Piccola lezione di informatica: quando spedite un'email, il pacchetto di byte che la compone (a sua volta spezzato in tanti pacchetti, ma la semplificazione non cambia il cuore del problema) non arriva direttamente sul server da cui il destinatario la scarica, ma passa attraverso numerosi computer sparsi per il mondo, venendo via via instradato verso il punto di arrivo. È Internet baby, funziona così. Per una brevissima frazione di secondo, quindi, prima di riprendere il suo spesso lungo ma sempre breve viaggio, il messaggio risiede su computer diversi da quelli a cui è effettivamente destinato. Che da oggi diventano terra di nessuno.
Una sentenza della corte federale di Boston ha infatti stabilito che le restrittive leggi sulla privacy NON si applicano ai messaggi di posta elettronica che risiedono (anche per un millisecondo) sui server destinati a "smaltirli", rendendo di fatto lecito che qualcuno - governo o altri - li possa leggere. E fino a quando è il governo, passi: in nome della sicurezza (o presunta tale) abbiamo imparato a rinunciare a tante cose; le regole che si sono dati i provider a tutela della privacy dei propri abbonati faranno probabilmente sì che anche questa ulteriore deroga alla nostra privacy non abbia grandi ripercussioni. Intanto io, che agli amici scrivo sempre scherzosamente mail con un sacco di vocali (del tipo "che belloooooooo"), ho cominciato a ricevere spam intitolato "nooooo", che per adesso non viene filtrato. Evviva.