Evidentemente i preparativi per la guerra in Iraq e la crisi economica mondiale non sono un motivo sufficiente per lasciar perdere questioni decisamente meno importanti: tra qualche settimana il senatore Joe Baca, repubblicano della California, riporterà sul tavolo il tanto discusso "Protect Children from Video Game Sex and Violence Act", proposto già più di un anno fa e scavalcato da prorità più impellenti, il terrorismo e la sicurezza nazionale. Lo scopo di questa legge è il medesimo: rendere un crimine federale la vendita o il noleggio di videogiochi violenti ai minori di 18 anni. Nella prima versione, che tirava in causa principalmente gli sviluppatori, molte furono le critiche, a partire ovviamente dalla lobby dell'industria di settore, e riguardavano tutte il Primo Emendamento, quello che stabilisce la libertà di espressione.
Il nuovo testo di legge ricalcherebbe invece un'ordinanza della città di St. Louis, che rende illegale la vendita e il noleggio di videogiochi violenti a un minore senza il consenso di un genitore/tutore. Anche in quel caso le aziende si appellarono al primo emendamento, ma un giudice della corte federale diede ragione alla città (ricordate? I videogiochi non sono espressione creativa). Nella nuova bozza si amplia anche il raggio d'azione della legge, che "colpisce" non solo i rivenditori, e potrebbe finire con il coinvolgere anche i net-cafè.
La questione è in discussione ormai da anni, ma sembra non giungere ad uno sbocco definitivo. Non capisco francamente per quale motivo continui a sfuggire a tutti la soluzione più semplice e banale di tutte: copiare pari pari la legislazione attuale che esiste per i film e le riviste: una commissione (ufficiale) valuta e classifica i videogiochi, e i venditori devono attenersi alle sue decisioni. Come non si può vendere una copia di Playboy o il dvd di Henry Pioggia di Sangue a un bambino di dieci anni, allo stesso modo Soldier of Fortune 2 e Grand Theft Auto. Ma è così difficile arrivarci?