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Discussione: Kid Ego

  1. #1

    Predefinito Kid Ego

    Ciao.

    Siccome me la menano dicendo che scrivo bene volevo sapere che ne pensavate qui, che è la "sezione seria" del forum per questo tipo di cose.

    Questa sezione è ancora frequentata, vero?

    Vi posto un raccontino recente, mi piacerebbe avere il vostro parere... Consigli, critiche cattive...

    P.S. Non sono così razzista e volgare come i testi che ho postato in J4S lascerebbe intendere. E' solo che mi piace scrivere di cose che conosco!

    Spoiler:

    L’Omone dei Cavalli

    C’è stato un tempo in cui anche io, da bimbetto, fui un assiduo frequentatore di sale giochi. Al giorno d’oggi stanno ahimé scomparendo, per non dire che sono già scomparse, ma non è di questo che ci occupiamo oggi.

    All’epoca io e il mio compagno di merende passavamo i pomeriggi in un tugurio che era diventato il nostro paese dei balocchi, noto con il nome di “Sala Giochi da Paolo”. Era imboscata dietro una bettola che serviva pranzi e cene di pizza e birra a volontà, menu fisso a 10.000 lire. I clienti erano tutti troppo pieni e troppo ubriachi per venire a spendere qualche gettone nei cabinati, quindi per la maggior parte del tempo non c’era mai nessuno; a parte noi e il gestore, ovviamente. Era un tipo smilzo con gli occhialetti e i capelli a spazzola, con l’aria da maniaco sessuale. Se ne stava dietro la cassa e guardava la televisione. Pareva contento così. Mi sa tanto che soffriva terribilmente la calura estiva, infatti l’aria condizionata lì dentro era sempre sparata al massimo. Fu così che mi beccai la mia prima otite.

    I cabinati là dentro erano fantastici, l’orgasmo di ogni ragazzetto che avesse qualche banconota in tasca e la passione per i videogiochi. Portali arcani verso nuove e straordinarie dimensioni. I giochi che hanno segnato quell’epoca c’erano tutti, incomparabili per qualità a quelli di cui potevamo disporre a casa. Golden Axe, Final Fight, Street Fighter 2, Pang, Out Run… Quando la villeggiatura era finita te li continuavi a sognare fino all’estate successiva.

    Noi giocavamo un po’ a tutto… O per lo meno ci provavamo. Non eravamo molto padroni del mezzo. Eravamo soldi di cacio, le nostre teste a malapena arrivavano alle pulsantiere e quindi ci dovevamo arrampicare sugli sgabelli. Una volta inserito il gettone ci prendeva l’ansia da prestazione, picchiavamo sui pulsanti e smanettavamo con la levetta con commovente entusiasmo; ma i risultati non erano granché. A noi però bastava: dopo un minuto di estasi in cui ti abbeveravi a quei suoni e a quegli sprite enormi eri di nuovo in pace col mondo. In genere la CPU ci brutalizzava nel giro di qualche decina di secondi. Una volta a Street Fighter 2 vinsi un round, per poi essere barbaramente sconfitto dal feroce Zangief per 2-1: parlammo di questa mia impresa fino alla settimana successiva, manco avessimo visto una donna nuda per la prima volta.

    Anche quando i nostri pochi gettoni finivano, noi restavamo lì: a far finta di giocare, mentre sullo schermo scorrevano le demo, o a importunare qualche raro avventore di passaggio.

    Ricordo un gioco che non ci andava proprio a genio. Anzi, lo disprezzavamo proprio. Dopo averci perso qualche gettone, lo eleggemmo a pecora nera della sala giochi. Era uno di quei simulatori di corse di cavalli. Forse eravamo troppo giovani per apprezzare il sottile brivido della scommessa e dell’azzardo. Inserivi la moneta, consultavi qualche schermata di statistiche inutili e sceglievi il tuo cavallo. Poi la gara partiva, e da lì in poi eri solo spettatore: in genere il tuo prediletto partiva fortissimo e si faceva ¾ di gara in testa. Già pregustavi la vittoria quando negli ultimi 100 metri finiva sfiancato e superato da tutti. Ed era già game over. Che tristezza!

    E qui entra in scena il protagonista della nostra storia: quel giorno arrivammo alla sala giochi al consueto orario, subito dopo pranzo. Vedemmo questo uomo enorme, appollaiato su uno sgabello, posizionato davanti al “gioco dei cavalli”. “Ma chi è questo? Che starà facendo?”. Ci avvicinammo incuriositi. Era un incrocio tra Bud Spencer e Mario Brega. Profumava di arancio. Strano, perché era sporco da fare schifo. Un paio di jeans sudici e macchiati, una polo nera piena di forfora… E questo barbone nero e unto, e questi capelli trasandati e svolazzanti… Che personaggio fiabesco! Provavo attrazione e repulsione insieme. Che fosse uscito da uno dei cabinati, che fosse un personaggio di quei giochi meravigliosi che improvvisamente aveva deciso di vivere una vita propria? No, questo era tangibile… Tangibilissimo. Fin troppo. E poi non assomigliava per niente a Zangief. Era troppo grasso. Zangief è grosso ma i muscoli ce li ha. E poi si era messo a giocare, in genere la gente quando va in ferie non vuol sentir parlare di lavoro. Perché per i personaggi dei videogiochi dovrebbe essere diverso?

    Veniva tutti i giorni. Sempre vestito alla stessa maniera, e sempre profumatissimo. Cambiava la sua bella banconota da 50.000 lire e si faceva dare un sacchetto di gettoni. Dopodiché li infilava tutti (tutti!) nel gioco dei cavalli e si piazzava lì per delle ore. E cazzo, vinceva! Vinceva sempre! Passava qualche minuto a consultare la schermata delle statistiche, come se quei numeretti e quei grafici significassero veramente qualcosa. Sceglieva uno o due cavalli e poi si guardava la gara con l’aria tronfia di chi sa già quello che accadrà. E infatti lo sapeva. Magari il suo cavallo partiva lento, poi recuperava e vinceva per distacco. Oppure partiva fortissimo, si spompava ma arrivava comunque davanti a tutti. Tutto questo aveva qualcosa di soprannaturale. Alla fine del pomeriggio l’omaccione schiacciava il tasto di “pay-out” e i gettoni cominciavano ad uscire dallo scivolo sottostante, moltiplicati magicamente per dieci o per cento rispetto a quelli che aveva inserito. Per uscire tutti ci impiegavano minuti interi. Lui li agguantava a badilate, con le sua manone enormi, e se li infilava nei tasconi dei jeans bisunti. Ci impiegava anche un quarto d’ora, a riassorbire tutto quel capitale. Dopodiché si alzava, salutava il gestore e poi usciva tintinnando di monetaglia per tutto il viale. E dove andava? Chi può saperlo. Arrivammo a pensare che si trattasse del proprietario di qualche sala giochi concorrente, che voleva portarsi via tutti i gettoni per costringere questa a chiudere bottega. Improbabile. Era soltanto un poveraccio come noi, un comune mortale costretto dalla famiglia a farsi le vacanze al mare pur odiando visceralmente il sole e la sabbia.

    Divenne il nostro mito. Passavamo ore e ore a guardare le sue vittorie, con muta ammirazione. Ci fece rivalutare il “gioco dei cavalli”, improvvisamente non pensavamo più che fosse così noioso. Quando non c’era facevamo anche noi qualche tentativo: sognavamo di diventare bravi come lui, di vincere un oceano di gettoni e di giocare di rendita per il resto dell’estate. Ma purtroppo non eravamo che pallidi imitatori, del tutto sprovvisti della sua maestria. Dopo due settimane, quando non lo vedemmo più, ci rimanemmo malissimo. Probabilmente le ferie erano finite ed era ripartito sulla via di casa, con la famiglia al seguito. Chissà che fine avevano fatto tutti i gettoni che aveva vinto… Li aveva portati con sé? Per farne cosa? O magari li aveva messi al sicuro, dentro un baule di legno e ferro battuto, e sotterrati sotto la sabbia dorata di qualche stabilimento balneare della costa… Sicuramente sono ancora là, in attesa che qualche fortunato ragazzino ci si imbatta mentre costruisce il suo castello di sogni e sabbia.



  2. #2
    Lo Zio L'avatar di Zephir
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    Predefinito Riferimento: Kid Ego

    Non sono nessuno per giudicare, ma personalmente mi piace il tuo stile.

  3. #3

    Predefinito Riferimento: Kid Ego

    Grazie.

    Oggi se riesco ne posto un altro... Questo forum è sempre così poco frequentato?

  4. #4
    Lo Zio L'avatar di Zephir
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    Predefinito Riferimento: Kid Ego

    Boh, io lurko di quando in quando, non sono uno degli "autoctoni"...

  5. #5

    Predefinito Riferimento: Kid Ego

    Hola! Avevo già letto i tuoi topic in j4s e devo dire che il tuo stile mi piace molto, se ne posti altri io sono qui a leggerli.

    Purtroppo questa sezione sta candendo a pezzi... peccato era pure bella vedrò se posso anch'io postare di nuovo qualcosa, ma sono preso come le bombe, poiché io, a differenza di zephir, ho 3 esami da recuperare

  6. #6

    Predefinito Riferimento: Kid Ego

    Grazie.

    Sì, in effetti è un po' un peccato che ci sia così poca gente. Mi sono accorto di questa sezione soltanto recentemente, in genere il forum di TGM lo lurko e basta. Peccato perché qui si trovano certe perle...

    Vi posto la prima parte di un altro raccontino, ma questa è roba un po' più vecchia.

    Spoiler:
    Nadia

    Ricordo che non andavo volentieri al mare. Ma i miei avevano la casa là, che potevo farci? Ogni anno prima di partire era una tragedia. Pestavo i piedi, piangevo… Li imploravo di lasciarmi a casa e di mettersi d’accordo coi vicini perché venissero a darmi da mangiare, come si fa col gatto. Ma non c’era verso, bisognava andare. Sole, sabbia ed eritemi solari mi attendevano.

    Nonostante andassimo nello stesso posto ogni anno, non mi ero ancora riuscito a fare un amico che fosse uno. Ero sempre da solo come un cane. Finiva che mi aggregavo alla compagnia di mio fratello. Anche se sarebbe più corretto dire che mi prendevano su loro, mossi da pietà. Oltretutto non ci azzeccavo niente con quella gente, mio fratello aveva cinque anni più di me e quelli erano tutti suoi coetanei. Chi più, chi meno. Ero la classica quinta ruota del carro. Anzi, visto che loro erano una quindicina sarebbe più giusto dire che ero la sedicesima. Manco negli autoarticolati ce ne sono così tante. Si fa prima a dire che non contavo un cazzo. Per loro ero più una scocciatura che altro.

    Non ricordo con grande affezione quei personaggi. Tutti spariti nelle nebbie del tempo e della memoria, o forse da me volontariamente rimossi dal database. Gente abbastanza rozza, che non brillava per materia grigia, e si rendeva conto della mia presenza solo quando c’era da piazzare qualche battutina maligna. Sopportavo sempre in silenzio, non è che ci potessi fare molto. Non avevo i mezzi, né intellettuali né fisici, per farmi rispettare. Mio fratello non mi difendeva mai. Fu anche per questo che cominciai a odiarlo. Una frattura fra me e lui che col tempo si sarebbe fatta sempre più ampia, fino a diventare insanabile. Ma anche nelle peggiori situazioni finisce sempre che qualcuno ti rimane più impresso di altri. Una ragazza di quelle che c’erano lì, Nadia, mi segnò l’infanzia. Misi il mio sviluppo psicofisico a repentaglio, a forza di masturbarmi pensando a lei rischiai il blocco della crescita.

    Fu la prima volta che vidi una ragazza in perizoma. A quel tempo non era così frequente, c’era un ben diverso senso del pudore. E anche la moda aveva ben altre priorità che non il mettere semplicemente in mostra il corpo. Per intenderci, in quegli anni c’era chi si presentava sul palco di Sanremo in tuta da ginnastica e veniva pure considerato un elegantone. E poi questa ragazza qui era a malapena diciottenne. Nell’era di internet qualcuno direbbe “jailbait”, allora si guardava estasiati senza il bisogno di ricorrere a certe bizzarre definizioni.

    Non è che se lo mettesse sempre. Comunque ai suoi sembrava andare bene, il suo mettere in mostra la mercanzia in quel modo. Padre camionista e madre infermiera. Simpatici a modo loro, e molto genuini, ma la loro “linea educativa” non sembrava venir granché condivisa dal resto dei genitori spiaggiaioli. L’appellativo migliore con cui si riferivano alla Nadia quando non c’erano orecchie indiscrete a portata di ascolto era “puttanella”. Mi faceva rabbia sentir parlare di lei in quel modo. Secondo me era solo invidia: che colpa ne aveva lei se Dio l’aveva dotata di tanta grazia e disinvoltura? Ora che ci ripenso non è che fosse così perfetta. Non aveva un viso irresistibile, ad esempio. Occhi e bocca erano un po’ troppo grandi, e aveva il naso “a sella”. E un sacco di lentiggini, quelle però mi piacevano molto. Ma aveva dei capelli bellissimi, lunghi e biondi, e un seno proporzionato. E quel corpo… Era uno di quei corpi che non si dimenticano facilmente, e a forza di ricamarci su finivo con l’immaginarmelo ancora più perfetto di quanto non fosse in realtà.

    Quel giorno giocavamo a pallavolo. O meglio, loro giocavano a pallavolo. Io guardavo, ero al margine del campo. Mi mettevano a fare il raccattapalle, con otto persone per lato il rettangolo di gioco era già abbastanza congestionato. Ma la palla in quei momenti non la vedevo proprio. Ero tutto preso da ben altri emisferi sballonzolanti. Non ricordo bene come successe, ma dovevo avere un’erezione della madonna. Il pallone uscì nella mia direzione. Con prontezza lo recuperai e lo rilanciai in mezzo. Ma gli occhi di tutti seguirono la sfera solo fino a un dato momento, poi si ripuntarono sulla mia zona inguinale. Una grassa risata, qualche bisbiglio imbarazzato delle ragazze… “Ma dai, poveretto, non è mica colpa sua!”. Altra gente che rideva. Guardai in basso, e ce l’avevo mezzo di fuori. Sapete come sono quegli slippini da bambino… Questi poi mi erano stretti per conto loro, a quei tempi ero cicciottello. Mi girai per rimettere le cose al loro posto, ma poi non riuscii a voltarmi per la vergogna. “Francesco – si rivolge uno dei cretini a mio fratello – la prossima volta fagli portare dalla mamma un paio di boxer!”. Se la ridevano sguaiatamente. Me ne andai verso gli ombrelloni.

    Per qualche giorno non mi feci vedere in giro. A mia madre che insisteva perché andassi in spiaggia dissi che non mi sentivo bene e preferivo restare a casa con la nonna. Non so quanto questo potesse suonare credibile, visto che “restare a casa con la nonna” significava essere obbligato a fare i mestieri o a dire il rosario. Ma in quel momento mi sarebbe andata bene anche una cena con Lucifero. Mia nonna non era una cattiva persona, però aveva un modo di ragionare tutto suo. Inoltre era sempre in fissa con la religione: santini e Ave Maria erano la sua energia, le permettevano di tirare avanti con un vigore e una voglia di vivere che avrebbero fatto invidia ad un ventenne. Fortunatamente non sapeva della mia allora nascente passione per l’autoerotismo, altrimenti avrebbe chiamato un esorcista o mi avrebbe fatto scomunicare. Ma in fondo era buona, ed una grande lavoratrice. Qualche ora per giocare con i soldatini me la lasciò, e ci facemmo anche qualche partita a briscola; probabilmente aveva capito pure lei che avevo qualche cosa che non andava.

    Per qualche giorno mi arrabattai a passare il tempo come potevo. Certo, fu dura. Non mi toglievo quel momento dalla testa. Chissà se lei lo aveva capito, che era stata la causa del mio “problema”. Non l’avevo guardata nemmeno negli occhi, non avevo guardato negli occhi nessuno e me ne ero andato. Ma poi che importanza poteva avere? Non mi aveva nemmeno mai rivolto la parola. Probabilmente non sapeva nemmeno come mi chiamavo, lì in mezzo per tutti ero solo “il fratello di Francesco”. Fortunatamente mancava poco al giorno della nostra partenza, erano gli ultimi di agosto, e vissi il ritorno a casa come un’autentica liberazione.

  7. #7

    Predefinito Riferimento: Kid Ego

    Bello! Ora aspetto la seconda parte... "poro bocia", bella la parte in cui descrivi la nonna!

  8. #8
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    Predefinito Riferimento: Kid Ego

    stasera quando torno se non sono bruciato lo leggo
    gli stralci postati in j4s mi han fatto ghignare ed erano leggibilissimi

  9. #9
    Lo Zio L'avatar di Zacker
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    Predefinito Riferimento: Kid Ego

    complimenti

  10. #10

    Predefinito Re: Kid Ego

    Eccomi!

    Spoiler:
    Sono lusingato, ma non sono di quella parrocchia

    Insomma, da qualche settimana per la palestra avevo cambiato orario. Per anni ero vissuto nella bambagia e ci andavo alle otto di mattina, insieme all’uomo delle pulizie e a quel disgraziato di istruttore sciancato che aveva il primo turno. A volte arrivavo prima di loro e mi toccava aspettare fuori al freddo, nella nebbia. Avrebbero fatto prima a lasciare le chiavi a me. In fondo era bello andarci presto. Ero fortunato e me ne rendevo conto. Non trovavi nessuno, avevi l’intera palestra a disposizione e potevi fare i tuoi porci comodi. Un’oretta e mezza di movimento ed eri già lindo, pinto e tonico. Pronto per affrontare la giornata.

    Ma il lavoro incalzava, gli impegni pure. Era il momento di crescere e di assumersi le proprie responsabilità, ed andarci in pausa pranzo. Come del resto fanno quasi tutti i poveracci costretti a lavorare per vivere e con una famiglia a cui pensare. Io la famiglia ancora non l’avevo, ma il lavoro sì. Quello era arrivato mio malgrado. Un tempo le iniziazioni all’età adulta si celebravano partecipando alla prima battuta di caccia, con un tatuaggio rituale o con la danza attorno al fuoco. O magari andando in guerra. Oggi capisci che sei diventato grande quando all’una, invece di mangiare, prendi la borsa e le scarpe e ti vai ad infilare in uno stanzone rigurgitante musica dance, vapore e miasmi di sudore.

    Mi si aprì un mondo nuovo. Innanzitutto non avrei mai immaginato che in un salone così piccolo ci entrasse così tanta gente. Ancora un po’ e per usare un attrezzo dovevi prendere il tagliando come alle poste. E che fauna variegata… Su ognuna di quelle persone ci si sarebbe potuto scrivere un trattato di sociologia. C’era il dopato, il vecchio sportivo, il professionista annoiato, la giovane mamma che dopo la gravidanza non si sentiva più attraente, la ragazzetta delle superiori in perizoma e hot pants, la vecchietta che tutti i giorni si macinava trenta chilometri di cyclette… E tanti altri.

    Tra i vari mi colpì un ragazzo sui trentacinque anni, piuttosto taciturno; abbastanza atletico, attirò la mia attenzione più per i capelli alla Brian May che altro. Anche se a onor del vero va detto che non poteva permetterseli, perché già gli si intravedeva un principio di piazzetta. Dopo esserci incrociati per due/tre volte consecutive iniziammo a salutarci. In quella palestra in materia di saluto vigevano regole non scritte ma in fondo rispettate da tutti: una di queste prevedeva che tra avventori ci si accorgesse della presenza altrui con cortesia, ma rigorosamente a monosillabi o con un cenno del capo. Poi tutti giù a faticare, c’era poco tempo per tricche e ballacche. Già uno spende soldi per iscriversi, ci manca solo che poi si metta a perdere tempo parlando di stronzate con gente che a malapena conosce. Diverso il comportamento tra chi si conosce già e porta avanti un rapporto nato “nel mondo là fuori”. In questo caso si conversa liberamente, rigorosamente a voce altissima e di qualsiasi argomento, anche quelli più inopportuni. Spesso la fatica annebbia le menti, porta a perdere il contatto della realtà e i forzati del cardio mettono involontariamente in piazza i panni sporchi. “Mia figlia quindicenne ha perso la verginità con un senegalese di vent’anni più grande di lei, che ne pensi?”. Oppure: “No, oggi niente cyclette che ho le emorroidi grosse come meloni”.

    Ma torniamo a Brian May. Quel giorno arrivai al solito orario, entrai nello spogliatoio (socchiudendo gli occhi come al solito, tra culi pelosi all’aria e cazzi volanti c’era poco da stare allegri) e notai che era seduto in un angolo ad allacciarsi le scarpe. Lo salutai nel solito modo, come è giusto, e cominciai a cambiarmi. Mi fissava sinistramente. Non ci feci più di tanto caso, ma mi ricordai che era già successo diverse volte. “Mah, vai a sapere che problemi può avere per la testa in questo momento”, pensai. Feci il mio solito allenamento. Di solito l’efficacia e la durata del mio allenamento sono direttamente proporzionali al numero di fondoschiena femminili presenti in sala. Le cyclette sono rivolte verso i tapis-roulant: basta mettersi in sella, far partire i pedali e poi lasciarsi cullare dalla fantasia. Occhio perché può diventare pericoloso, mi raccontarono che un vecchietto ci rimase secco. Fu la signora delle pulizie ad accorgersi che era morto, all’orario di chiusura. Aveva le gambe che ancora mulinavano e un’erezione di granito.

    Arranco per un paio d’ore buone, e torno mesto e inzuppato di sudore negli spogliatoi. C’è un silenzio glaciale, i rubinetti e le docce gocciolano. Il pavimento è bagnato e scivoloso. C’è sporcizia ovunque, e un caldo terribile. Le panche sono tutte vuote. Tutte tranne l’ultima là in fondo, nell’unico angolo cieco della telecamera di sorveglianza, dove ho messo la mia roba. C’è il mio zaino, e di fianco LUI. E’ seduto e chino, con i gomiti appoggiati alle cosce. “Perché si è spostato lì?”, mi chiedo. “C’è tutto lo spogliatoio libero… E poi quando siamo arrivati lui era dalla parte opposta”. Vabbeh, cavolacci suoi. Muovo qualche passo nella sua direzione, alza lo sguardo e mi saluta col solito cenno. Ricambio. Provo anche un leggero imbarazzo. Vorrei prendere le mie cose e spostarle di qualche metro, ma perdo l’attimo buono. E poi mi sembra scortese fare una cosa del genere, mica ha la lebbra! Mi passa subito ogni voglia di farmi la doccia, l’idea stessa di spogliarmi mi spaventa un pochino. E poi abito a mezzo chilometro, posso benissimo farla a casa e tornare in tempo al lavoro se accelero il passo. “Ok, vada per la doccia a casa”. Mi infilo i jeans sopra la tuta, rigorosamente rivolto al muro. Sento l’inquietante e inquieto suo respiro dietro di me. Mi giro e mi siedo per infilarmi le scarpe, e alzo lo sguardo. E’ lì in piedi, a due metri da me, che mi fissa. Ha i pantaloni slacciati e l’uccello in mano. Non si sta propriamente masturbando, ma si ravana tirandolo dentro e fuori dai boxer, mettendoci anche una certa energia. A metà tra il “visto che roba?” e “mi sto semplicemente aggiustando l’armamentario e ti scruto virilmente con aria di sfida”. Mi devo togliere il dubbio. Mi esce solo un ambiguo “hai finito?”. Per qualche secondo mi fissa con aria interrogativa. Mi rendo conto che la domanda può sembrare un attimino equivoca, sul tono di “hai finito col massaggio? Se ti va possiamo iniziare…”. Aggiungo frettolosamente “hai finito, per oggi? Con la palestra, intendo…”. Si rilassa un attimo e rinfodera la pistola, mi sa che ha capito che non sono interessato. “Ma dio, guarda, non me ne parlare… Oggi è stata una tale giornata… E ancora non è finita”. Ma Cristo, ha la voce di Jonathan del Grande Fratello! Ora che ci penso è la prima volta che lo sento parlare… Ora è tutto chiaro, il cerchio si chiude. Butto il discorso sul fatto che la palestra è troppo affollata, che non ci sono più le mezze stagioni e che si stava meglio quando si stava peggio. La spia del pericolo si è spenta, i miei sensi di ragno non pizzicano più. Finisco di vestirmi alla bell’e meglio, saluto e filo via. Ancora una volta il mondo è salvo, ma per quanto?

  11. #11

    Predefinito Re: Kid Ego


  12. #12

    Predefinito Re: Kid Ego

    Niente da fare, il tuo stile mi piace

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