Quand'ero piccolo e mi divertivo a fare il game designer (ossia ad immaginare qualche videogioco che avrei voluto/potuto scrivere), il denominatore comune di ogni idea era quello della totale libertà di azione da parte dell'alter ego giocante. Mi spiego con un esempio: se mi fossi trovato in una stanza chiusa da una porta, e dentro la stanza ci fosse stata solo una sedia, avrei dovuto poter provare a sfondare a calci la porta, sfasciare a gomitate la sedia per poterne estrarre i chiodi, che avrei potuto utilizzare come grimaldello per la serratura... Credo che abbiate capito. Il primo limite di questo approccio forse un po' troppo semplicistico era l'impossibilità di classificare il genere del gioco, che spesso viene determinato proprio dalla tipologia di azioni possibili. C'erano in ogni caso due problemi - allora - insolubili: la potenza di calcolo richiesta per modellare e per far girare un universo così completo, e un controller che mettesse il giocatore in grado di compiere comodamente ogni azione. La domanda che mi/vi faccio oggi è tuttavia un'altra: è davvero necessaria una simile libertà di azione/scelta in un videogioco? Serve davvero essere così liberi, o poter fare così tante cose? Personalmente credo di no; gran parte del divertimento di un videogame sta anche nel vivere e interagire all'interno di un mondo "limitato", con regole diverse dal nostro, ma che possiamo dominare (vincendo), diversamente da quanto avviene nella realtà.