Alla fine è successo quello che era inevitabile e deciso da tempo: la guerra è cominciata. È successo ieri notte, poche ore prima che salissi su un aereo diretto a Francoforte per assistere ad una presentazione della Blizzard. Mentre percorrevo l'autostrada che da Malpensa mi avrebbe riportato a casa, questa notte, con lo stomaco in subbuglio per la pesantezza del cibo tedesco e gli occhi pesanti dal sonno, pensavo alle mille cose che devo fare oggi, alle news ancora da scrivere, al nuovo contest of the week da mettere online quanto prima, all'editoriale che sto scrivendo, e pensavo anche ai cannoni che hanno cominciato a far sentire la loro voce. E non vi nascondo che per un po' ho avuto l'impressione che, di fronte alla guerra e alle tragedie che si porta sempre con sè, il parlare di videogiochi sia decisamente, come dire... futile. Non mi vengono altre parole; il mio lavoro, come quello di tutti qui in redazione, è parlare di divertimento e di intrattenimento, e non vi nascondo che in queste ore mi è difficile affrontarlo.
Però ho pensato anche ad altre due cose: che la gente, in mezzo a tante notizie e bollettini di guerra, può aver voglia, desiderio e bisogno di qualcosa che distragga la mente, e che il mio lavoro consiste anche e soprattutto in questo. Potete considerarla la versione seria della frase "è uno sporco lavoro, ma qualcuno deve pur farlo", se volete.
La seconda cosa è che non accettare di svolgere il proprio lavoro (e lo dico a prescindere dal lavoro che svolgo) di fronte ad una crisi come questa equivale a non prendere l'aereo per Francoforte: significa accettare che il terrorismo ha vinto, che la nostra vita non è più libera come lo era prima. Forse, in parte è già così; ma io su quell'aereo ci sono voluto salire lo stesso...