Ieri sera ho letto un articolo intitolato "Allarme videogame" sull'inserto femminile di Repubblica di sabato (un po' in ritardo, che ci volete fare, non è esattamente il mio genere di lettura preferito). E già mi preparavo a leggere le solite cose... E invece no! Diversamente dal solito, il pezzo di Daniela Fabbri cercava di proporre in maniera acritica e ben equilibrata le due visioni del mondo videoludico, quella di chi lo vede come "il male", che porta alla perdizione i giovinastri che vi si dedicano, e chi invece lo difende a spada tratta, richiamandone in particolar modo la funzione catartica.
L'articolo chiude con due osservazioni, entrambe perfettamente condivisibili: la prima è che in passato ci sono stati parecchi fenomeni (dal rock'n'roll alla televisione) bollati agli inizi come "eversivi", colpevoli di tutte le trasgressioni possibili e immaginabili, e i videogiochi parrebbero rientrare perfettamente in questa categoria. Come dire: solo il tempo ci darà giustizia, noi intanto giochiamo e ce ne freghiamo di quello che dice la gente.
La seconda osservazione è che, come nelle discussioni sulla politica, sullo sport, sulla guerra, le due posizioni sono estreme, agli opposti, inconciliabili: la discussione assume sovente i toni di una diatriba ideologica, finendo (tranne qualche isolato ed illuminato caso) ad arroccarsi sulle proprie posizioni pur di non cedere di un millimetro alle argomentazioni dell'altro... Il che, nel caso dei videogiochi, è un problema, ma neppure troppo grande. In altri ambiti, invece, un simile approccio risulta quantomeno poco costruttivo...