di porco ,fece leva sui chiodi che fissavano le tavole.
    ”Maledizione!Passi!”,un fruscio nell’erba sul lato sinistro della bottega lo mise in allarme, piccoli passi che si avvicinavano.Con un gesto rapido si coprì con il cappuccio ,e completamente avvolto dal mantello si chiuse su se stesso e si appoggiò sulla parete della casa, come un sacco di farina.La guardia che sbadigliava ad ogni piè sospinto, aveva ripreso la ronda.”Che non faccia il giro completo…..che non faccia il giro completo”,un pensiero martellante rimbalzava nella mente di Theril. ”Devo rimanere calmo ,inspirare profondamente e tenere più aria possibile nei polmoni”Se la Guardia avesse compiuto il giro completo, avrebbe dovuto trattenere il fiato chissà per quanto.Per sua fortuna non proseguì ,e gettò giusto un’occhiata.Era veramente buio sul retro ,e forse la guardia non aveva neanche voglia di sapere se vi fosse qualcuno. Con gesti prudenti ,le sue mani sottili e forti ripresero a lavorare sulle tavole ,e con dovizia sfilò i lunghi chiodi usando delle tenaglie dal bordo affilatissimo,poi rimosse molto lentamente il primo asse.Il lucchetto si scosse leggermente,ma il panno con cui era avvolto attutì del tutto il rumore. Fece la stessa cosa con la seconda tavola posta più in basso,ebbe cura di mettere tutti i chiodi avvolti in un panno ,e li mise in tasca. Poi poggiò le ruvide assi in modo perpendicolare alla parete esterna della bottega,e come un serpente scivolò all’interno.”Una scala” bisbigliò,scese i gradini silenziosamente,e poi rimase fermò per qualche secondo per abituarsi ad un buio ancora maggiore della notte.In poco tempo le dimensioni e la forma della cantina cominciarono a mostrarsi.Era una stanza molto piccola,”chissà cosa contengono quelle botti”pensò,la forma quadrata consentiva di scorgerne ogni angolo ,e l’unica cosa che destò il suo interesse,erano botti di varie dimensioni.
    Si avvicinò ad un paio di barili ,e sollevandone uno delicatamente su un lato ,lo fece ondeggiare,”contengono del liquido,probabilmente vino”rifletté. Appoggiò il naso in cima alla botte ,ed ebbe conferma che si trattava di vino.Solo poche avevano al loro interno quel nettare ,le altre erano tutte vuote.”Ecco perché quando lo vedo arrivare in taverna è gia sbronzo!Diamine!Ha botti piene di vino fino all’orlo e le tiene tutte per se!”,non riuscì a trattenere un ghigno,pensando che ora stava per fare qualcosa di più di un dispetto ad un nano Ubriacone,che ostentava diffidenza ogni volta che notava le sue orecchie a punta.”Mai avresti messo le mani sui miei pugnali se non fossi l’unico fabbro del paese”borbottò silenziosamente. Il soffitto era piuttosto basso, e la piccola grata che lo divideva dalla sua spada non sembrava poter opporre troppa resistenza.Prese dalla sua sacca uno strumento simile ad un seghetto, molto ben affilato ,con la particolarità che la lama poteva essere mossa avanti e indietro da una manovella simile alla maniglia di una porta,in questo modo poteva segare le sbarre molto lentamente senza fare alcun rumore ,e senza affaticare i muscoli delle braccia,che era importante mantenere sempre efficienti.Averlo progettato e costruito ,lo rendeva ai suoi occhi un oggetto inestimabile,e di utilità inaudita.Con gesti lenti e armonici ,iniziò a recidere una ad una le piccole sbarre .L’apertura era sufficiente per far passare il suo corpo,e attaccandosi con le mani ai lati della fessura ,con la forza delle braccia si tirò su.”Appoggio i gomiti sul pavimento e il gioco è fatto”disse con un filo di voce.Ora poteva intravedere la guardia dalla finestra e controllarne i movimenti,si acquattò, e mantenendo quella posizione ,prese a muoversi filando via lentamente senza destare l’attenzione dell’energumeno.”Devo trovare un’asta, o qualcosa che mi aiuti a tirarla giù dalla mensola”Pensò.Vide appoggiata a non più di due metri da lui una lunga lancia . L’afferrò dalla punta ,poi appoggiò il manico di legno a metà della spada ,con un colpo secco la fece volare giù ,e l’afferrò al volo.”Fatto!”disse sussurrando. Un ghigno che la diceva lunga sul suo stato d’animo, si era palesato sul volto. Infilò la preziosa refurtiva sotto la fascia in vita e scomparve. La mattina seguente si alzò più tardi del solito ,e gli parve di sentire una voce alquanto alterata provenire dalla finestra. Affacciandosi vide una donna di mezz’età agitarsi ,e quando si sporse dalla finestra…
    ”Theril!Vuoi scendere si o no?Devo acquistare un po’ del tuo grano dannazione!”
    “Accidenti!Salve signora Verna!Arrivo subito!”
    “Un giorno o l’altro qualcuno comincerà a chiedersi come faccio a vivere se non sto un po’ di più nella bottega”Borbottò.
    “Theril!Ancora un minuto e avrei buttato giù la porta ,lo sai questo si?!”
    “Non ne dubito Signora Verna, non che le richiederebbe troppa fatica…”
    Non riuscì a fare a meno di immaginarsi la sua dirimpettaia ,che senza sforzo ,ma solo appoggiandosi sulla porta, avrebbe finito per far cedere i cardini,e trattenne a stento una risatina che gli sarebbe sicuramente poi costata molto in termini di salute.
    “Attento mezz’elfo, se fai dell’ironia sul mio di dietro ,un giorno o l’altro potresti pentirtene!”Disse agitando il braccio in aria e mostrando i pugni.
    “Per dimostrarle che sono dispiaciuto, le regalo uno dei tre sacchi di grano che prende di solito,ma adesso vada che ho molte cose da fare, e oggi non posso tenere aperta bottega.”
    Appena la donna uscì con tutto il suo ingombrante di dietro,richiuse la porta ,e corse di filato al pieno di sopra.La notte precedente ,al rientro era veramente stanco e si coricò immediatamente ripromettendosi di esaminare la spada con molta attenzione al risveglio.
    “Davvero un gran pezzo di ferraglia”Commentò.Fece scorrere la lama fra l’indice e il pollice, poi con occhi avidi, esaminò più a fondo la magnifica elsa con le pietre incastonate.
    “Dannazione,è marchiata…”disse.La parte inferiore del manico ,andava ad allargarsi per poi terminare con un fondo piuttosto ampio ,circolare e piatto,e sotto vi era un’incisione che riportava un nome, “Thumus” . “Non ci voleva” Esclamò. ”Un nome inciso renderà sicuramente la vendita più problematica”Era prevedibile che il legittimo proprietario spargesse la voce nella speranza di ritrovarla ,e sicuramente oltre a descriverne le fattezze ,avrebbe dato notizia del nome inciso sul fondo del manico. Estrasse da un cassetto un piccolo attrezzo , un ferro ricurvo dalla forma esagonale,poco più lungo di un dito ,che terminava con una punta strettissima.”Ora esaminiamo le pietre”Disse.
    “Se non posso vendere la spada tutt’intera ,almeno venderò le pietre”si disse. Con la punta dello strumento premette sopra di una,e poi con movimento secco ,fece come a graffiarla. E la pietra si graffiò in profondità.”Ma, è vetro!”Disse imprecando.”Banalissimo ,schifosissimo vetro!”Sbraitò con voce sempre più isterica.Sul volto di Theril si dipinse la delusione più profonda.Non era la prima volta che un colpo deludeva le attese,ma ogni volta era dura da sopportare.
    Con un gesto stizzito ,aprì il baule con un calcio ,e fece volare la spada all’interno facendo un gran frastuono.
    Rimase seduto ai bordi del letto, assorto per un po’, poi il pensiero si diresse a Bredd.

    “Ora almeno voglio godermi lo spettacolo”Disse con tono sarcastico.
    Scese le scale ,e una volta fuori dall’abitazione , si diresse verso la zona del mercato.
    Era sua intenzione mescolarsi fra la folla, e di nascosto spiare Bredd .Voleva assaporarne ogni sguardo disperato, dispiaciuto o quant’altro.
    “Rubare ad un Nano ubriacone ,è una delle gioie della vita” Disse fra se e se.
    Mentre si dirigeva verso le vie centrali del paese, non poté fare a meno di notare ,come oramai Miral ,fosse un continuo nascere e morire di locande che offrivano stanze e banchetti per i ricchi passanti diretti nella capitale.Dove qualche tempo prima vi era una bottega di ortaggi ,il giorno dopo si manifestava un’insegna che invitava i passanti a mangiare o riposare nelle proprie stanze. Non era in ogni caso un brutto luogo dove vivere, in questa stagione poi si poteva rimanere incantati ad ammirare le colline che si ergevano intorno ,con alberi e prati in fiore che rendevano il paesaggio nel complesso ,assolutamente magico,e il fiume che attraversava la città ,nei giorni di sole e di cielo limpido era di un meraviglioso azzurro. Inoltre, nelle giornate più calde ,chi desiderava ombra pace e tranquillità ,si rifugiava presso i meravigliosi frutteti, vicino ai laghetti a sud del paese,dove in molti amavano fare lunghe passeggiate ,e di tanto in tanto ,approfittare delle delizie strappate a qualche ramo.
    Il brulicare che si vedeva nella strada dinanzi, era il segno che la zona del mercato era vicina ,e poco più in la ,avrebbe scorto la bottega del fabbro.
    In realtà ,ebbe modo di accorgersi ben prima di arrivare nelle vicinanze ,dello stato di Bredd.
    Urla dal tono profondo provenivano da quella direzione.
    Lo vide agitarsi in modo confuso, roteando in aria un martello da lavoro ,sbraitando in faccia ad una delle sue guardie.Il viso di Bredd era viola dalla rabbia , urlava con la bocca così spalancata che i folti baffi gli coprivano del tutto una volta si e una volta no il grosso naso.
    I passanti erano più impauriti che curiosi, quasi tutti, o facevano finta di nulla ,o si tenevano alla larga.
    Theril rimase congelato a mirare la scena.In alcuni momenti aveva quasi la sensazione che si trattò di una recita.Osservare quel tozzo ometto agitarsi come un forsennato sotto lo sguardo avvilito di una guardia, armata di tutto punto e alta due braccia più di lui , aveva un non so che di comico.
    “Non riesco a capire cosa dice”pensò Theril.Quello che sentiva, era un insieme di suoni gutturali mescolati a imprecazioni che non se ne capiva il senso.
    Dopo un po’ vide la guardia andarsene via sconsolata,e Bredd si sedette su di un grosso ceppo di legno ,la testa china e una mano in faccia,con l’altra picchiava nervosamente il suo martello su di un elmo posto a terra fra i suoi piedi.
    ”Forse era quello che avrebbe voluto fare alla testa della guardia” pensò.
    Continuò ad osservarlo,…… e con sorpresa gli parve di vedere Bredd piangere.
    “Non ho mai visto un Nano versare lacrime”Sussurrò con un filo di voce.
    Era sicuro di aver visto il Fabbro piangere come un bambino ,e la cosa per istinto , e diversamente da quel che aveva creduto e previsto, lo turbò profondamente.
    Rincasato non dopo aver fatto una bevuta nella solita taverna,Theril passò in rassegna dal suo baule varie merci ,profitto di furti più o meno difficoltosi ,compiuti negli ultimi tempi,e che avrebbero atteso ancora pochi giorni per essere esaminati e rivenduti.
    Prese in mano la spada della delusione,e qualche cosa non quadrava.
    “Come mai Bredd,era cosi disperato?”Pensò
    “Questa spada vale davvero poco, e credo che Bredd non se ne sia reso conto”
    Theril non riusciva a far combaciare la totale disperazione del fabbro ,con il valore dell’oggetto rubato.”Forse era di un cliente importante…”
    Immobile dinanzi allo specchio nella sua camera,roteava lentamente la spada, mentre continuò per un po’ a porsi domande. Riflesso, vide un giovane mezz’elfo con ventuno inverni passati, come le sue lunghe trecce ai lati del viso potevano confermare. Per tradizione nel suo piccolo paese natio,ai maschi ,dopo il compimento del primo anno ,venivano lasciate crescere due lunghe trecce ,e dovevano essere recise qualora ,decidessero di cambiare il percorso della propria vita. La sua pelle color bronzo ,mescolata a lineamenti umani piuttosto dolci ,tradivano ancor di più delle sue orecchie a punta, origini di una razza millenaria.
    Una strana sensazione, lo percorse lungo la schiena ,e un presentimento lo assalì.
    “Questa è una sensazione che conosco bene”Disse.
    La sua parte di Elfo ,di tanto in tanto prendeva il sopravvento ,e veniva assalito da sensazioni fortissime che lo inducevano spesso a prendere una decisione ,o a cambiare rotta quando i sui pensieri sostavano in una sorta di limbo.
    Era quello che stava accadendo ora,e pensò.
    “Qualcosa non va in questa spada, non va neppure il fatto che io l’abbia sottratta a Bredd”
    Quando le sue origini Elfiche prendevano il sopravvento ,i pensieri fluivano nella sua mente in modo automatico ,e si ritrovava a pensare cose di cui non aveva il minimo sospetto.
    “Ho imparato fidarmi di questa parte di me”
    Stette per un attimo in silenzio,poi sussurrò,
    “Domani il nano avrà una gradita sorpresa”
    “Ora scendo a preparare qualcosa da mangiare”
    Chiuse dietro di se la porta della sua camera,e nella stanza ,sopra il letto ,giacevano due lunghe trecce nere con riflessi bluastri.





    Una Decisione Difficile


    All’indomani ,Theril si alzò presto , e si incamminò.”La bottega è ancora chiusa,attenderò che arrivi”disse,e si sedette sul grosso ceppo fissando la sacca che aveva portato con se.
    “Faccia scura!Di nuovo qui?”Disse Bredd rivolgendosi a Theril che se ne stava con la testa china a fissare la sacca.
    “Che cosa hanno i tuoi pugnali,rotti di nuovo?”Borbottò aggrottando il viso
    “Salve Bredd,non sono qui per i pugnali”Disse Theril mettendosi in piedi di fronte al Nano.
    “Ho saputo quello che ti è successo ieri notte,ed ho una cosa da mostrarti”
    Bredd impallidì per un attimo,poi si rivolse di nuovo al mezz’elfo.
    “Tu non hai idea di quanto questa storia sia stata grave per me!Quindi sono gia di pessimo umore,se hai da farmi perdere tempo ,appoggerò il mio martello sul tuo grugno grigio!Hai capito orecchie a punta?”
    Theril ebbe per un attimo voglia di tornarsene indietro,ma sentiva che doveva andare fino in fondo.
    “Ascolta nano,io ho una cosa da mostrarti ,e sono sicuro che ti farà piacere,quindi entriamo o me ne vado”
    “Che ne valga la pena ,che ne valga la pena”Sbraitò
    Una volta dentro Theril espose i fatti,a suo modo.
    “Ieri ,prima del tramonto ,mi stavo dirigendo verso i frutteti ,e quando ho superato il ponticello sul fiume,ho visto un luccichio provenire dal letto del fiume.Ho trovato questa”
    Bredd diventò nel giro di pochi secondi ,dapprima pallido come la neve,e di colpo il suo naso prese ad arrossarsi come le sue enormi guance ,che erano gia diventate viola ,con il respiro bloccato il viso si era gonfiato ,e il collo sembrava volerlo superare in larghezza come fosse colto da invidia.Poi lasciò andare uno sbuffo d’aria che i ciuffi sul viso di Theril si spartirono fino ad adagiarsi vicino alle orecchie.
    Con una mano sul petto,ora sembrava stesse per svenire.
    Si riprese a fatica ,ma sul suo viso si alternavano chiaramente larghi sorrisi ,e sbuffi di tensione accumulata.Poi si fece serio e disse
    “Ora,dimmi subito cosa vuoi in cambio Elfo!”
    “Mezz’elfo”ribatté Theril fingendosi irritato.
    “Si,mezz’elfo…..,insomma ,cosa vuoi in cambio?”
    “Sono qui solo per darti ciò che ho pensato fosse tuo,questo è quanto”
    Bredd non stava più nella pelle,aveva di nuovo in mano la spada,si mise di spalle,e fece qualche strano movimento ,poi rivolgendosi a Theril ,sembrò ancora più felice di prima,e proclamò,
    “Tu mi hai fatto davvero un grandissimo dono riportandomi qui questa spada,non starò a dirti qui il valore che ha per me.Da oggi per me sarai un amico,sempre che tu lo voglia”
    In fondo era quello che Theril desiderava,era stufo di avere un solo amico in tutto il paese.Era destino dei ladri di mestiere avere pochi amici,ma desiderava il cambiamento ,e questo era il miglior inizio che potesse desiderare.
    “Accetto Bredd.Sarò volentieri tuo amico”
    “Bene!Elfo!”
    “Mezz’elfo…..”
    “Si si ,perdonami,comunque ora se non ti dispiace avrei una cosa urgentissima da fare,ma mi raccomando questa sera ,vieni al Boccale del Drago e siedi al mio tavolo ,ti offrirò da bere”
    “Ci sarò”
    Theril pensò di avvertire Barl, era da qualche giorno che non lo vedeva ,e decise di raccontargli l’accaduto.Dopotutto si conoscevano da sempre, e avrebbe compreso.
    La sera il mezz’elfo uscì di casa dopo un frugale pasto,e si diresse verso Il Boccale Del Drago.
    A passo svelto e con il cappuccio fino a lasciare scoperti solo gli occhi, di tanto in tanto si fermava negli angoli delle case per ripararsi dal vento gelido. La neve cadeva giù cosi fitta, che non si vedeva più in la di dieci passi.
    Il cigolare di un’insegna appesa,e una luce fioca ,gli fece capire che era quasi arrivato.
    “Avvicinati ,accomodati mio nuovo amico”Disse Bredd
    Theril fece un cenno col capo nella direzione di Bredd. Tremava ancora dal freddo,ed era troppo presto per emettere un qualsiasi suono dalla bocca ghiacciata.
    “Giulius!Porta una pinta di birra al …..mezz’elfo!”
    “Grazie Bredd,ho davvero bisogno di qualcosa che mi scaldi”Disse Theril guardando Bredd con aria sollevata.
    “Presto dovrebbe giungere qui un mio amico, se non ti dispiace ….”
    “Figurati Theril,credo di sapere chi sia ,ti ho visto spesso qui,e sempre con un ragazzo dagli occhi furbi ,alto come te,ma senza orecchie a punta”
    “Si è lui!”E sorrise
    Bredd non aveva perso il suo vizio, stuzzicare Theril chiamandolo in tutti i modi possibili,era per lui un richiamo irresistibile. A Theril ora questo importava poco.
    Dopo poco , anche Barl si unì alla compagnia. La sera prosegui con canti ubriachi,
    filastrocche chiassose e pacche sulle spalle. Theril sentiva che una vita diversa stava prendendo forma,una vita a cui doveva dar di conto anche al suo amico Barl.
    “speriamo che non se la prenda troppo”Pensò.
    Nei due inverni che seguirono, Theril diede una svolta definitiva alla sua vita.
    La mattina lavorava nella sua bottega .Oltre al grano , nella sua bancarella comparvero anche frutti e ortaggi del suo orticello. E Nel pomeriggio aveva ottenuto di aiutare Bredd .Aveva imparato a forgiare armi di piccolo taglio ,e riparava armature abbozzate, lavorando di martello con buona lena. Barl continuò con il suo vecchio lavoro,ma il suo socio gli mancava ,e non passava giorno che non ne parlava con Theril,ma il mezz’elfo non ne voleva più sapere.Le giornate continuarono tranquille ,fra lavoro e serate fra amici.Fino a quando non giunsero notizie da Urnan’Sahar. Fu resa pubblica la notizia, che il Governatore della Capitale ,non era più lo stesso ,e che vi era stato un cambio negli alti vertici militari della città.
    “Hai sentito del nuovo governatore della Capitale Theril?”Disse Bredd.
    “Si ,lo hanno reso pubblico ora,ma ci sono voci che affermano di un cambio avvenuto gia da ben due inverni!”disse con sorpresa.
    Bredd al contrario non sembrava per nulla meravigliato.
    “Non è il tipo che si fa troppe domande su chi sia il nuovo governatore”Pensò Theril.
    “Si ha notizie su chi sia?”Chiese, mentre Bredd aveva gia ripreso a menare sulla lama.
    “Si dice sia uno stregone dell’alto consiglio.Di più non so…”A Theril parve di vedere un po’ di scoramento nell’espressione di Bredd,ma non volle farci caso più di tanto.
    Quella sera ,dalla taverna uscirono tre tipi veramente malconci. Theril ,Bredd e Barl, avevano deciso di festeggiare l’arrivo del nuovo inverno,e lo fecero con tutte le buone intenzioni.
    “Butto la faccia sulla neve!”Disse Barl mentre cercava di appoggiarsi ad una parete barcollando.
    “Non è una cattiva idea!”Farfugliò Bredd ,fra un rutto e un singhiozzo.
    Theril che si reggeva a malapena ,ebbe la cattiva idea di appoggiarsi su Bredd.Il risultato fu che i due si ritrovarono in terra, ansimanti e ridacchiando,mentre Barl prese a ridere , che non smetteva più e si sedette per non cadere.
    Dopo essersi ripresi,e lavati la faccia con la neve fresca,Theril e Barl salutarono Bredd e si riavviarono verso le loro case.
    “Sono quasi arrivato Theril”Disse Barl
    “Bene,per me ancora un paio di isolati e ci sono anch’io”Rispose
    Una voce li interruppe.
    “Buonasera signori” Tuonò una voce dal tono deciso.
    I due si voltarono velocemente, e nell’ombra dall’altra parte della strada ,sbucò un uomo completamente immerso nel suo cappuccio nero.Si avvicinò molto lentamente
    “Signori, ho atteso a lungo,ho una proposta molto interessante”Disse
    Il mezz’elfo e Barl si scambiarono un’occhiata,e rimasero in silenzio.
    “Allora?Siete ancora ubriachi?
    “Chi siete ?”Disse Barl
    “Sono qualcuno che ha del lavoro da offrirvi ,e molto ben pagato”
    “Se è il lavoro che penso io,deve sapere che non mi interessa più da tempo”rispose Theril
    Il misterioso personaggio rivolse lo sguardo verso Barl,e rimase in silenzio come in attesa di una risposta.
    “Vi ho gia detto che non ci interessa!”Disse Theril con tono seccato,e tirò per un braccio Barl facendolo allontanare dal tizio.
    “Bene ,è un peccato ,ma troverò sicuramente qualcun altro che vuole guadagnare un bel sacco di monete d’oro”Disse allontanandosi.
    A quelle parole Barl sembrò avere un cedimento alle gambe ,stava per dire qualcosa.
    “Zitto”Bisbigliò Theril premendo la sua mano sulla bocca del suo amico.
    Quando l’ombra avvolse di nuovo l’uomo incappucciato,Theril allontanò la sua mano dalla faccia di Barl.
    “Monete d’oro!Theril!Ha parlato di monete d’oro!”Esclamò Barl
    “Si ,ho sentito,ma quell’uomo non mi piace,e adesso va a dormire,non pensarci più. A domani”
    Barl accennò ad un gesto di saluto con la mano,ed entrò in casa.
    Il mattino seguente ,con l’inverno che non smetteva di osteggiare i raggi del sole, Barl uscì di casa molto presto e si diresse verso la bottega del suo vecchio amico.
    “Salve Barl!”Esclamo Theril vedendolo sulla porta.
    “Salve a te amico..devo parlarti. Non potresti chiudere bottega per un po’?”
    Il viso di Barl lasciava intendere che qualche cosa di importante gli frullava per la testa ,e Theril con un cenno del capo acconsentì.
    Saliro al piano di sopra e sedettero nella stanza da pranzo.Una piccola stanza con un tavolo al centro ,un caminetto e 4 sedie ,una senza schienale.
    “Fa freddo,se aspetti un momento accendo il fuoco,parlare al caldo è più confortevole”Disse ,sorridendo al suo amico,ma Barl aveva un insolito aspetto serio.
    Appese un pentolino al gancio sopra la fiamma ,e ci versò dell’acqua al suo interno.
    “Una tisana calda,ti va?”
    Barl annuì con un essenziale cenno del capo.
    Dopo aver deglutito il caldo liquido all’aroma di erbe ,Barl guardò diritto negli occhi il suo amico.
    “Ieri notte,dopo che ci siamo salutati,ho aspettato che tu voltassi l’angolo,sono uscito ed ho seguito le tracce dell’uomo con il cappuccio,fino a raggiungerlo”
    Al termine della frase ,Barl ,aveva gli occhi abbassati sul tavolo,sapeva che a Theril la cosa non sarebbe piaciuta.
    “Bene!”Disse con tono sarcastico Theril.”Allora vi sarete parlati,e cosa ti avrebbe detto?”
    “Ascoltami. Dice di essere un inviato del nuovo Governo, mi ha proposto una missione,un piccolo furto ad un messaggero.Dobbiamo solo sottrargli il messaggio, e consegnarlo all’inviato.”
    “La pratica da sbrigare è semplice”Continuò “E noi ce n’andremmo con un bel mucchio di monete d’oro,e per tutti e due significherebbe molto.”
    “Io ho gia cambiato vita da diverso tempo Barl, e non ho intenzione di ricominciare,si vive con troppo rischio,e non voglio perdere quello che ho conquistato in questi tempi di sudore e fatica. E poi non capisco,se è tutto così semplice come mai non lo fa lui stesso,o qualche scagnozzo?”
    “Aspetta Theril,non ti ho detto tutto!”Prese a parlare con ansia ,quasi con entusiasmo.
    “Tu hai cambiato vita no?Ebbene se ti mi aiuterai e porteremo a termine questo piccola missione , l’uomo mi ha detto che ho buone possibilità di essere reclutato, lavorare per il nuovo governo!Theril ,capisci?Mi ha detto che cerca nuove leve ,e per questo affidano queste piccole missioni ad estranei .Cercano gente che sa cosa significa nascondersi , e si sappia difendere ,qualcuno che si sia fatto le ossa in qualche modo insomma!”
    ”Sarebbe una buona occasione anche per te!Andremmo a vivere nella capitale,e saremmo ben pagati.”
    “Come ha saputo di noi?”
    “Probabilmente qualche compratore che si è diretto nella capitale,ne avranno presi alcuni e li avranno interrogati,sono saltati fuori i nostri nomi”
    “Una bella fortuna non credi?”
    “Non so Barl”Disse Theril che si era messo in piedi guardando fuori.
    “Ti prego.Fallo per la nostra amicizia!Tu mi hai abbandonato per cambiare vita!E io ho continuato a lavorare da solo!Devi aiutarmi,non voglio lasciarmi sfuggire quest’occasione!”
    “Io non voglio soldi,e non voglio lavorare per il nuovo governo. Ti aiuterò ,ma resterò in disparte,mi farò vivo solo se ne avrai il bisogno”
    “Grazie amico!!”Saltò dalla sedia ,poi diede uno schiaffo affettuoso sul viso perplesso di Theril.
    “Voi umani avete strani modi di mostrare la vostra felicità!”Disse accennando un sorriso
    “Io vado ,tu torna in bottega,questa sera ci incontreremo di nuovo con il tizio ,e avremo tutte le istruzioni a riguardo. A stasera mi raccomando!”Urlò in modo entusiastico mentre scendeva le scale per andarsene.
    Dopo la cena ,Theril si affacciò dalla finestra per attendere l’arrivo del suo amico.Puntualissimo si mostrò, agitando la mano in aria, fece cenno a Theril di scendere.
    La neve aveva ripreso a cadere fittissima,cadeva ti taglio accompagnata dal solito vento gelido.
    “Dove siamo diretti?”Chiese Theril
    “Ci aspetta alla vecchia torre.Andiamo”
    La vecchia torre ,era parte dell’antica città .Distrutta nell’ultima guerra ,prima dell’accordo di pace fra le popolazioni delle tre regioni .Era la dimora dei maghi da guerra.Si raccontava nelle cronache di Miral,che in un ferocissimo scontro fra le ultime linee degli umani ,
    gli elfi si servirono di un Drago Nero per assaltare la fortezza,e dopo una lunga battaglia la essa fu distrutta .La torre dei maghi all’interno fu difesa strenuamente ,ma alla fine cedette,e i maghi che riuscirono a fuggire si rifugiarono sulle montagne ,dove ricostruirono una nuova dimora,e custodirono i loro libri e pergamene al suo interno.Oggi la vecchia torre giaceva ridotta a poco più di un rudere,con la sua base ottagonale ,e una grande quercia che era cresciuta la suo interno. A vederla poteva sembrare che l’albero avesse deciso di mettere radici li,come per difendersi da chissà cosa. Theril non poteva fare ameno di sentirsi un po’ in colpa ogni volta che ripensava a quella storia.Non riusciva ad immaginare un tempo dove le razze dei Tre Domini si davano battaglia,il sapere che una parte di lui ,era discendente dalla razza che aveva contribuito a tanta distruzione ,lo metteva a disagio.Ma erano tempi lontani,e Theril si sentì sollevato,consapevole che oggi regnava la pace nei Tre Domini.
    Nevicava cosi forte ,che le loro orme scomparivano dietro di loro ogni cinque passi.
    “Speriamo che sia un incontro rapido,non riesco a resistere a questo freddo”Disse tremolante Barl.
    Cominciò a tracciarsi di fronte a loro come una grande ombra scura ,in contrasto con il bianco candido della neve un’ombra indefinita.”La grande quercia”Disse Theril,
    Lo sguardo di Theril si fece come a concentrarsi ,e da loranto vide una luce fioca che cambiava continuamente direzione”Una torcia”Pensò
    Pian piano la forma della quercia si fece più definita ,e la vecchia torre prese lentamente forma.
    “Eccoci”Disse Barl rivolgendosi all’uomo incappucciato.
    Senza proferire parola ,l’uomo si girò ,e con un gesto invitò i due ad entrare nella porta diroccata della torre.
    “E Cosi hai cambiato idea,l’oro produce spesso quest’effetto”Rivolgendosi a Theril
    “Lo faccio solo per il mio amico,non lo faccio per le monete che avete promesso,sarò solo di supporto”
    “A me non interessa come avete deciso di spartirvi la ricompensa.Importa solo che portiate a termine il compito,e che il messaggio non arrivi a destinazione”
    “Fra tre giorni ,un uomo ti piccola taglia,verrà proprio qui,in questo punto ,e aspetterà un uomo a cavallo ,a cui consegnare il messaggio”
    “Dovete prendere il messaggio ,senza mostrare il volto,portate via tutto ,non fate capire quello che cercate.”Disse in tono deciso.
    I due rimasero in silenzio ad ascoltare
    “Quando avrete finito ,legate l’uomo e lasciatelo li,qualcuno lo troverà.Poi dirigetevi verso Est,all’ingresso delle miniere. Ci vedremo li per lo scambio”
    “Se qualcosa dovesse andare storto?”
    “La prigione”Disse lo straniero senza esitazione.
    “Cosa?”Disse Barl Con gli occhi fuori delle orbite.
    Theril prese a ridere in modo isterico , come se si aspettasse da un momento all’atro la fregatura.
    “Tu che cosa hai da ridere?”
    Theril non rispose,ma guardò l’uomo con gli occhi che sembravano spade.
    “Ora sapete troppo ,quindi o portate a termine la missione ,o sapete ciò che vi aspetta”
    “Appostatevi dopo il tramonto ,e aspettate.Questo è tutto,ci vediamo alle miniere.”
    Porse la torcia in mano a Barl ,poi si allontanò , dopo un po’ un nitrito provenne da dietro la torre ,e si udì allontanarsi uno scalpitare nelle neve fresca.
    Nei tre giorni seguenti,Theril continuò la sua nuova vita ,e non si fece mancare le serate al Boccale Del Drago,una piacevole abitudine che oramai condivideva con Bredd da qualche anno. Barl non si fece vivo.
    Si avviarono all’antica torre poco prima del tramonto.Percorsero strade diverse. Barl aveva con se la solita arma che utilizzava nei furti assieme a Theril,una piccola balestra con cui teneva a distanza il malcapitato ,mentre Theril lo ripuliva minacciandolo con un coltello alla gola da dietro le spalle.Questa volta ,sapeva che avrebbe dovuto fare da solo,ma la presenza del suo amico lo tranquillizzava.
    I due si scambiarono un’occhiata d’intesa,poi avvolti nei loro mantelli diventarono parte dell’ombra.E attesero in assoluto silenzio.
    Theril si era seduto su di un grosso ramo della vecchia quercia.Con le spalle appoggiate al tronco,e le braccia che stringevano a se le ginocchia,scrutò la zona circostante,girando la testa come fosse una sentinella .Poco distante incontrò lo sguardo di Barl ,accovacciato sopra una pietra nella parte alta delle rovine.
    “La notte stellata ci favorisce”Pensò Theril.E passò il resto del tempo ,immerso nel mare di stelle che punteggiavano il cielo come un immenso manto. Fu cosi rapito dalla magnifica visione che ebbe l’impressione che il tempo si dilatasse,fino a rendere quel momento lungo un’eternità. Le fronde alte dell’albero, giocavano a nascondere le stelle, al ritmo imposto da una fresca brezza che portava con se l’odore della neve.
    Il sorgere della luna da est destò la sua attenzione.
    “Qui rischiamo di congelare se il messaggero,non arriva”Disse fra se e se.
    Un ampio gesto di Barl richiamò la sua attenzione.Stava chiaramente indicando qualcuno.Qualcuno si stava avvicinando.Alcuni minuti dopo,un piccolo uomo, con il volto coperto per proteggersi dal freddo,entrò nella porta diroccata,e a piccoli passi ,con aria circospetta,si avvicinò al fusto della quercia.
    Mentre poggiava una sacca in terra,una voce lo scosse
    “Fermo!”Urlò! Barl ,in piedi di fronte al piccolo uomo, puntava la balestra pronta a scoccare il dardo micidiale.
    L’uomo rimase immobile.Con una mano teneva lo zaino ,e nell’altra una torcia.
    “Gettalo verso di me,ma prima mettici dentro tutto quello che hai!”intimò Barl
    Theril spiava la scena dall’alto ,quasi sopra il messaggero,concentrato, fissava quello che stava accadendo, pregando che tutto finisse molto presto.Fissando l’uomo, una sensazione di paura mista a tristezza, gli strinse il cuore,e i battiti aumentarono a dismisura.Stava per accadere qualcosa.
    L’uomo prese dall’interno del mantello un piccolo sacchetto,lo fece ciondolare provocando un tintinnio,e poi lo mise all’interno dello zaino .
    Senza dire nulla ,fece oscillare all’indietro lo zaino come per lanciarlo verso Barl.
    Con un gesto rapidissimo ,lanciò lo zaino versò la balestra,gettò la torcia sulla neve che con uno sfrigolio si spense.Balzando di lato schivò il dardo scoccato alla ceca. Poi ad un tratto fece uno scatto verso Barl, brandendo una grossa ascia emise un urlo agghiacciante. Barl brancolava nel buio,cercando di fuggire cadde. Theril balzò giù dal ramo,vide chiaramente il suo amico a terra ,l’uomo gli stava gia addosso , cercava in tutti i modi di conficcare la sua ascia nel torace di Barl.Correndo a più non posso, con ambedue i pugnali stretti nei pugni, urlò disperatamente.”Lascialo!!Lascialo immediatamente!!”Saltò sulla schiena dell’uomo.Sentii un colpo sordo,e un urlo soffocato in gola.”Maledetto!!” Sbraitò .Con un gesto deciso disegnò un semicerchio in aria e diresse il pugnale sul fianco del messaggero affondando il colpo con forza.Un vermiglio di sangue tinse la neve di rosso. Tenendolo stretto con l’avambraccio alla gola,sentiva che le forze stavano abbandonando quello che oramai era l’assassino del suo amico.Poteva scorgere il capo di Barl, intriso di sangue , un ampio taglio gli squarciava il petto.
    Lo straniero cadde a terra affondando il viso sotto la neve. Theril si avvicinò al corpo di Barl e costatò con orrore la profondità della ferita al petto.Giaceva con lo sguardo rivolto al cielo,e sul viso era scomparso ogni segno di vitalità, gli occhi fissi e spenti.
    Theril rimase in piedi a fissarlo, immobile. L’amicizia con Barl era gia un ricordo. Pianse.
    Con il volto rigato dalle lacrime , sommerso da un silenzio più assordante dell’urlo di un Demone,si apprestò a vedere il contenuto della sacca dello straniero,che con tanta violenza aveva difeso.S’inginocchiò ,e con movimenti rapidi e disperati ,slegò i lacci di cuoio che richiudevano la sacca,e ne rovesciò il contenuto.Un pugnale,pane secco,un pezzo di carne avvolto nella carta,e un elsa senza la lama.
    Theril fu sicuro, che per qualche secondo il cuore gli smise di pulsare. L’elsa che aveva in mano ,era identica a quella sulla spada rubata da lui stesso a Bredd tanto tempo fa.
    “Non può essere”Sussurrò con sguardo attonito.
    Esaminò a fondo l’elsa ,e tranne che per il colore delle pietre incastonate ,che questa volta erano rosse era lo stesso oggetto ,con la stessa incisione sul fondo “Thumus”.
    Si girò di scatto per guardare il cadavere con la faccia nella neve,e prese a voltarsi ripetutamente ,posando una volta lo sguardo sull’elsa e l’altra sul corpo inanimato ammantato di nero,come a trovarne un nesso che gli sfuggiva.Una sensazione d’angoscia lo colpì a tradimento.Con il viso sempre più pallido ,a piccoli passi , si accostò a quello che oramai era un atroce ,terribile , nauseante sospetto. Rovesciò il corpo.Con le mani tremanti ,slegò con delicatezza il lacci che chiudevano il cappuccio,come in segno di riguardo ,in onore di un sospetto che stava prendendo forma.
    Il viso di Bredd aveva in se tutta la sofferenza contratta dal dolore,una smorfia che racchiudeva tutto l’orrore di una morte violenta.
    “Bredd!”Cercò di urlare il nome del suo amico più forte che poteva ,invece ne usci un sibilo che si mozzò in gola ,che rimescolò subito al pianto ininterrotto.
    “Cosa ci fai tu qui Bredd?”Si chiese sibilando,mentre si inginocchiava al suo fianco.
    “Cosa c’entri in tutto questo?”
    Rimase in ginocchio a piangere per lungo tempo.
    Gli balenò in mente che qualcuno stava aspettando ,e probabilmente avrebbe potuto spiegare molte cose.
    Si assicurò lo zaino di Bredd,all’interno ripose l’elsa,il pezzo di carne essiccata e una piccola sacca con del denaro.Si diresse verso le miniere con passo frettoloso,come a volersi allontanare velocemente dal peggiore degli incubi.
    Il passo frettoloso era divenuto corsa ,e proseguendo fino in cima alla collina si addentrò in un piccolo gruppo di alberi ,con le fronde a graffiargli il viso consumato dalle lacrime.
    Il sentiero che conduceva all’ingresso delle miniere, era coperto dalla neve ,ma Theril conosceva bene quei luoghi ,e decise di percorrere un tragitto diverso,per arrivare dal lato opposto.
    Poco fuori dell’entrata ,si scorgeva chiaramente il chiarore roseo di una torcia posarsi sulla neve.Un uomo attendeva fuori del cancello.
    Con un salto improvviso cinse la gola dello straniero con la lama del suo pugnale.
    “Se ti muovi, non esiterò a tagliarti la gola”Disse Theril sussurrando all’orecchio dell’uomo.
    Theril spiegò brevemente quanto era successo ,ma non rivelò nulla sull’amicizia con Bredd.
    “Ora hai pochissimo tempo per spiegarmi perché non ho trovato nessun messaggio,e cosa sta succedendo. O morirai stasera stessa”Disse Theril

    UNA TERRIBILE SCOPERTA

    Il mezz’elfo trascinò lo straniero tirandolo per la schiena all’interno dell’ingresso delle miniere,poi estrasse dalla tasca interna del suo mantello una corda.La corda formava due anelli che convergevano in un nodo scorsoio,dal quale fuoriuscivano le due estremità.
    Theril spinse l’uomo fino a fargli premere la faccia contro la grata del cancello d’ingresso,poi gli ordinò di passare la breccia attraverso due fessure, diede la corda in mano al suo ostaggio.
    “Ora infila una mano in un anello ,e una sull’altro”Gli disse, aumentando la pressione della sua lama alla gola.
    “Adesso,con una mano tira un capo della corda,poi fai lo stesso con l’altra estremità,fino a strozzarti i polsi” disse con enfasi.
    I due anelli si strinsero ai polsi mentre le estremità si allungarono.
    “Bene” Disse Theril con tono sinistro.
    Oltrepassò di nuovo il cancello ,e assicuro i polsi ancora in modo più deciso,poi perquisì l’ostaggio.
    Solo allora ,tagliando con la lama i lacci di cuoio che stringevano il largo cappuccio , svelò il viso del suo odiato.
    Sotto il cappuccio si nascondeva un uomo dal viso appiattito, con folte ciglia , occhi infossati e sguardo penetrante.Sul capo i capelli lisci e brizzolati gli coprivano disordinatamente la fronte,e lunghe zazzere si poggiavano dolcemente sulle spalle.
    “Qual è il tuo nome?”Chiese con tono feroce.
    “Aimar”Rispose lo straniero senza esitare
    “Nel suo zaino il Nano ,non custodiva nessun messaggio”La sua era un’affermazione ,ma a quella frase era sotto inteso che Theril esigesse una risposta.
    Aimar ,disegnò un ghigno beffardo sul suo viso,e a Theril questo non piacque.
    Estraendo il secondo pugnale,si avvicinò ad Aimar.
    L’uomo on potè fare ameno di fissare per lunghi attimi le due lame che si avvicinavano.
    Con l’aiuto del suo amico Bredd ,aveva forgiato due pugnali di cui andava immensamente fiero.Come alcuni marchingegni utili al suo vecchio lavoro, le due armi bianche erano state disegnate da lui. A manici ricurvi ,che assecondavano il pugno stretto,si profilavano due else trasversali che gli proteggevano la mano,finemente decorate ,regalo costato molta fatica al suo amato Bredd.Al di sopra si ergevano due magnifiche lame.Lunghe quasi come uno spadino,molto strette al sorgere dall’elsa ,continuavano poi allargandosi quasi fino all’estremità ,fino a chiudersi in una punta mortale.Una ricurva in avanti come una falce ,e l’altra in senso opposto. L’una perfetta per sgozzare da dietro,e l’altra micidiale nel lancio.
    Aveva inciso due nomi sulle lame ,in una si leggeva Falce,e nell’altra Luna.
    Amava impugnare Falce nella mano destra e Luna nella sinistra.
    “Stringi questa lama nel tuo pugno!” gli intimò tenendo il braccio destro ben steso.
    “Se non lo fai ….avrai di che pentirtene”
    Lo straniero ora , aveva un aspetto visibilmente pallido, non riusciva a capire fino a che punto il mezz’elfo facesse sul serio.
    “Non ho intenzione di assecondarti in nulla” disse con intonazione sicura.
    “Ne ho il proposito di rivelarti alcunché!”
    Il mezz’elfo si sentì costretto ad agire,la sua crudeltà divenne l’unità di misura della sua determinazione.
    Obbligando l’uomo a stringere la sua mano sulla lama gli ordinò:
    “Se non risponderai alle mie domande ,per ognuna che dovrò ripeterti ,questo è quello che avrai”
    Rimase in silenzio per qualche secondo .Fisso con lo sguardo, penetrando gli occhi di Aimar.
    Sfilò in modo perentorio la lama stretta nel pugno ,e un fiotto di sangue ,fu accompagnato da un urlo lacerante.Il dolore fu cosi forte che inizialmente ,lo straniero si lasciò cadere ,con il corpo ciondolante, appeso per la breccia sulle sbarre del cancello.
    Theril raccolse neve fresca e si rivolse ad Aimar
    “Tienila stretta nel pugno” disse.
    Aimar ,era terrorizzato ,e lo era ancor di più al pensiero di vedere ancora la lama che gli aveva profondamente ferito il palmo della mano.Con le gambe che gli tremavano si rimise in piedi ,e molto lentamente rialzò lo sguardo ,sforzandosi di mostrare uno sguardo fiero.
    Theril con le mani unite ,mostrò allo straniero neve fresca.
    “Prendila e stringi la neve nel pugno,fermerà il sangue”
    Aimar, prese un po’ di neve ,la strinse nel pugno.Un urlo strozzato in gola,e uno spasmo accompagnarono il movimento lento e impacciato della sua mano.
    “Tutto quello che sai deve giungere alle mie orecchie,raccontami tutto!”Escalmò gridando theril,in un misto di commozione e rabbia.
    Guardando negli occhi il mezz’elfo ,aggrottò la fronte pallida,e iniziò a raccontare.
    “Ti dirò quello che so…”
    “Devi sapere ,anche se credo che oramai sia giunta voce,che un nuovo governasi si è istaurato ad Urnan’Sahar .Circa tre estati fa, una parte dell’alto consiglio venne a scoprire che uno dei maggiori esponenti ,lo stregone Gorion,aveva assoldato alcuni mercenari per delle ricerche su di un antico libro.Con un’indagine interna, coadiuvata da alcune spie ,scoprirono che le ricerche vertevano a ritrovare il Libro Dell’Oscurità .Si tratta di un volume leggendario ,che si narra contenga formule in grado di aprire portali dal mondo dei morti ,in grado di svegliare antichi eserciti dalle profondità della terra. All’inizio presero la faccenda poco sul serio,ed intimarono al vecchio stregone di mollare le ricerche,ma Gorion aveva fatto proseliti , e con grande sorpresa di una parte del consiglio,alcuni si opposero alla sospensione degli oscuri studi.Vi furono violente ripercussioni.Tanto che due fazioni contrapposte, governarono per un’intera stagione non riuscendo a procedere in nulla.Dopo una moltitudine di violente liti ,ci fu una accordo che segnò definitivamente la fine del vecchio consiglio per come lo si conosceva.Una votazione interna avrebbe eletto un nuovo consiglio,capeggiato o da Gorion ,o da Simud ,Sacerdote riconosciuto per la sua intelligenza nelle questioni politiche.
    Il risultato fu tutt’altro che imprevisto.Come oramai si sospettava ,la fazione dello stregone ebbe maggiore adesione,la corruzione e il lavoro ai fianchi fatto da sapienti spie,aveva dato i suoi frutti.La parte sconfitta riuscì a fuggire dopo che Gorion ordinò di imprigionarli per infedeltà al governatore.Fuggirono tutti tranne Simud ,che venne ucciso e torturato.”
    Theril , sentì di nuovo quella sensazione che negli ultimi tempi gli era familiare ,un angoscia profonda gli riempiva il cuore,un brivido,che si riproponeva ad ogni pensiero rivolto a quanto stava accadendo.Ascoltando il racconto di Aimar,aveva l’impressione che una foschia densa e impenetrabile gli offuscasse i pensieri.Scosse il capo come a liberarsi la mente,si sedette al capo di una roccia ,e continuò ad ascoltare.
    “Da quel momento anche in città le cose iniziarono a cambiare.La parte centrale della città è stata completamente rasa al suolo ,e al posto delle case e dei giardini che la adornavano ,è stato costruita un’accademia dove vengono continuamente arruolati nuovi soldati.
    Le sue spie lo informarono, che chi era fuggito del vecchio consiglio,aveva forse trovato rifugio nella Torre dei maghi ,nelle montagne di Irun ,a sud-ovest della capitale.
    Furono inviate una gran quantità di spie assassine, con il compito di scoprire il rifugio,e tacerli per sempre.In seguito fu chiesto loro ,anche di reclutare. Gorion, ebbe a sapere, che informazioni segrete viaggiavano traversando diverse località nel Dominio Di (Nome). Scoprì che una fratellanza segreta stava nascendo ,e che in alcuni paesi già vi erano punti di scambio per messaggi da giungere ai capi della nuova fratellanza.Qui subentro io ,e il Nano che hai ucciso.L’ho seguito a lungo nei suoi traffici. Lui era uno dei tramiti della fratellanza,custodiva i messaggi segreti per farli recapitare ai loro capi.
    “Io non ho trovato nessun messaggio!”Disse con orrore ricordando la morte dei suoi amici.
    “Hai commesso un errore,ed ora i miei due amici sono morti!!”Si lasciò sfuggire, sbraitando a distanza di un braccio dal viso di Aimar.
    Per un momento lo straniero ebbe il timore stesse per ucciderlo ,tanta era la foga con cui agitava i suoi pugnali.
    Poi mozzò le sue urla dicendo.
    “Il messaggio è nascosto all’interno di un’elsa”
    A quelle parole Theril reagì pietrificandosi all’istante.
    Attonito e raggelato ,in un attimo ricordò il furore con cui Bredd reagì al furto dell’elsa con le false pietre Blu.E tutte le domande che si era posto sul perché diventò una furia per una spada dal dubbio valore ,ebbero improvvisamente risposta.Il contenuto,era il vero tesoro.
    E fu colto da un incredibile senso di colpa ,niente in confronto a quello sentito fino a poco prima.
    Come se si destasse da un sonno atavico, prese con agitazione l’elsa che aveva riposto nella sacca,e la mostrò ad Aimar.
    “si è quella”disse la spia, con tono freddo.
    “Non so come si possa accedere al contenuto,se è questo che intendevi chiedere”
    “Devo sapere altro?”Borbottò Theril con tono sconsolato.
    “Devi giurarmi la libertà se vuoi che ti riveli cos’altro ho scoperto”
    “Non sei nella condizione di chiedere alcunché ”Rispose seccato Theril
    “Come vuoi ,ma se non avrai quest’ultima informazione,di quel messaggio non saprai che farne,e io sono disposto a vendere cara quest’informazione. A te la scelta”
    All’improvviso il mezz’elfo sentiva che le parti stavano invertendosi.
    Non aveva scelta. Theril si sentì solo.
    “Prima di dirmi ciò che sai sul messaggio, dimmi un’ultima cosa”
    “Quali sono le intenzioni dello stregone?”
    “Non ho molte informazioni al riguardo”Disse nervosamente, poi proseguì:
    “So solo che, nel nuovo consiglio si parla spesso del Quarto Dominio”
    Il viso di theril si contrasse, tradendo un sospetto che tentava di allontanare .Theril guardò negli occhi Aimar ed esclamò”. Non vi è nessun Quarto Dominio..”
    “Il Quarto Dominio è gia nato”Rispose con tono beffardo.
    “Ora guadagnati la libertà”Disse Theril avvicinando il viso a quello di Aimar.
    “Il colore delle pietre dell’elsa.So per certo che se le pietre sono Blu, il messaggio è diretto a Sud di Urnan’Sahar, se invece sono Rosse come quella che hai in mano, è diretto a Nord, oltre il Bosco sul mare.”.

    Continua….

    Se vi piace lo continuo Very Happy
    Se qualcuno vuole mandarmi in quel paese perchè ho scritto troppo,e il post è lungo è liberissimo di farlo!!

  5. #5
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    Predefinito Prima Pagina - El Vaquerito

    El Vaquerito ha scritto dom, 26 dicembre 2004 alle 23:41
    del quaderno d appunti che sto tentando d scrivere. E' breve lo so. ma datemi suggerimenti per favore. credo d averne molto bisogno. Ah, va detto per migliorare la comprensione del testo, che ho tentavo varie volte d scrivere libri o cose simili, ma nn sono mai venuto a capo d nulla perchè ho sempre mollato. Ah, per evitare la fatidica domanda, ho 16 anni. Cmq ecco qui:


    Prima pagina. Sfoglio rapidamente il quaderno. Quaranta rettangolini da 15x20 centimentri. Completamente bianchi.
    Chiudo gli occhi. Linee d'inchiostro nero appaiono dal nulla, evocate dalla mia immaginazione. Si posano sulla carta, diventano parte di essa. Ogni rettangolino ha le sue.
    Riapro gli occhi. La mia inconcludenza cronica suggerisce di dimenticare quella fugace visone. troppi rettangolini, troppe linee. Una follia. Il quaderno deve rassegnarsi a restare bianco.
    La passione per l'arte dello scrivere protesta con veemenza. L'orgoglio ferito da decine di imprese lasciate a metà insorge. Questo non sarà che il primo dei quaranta passi verso la realizzazione di un sogno, giurano.
    La mia inconcludenza cronica, forte delle esperienze passate, si mostra sicura di se. Troppi progetti si sono arenati negli anni perchè nn sia così. La realizzazione di una raccolta di racconti e riflessioni non sarà che l'ennesimo fallimento.
    La passione per l'arte dello scrivere e l'orgoglio ferito sono fiduciosi. Non si lasciano intimorire. la vittoria sarà loro. E così cancelleranno un passato di sconfitte.
    Il guanto di sfida è stato lanciato. Un'ardua lotta si profila all'orizzonte. Lunga mesi o forse solo giorni. Da una parte chi non ha mai perso, dall'altra chi è stanco di farlo.




    Grazie. ah, spero che nella fretta nn c sian errori ortografici.

  6. #6
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    Predefinito Ritorno a casa - Badwolf

    Badwolf ha scritto mar, 15 marzo 2005 alle 19:56
    Ecco un piccolo racconto, sono graditi naturalmente critiche e suggerimenti


    Ritorno a casa
    Le foglie sul sentiero davano una sonorità così familiare ai passi di Zipie che sembrava di camminare sui ricordi. Non era forse oltre quei cespugli che aveva ucciso il suo primo cervo?

    Gli alberi a quel punto del bosco sembravano prendere identità, divenivano i vecchi amici di caccia e di mille avventure, i punti di riferimento che tante volte lo aiutarono a ritrovare la strada di casa. Come l’albero lupo che sembrava ululasse quando il vento s’insinuava nel suo tronco cavo.

    Zipie era così assorto nei ricordi che non si accorse di avere compagnie. Uno strano essere peloso seguiva i suoi passi senza far rumore.

    Il ragazzo continuava a pensare al suo ritorno a casa, erano ormai anni che aveva lasciato il villaggio per seguire gli insegnamenti del Maestro Drikis. Tante cose aveva imparato da allora, ma a che prezzo? La nostalgia di casa a volte diventava dolore insopportabile che non …

    Un rumore alle sue spalle lo riportò di colpo alla realtà, sembrava che qualcosa alle sue spalle avesse spezzato un rametto, il terrore si impossessò subito di lui

    “che non sia un folletto malefico, che non sia un folletto malefico” si ripeteva .

    Conosceva bene quelle creature maligne, sua madre si era lasciata sorprendere da sola nel bosco e di lei era rimasta solo una ciocca di capelli accanto alle orme di quei maledetti. Il sangue di Zipie si fece di ghiaccio, il cuore sembrava si fosse staccato dal petto per galoppare fino in gola. “pensa pensa pensa, devo fare qualcosa prima che mi salti addosso! Se me ne sto fermo non noterà la mia presenza ma sentirà il mio odore…” Una goccia di sudore attraversò la sua fronte, mentre la mano si posava piano sul pugnale. Gli vennero in mente le parole del Maestro Drikis:

    “..ricorda ragazzo un folletto malefico muore solo se lo colpisci al cuore, non sbagliare mai o diventerà ancora più cattivo e Dio solo sa quanto lo siano già di natura”

    “ok.. colpire al cuore .. al cuore .. al cuore” si ripeteva mentre cercava di sfilare il coltello con cautela. Cercava di visualizzare il petto del folletto, ma l’unica cosa che riusciva ad immaginare era se stesso che moriva come sua madre.

    “Zip zip! onna illajjio! Zip zip! onna illajjio!” Zipie si voltò di scatto, Fuzzy se ne stava a mezzo metro da lui, in piedi su due zampe come un cagnolino ammaestrato. Ripeteva quella frase guardandolo con quegli occhietti azzurri così dolci e umani. Alto quanto uno scoiattolo il suo amichetto d’infanzia era venuto a dargli il benvenuto.

    “Fuzzy! Piccola peste mi hai fatto venire un colpo!” Esclamò Zipie tirando un sospiro di sollievo. Fuzzy saltò tra le sue braccia “uzzy este! Uzzy este! Uzzy este” gioiva il suo amichetto.

  7. #7
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    Predefinito Lei - Mikk

    Mikk ha scritto gio, 07 aprile 2005 alle 15:26
    Primo post da queste parti
    Volevo farvi leggere una cosa credo sia il posto giusto, se non lo è basta ignorarmi
    Un racconto "breve" (nel senso che è un po' lungo per un forum) a cui sono particolarmente affezionato. Chi è pendolare capirà subito che è anche autobiografico
    Chi ne ha voglia lo legga, e se mi dice che ne pensa mi farà molto felice Accetto qualsiasi cosa
    Buona lettura

    Lo studente salì sul treno con un piccolo balzo. L’atmosfera era pesante, niente che potesse far bene alla sua emicrania e al deserto che gli si stava sviluppando in gola. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per anche solo una goccia di un liquido qualunque, che fermasse quella sete che pareva durare da vent’anni.
    Aprì la doppia porta scorrevole, con una certa fatica. S’incastrò a metà tragitto e dovette mettersi di sbieco per passare, strusciando il maglione. Solo allora guardò dentro il vagone e si rese conto che non c’era nemmeno un posto a sedere, tutto era occupato e tutti erano occupati a parlarsi l’un l’altro o ad ascoltare suoni elettrici provenienti da piccole scatoline.
    Pazienza, pensò, andiamo avanti, prima o poi ci dovrà pur esser del posto anche per me. Attraversò quattro o cinque di quelle porte scorrevoli, e tutte lo introdussero in uno scenario talmente simile da fargli credere che quel primo vagone si ripetesse all’infinito lungo quel treno. Ma all’ultima porta, proprio quando si era rassegnato ad un eterno viaggio sorretto da nient’altro che i propri piedi, vide del posto libero.
    Quel vagone aveva in effetti qualcosa di strano, chiedere un posto per lui in qualcosa di normale era forse osare troppo. I seggiolini, sì, quelli, non erano disposti normalmente come nei treni, assomigliava piuttosto a una disposizione da aereoplano, in cui non è possibile mettersi di fronte a coppie per i passeggeri. A dire la verità fino in fondo, questo per lo studente importava quasi quanto un pezzo di cuoio che se ne va oltre delle linee immaginarie. Nulla.
    C’erano due posti liberi. Rispondendo ad un’innata saggezza interiore, che a tratti capiva solo lui e nessun altro, lo studente si andò a stravaccare sul posto disponibile più vicino. Si sdraiò quasi, lo spazio lo permetteva, e la nuca gli batteva contro lo schienale, mentre le gambe penzolavano di lato, occupando parte del corridoio che serve ai passeggeri per transitare.
    Chiuse gli occhi. La testa continuava a pulsare ad ogni battito del cuore. Pulsava e pulsava vene di dolore tanto che lo studente per qualche attimo si augurò che il suo cuore si fermasse, per dargli un po’ di sollievo a questo dolore incessante. E la gola sembrava come i paesaggi di quei vecchi film western, gli mancava solo un cespuglio che rotolasse via sospinto dal vento. Ad occhi chiusi i rumori di quella moltitudine che cianciava cose per lui prive d’importanza andarono confondendosi sempre di più, in un caos primordiale della parola.
    “Il certo no, tuo che no, amico è è no proprio proprio e fissato egoista. Poi con io no! Robert non ho De dico detto Niro che che eh… non io l’altra cambi non sera me niente ma ne, è se voglio arrivato è andare. Con per io venti fare voglio cassette piacere restare e a dai, abbiamo qualcuno lo cominciato potrebbe sai a proprio benissimo guardarcene venire. Uno che che dietro senso non l’altro. Ha puoi Taxi dire restare Driver che sei credo non troppo fosse vuole piccolo. Il dormire non primo fuori rendere casa? Le cose più difficili”.
    Cortocircuito. In quel marasma di voci lo studente ne riconobbe una, una molto particolare. Si alzò di scatto, picchiò la testa contro una sporgenza del seggiolino, si rialzò, ma questa volta con più attenzione. Tese le orecchie in uno sforzo mentale enorme, che triplicò la sua emicrania. Ma alla fine in mezzo a quella Babele infinita riuscì a estrapolare una sola nitida voce che ascoltò con tutta la sua mente. Un assolo in mezzo a un coro rozzo e informe.
    Era una donna e parlava con un bambino.
    “Lo so” diceva il bambino “Che non posso restare. Lo so che se anche potessi restare non cambierebbe nulla. Ma io andarmene non voglio. Non voglio, non voglio, non voglio, non voglio”.
    “Stai solo rendendo le cose più difficili” rispose la donna “Devi renderti davvero conto che sei un bambino, e per questo non puoi fare sempre quello che vuoi. Ci sono anche dei doveri”.
    “Non trattarmi come un bambino! Non credo di meritarlo!”
    “Io non ti tratto come un bambino, io sono sempre stata seria con te perché so che in fondo puoi capire. Ma finchè non accetterai la realtà, finchè non la saprai vedere per davvero, non puoi fare ciò che desidereresti fare”.
    Il bambino si ammutolì. La mente dello studente anche. Egli non si era voltato, ma ne era perfettamente conscio e consapevole. Quella voce era la sua, E’ lei!
    “E’ lei!” gli scappò di dire a voce alta, ma in mezzo a quel marasma nessuno era in grado di ascoltarlo. E lo studente se ne rallegrò, scappandogli ancora una volta da pensare: E’ lei. Era sconvolto. Tutto stava girando intorno a lui, gli sembrava di essere il punto fijo del mondo. E’ lei!
    Timeout. Qui è necessaria un’intrusione, perché lo studente non era in grado di pensare e riferire chi fosse lei in realtà. Avete presente quella cosa che vi accade quando, frequentando una persona, a poco a poco le vedete dentro il vostro mondo, ma non il mondo vostro che conoscete, un mondo strutturato come il vostro ma diverso con cose nuove e imprevedibili? Un universo complementare, quella cosa che non vedevate quando giungevate a un certo punto nei vostri pensieri e non riuscivate ad andare oltre, ben consapevoli che si poteva andare oltre e non capivate come mai eravate fermi, lì, impalati, senza possibilità di avanzare. Oppure, vediamo se così è meglio, avete presente quando aprite la mano e la avvicinate a quella di un’altra persona, che anch’essa l’ha aperta, e vedete che ogni dito va a combaciare perfettamente. Tan tan tan tan tan, pollice indice medio anulare mignolo. Tutti in fila perfetti senza che un lembo di carne si possa vedere sporgere da una parte o dall’altra. Ecco, lei era questo. Torniamo dallo studente.
    Rimase alcuni minuti fermo e immobile, ripetendosi nella sua mente sempre la solita frase. E’ lei! Sentiva la fronte prudere e i capelli che quasi si bagnavano. Decise di dare una rapida occhiata dietro. Vide che la voce proveniva sicuramente da dietro il posto che aveva visto libero quando era salito. Erano passate alcune stazioni, un bel po’ di tempo direi, ma lui non c’aveva fatto caso più di tanto. Comunque sia, molte persone erano scese, o così parve allo studente che forse aveva rimosso anche fisicamente i proprietari di quelle voci che interferivano tra lui e la sua lei.
    Si alzò e camminò rapidamente verso quel posto. Si sedette. Adesso lei stava seduta dietro di lui, e non poteva vederlo, né lo aveva notato cambiare posto. Il dialogo, animato, che stava scorrendo tra lei e il bambino era giunto a un punto morto. Lei guardava fuori dal finestrino alla sua sinistra, il bambino si guardava ciondolare i piedi.
    Il treno cominciò a rallentare la sua corsa. La forza d’inerzia compresse leggermente in avanti i corpi dei passeggeri, che sentivano le loro fronti premersi. Lo studente era seduto, guardava fisso il seggiolino davanti e si era portato la mano sinistra alla bocca e si stava succhiando la base del pollice nervosamente.
    Lei si alzò in piedi e posò la mano destra sul poggiatesta del posto occupato dallo studente. Non fece rumore, ma lui si accorse subito che qualcosa era cambiato. Lei guardava ancora fuori dal finestrino, anche se si leggeva chiaramente sul suo sguardo che non c’era nulla di interessante fuori.
    Lo studente si alzò in piedi e si girò verso di lei, che sembrava quasi ignorare quel gesto, non credendo che fosse rivolto proprio a lei. Ma siccome lo studente rimase fermo a guardarle il profilo per qualche secondo, con uno sguardo che non si riusciva a capire se oscillasse tra la gioia la paura la curiosità o la tristezza, lei spostò i suoi occhi su quelli di lui. Lui l’aveva riconosciuta, lei parve di no, ma c’era qualcosa che le impediva di staccare lo sguardo. Si lessero forse i pensieri più profondi che salgono dall’anima, tutti scritti piccoli piccoli in quei riflessi che ogni tanto balzano su e giù dall’iride come volantini, o coriandoli. Lei intuì qualcosa forse, nei riflessi castani degli occhi di ghiaccio dello studente stava chiaro e tondo un dardo di dimensioni inimmaginabili. Aveva nello sguardo tutto, ma proprio tutto il mondo, e forse perifno di più, ne stava creando uno suo nuovo che fosse costruito solo per lei, per la sua lei.
    Lo studente intuì invece che lei non riusciva a ricordarsi del suo volto. Allora allungò la sua mano destra e piano piano l’adagiò sul poggiatesta. La fece scivolare sul ferro come una lucertola timida. Arrivò a toccare la punta delle dita di lei. Si fermò, ebbe un sussulto incredibile dentro al cuore, le gambe cominciarono a tremare e a farsi molli, la gola si annodò. La mano proseguì la sua corsa, ecco i polpastrelli di lui che cominciarono a solcare prima le lisce unghie di lei, come un ghiaccio dolce che quasi riscalda. Poi i flussi di quella pelle liscia e candida, cinque fiumi senza nemmeno una piccola insenatura pericolosa. E arrivarono fino al mare della sua mano che spandeva un tepore unico in quel freddo Marzo che lo riscaldò fino alla punta dei capelli.
    Appoggiò la sua mano su quella di lei e quindi si fermò. Mentre faceva tutto questo i suoi occhi non si erano staccati nemmeno per un istante da quelli di lei. E ora che erano così, con la mano di lui sopra quella di lei che aderiva completamente e sembrava volerla proteggere. Lei sorrise. Non aveva ritratto la mano nemmeno per un secondo. Quel gesto le fece finalmente capire chi aveva davanti.
    Mio dio, quel sorriso cosa fece nella mente dello studente! Si sentì perdere, cominciò a perdere la sensibilità in tutto il corpo per concentrarsi su quell’unico, piccolo contatto fisico. Anche lui sorrise. Tutto il mondo, tutto quanto stava nello spazio che c’era tra le due mani. Sentì per la prima volta che poteva anche morire, in quell’istante, lì sul treno, e non gli sarebbe importato più.
    Sentì che doveva dire qualcosa. Le disse solo:
    “Ciao, mia luce”. Lei sorrise ancora, un po’ di più questa volta, mise in mostra quei denti, come sapeva fare solo lei. Lo studente non disse più nulla, mentre era lei a voler parlare ora. Ma lui alzò la mano, racchiudendo in essa anche quella di lei. La aprì a palmo e vide che le sue dita erano più lunghe di quelle di lei.
    Il treno si fermò in quell’istante. Fuori ora faceva caldo, un sole un poco timido era uscito dalle nuvole e batteva piano su un paesaggio completamente lucido e bianco. La luce riflessa entrava da fuori e illuminava l’interno del treno dai finestrini. Lo studente fece scivolare via la sua mano e si avviò verso l’uscita del treno. Balzò giù, in mezzo a quello sfavillio. Non c’era nessuno nella stazione, si faceva perfino fatica a vedere se c’era, una stazione. La figura dello studente era una macchina scura in mezzo a tanta luce.
    Lei si sporse dal finestrino e lo guardò. Era di spalle, si stava avviando verso una scala che conduceva a un sottopassaggio. Chiamò il suo nome. Lui si voltò. Lei temeva per lui, ma non disse niente. Non lo fece anche lui, che le sorrise a bocca chiusa, come se fosse l’ultimo sorriso della sua vita. Si avviò verso il sottopassaggio. Poi cambiò idea e si voltò. Disse:
    “Ho capito. E’ ora che io vada. Però voglio dirti un’ultima cosa”.
    Ma il treno era già partito da cinque minuti.

  8. #8
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    Predefinito A piccola richiesta - Pascoli

    Pascoli ha scritto lun, 16 maggio 2005 alle 23:26
    Esiste un mondo

    Esiste un mondo là fuori. Esiste ciò che un bambino può descrivere come universo. Guglie di carne e ossa, valli di sangue rappreso, onde di grasso e pelle bollenti, mare di corporeità. Non voglio questo.
    Simile a un martello nella testa, odio per il proprio essere, viaggio per l’annientamento fisico della vita che riporta quella carne nel mondo materiale. Cadavere che cammina, atmosfera di putrefazione concentrata in un esiguo spazio, vermi che toccano e contaminano quello che c’è di circostante, vermi che ritornano in bocca, soffocando l’aria e riempiendo i polmoni di fluidi densi di disperazione. Una lente posta d’innanzi agli occhi, un vetro smeriglio e opaco, rivela un’altra realtà, incubo ad occhi aperti di solitudine e commiserazione, una schiera di aguzzini inconsapevoli, avvoltoi che strappano brandelli di tessuto da un uomo abbandonato in un deserto. Una pistola puntata alla tempia, una mano senza dita per poter premere in grilletto. Niente. La polvere da sparo depositata all’interno di un proiettile. Un tamburo che ruota al contrario, un’opportunità che arriverà in un tempo indefinito ma prossimo, incombente.
    Un ronzio fastidioso si spande, dal basso dell’inconsapevolezza all’alto della coscienza. Un richiamo verso la fine. La soluzione di un’esistenza divisa in due. L’illusione di essere qualcun altro, che non tollera sé stesso, la rovina della propria libertà, una prigione corporea e mentale che non lascia scampo, forse perché l’ostaggio è proprio quella gabbia e le sbarre sono i sentimenti di rivolta. Distruzione auspicabile. L’eliminatore del pensiero può essere solo un’onda che avanza erodendo uno scheletro fragile di insicurezze accumulate. Il silenzio di un’onda che si disperde nel letto di un fiume in secca. Resti di animali come ricordi del futuro. Occhi spalancati, iridi grigie e pupille convulse. Acqua che sgorga dalle fessure, insinuata nelle crepe della pelle staccatasi dal corpo, rivelando l’essenza di un neonato nato senza poter respirare. Ucciso. Ucciso dalla propria madre, la vita preesistente incapace di vivere nel mondo pieno di veleni e inemotivo. Ucciso dal proprio padre, divinità dell’inesistente. Ucciso dal proprio figlio. Figlio, come padre e madre. Essere. Essere e non vivere. Essere e non poterlo fare. Figlio ucciso dal proprio essere.

    ____________________
    Vai di insulti...

  9. #9
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    Predefinito Carlo Magno, il paladino e la sua guerra - flash

    flash ha scritto sab, 22 ottobre 2005 alle 13:35
    Un testo diciamo "sperimentale".Sono naturalmente accettate critiche .Non l'ho rifinito molto,dovrebbe essere migliorabile .
    Piccolo dialogo,a proposito della nota Chanson de Roland:Rolando,paladino di Carlo Magno,muore "eroicamente" a Roncisvalle,dopo aver combattuto schiere di "infedeli",pronti,secondo la chanson,a invadere la Francia.In realtà,ai tempi di Carlo Magno,al contrario della situazione storica della composizione della chanson,i motivi della "guerra santa" contro gli "infedeli" non sussistevano.


    Una stanza.Scudi sparsi appesi alle pareti.Un uomo in frac e un copricapo da moschettiere,seduto su un divano accanto a una donna,in tailleur e un buffo cappello.
    Dall'esterno,urla di battaglia.
    Un grido echeggia da fuori."Vive le roi!".
    E l'uomo,parlò.

    -Madame
    -Dite,messere
    -...
    -...
    -Rolando avrà mai esitato?
    -...
    -Rolando,se avrà mai dubitato
    -Che domande,mess-
    -Roncisvalle valeva la vita?
    -Ma che c-
    -Il paladino di Carlo Magno,così
    -Messer-

    Da fuori,altre grida.

    -I mori,e gli infedeli,per Carlo e la Francia
    -Messere,voi-
    -E morire così,per odio -era odio?-
    -Rolan-
    -Per i nemici
    -...
    -Neanche suoi,quei nemici
    -Sì m-
    -Per difendere cosa?
    -MESSERE!
    -...
    -...
    -Madame?
    -Rolando non combattè mai i mori.
    E Carlo Magno era in ottimi rapporti,
    coi principi musulmani
    -...
    -...
    -Perdonatemi,madame
    -Di nulla,messere

    Da fuori,altre grida,
    e poi un tonfo.
    Un crollo,o un fulmine.

    -Saranno le mura,madame.Saranno qui a breve.
    -...

    Si infittivano le grida."Vive le roi!Vive le roi!".

    La donna si alzò.Non si avvicinò alla finestra,
    troppo pericoloso.
    E parlò:

    -ROLANDO E' MORTO

    Mille sguardi si volsero a una voce
    senza luogo.

    -MI AVETE CAPITO?E' MORTO.E NON A RONCISVALLE

    Silenzio.

    Tunf,Tunf,Slang.
    Ad una ad una,cadevano.
    Tunf.
    Cadevano:spade e scudi,sul campo di battaglia.
    Guerrieri stanchi,
    con due mani lacere e
    incredibilmente vuote.

    E un silenzio strano,lì intorno.

    -Complimenti,madame
    -E basta con sta "madame"
    -Complimenti
    -Grazie

  10. #10
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    Predefinito L'altro Io - WhiteKen

    WhiteKen ha scritto lun, 21 novembre 2005 alle 11:18
    Quote:
    Esisto due volte.
    Non affiancate, beninteso.
    No, due volte contemporaneamente, due me che si affiancano nella vita di tutti i giorni.
    Non siamo molto differenti, anzi. Ci sono momenti in cui non saprei dire chi sia dei due.
    Inutile stare a preoccuparsi, in fondo siamo due da un sacco di tempo ormai.
    Il mio primo me è simpatico, sempre sorridente, piuttosto affabile, sempre ben vestito, molto sicuro di sè.
    E' un tipo con cui ti vien voglia di uscire, di passare una buona serata in un ristorante romantico e alla moda, magari con un aperitivo servito di fronte ad un piatto di salatini non banali.
    Parla piuttosto forbitamente e non dimentica le regole della buona educazione; elargisce complimenti non richiesti e spesso e volentieri mente per carineria.
    Che bel vestito, che delizioso profumo, che incantevole posto, gran bella macchina.
    Non mente per calcolo, badate, no.
    Non c'è un desiderio di attrarre il prossimo dando l'impressione di assecondarne le abitudini e condividere le scelte.
    No.
    Piuttosto il sincero desiderio di appagare l'animo dell'altro, donando spontaneamente coraggio alle sue convinzioni.
    Credetemi, questo me è molto convincente.
    Ci sa fare.
    E infatti riscuote un certo successo soprattutto nelle donne, mai paghe di sentirsi al centro dell'attenzione, cosa che, questo mio io, non manca mai di fare.
    A volte il mio me resta da solo.
    Non capita spesso, vista la quantità notevole di falsi amici di cui si circonda.
    Ma a volte, resta solo anche lui.
    Lui detesta restare solo.
    Diventa irascibile e cupo, piuttosto malinconico e noioso.
    Aggiungerei che con lui da solo mi sento decisamente depresso.

    Ecco, in questi casi, preferisco l'altro io.
    L'altro me è un animale sociale. E' amante dell'amore.
    Si innamora spesso e volentieri e dona tutto se stesso con sincero affetto.
    E' fondamentalmente simile all'altro me, tranne in un elemento chiave: non mente mai.
    Se hai un abito disgustoso, te lo dice.
    Dice che non importa, che sei bello dentro, che l'abito non fa il monaco.
    Ma l'abito continua a fare schifo, è innegabile.
    L'altro io è simpatico e socievole, ma sa stare benissimo da solo.
    Gode anche dei silenzi, di una calda stanza vuota, di una buona musica.
    E' piacevole vederlo stare in perfetta armonia con il mondo, sempre, con il sorriso sulle labbra e la voglia di non sprecare neanche un respiro.
    Per questo è piuttosto imprevedibile.
    Ama fare cose apparentemente senza senso, vestirsi stravagante e girare ore in macchina.
    Adora inviare messaggi alla sua amata, per la quale farebbe qualunque cosa.
    E' un tipo veramente speciale.
    Sa cucinare piuttosto bene, e apprezza le piccole cose della vita.

    I miei due me non si sono mai conosciuti.
    Il primo è quasi sempre il mio me attuale.
    Anche adesso non credo sia l'altro io a scrivere. No, in realtà il sottile compiacimento di questa scrittura deriva sicuramente da quel damerino del mio primo me.
    Il quale si dispiace di non aver fornito una bella ed avvincente storia da scrivere, ma al tempo stesso apprezza le belle cose che sono state scritte su di lui.
    L'altro io lo conosce una persona sola.
    Anche voi non potrete dire di saperne granchè.
    Un tipo singolare, meriterebbe una persona tutta per lui.
    Era un bel po' che non postavo qualcosa qui... anzi a dire il vero credo fosse dai tempi dell'angolo del poeta...

  11. #11
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    Predefinito Lettera a Nessuno - WhiteKen

    WhiteKen ha scritto mar, 22 novembre 2005 alle 21:18
    e due

    Quote:
    Lettera a nessuno.

    Caro nessuno, è un po' che volevo scriverti.
    Sai quei momenti, nella vita, in cui hai un gran desiderio di comunicare, e non trovi alcuno disposto ad ascoltarti, oppure che sia in grado di capirti, magari consigliarti, ecco.
    Questo è uno di quei momenti, e visto che nessuno è in grado di capirmi, eccomi qui.
    Io sono in periodo di grandi cambiamenti, caro nessuno.
    La vita scorre, bada bene, senza alcun mutamento apparente.
    Un occhio normale infatti non nota tutto questo gran trambusto che ho dentro.
    Ci vuole proprio un... no, nessuno è in grado di farlo, nessuno tranne te.
    Buffo, non capisco neanche con chi sto parlando, ma mi sento già meglio.
    Grazie, nessun amico.
    Non so se mi leggerai, se giudicherai queste parole come un folle delirio, ma spero che almeno saprai dare il giusto tono al tuo silenzio, di quei silenzi in cui ti senti di essere compreso e magari ti trovi a sorridere al buio da solo...
    Ne ho davvero bisogno, signor nessuno!
    Ma ti chiederai quali sono questi cambiamenti, oppure no, visto che non sei alcuno.
    Sto male perchè non ho quello che voglio.
    Una di quelle banali condizioni tipiche dell'animo umano.
    Dovrei scrivere a Babbo Natale, non ad un signor nessuno.
    Vorrei Lei ma non posso. Vorrei una situazione che non c'è.
    Vorrei aver fiducia nelle persone come loro, a volte, hanno fiducia in me.
    Vorrei non aver bisogno di aiutare di continuo gli altri solo per non pensare ai miei di problemi.
    Che ai miei, credimi, finisce per non pensarci nessuno.
    Vorrei non attaccarmi così alle persone, agli amici, ai banali conoscenti, fino a confidargli cose che non si meritano di sapere.
    Vorrei non dover dire queste cose neanche a te, ma almeno so che non ne riparlerai appena voltate le spalle.
    Che non te la riderai con gli amici di quel fesso e dei suoi problemi che problemi non sono, perchè sta proprio bene, e si lamenta anche!
    Ecco avere persone così accanto è come grattare un muro senza intonaco con le unghie.
    Fa un male cane, signor Nessuno, sai?
    Ecco cosa vorrei da te:
    Vorrei diventare nessuno.
    Si ecco non sarebbe male, visto che a nessuno si chiedono consigli, si chiedono favori, si chiedono pareri.
    E questo già lo faccio, oh se lo faccio!
    Però almeno tu puoi restartene zitto, nel buio, e questi signori mica si scocceranno di non sentire la tua voce che li rassicura, li aiuta, li capisce.
    Io non ho più voglia di questo.
    Voglio essere un altro nessuno come te.
    Per questo da domani mi nascondo e aspetto che mi trovino.
    E quando mi avranno trovato dirò loro che non ci sono più.
    Che non facciano più affidamento su di me.
    Che nessuno può aiutarli.
    Speriamo funzioni signor nessuno!
    Da domani ci provo.
    Stasera purtroppo ho un caro amico che...beh lui e la sua ragazza litigano... insomma tu te ne intendi di queste cose, no?
    Ecco, devo stare a sentirlo. Poveretto.
    Domani vedremo.
    Magari aspetto qualche ora e poi, verso le dieci, divento nessuno.
    Alle nove mi chiama sempre lei con i suoi problemi.
    E a lei, lo sai, non riesco a dire di no.
    Speriamo sia puntuale.
    Tanto tu mi aspetti no?

    Arrivo, fidati.

    Tuo,

    Qualcuno.

  12. #12
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    Predefinito Raccontino senza titolo - Barbo

    Barbo ha scritto dom, 22 gennaio 2006 alle 21:30
    E' brevissimo, solo una prova. Graditi commenti, specie se critiche.

    Un battito di ciglia e gli furono addosso. Avanzavano da tutti i lati, armi in pugni e volti segnati dall’odio. Girò lo sguardo intorno a sé. No, non c’erano vie d’uscita.
    Respira. Pochi passi. Respira.
    Sguainò la spada in un sospiro. E l’arma divenne parte di lui, portatori di morte.
    Il tempo era fermo quando i primi caddero. E la spada mulinò ancora, mutilando e uccidendo.
    Respira. Colpisci. Respira. Scappano. Respira.
    Il suo cuore riprese a battere e la punta dell’arma si abbassò fino a toccare terra.
    Un fruscio alle sue spalle. Poi dolore, un dolore tremendo gli esplose tra le spalle. Cadde.
    Una luce fortissima filtrava tra le cime degli alberi, oscurandogli gli occhi e il cuore.
    Respira. Respira. Respira.

  13. #13
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    Predefinito Una giornata particolare - Vurdak

    Vurdak ha scritto lun, 13 febbraio 2006 alle 10:10
    L'ho scritto a Dicembre, e ci ho dato una revisionata ora, dato che mi sono ricordato dove lo avevo cacciato
    Sono ben accette critiche costruttive. Spero che il linguaggio usato sia consono al forum.



    Una giornata particolare

    Si, e` stata proprio una giornata particolare..
    Ero in un bar, un bar molto fuori dagli schemi, uno di quei posticini che assomigliano un po` ad un incrocio tra un club prive` e la stanza di un criminale di un manicomio. Forse il barista era maniaco del bianco, o forse aveva voluto scegliere un arredamento tale che la memoria non poteva fare a meno di rispolverare le sceneggiature ultra-comode e spaziose dei punti di ristoro dell'astronave madre in 2001 Odissea nello Spazio, o forse gli erano avanzati svariati galloni di vernice. Questo termopolio era uno spazio bianco, che un po` ti incute terrore, ti fa un po insospettire, e riempe l'aria di deja-vu al punto tale che ti aspetti di trovare da un momento all'altro un tale vestito da spermatozoo o da particella di calcare come nelle due note pubblicita`. La cosa non mi preoccupava, ero in buona compagnia.
    Ero al mio solito, squattrinato e un po` pensieroso, avendo quasi di fronte a me, seduta nell'unico sofa` di tutto il bar LEI!!!, si, lei, la donna dei miei sogni. La morbidezza di quel divano mi procurava una piacevole estasi, interrotta soltanto dalle preoccupazioni riguardo alla dolce fanciulla, che si guardava in giro come a cercare qualche viso noto, senza mai incrociare il mio, cosa che alimentava i travasi di bile delle mie paranoie.
    Il sofa` sara` stato lungo 3 metri, e la disposizione era questa: io in una delle punte, lei in centro, ed un suo vicino parente nell'altra estremita` di quell'ammasso di comfort di colore bianco fosforescente. Il suo parente era zitto, immobile, con le braccia incrociate a fissare un punto nel vuoto, crucciato, inutile come un capolavoro di arte moderna, con il fascino che si possono trovare solo in attori del grado di Brad Pitt e Leonardo di Caprio dopo una serie di pere. Lui fissava ancora quel punto, non curante della ragazza e di me. “Poco male”, pensai.
    La dolcezza che emanava quel viso femminile mi attraeva sempre di piu`, era da un bel pezzo che ci provavo con lei, ma non riuscivo ad ottenere risultati concreti, tutto si limitava a trovarsi una volta ogni tanto (che in questo caso faceva rima con “anno”), un po` di saluti, i due bacini di rito, un po` di squilli insignificanti sul cellulare, un paio di sms quando capitava, forse durante le mestruazioni, e sorrisi fugaci quando ci si incrociava per strada, evento lo stesso assai raro. Io ero perso di lei, ammaliato dal suo sorriso e dai suo grandi occhi...azzurri? Marroni? Neri? Fucsia a pois verdi?
    Poco importa descriverla, immaginatevi un viso dolce ed una capigliatura che ti puzza di retro`, e l'avrete immaginata. E` un po` bassuccia di statura, e ricorda molto il prototipo di ragazza ferrarese. Niente di particolare, ma con una carica di tenerezza da far accaponare la pelle. Gli occhi grandi, i classici occhi grandi che sembrano ispirati da qualche manga giapponese, con la preoccupazione di genitori e la gioia degli oculisti per le migliaia di euro spese per gli eventuali occhiali, con delle lenti a contatto cosi` grandi da poter essere usate anche come poncio nei giorni di bufera. La bocca di lei era piccolina, con le labbra sottili, i denti bianchissimi al punto tale che quando rido devo coprirmi la bocca per la vergogna, o devo per forza voltarmi per evitare riflessi incontrollati che potrebbero bruciare le retine dei malcapitati, la faccina innocente ed altre menate degne di un romanzo Harmony (ad esempio...i capelli neri come la notte - o pececarboncorvino come fantasticava la Grotta dell'Eco Michael Ende nel suo Jim Bottone - che riflettevano romanticamente i raggi della luna).
    Contenti ora? Riprendiamo...
    Ad un certo punto, con mio gaudio, i sguardi si incrociano..poco importa se per insistenza mia o per casualita` (o volonta` sua), ma ora potevo guardarla intensamente e tentare di dire qualcosa di intelligente per attaccar bottone.
    E mentre penso.. Lei mi sorride, e ne rimango affascinato, estasiato, fulminato ed accecato, e mi sento come un bambino nella culla che ha appena ricevuto il biberon dalla mamma, con una sensazione di pace che riesce a pervadere tutto il mio corpo ed a posare in un angolo tutte le escoriazioni delle paure, insensate o meno, di prima, pronte a riprendere cio` che era loro al minimo segnale di fallimento o di dubbio.
    Mi sorride e si ritrae in se`, un po` imbarazzata, manco a farlo apposta per accrescere la mia voglia di tenerezza. Ad uno sguardo cosi` ad una non le chiedi di mettersi con te, ma di poterla usare come peluche per la notte...Le ricambio volentieri il sorriso e dico la mia frase intelligente:
    “Ciao”
    La risposta e` secca ma musicale, e mi vedo danzare un valzer seguendo il suo timbro vocale..
    “Ciao”
    Mi vergogno di me stesso quando sento uscire dalla mia bocca delle frasi che sembrano dette da un bambino, senza alcuna serieta`, senza una voce un po` grossa, maschile, virile. Mi sento una femminuccia isterica, o un disperato che non sa cosa dire. Come in effetti e`.
    “Dai, cosa fai li`? Avvicinati qua che parliamo un po`!”
    Voglio una dose di stricnina. Una sola, poi smetto.
    Lei mi sorride di nuovo, si ritrae ancora, e si avvicina tranquillamente, come se nulla fosse, senza l'imbarazzo iniziale, sospettando che la dose di stricnina forse non l'ho presa io, e posa la sua testa nel mio petto, ed ho la strana ma benefica sensazione di un ragazzo che guarda il suo amore dormire.
    Ho l'adrenalina a mille, un surrogato di emozioni buone ormai non mi fa piu` ragionare, e non riesco a riorganizzare i pensieri ormai, disorganizzati come le note in un album Industrial. E mentre gli Einsturzende Neubauten cantano il loro Tanz Debil nel mio cuoricino che si sta avvicinando al suo primo infarto, il mio cervello, che nel frattempo si avvicina all'ictus, riesce a canticchiare qualcosa di piu` romantico e tranquillo, ed a mo` della cantante dei Decadence sento l'eco di una voce: "Sono tuo...sono tuo...".
    La dolcezza in persona, il momento ideale per ogni uomo che conosca il significato del termine "romanticismo", rovinata da un piccolo particolare forse...il suo viso nascosto dai suoi capelli neri. Faccio per spostarglieli e, timidamente, li accarezzo...non per provarci, lungi da me farlo in quello stato psicologico, ma solo per avere una conferma, una prova sul fatto che lei possa essere minimamente interessata a me o no. Ho rischiato molto in passato con modi di fare del genere, ma l'abitudine non l'ho mai persa purtroppo.
    L'accarezzo per un po`, fino a prenderci gusto...era troppo orgasmica la sua pelle liscia e delicata...mi sento morire...
    ...E sul piu` bello, quando ormai avevo preso confidenza con quella massa di capelli, lei alza il suo visino verso di me, e scattando in avanti mi bacia.
    Oddio.
    Panico.
    Ma anche no.
    E` bello, vero?
    Certo ma...
    Ho un problema.
    Quando bacio una ragazza...di solito smette di piacermi...
    Perche`?
    Perche` scopro e capisco tutto di lei: se e` porca, se e` una santarellina, se ha l'alito che puzza, se bacia bene, e tante altre cose, che non fanno altro che far calare di centinaia di punti l'idea/ideale che mi sono fatto della persona.
    E difatti cosi` e` anche sta volta.
    Bacia in modo strano, volgare, senza alcun ritegno. Sembra quasi che stia baciando una lastra di vetro. Una cosa simile l'ho vista mio malgrado in uno di quei video giapponesi, quelli per li Otaku, che, dopo essersi ammazzarsi di pippe e di donne di volgari costumi, quando vogliono fare i romantici noleggiano il video e si godono la limonata con il televisore.
    Mi sento inglobare da quelle labbra, quasi mi voglia mangiare, ma dopo un po` smette, e ricomincia in una maniera cristiana. Per fortuna.
    Non tira fuori la lingua, altri 150 punti in meno (su 12).
    Ma poco importa. Mi sento nuovo, vittorioso, un Gugliemo Tell che ha beccato la mela, un Robinson Crusoe che e` tornato a casa,un Paperino che vede Gastone morire dentro l'autolavaggio, Robert Moore che riesce a fare la 5a elementare.
    Ho vinto. Io ho vinto.
    Ma il premio... me lo godo poco, anche se...
    Beh, sono un uomo, no? Certe cose fanno certi effetti. Sono un 19enne, e sono ancora nel fior fiore della maturita` sessuale appena acquisita, quindi certe cose possono far diventar dur...ehm..risvegliare parti del corpo con una certa sensibilita`.
    Lei se ne accorge, smette di baciarmi e mi guarda. Ha una faccia infastidita, seccata da qualcosa, forse dal mio arnese che si e` appena ricordato che ha le pile caricate da ormai troppo, TROPPO tempo.
    Un suo “Bah...” fa finire quel momento di perdizione, e riprende a baciarmi.
    Ma...che fa?
    Ma si sta strusciando su di me?!?!?!
    Oh no, lo fa sul serio!
    La salivazione mi aumenta, non capisco piu` nulla, sono perso tra l'amor piu` spietato ed il sesso piu` rozzo.. Mi gira la testa, ma realizzo ancora qualcosa.
    Sentire questo pezzo di figliuola che ormai sembra aver confermato l'ipotesi avanzata da antichi come Plutarco riguardo alla quale “Piu` sono sante e piu` sono...” (questa e` un'altra battuta NdA), e fa crollare tutte le mie speranze e le mie storie fantasticate su me e lei di un amore platonico o cavalleresco, della ragazza pura e vergine, senza alcuna macchia, che magari si concede dalla notte di nozze in poi e scopre quanto e` bello farlo con te. Solo con te. Ed e` forse quest'ultimo il sogno piu` irrealizzabile, almeno secondo l'ISTAT.
    Ho l'adrenalina che ha superato ogni travaso di bile mai provato prima! "Sto impazzendo" lo avro` pensato una decina di volte...tutto cosi` in fretta, tutto cosi` rapido..."Sto impazzendo"
    Intanto il parente di lei era ancora fermo a fissare nel vuoto, forse aspettava l'apocalisse.
    Per me era ormai gia` arrivato, e poco me ne importava..
    Lei si struscia ancora, e ancora, e sento chiaramente il suo inguine, coperto dai jeans, sfregare il mio, mentre le nostre labbra continuano ad assaggiarsi,a gustarsi, a scoprirsi, a denudarsi... Il cibo degli Dei e` l'amore, me ne sono convinto.
    Ad un certo punto stacca le labbra e, con fare da pornostar, socchiude la bocca e si mette a guardare in cielo, in posa estatica da far invidia al Buddha, sempre continuando quel dolce su e giu`. Vederla curvata verso l'alto come una contorsionista era divertente, sebbene in quel momento mi attraversava per il pen..ehm...per la mente tutt'altro.
    Chiudeva gli occhi mentre guardava il soffito, entrambi noncuranti del mondo attorno a noi. Non esisteva niente. Nulla. Ed ogni tanto mi guardava, con una faccia fredda, senza malizia, uno sguardo che era un pugno nello stomaco, con un fare degno di una attrice tedesca, di quelle che interpretano i ruoli sadomaso, che guarda la sua vittima con un disprezzo, ed io che godevo di quell'odio che in realta` era un piacere puro ma complesso, normale ma depravato. Non ragionavo piu`.
    Si avvicina sempre di piu` a me, e mi arrivano quasi i suoi seni in faccia. Sembrano perfetti. Si, lo sono. Tipo quelli che stanno nei bicchieri da champagne. Graziosi, artistici, da copertina di un Playboy di 30 anni fa.
    Sto per avvicinarmi ai seni per baciarli, estasiato, quasi colmo di morfina o di chissa` quale altra droga di cui passero` volentieri a fare uso, mentre il suo profumo mi inebria, come mi inebria la sua bocca ansimante, come mi inebriano i suoi occhi chiusi, come mi inebriano i suoi piccoli gemiti.
    Non e` la ragazza che stavo per amare, ma e` una ragazza che mi scoperei per tutta la vita. Vorrei sapere se ci ho guadagnato o perso..
    Le bacio i seni, bacetti leggeri e veloci, quasi a volerla mangiare, farla mia per sempre nel mio stomaco evitando a tutti i costi la digestione con chili di limone, e comincio a spogliarla con la mentre, sedurla in posizioni che farebbero rabbrividire il povero sig. Kamasutra, peccati che mi assicurerebbero la suite imperiale nel girone dei Lussuriosi, e che risuonerebbero negli altri dell'inferno al punto che i signori di quel girone verrebbero spostati in quello degli Invidiosi, coiti che mi permetterebbero di ricevere un attestato firmato da Rocco Siffredi, con urla e gemiti da raggiungere il rumore di due Boeing 747. E mentre fantastico, sempre baciandola in ogni parte che riuscivo a raggiungere, sento lei sussurrarmi, tra un gemito e l'altro, degnandomi di uno sguardo da essere superiore, fredda e distaccata, la frase semi-magica:
    “Ma******mi”
    Non aspetto altro. Senza pensare troppo la prendo e giro le posizioni; ora e` lei sotto di me, in mio potere.
    Mia.
    Sottomessa.
    Ora i ruoli sono invertiti. E vedrai chi e` il padrone qui, vedrai chi sapra` condurre il gioco... Ti faro` urlare, bambina, ringrazierai Dio per questo uomo e poi diventerai atea. Vedrai chi sono veramente, il mio potere nascosto, il significato di Virilita`... le mie dita d'oro le adorerai per tutta la tua vita!
    L'accarezzo velocemente in tutto il corpo, esitando di raggiungere quel punto. Ma il desiderio vince sul corpo, e la mano scivola si posiziona li`. Le sbottono i pantaloni, fissandola negli occhi, senza perdermi questa volta, mi avvicino per baciarla e per farle toccare il Paradiso..
    .
    .
    Adesso...
    .
    .
    DRIIIIIN
    DRIIIIIIN
    DRIIIIIIIIIN
    .
    .
    .
    .



    Epilogo

    Sono sudato. Nel mio letto. Solo.
    Sconfortato.
    Mi guardo intorno, non riesco a crederci, sembrava tutto vero! Ma realizzo che non poteva essere cosi`, non sara` mai cosi`.
    E mi metto a ridere, rido come un'idiota, come un disperato, come un innamorato, come un Trent Reznor, uno stolto che aveva sperato e creduto nell'impossibile, con l'incredibile desiderio di qualche kilo di autodistruzione. Forse rido per l'effetto morfina del sogno. Forse e` per via del mio sentimento. O forse e` l'effetto finale della stricnina.
    Mi alzo, accendo lo stereo, come se nulla fosse, come una giornata monotona e tranquilla, e vado a cercare una sigaretta. Magari riempita di polvere da sparo.

  14. #14
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    Predefinito Occhi - Mikk

    Mikk ha scritto lun, 20 marzo 2006 alle 18:43
    Già una volta avevo postato un racconto qua, non aveva avuto molte reply ma qualche consiglio prezioso lo avevo recepito. Provo a metterne uno nuovo, che in realtà ho scritto alcuni mesi or sono, ma ho riguardato solo oggi. E' lunghetto, però spero che qualcuno abbia voglia di leggerlo e, se sopravvive, fare un po' di critiche


    -------------------------

    Camminava lungo un sentiero brullo, fatto di terra e sassi. Gli alberi attorno alla via che aveva imboccato erano lance di legno che schizzavano al cielo altissime. Ogni tanto si fermava e guardava indietro. Pensava se avesse fatto bene a prendere quel sentiero, se non avesse sbagliato strada, se la destinazione non fosse da cercare altrove. Ma alla fine si diceva che lui si era scelto quel sentiero, e che quindi quella era la sua via, giusta o sbagliata che fosse. Tutto quello che avrebbe incontrato sarebbe solo stato frutto delle sue scelte. Certo, la legnosa muraglia infarcita di foglie che lo circondava gli dava proprio l’impressione che, scelta o non scelta, quella via si potesse percorrere solo in una direzione, senza deviazioni.
    A passo svelto incontrò ben presto quella che doveva essere la sua meta. Davanti a lui si apriva finalmente uno spiazzo. Era una piccola valle a conca, circondata, quasi in un cerchio perfetto, da una selva ben simile a quella che lo aveva accompagnato fino ad allora. Il sentiero prendeva a scendere dolcemente verso il centro della valle, scomparendo sempre di più nell’erba.
    Il viaggiatore non era in grado di capire se ci fossero altri sentieri che conducevano a quella vallata. La sua vista non era un granchè, e la foresta che circondava lo spiazzo gli appariva uniformemente fitta. Eppure qualche altro sentiero ben ci doveva essere, perché distingueva chiaramente alcune persone che stavano al centro dello spiazzo.
    Senza nemmeno pensarci, inconsciamente, prese a scendere il sentiero fino a perdere la via. Man mano che avanzava cominciava a distinguere sempre più particolari del gruppo di persone che lo stava aspettando. Riusciva a riconoscere questo o quest’altro cugino, ecco là uno zio. Sì, era nel posto giusto, si diceva. Da cosa lo aveva capito solo lui lo sapeva, dato che non aveva alcuna informazione su quale fosse “il posto giusto”.
    Si sedette nel primo spazio vuoto che trovò, salutando quello e quell’altro, ma senza mai cominciare davvero a parlare con qualcuno. Era più che altro incuriosito dalla presenza di altre persone che in effetti proprio non conosceva. Poi ebbe un sussulto, guardando una parte che ancora non aveva degnato d’attenzione. A fianco di un uomo che non aveva mai visto prima stava lei.
    Era sdraiata con la schiena rivolta al cielo e la faccia che osservava quell’uomo, quindi il viaggiatore poteva solo distinguerne a grandi linee la sagoma o vederle i capelli. Mossi, rossicci. Tanto gli bastava. La sua fata era sdraiata lì, probabilmente non lo aveva ancora visto. Parlava con quell’uomo, e il viaggiatore si sorprese di non riuscire proprio a riconoscerlo. Eppure, si diceva, se lei ci parla così dovrei sapere chi è.
    Aveva sentito dire da qualcuno che l’amore è un pigro mostro che sonnecchia nella sua tana, perché vuole essere cercato e trovato. Un mostro da cui si va in ginocchio, a pregarlo di essere morsi. Un morso che infonde in cuore e sangue una forza che far stare male. Lui non ci aveva mai creduto in fondo. Aveva pensato più all’amore come una leggera fata, che vive da sola sulle rive di un ruscello dorato. Una fata che soccorre chi smarrisce la via, ma che aspetta sempre qualcuno, con cui rinunciare per sempre alla sua solitudine.
    Lui aveva la sua fata lì, davanti agli occhi. Ora si muoveva, si voltava supina a guardare il sole e poi ancora quell’uomo. Una grazia leggera dominava i suoi movimenti. Il viaggiatore in quel corpo che strusciava il terreno, in quei capelli che si confondevano tra i fili d’erba, in quelle gambe che sollevavano il resto del corpo sfiorandosi tra di loro, pelle su pelle, cercava di vedere le ali che sicuramente quella fata teneva nascoste agli occhi di tutti.
    Lei ancora non lo guardava, anche se lui ormai si era fissato. Per i pochi attimi in cui la ragione riprendeva possesso della sua mente gli sembrò sconveniente fissarla in quel modo. Stava anche ignorando tutti i presenti. Ma non poteva fare a meno di sentire che c’era dell’altro dentro di sé. Un… desiderio… si vergognava a trovare altre parole, e anche questa lo scandalizzava. Desiderava quella fata. In altre circostanze, si sarebbe preso a pugni da solo per una cosa del genere. Ma non ora, non con lei davanti. L’unica cosa che poteva fare era nascondere quel desiderio, perfino a se stesso.
    L’inquietudine nello stare ferma portava quella fata a cambiare di continuo posizione. Pareva muovere con veli invisibili l’aria, che si spostava a suo comando nell’accompagnare ogni suo gesto. Il viaggiatore sentiva sulla sua pelle quella frescura che si muoveva, e gli vennero i brividi. Poi lei alzò finalmente gli occhi e lo vide. Sorrise. Un sorriso tanto dolce che il viaggiatore si spaventò, e indietreggiò col corpo. Lei non smise di rivolgergli quell’incantesimo tanto forte e alla fine lui si arrese, dato che cominciava persino a tremare per quel candore di denti. Lui disse, solo con le labbra (non seppe nemmeno lui il perché):
    “Ti devo parlare”.
    La fata allargò ancora di più il sorriso. Aveva forse la felicità più pura immaginabile. Si alzò leggera, ma decisa, come se non aspettasse altro. Disse due parole, all’uomo che le stava vicino, forse congedandosi.
    Il viaggiatore non si perse nemmeno un movimento di quel corpo. Lei si aiutò con le mani per mettersi in piedi, poi si sistemò i capelli agitandoli. Le vesti, stropicciate dal movimento a terra, si riadattarono al suo corpo. Aveva una maglia grigia, che ricadde sulla pancia leggera, avvolgendola delicatamente. I piccoli fremiti della sua pelle si misero in moto, e si avvicinò al viaggiatore. Lui era pietrificato, seduto a terra. Lei lo guardava ora dall’alto in basso. Lui non mosse neanche la testa, solo gli occhi, che osservavano i suoi, quasi volessero scappare dalle orbite per abbracciarla.
    La fata decise di chinarsi e passò a poca distanza dal viaggiatore. Lui poteva sentire il respiro della sua pelle da quella distanza. Alla fine lei si sedette lieve alla sinistra del viaggiatore. Poi si sdraiò e cominciò a guardare quell’azzurro infinito che li sovrastava. Anche lui guardò il cielo. Sembrava dirgli: “Lei è lì, è la tua fata, lei è lì”. Decise di sdraiarsi accanto a lei.
    Erano così, distesi per il lungo, l’uno accanto all’altra. D’improvviso il viaggiatore si rese conto che tutti gli altri se ne stavano andando via. Raccoglievano le loro cose, parlicchiavano tra di loro e si avviavano lungo chissà qualce sentiero. Tutti, nessuno escluso, nemmeno l’uomo che prima parlava con la sua fata. Lei non salutò nessuno, lui neanche e gli altri si comportavano quasi come se loro due non esistessero. Come se loro due non fossero sdraiati l’uno accanto all’altra.
    Il silenzio che nacque fu totale. Perfino gli uccellini sembrarono capire che cosa stava riempiendo ora quella vallata e decisero di intonare un muto canto, per rispetto di quei due corpi vicini. A chiudere gli occhi si poteva sentire il fiato delle grandi nuvole bianche che volavano indifferenti a chissà quale distanza.
    Il viaggiatore sentiva qualcosa di strano in quel silenzio, come se a udire suoni non fossero le sue orecchie ma la mente stessa. E provava un brivido sulla faccia. Capì perché. La fata non guardava più il cielo, ma guardava lui. Prima continuando quell’eterno e dolce sorriso di prima, poi facendosi via via più seria. La sua faccia divenne meno importante per il viaggiatore, che adesso era completamente rapito dagli occhi di lei. Come se non potesse vedere null’altro, il suo universo in quegli attimi era un’enorme fascio di luce bianca e due occhi al centro. I suoi.
    Erano azzurri, un azzurro spento, quasi grigio. Trasparenti come l’acqua che scorre lenta in un lago, nettare di vita per gambi di violette. Un’acqua in cui vedere il suo riflesso di viaggiatore senza meta che cammina nel riverbero di cime innevate. Un’acqua capace di onde timide che solleticano le ginocchia, o di una tempesta che stravolge la vita. Un’acqua che aveva bagnato mille sassi, che li aveva rigati per sempre, ma che vi era scivolata via senza farsi accarezzare. Nessuno può dire di aver posseduto l’acqua, nessuno può dire di averla ferita. Ed ora quell’acqua scorreva sopra di lui, poteva sentire la frescura del suo abbraccio. Gli riempiva gli occhi ora. Avrebbe voluto che quella visione non si interrompesse mai più. Mai più. Adesso era capace di vedere il volto di lei anche senza guardarla. Anche se fosse stata lontana o se fosse volata via per sempre.
    Forse passò quell’attimo magico in cui il viaggiatore si era perso negli occhi di lei. Un rumore ruppe il gigante di silenzio che abbracciava quella vallata. Altre persone, da altri posti, da altre fessure del bosco fitto stavano entrando nello spiazzo verde. In un carnevale di suoni e di luci, di voci e di musica, tutta la magia che era presente forse scomparve. Una moltitudine chiassosa li invase, senza considerarli molto, sempre come se quei due corpi non fossero lì. Forse erano loro la vera espressione di ciò che deve essere una vallata in montagna bagnata da un sole così limpido. Ma il viaggiatore non potè fare a meno di sentirsi disturbato da tutti loro, come se avessero rotto quello che c’era tra lui e la sua fata.
    Si voltò verso di lei. Non lo guardava più. Non aveva più neanche quel sorriso a dipingerle sul volto l’essenza stessa della felicità. Stava guardando dell’altro. Lui cercò nella folla rumorosa se ci fosse qualcuno che avesse destato l’attenzione della sua fata. In realtà fu lui attratto dalla strana figura di un drugo biancovestito, con bombetta e bastone neri. Non gli diede improtanza però. Gli importava solo di lei.
    Aveva tirato fuori da chissà dove un bicchiere, era quello che stava guardando prima. Si alzò seduta. Il viaggiatore era così immerso in una atmosfera onirica da fermarsi stupito anche a guardarle la schiena. Poi si alzò anche lui, perché troppa era la curiosità verso quello che stava facendo la donna seduta al suo fianco. Vide che sorseggiava dal bicchiere, un qualcosa che era bianco puro. Latte forse? Impossibile dirlo. Quel liquido non le sporcò le labbra e sembrò soddisfarla dopo solo un lieve sorso. Il bicchiere era ancora quasi pieno.
    La fata tornò ad interessarsi al suo viaggiatore. Lo guardò e vide lo sguardo che albergava sul suo volto. Gli porse il bicchiere, come a chiedere se ne volesse un po’. Lui accettò subito, immediatamente, senza mostrare nemmeno un attimo di esitazione. Prese il bicchiere in mano e lo guardò come se fosse una reliquia sacra. Poi, prima di bere, lanciò un’occhiata alla fata. Un’occhiata che nemmeno lui sapeva cosa volesse dire, ma che immaginava potesse esprimerle tutta la complicità di cui era capace.
    Avvicinò il vetro alle labbra. Lo guardò attentamente, girandolo proprio nel punto esatto dove una piccola goccia di liquido bianco disegnava le labbra di lei. Bevve da lì, quasi ostentandolo. Mentre beveva la osservava. Ne prese un lungo sorso, poi staccò la bocca dal vetro e lo porse di nuovo a lei. Sempre con lo stesso sguardo, sempre con una gran voglia di parlarle nel cuore.
    Lei accettò di prendere il bicchiere che tornava nelle sue mani. Ma i suoi occhi erano cambiati. Il viaggiatore si sentì precipitare lungo il più nero e disperato burrone che possa mai esistere. Lesse in quegli occhi da fata del disgusto. Volle credere, mille volte credere, di sbagliarsi, di non aver letto quello che invece sapeva di aver visto. E ne ebbe la conferma quando vide che la fata si apprestava a dare l’ultimo sorso al bicchiere. Ma questa volta, proprio con un gesto ostentato come fu quello del viaggiatore, bevve da un altro punto del bicchiere. E lo fece proprio per farlo vedere a lui, ne aveva la certezza. La fata si alzò in piedi. Ora lei camminava per andarsene e perdersi nella foresta.
    Il viaggiatore rimase immobile. Sentì che poteva tutto finire in quell’istante. Nella sua vita era tutto finito così.

    No. Questa volta no. Erano lacrime quelle che aveva visto bagnare i suoi occhi? Il viaggiatore capì. Non era repulsione quella che lei aveva provato. Si alzò in piedi e corse verso di lei, fino alla soglia di quegli alberi fitti.
    “Non devi venire” disse lei quando lo vide “In questo bosco più si va avanti e più ci si perde. I rami si annoderanno alla gola e il fango inghiottirà i corpi”.
    Il viaggiatore sorrise. Era la prima volta in tutta la sua vita che si sentiva così. Prese per mano la sua fata. Ed entrò con lei nel bosco.
    -----------------------

  15. #15
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    Predefinito Volevo salutare il gatto - Originalzat

    Originalzat ha scritto mer, 05 aprile 2006 alle 19:30
    era ritornato in quella casa, testimone di numerosi episodi mesi prima.
    aveva rivisto le pareti con la verniciatura in rilievo, la porta di legno con i cristalli opachi e lei. il suo sguardo era fisso su di lui.

    infastidita da lui.

    gli aveva detto di non ritornare, che non lo voleva più vedere, che la irritava la sua presenza. lui non l'aveva ascoltata e si era presentato sotto casa recando un piccolo omaggio in dono: un orsetto con dei piccoli cioccolatini legati dietro.

    regalo che lei soppesò, e appoggiò subito dopo sul tavolino.

    se ne sarebbe ricordata quando lui se ne fosse andato poco dopo e avrebbe mangiato avidamente i cioccolatini, buttando il pupazzetto nel pattume.

    le faceva pena.

    lui, scorgendo la micia che sbucava dalla porta per vedere chi era il nuovo ospite (la quale, accortasene, si fiondò a velocità-luce nuovamente dentro casa) proruppe in un infelicissimo: "volevo salutare la gatta. mi è mancata".

    lei era evidentemente scocciata.

    con una smorfia entrò in casa dandogli le spalle e avviandosi controvoglia verso il salotto, quasi ad asserire che quella visita sarebbe stata più breve di quanto lui si aspettasse.

    la sister si stava truccando in reggiseno nel bagno e dalla porta aperta, vedendolo caracollare incerto ed ingobbito su quel parquet che tanto spesso lo aveva fatto sentire a disagio gli aveva mandato un sonoro: "ciao sfigato!"

    lui l'aveva sempre odiata.
    lei lo considerava una cacca.

    la sister continuò a truccare quella faccia da pompini noncurante di quell'odio.

    lei era vestita con un pigiamone lungo dai pantaloni troppo larghi che comunque non riuscivano a coprire le orrende pantofole di pelo marrone, regalo del suo primo ex mai dimenticato ed oggetto di numerose fantasie sessuali, sia solitarie che praticate durante gli svogliati coiti con lui, a lei sempre carissime.

    era struccata.

    aveva un fazzoletto di stoffa raggomitolato e saturo di muco infilato nel risvolto della camicia.
    gli occhi rossi, lucidissimi, enormi.
    lo fissava con odio.
    le chiese un bacio.
    lei gli disse che se era venuto per quelle cavolate poteva anche andarsene.

    lui appoggiò la bombetta che portava in testa sul tavolo e si sedette su una sedia. lei si mise nella sedia più lontana, lievemente scostata, lo sguardo a ricambiare quello del vuoto.

    la sister passò col suo reggiseno, noncurante dell'odio, e si fermò davanti ai fornelli. accese il gas e iniziò ad aspirare ad ampi polmoni.

    lei prese il fazzoletto che era infilato nella manica ed inizo a stenderlo bene sul tavolo. lo pareggiava con le mani che si tuffavano avide in quel liquame, in quella pozza di muco.
    lei faceva strane espressioni con la bocca: "non avresti mai dovuto essere geloso. ti incavolavi per niente. ti facevo le corna ma non era il caso di dirtelo".

    la sister sogghignò con la testa schiantata sul forno della cucina e il culo quasi in faccia a lui che a quel punto si tolse gli occhiali col naso finto da carnevale e li appoggiò in terra.

    lei continuava a masturbare il fazzoletto di stoffa, gonfiando le guance a dismisura e fissandolo come il più iracondo dei pesci palla.

    la sister sogghignò ed emise un tonante rutto che fece trasalire micio numero 2.

    micio numero 2 non aveva l'uso delle zampe posteriori. non era nato così. la sua mamma aveva nascosto la cucciolata su un piano rialzato e lui sventuratamente era caduto. trovatolo miagolante a terra lo avevano riposto tra gli altri mici, e non si curarono del fatto che non riuscisse a stare in piedi. nemmeno gli altri suoi fratelli ci riuscivano. e nemmeno loro se ne curavano. la madre neppure.

    regnava il nichilismo in quella cucciolata.

    crescendo videro che era l'unico che si trascinava mentre gli altri facevano tutto ciò che fanno normalmente i mici di quell'età: cioè aspirare ampie boccate di gas indossando bombette.

    incuriositi e compiaciuti dalle pigre attitudini di quel micio decisero di tenerlo affogando gli altri.

    micio numero 2 visse per 13 anni dentro a una cassetta di legno. aveva sviluppato notevolmente le zampe anteriori. si cagava addosso e la mattina lo trovavano riverso nella sua cacca.

    lei gli chiese di andarsene. lui si tolse i denti finti da dracula e li mise nella cassettina di micio numero 2

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