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Discussione: I nostri racconti

  1. #1
    Banned L'avatar di Bukowski
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    Predefinito I nostri racconti

    Salve a tutti!!!
    Questa è l'area dove tutti voi giovani scrittori in erba posterete (SOLO ED ESCLUSIVAMENTE) i vostri racconti...
    Vi ricordo che per qualunque commento c'è il topic apposito!!!

    Buona fortuna a tutti quelli che si cimenteranno in questa impresa!!!

  2. #2
    Shogun Assoluto L'avatar di Mithrandir
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    Predefinito Re: I nostri racconti

    Inauguriamo il topic con una vecchia cosa, mi sa che qualcuno sul forum l'ha già letta...non è niente di speciale, nemmeno un racconto cmq, eccovelo qua...non credo sia nemmeno la versione riletta e corretta, quindi clemenza

    edit: mi dicono di titolara...

    Quote:

    Cerchio

    A fatica iniziò la lenta transizione dall sogno alla veglia. I sensi, avvolti in una nebulosa di percezioni falsate, amplificate o del tutto annullate, persistevano nel far riaffiorare le sensazioni della notte appena trascorsa. Doveva aver dormito profondamente, e a lungo: tutto gli era apparso terribilmente vivido, troppo reale.
    Più volte si era trovato sul punto di urlare. La voce, distorta dall'aria fetida in cui si era ritrovato a galleggiare, si tramutava in un suono sibilante, incoerente, insopportabile.
    Con estremo sollievo i sensi si scrollavano di dosso le ragnatele intessute dalle ultime ore di semincoscienza. L'ambiente circostante, a cominciare dal proprio giaciglio, stava riacquistando consistenza. Il processo si sarebbe risolto in pochi istanti, proprio il tempo di farsi afferrare dal morboso desiderio di trattenere, ricordare, quelle tele invisibili; per quanto macabre e terribili gli erano parse nel momento in cui le aveva viste dipanarsi dinanzi ai suoi occhi. Allora rievocò il sogno. Si rese conto che non gli costava poi tanta fatica, che probabilmente nulla e nessuno avrebbe potuto cancellare quelle sensazioni.

    Ricordava un bosco, una foresta immensa, o forse insignificante, difficile quantificare. Certamente alcuna luce avrebbe avuto l'ardire di scaldare l'aria gelida che gli scivolava lungo il corpo in contorte volute di vapori malsani. Era circondato da alberi di tutte le dimensioni e fogge. Lo scrutavano dalle cavità cieche dei tronchi scuri.
    Malati.
    Se ne rese conto ad una prima occhiata, erano tutti alberi malati, la corteccia caduta in terra a scaglie, putrescente: formava un tappeto disgustosamente molliccio sotto i suoi piedi. Era vivo. Si rese conto che era vivo.
    Quell'orrendo tappeto sotto i suoi piedi, era vivo. Ne avvertiva ogni movimento, palpiti impercettibili lo raggiungevano dal basso. Li sentiva. Ore interminabili compresse in pochi secondi, attese: istanti in cui evocare immagini razionali a cui dare conferma. Abbassò lo sguardo per capire su cosa stesse posando i propri passi incerti.
    La sensazione era di fluttuare in una chiazza di inchiostro. Un tutt'uno liquido che ribolliva e schiumava. Poi, quasi con meticolosità scientifica, esaminò e isolò le singole forme, pur non riconoscendone alcuna come familiare; Si contorcevano sopra e sotto, entrando e uscendo dai resti di corteccia e foglie che rivestivano il terreno. Si nutrivano dei miasmi della morte alla quale, in silenziosa sofferenza, stavano arrendendosi tutti quegli alberi maestosi. Gli Alberi, agonizzanti eppure ancora vivi, lottavano sformandosi in pose talmente folli da sfidare qualsiasi fantasia, in continuo movimento, in continua mutazione. Li osservò crescere in forza e dimensioni per poi piegarsi, accartocciarsi e morire, sgretolarsi letteralmente in pochi istanti. E in queste pose grottesche notò che tendenvano ad avvicinarsi tra loro, spingevano i loro rami sofferenti verso un vicino, come in una silenziosa e disperata richiesta d'aiuto. Pochi riuscivano ad avvicinarsi, ancora meno, a sfiorarsi, ed erano coloro che resistevano maggiormente alla dissoluzione, quasi a trarre nuova vitalità dal fuggevole contatto.
    Nel punto in cui uno di questi moriva (perchè inevitabilmente anche i più vigorosi non sfuggivano alla dissoluzione), Loro banchettavano avidamente. Fino al momento della rinascita. Quando il nuovo germoglio si faceva largo, pregno di vita, tra le orribili Creature, respingendole, lottando per la propria esistenza. E il germoglio si tramutava in stelo, in giovane fusto, in tronco imponente, prima di soccombere ancora e ancora.

    Ora si stava pigramente guardando attorno: nella stanza era buio pesto.
    Non era nella propria camera. Non riusciva a scorgere i familiari deliri di ombre, che le deboli luci notturne filtrate dagli elaborati ricami delle tende alla finestra producevano sul soffitto. Gli venne in mente di non essersi sentito molto bene la sera precedente. Qualcosa che aveva mangiato. Probabilmente si erano premurosamente assicurati di evitargli qualunque tipo di disturbo per farlo riposare tranquillamente. Non che avesse funzionato. Ci aveva messo tutta la notte a digerire ciò che aveva mangiato. L'incubo ne era la prova.
    Non avendo ancora completamente riacquisito sensibilità dell'ambiente, si concesse qualche secondo per dare il tempo alla vista di abituarsi alla poca luce (praticamente inesistente) e per proseguire la macabra rievocazione, che però diventava sempre più oggetto di distaccata analisi e di autoironia, nella tranquillizante consapevolezza del risveglio imminente.

    La prospettiva era strana, mutevole. Gli Alberi, che un istante prima (o minuti, od ore) erano di dimensioni normali imponevano la loro presenza assumendo dimensioni spropositate.
    Non Loro, non Loro erano cresciuti di dimensioni, lui li osservava dal basso delle sue dimensioni insignificanti e li bramava più di ogni altra cosa, voleva abbracciarli, possederli: voleva nutrirsene.
    Era una di quelle Creature ora...e si nutriva della morte traendone la linfa necessaria alla Propria sopravvivenza. Nemmeno per un singolo, piccolo istante, si soffermò a pensare, o anche solo a rendersi pienamente conto di ciò che stava facendo. Aveva fame, il nutrimento che pioveva dalle cortecce dei giganteschi tronchi era il suo unico pensiero in quel momento. E attese la loro morte per rivendicare l'illeggittimo tributo. Voleva urlare. Voleva svegliarsi immediatamente, non era il suo mondo quello, non la sua vita. O così credeva. Non poteva, non riusciva a svegliarsi.

    Ora si accorse di essere coperto di sudore, faceva caldo.
    I suoi movimenti erano ancora limitati dalle barriere invisibili del sonno inquieto a cui era appena sfuggito.
    Che notte!
    Giurò a se stesso di non mangiare mai più quella robaccia, qualuque cosa fosse. Si era fidato quando gli avevano assicurato la prelibatezza del piatto, e aveva cortesemente evitato di chiedere esattamente cosa contenesse. Un imperdonabile errore, ma non si sarebbe ripetuto.

    Divenne germoglio, fu pervaso da un incontenibile vigore, crebbe trasformandosi, divenendo stelo, giovane fusto, tronco maestoso. Poi il dolore, il dolore che non poteva esprimere in alcun modo. Non poteva urlare perchè non aveva bocca per farlo; non poteva guardare la fonte del dolore che invadeva tutto il suo essere, perchè non aveva occhi per farlo. Poteva solo ripiegarsi su se stesso infinite volte, scivolando nell'oblio.

    A quel punto si era svegliato. Dovevano aver eliminato qualsiasi fonte di luce, nonostante il tempo trascorso con gli occhi spalancati non riusciva ancora a far emergere alcuna forma, conosciuta o meno, dalla stanza in cui aveva riposato.
    Sollevò la testa.
    Contro cosa aveva urtato? La testa, gli faceva veramente male.
    Una bella botta davvero.
    Tentò di massaggiarsela con una mano, ma non riuscì a raggiungerla liberamente, il gomito aveva incontrato un solido ostacolo. Un lato del letto probabilmente gli limitava i movimenti. Scrollatosi definitivamente di dosso il torpore, si spostò verso il lato opposto, in modo da piazzarsi più comodamente al centro del giaciglio. Lo fece rotolandosi su di un fianco.
    Si ritrovò steso sul fianco, ora anche il naso ammaccato, con tutto il corpo schiacciato su di una superficie liscia, che rivestiva però qualcosa di molto solido, secondo quello che gli suggeriva il dolore.
    Sollevò il braccio sinistro, riuscendoci solamente per pochi centimetri. Qualcosa ostruiva i movimenti anche verso l'alto.
    Qualcosa non quadrava.
    Crollò nuovamente steso di schiena allungando a tentoni entrambe le braccia, valutando la situazione. Chiuso da entrambi i lati, e dall'alto.
    Era l'incubo che proseguiva.
    Chiuso in una bara!
    Le labbra si incresparono in un ironico sorriso, pensando a quante ne avrebbe dette al cuoco una volta sveglio.
    Un istante dopo si rese conto di essere perfettamente sveglio. L'alone di sospensione, di instabile equilibrio, che caratterizzano tutte le scene di un sogno (bello, o da indigestione) si era diradato del tutto.
    Ancora una volta tastò con le braccia le dimensioni della prigione, nella vana speranza di non incontrare altro che il vuoto. E ancora, e ancora, ora spingendo fuoriosamente contro le pareti, menando colpi con i palmi e con i pugni fino a farsi dolere le nocche, picchiando forte, il respiro si faceva sempre più difficoltoso e ansimante spezzato dalle urla strozzate con cui tentava di comunicare forse più a se stesso la propria disperazione montante, un fiume in piena che minacciava di straripare nella follia pura.
    Si risolse a fissare il buio, sudava copiosamente ora, faceva caldo.
    Piano respira piano. L'aria, c'è poca aria qui dentro e non devi sprecarla.
    Continuava ad ansimare.
    Chiama qualcuno!!
    Stupido! Stupido! Chi vuoi che ti senta? E' inutile, inutile...
    Al primo tentativo riuscì solo ad emettere un debole gorgoglio; e un sibilo soffocato.
    Inutile.
    Vomitò tutto il fiato che aveva in corpo.
    Così consumi ossigeno.
    In principio tentò di urlare frasi compiute, richieste di aiuto, dei nomi, il proprio nome.
    Avete sbagliato. E' uno scherzo, se è uno scherzo giuro che...!
    La gola gli doleva, ora si limitava ad urlare il più possibile solo per farsi sentire.
    Che ti sentano. Più forte, più forte...grida!!! Continua a chiamare, sentiranno. Qualcuno sentirà.
    Dopo diversi minuti la voce gli venne meno, ma lui tentò ancora per un po', nonostante non riuscisse a sentire se stesso.
    Il volto rigato dalle lacrime, l'abito appiccicaticcio del proprio sudore.
    Si scatenò con le unghie sul rivestimento, strappando, e mordendo anche. E graffiando e lacerando e proseguendo sul legno massiccio. Le unghie strappate alla radice nel tentativo di lacerare anche quest'ultimo così come aveva fatto con il morbido tessuto. Il dolore era insignificante.
    Stanco, si arrese.
    L'aria sarebbe finita presto.
    Anche prima.
    Trattenne il respiro.
    Non si mosse, per diversi interminabili secondi. I sadici meccanismi della mente fecero riaffiorare l'incubo, il germoglio, l'albero, la sua dissoluzione. I parassiti repellenti, e poi ancora un altro germoglio, un altro albero, un'altra morte, e ancora, e ancora una volta.
    Senza fine, e senza un principio. Lui era parte di quella visione: non da solo, eppure isolato. Esisteva prima che lei esistesse, lo precedeva e lo avrebbe seguito. Così come aveva preceduto tanti e come sarebbe seguito a tanti incosapevoli, partecipi di un inevitabile perpetuarsi.
    Dal basso, il viscido tappeto vivente lo osservava.
    E attendeva osservandolo contorcersi nella straziante sofferenza.

    Ora si sentiva paradossalmente rilassato.
    Il dolore alle mani e alle braccia si fece più reale e pulsante. Aveva sete...e fame. Per un secondo rimase aggrappato a quegli stimoli fisici sperando che avrebbero continuato a sostenerlo.
    Fino all'arrivo dei soccorsi!?
    Quali?
    Si concentrò con tutte le sue forze su quei bisogni, sentendosi vivo. Aveva bisogno di mangiare.
    Finirai prima...l'aria finirà prima di morire di fame.
    “No!!” - rispose, la voce ridotta ad un sussurro indistinto.
    “no...”
    Sai bene che non è vero! Non essere stupido! Pensa!
    Pochi minuti gli restavano ancora, pochi secondi.
    Sbadigliò. L'ossigeno cominciava a scarseggiare.

    Mi addormenterò e mi risveglierò nel mio letto, nella mia casa.
    Illuso!
    Non questa volta.
    Non si sarebbe svegliato.
    Aveva fame.
    Attese.

  3. #3
    Il Nonno L'avatar di Ergo The Elf
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    Predefinito Re: I nostri racconti

    Allora rubo un post in questo spazio per raccontare di due esperienze, vissute in prima persona, che poco hanno a che fare con mostri o paranormale ma che, in quanto ad asmosfera horrorifica mi hanno fatto defecare addosso



    Premessa: Ho 17 anni, e come tutti gli adolescenti ho un gruppo di amici (tra cui uno posta anche qui sul forum), essendo tutti bravi ragazzi (all'apparenza ) partecipiamo attivamente con la vita nella nostra parrocchia.
    Sin dalla prima comunione abbiamo fatto parte di un gruppo dell'oratorio seguito da adolescenti poco più grandi di noi(i "responsabili"), con cui si è instaurato, nel tempo, un vero rapporto di amicizia!
    Ogni anno, come ogni buon oratorio, si organizza, divisi per annate, delle gite in località montane sperdute sui monti, completamente isolate da tutto!
    E, ogni anno, per tradizione, i responsabili organizzano uno scherzone o una prova di coraggio ad alto contenuto adrenalinico l'ultima notte, mi accingo a raccontarvi gli ultimi due dei quali sono stato partecipe!
    Allora, la prima porva di coraggio (quella di 2 anni fa) era ambientata nelle baite dell'antillone, un posto sperdunto nel nord della val d'aosta, costituito da un gruppo di 5 o 6 baite situate in mezzo ad un bosco molto fitto, eccezion fatta per un sentiero che porta dalla strada asfaltata a queste baite.
    Questo sentiero è disseminato di "altarini" (non so il termine tecnico ) della via crucis con il volto di gesù raschiato via da ignoti eretici, poichè dopo le baita, a circa 200 metri c'è una chiesa semidistrutta e sconsacrata, la quale, carica di un fascino sinstro e lugubre, non lascia certo indifferenti!
    La fantastica prova consisteva nell'addentrasi nel bosco, uno ad uno, seguendo il sentiero fino ad arrivare in una casa abbandonata, ovviamente senza essere muniti di torce, cellulari o affini... Li avremmo trovato un biglietto, diverso per ognuno, nel quale avremmo trovato una frase filosofica, avremmo dovuto prenderlo e tornare vivi alle baite...
    Alle ragazze ed ai ragazzi più temerari ( ) era concesso di andare a coppie, l'aatesa del propio turno rendeva il tutto più eccitante...
    Seguivo con lo sguardo il primo che si addentrava sparendo dietro la curva inghiottito dal buio... Devo ammettere che il nervosismo era palpabile, nessuno di noi aveva mai fatto una cosa del genere, nè, probabilmente, ci teneva molto a farla!
    Mano a mano che qualcuno tornava veniva subito fatto entrare nelle baite in modo che non potesse comunicare alcunchè a quelli che ancora dovevano effettuare la prova, quindi non potevamo sapere in nessun modo dove quei bastardi dei responsabili mancanti si erano nascosti!
    Quando venne il mio turno iniziai con passo moooolto spedito ad addentrarmi per la via sterrata, cantcchiando a voce alta qualunque sceméttata mi passasse per la mente per esorcizzare la tensione...
    Percorro per qualche minuto la strada sentendo una marea di fruscii alle mie spalle, senza però il coraggio di voltarmi, sicuro che mi sarebberò saltati alle spalle facendomi volare qualche bestemmione!
    Ormai certo di aver percorso troppa strada, e di essermi perso, entro in panico, quando mi accorgo di essere arrivato ad un punto in cui non si sente alcun rumore... Nessun fruscio, nessun grillo, nessun uccello notturno, assolutamente NULLA! Percorrendo ancora qualche metro vedo spuntare la casetta abbandonata, non è una bella visione ad una certa ora di notte, ma è comuqnue rssicurante perchè mi rendo conto di non essermi perso ma di essere sulla buona strada! La mia attenzione viene catturata da una candela accesa nel giardinetto vicino alla casa, cautamente mi avvcino intravedendo il biglietto... Giunto a 2/3 metri dalla candela mi accorgo che una corda è tesa tra due alberi, in modo da costringermi ad abbassarmi per raggiungere l'agognata meta, sicuramente qualche stronzo mi sarebbe saltato alle spalle una volta a terra!
    Bè ormai sono qui, che altro posso fare?
    Mi abbasso per passre sotto questa bendetta corda e raggiungere il biglietto cercando di tenere d'occhio qualunque punto oscuro da cui potesse saltar fuori qualche maniaco armato mi motosega!
    Appena metto le mani sul biglietto salta fuori urlando un mio responsabile munito di teelcamera per catturare impressioni e commenti salienti, io, che ormai me lo aspettavo non mi scomposi + di tanto, anche se, riguardando il filmato avevo un'espressione abbastanza terrorizzata, pur non avendo urlato o cercato di scappare!
    Sulla strada del ritorno, ormai tranquillo per lo scherzo finito, il mio sguardo si sofferma sugli "altarini" eretici, quando vedo un'ombra, che mi sembra enorme, catapultarsi sopra di me urlando!
    Era il prete che forniva la seconda overdose di adrenalina facendomi sfuggire un VAFFANC*LO PRETE!!!!

    La seconda prova, risalente a quest'anno, si svolge in una baita piuttosto grande (non mi ricordo la località precisa, comunque è un centro turistico abbastanza famoso) a ridosso della strada...
    L'ultima sera ci riuniscono nella sala più grande e iniziano, per creare un po' di atmosfera, a raccontare di strani avvenimenti avvenuti in quella baita gli anni precedenti...
    La morte di un ragazzo, gli strani spostamenti di mobili durante il periodo in cui la baita è disabitata ed altre amenità simili...
    Per farla breve la prova consiste nell'andare negli scantinati di questa baita, senza torce, muniti della telecamera a raggi infrarossi, (unica cose che ci avrebbe permesso di vedere l'ambiente circostante) trovare un tavolo con sopra 3 scatole e filmarne l'apertura...
    Alle ragazze era concesso di andare a gruppi di 3, ai ragazzi esclusivamente da soli!
    In attesa del mio turno intrattengo le ragazze + impaurite con le trame dei film horror migliori (è qui che, menzionando the ring, una mia amica si è messa a piangere )
    Quando viene il mio turno due responsabili mia accompagnano all'ingrasso di questa cantina, una ripida scalinata che conduce in una porta immersa nell'ombra... L'odore di umidità che saliva era molto forte e il freddo pungente mi faceva chiedere cosa me lo stesse facendo fare!
    Mi mettono in mando la telecamera e mi scortano fino al primo gradino dentro la cantina, muovo qualche passo tentando di abituarmi alla visone in bianoc e nero della telecamera a raggi infrarossi, quando sento sbattere pesantemente la porta alle mie spalle... nutile dire che inizio a dirne loro di tutte i colori apostrofandoli con gli insulti più fantasiosi ce mi venivano in mente!
    Sarò rimasto immobilizzato 2/3 minuti cercando di capire cosa dovessi fare e di calmarmi un po' visto che ero molto agitato...
    Inizio a fare qualche passo cercando di rendermi familiare l'ambiente, i contrasti tra il bianco e il nero sono insopportabili e rendono tutto dannatamente "vivo" e libero di muoversi!
    Riesco ad intravedere il tavolo con le scatole e ad avvicinarmi!
    Con un dito insicuro premo il tasto rec della videocamera e con voce insicura e tremlolante divento un conduttore di una mostra d'arte moderna che osserva i lavori degli artisti!
    Alzo la prima scatola e trovo un bicchiere rotto, ma intanto i miei occhi cercano qualcosa di strano nell'ambiente, tentando di individuare il luogo da dove qualche stro.nzo sarebbe saltato fuori!
    Nella seconda scatola trovo una serratura arruginita e inizio sentire dei sospiri intorno a me, sento che la tensione arriva al culmine più alto...
    Appena sto per alzare la terza scatola mi balena per la mente la banalissima idea che, tramite un buco sotto al tavolo, un mio responsabile fosse con la testa sotto la scatola!
    Ormai certo di questa trovata alzo la scatola e indovinate che trovo? Il mio responsabile che mi guarda con occhi impietriti, solo che non mi sono spaventato perchè me lo aspettavo troppo!
    Rivedendo il video mi sono accorto che, paradossalmente, mi stavo davvero cagando sotto alle prime due scatole per essere poi più o meno tranquillo nell'apire la terza!

    Sono state due esperienze divertenti che mi hanno fatto capire che se fossi in un film horror probabilemtne morire d'infarto prima che il mostro arrivi a me


    p.s. scusate la prolissità e il linguagio probabilmente non scorrevole ma in questo periodo sono davvero fuso...

    p.p.s. bel racconto mith

  4. #4

    Predefinito Re: I nostri racconti

    hmmm nn so se postarlo siccome nn mi convince...e poi nn è manco estremamente horror...cmq dai lo posto per avere qualche consiglio in modo che possa leggerlo qualcuno all'infuori di me...lo divido che è veramente trooooppo lungo...e di sicuro nessuno lo leggerà tutto che vi scasserete prima...lol già scasso da mò, cmq ci stanno da fare un paio di premesse: l'ho scritto in un momento piuttosto particolare, e soprattutto i personaggi, siccome nn sapevo come chiamarli, sono rappresentati da lettere sottolineate, e sono F M e B...buona lettura ah un'ultima cosa, ci saranno di sicuro molti errori, se magari li trovate indicatemeli così apporto le dovute correzioni...ah dimenticavo: la frase finale del racconto l'ho presa in prestito da Automatic Jack sotto suo consenso, anche se lui nn ha letto il racconto

    Quote:
    L'altro Mondo - prima parte

    Si svegliò dolcemente, sorridendo, aspettando che anche l’ultima parvenza del tocco di Morfeo svanisse dal suo viso. Abbracciò il cuscino col braccio destro per l’ultima volta, poi si ricordò della sveglia: non aveva accennato nemmeno ad un minimo suono, eppure era stata sempre puntuale ai suoi appuntamenti. Così la prese di corsa per rendersi conto che era in ritardo di troppo, conoscendo M, il suo fidanzato, spesso troppo generoso in lamentele. Così, improvvisamente presa dalla fretta si alzò e scrollò di dosso le ultime “fatiche” della nottata, per andare in cucina a consumare il suo pane quotidiano. «Buongiorno» le disse sua madre appena la vide così “indaffarata” e già così pimpante, «Ciao mamma, la sveglia non ha suonato, sono in ritardo» fu la risposta secca e mirata. Fece una colazione a dir poco essenziale, e poi corse in bagno per lavarsi, operazione ben più importante, la quale le rubò più tempo, poi volò in camera a vestirsi senza ascoltare quello che la genitrice le stava dicendo. Anche la “vestizione” occupò un po’ di tempo, poiché fu interrotta dal severo squillare del suo cellulare: era proprio M che la ammoniva per perdita di tempo, e lei a momenti arrossì, affrettandosi ulteriormente. Nonostante tutto riuscì nel suo intento: era come al solito bella al pari di una ninfa che, in controtendenza col mito, corre dal suo Apollo. E dopo aver accennato un saluto a sua madre fu subito dal suo dio, il quale era attorniato da una corte di servi: in quel momento i due infatti li consideravano solo come sottoposti siccome riuscirono ad incrociare solo e soltanto i loro sguardi.
    «Ah ah, F buongiorno…ci siamo svegliati a quanto vedo» disse ironicamente M, il quale però accettò le scuse della sua ragazza che come motivo di giustifica presentava il non adempimento del compito assegnato alla sua sveglia. E di certo subito si fece scusare tramite un tenero bacio che fece presto rammollire il sarcasmo del bel ragazzone. Dopo però dovette scendere dall’Olimpo per salutare quelli che solo ora aveva focalizzato come amici: passò in rassegna quasi tutti i presenti, cercando di evitare con qualche finta di sguardo quelli più antipatici a suo giudizio (con quale criterio…? Bel problema). Salutati tutti quelli in piedi si rese conto che l’auto sulla quale molti si appoggiavano era quella del migliore amico del suo ragazzo: fu subito sicura di conoscerla dal colore nero, e poi intravide prontamente che era ancora abitata dallo stesso B. Si avvicinò per salutarlo con un amichevole bacio naturalmente ricambiato dall’autista del gruppo, il quale le chiese un ragguaglio sulle sue condizioni psicofisiche, questione presto liquidata con un “tutto bene” accompagnato da un sensuale sorriso. Dopo tale saluto/benedizione erano tutti pronti per andare a compiere la loro consueta passeggiata scacciapensieri, durante la quale naturalmente F e M si sarebbero di nuovo alienati dal resto della compagnia.
    Vista l’ora decisero quindi di prendere un aperitivo, non tanto per il bisogno di mettere qualcosa sotto i denti, ma solo perché era “di moda” farlo. Finito questo piacevole obbligo alcuni componenti del gruppo decisero di avviarsi verso la loro abitazione, forse stanchi della lunga camminata, e tra loro anche M aveva interesse a ritirarsi. «Non preoccuparti, te la riporto io a casa…» gli rispose B, quando si chiese se doveva accompagnare F a casa, come era d’altronde suo dovere. Così anche lei acconsentì ad un breve passaggio in auto con B. E risultò anche un buon motivo per scambiare due chiacchiere con una persona che le stava simpatica. «allora ci vediamo stasera…» concluse B una volta arrivati sotto casa della ragazza, la quale con un sorriso e un bacio si congedò, e una volta fuori dall’auto pensò all’ultima frase: ci vediamo stasera, eppure non si era parlato di un raduno di gruppo anche per quella sera. Probabilmente B si era sbagliato preso dalla conversazione di poco prima.
    Eppure B in realtà non si era sbagliato involontariamente o meno, quella frase gli era uscita fuori dalle labbra spontaneamente, era come se avesse fissato un appuntamento poco prima senza rendersene conto. Poi però si riprese da quel pensiero pensando proprio ad F: quella ragazza gli piaceva da sempre, per il suo aspetto a causa della sua disarmante bellezza, e da un punto di vista sentimentale poiché sapeva che lei teneva nascoste dentro di sé molte di quelle sensazioni che anche lui nascondeva da ormai troppo tempo. Sentiva che tra loro due c’era una certa attrazione soffocata dal rapporto tra lei e M, e tra la forte amicizia che lo legava con quest’ultimo, e questo lo faceva soffrire in silenzio, come ormai era abituato a fare, da troppo tempo.
    Il pomeriggio lo passarono ognuno alla propria abitazione, il sole sorvegliava in un modo troppo ferreo le loro vite, tiranno come pochi. Velocemente quindi venne la sera che cercava di fargli trovare una via di fuga da quell’avvinghiante calore, e tutti decisero di sfruttare la carta del riposo: nessun componente del loro gruppo, o almeno degli amici più stretti, lasciò casa, preferendo così andare a dormire presto per recuperare il sonno perduto nello studio dei giorni precedenti. Solo B e F scambiarono qualche messaggio con il diabolico cellulare. «Come mai mi dicevi che ci saremmo visti stasera?» «Niente, devo essermi semplicemente confuso…in cambio però ci stiamo sentendo via sms….», e questo fu solo uno dei passaggi tra i due. Ad una certa ora tutti, chi prima e chi dopo, decisero di far riposare le spossate membra, e F lo fece ben prima di B. Quella notte però segnò il destino di tutti loro.
    Il sonno li prese e li portò diretti fino al mattino seguente, ma alcuni di loro si fermarono lungo il cammino ad ammirare interessanti zone della loro mente, delle quali probabilmente neanche loro sapevano nulla. E proprio F fece probabilmente quello più interessante ma allo stesso tempo il più strano di tutti i sogni. Uno di quei sogni che prendono presto la notte, un sogno molto intenso, ma sconcertante per la grandezza del mondo che rappresentava: d’improvviso F si trovò in un immenso campo verde pieno di fiori ma totalmente privo di arbusti. Si stendeva per chilometri e chilometri senza la benché minima interruzione verticale. Sopra di esso c’era un cielo azzurro come non lo aveva mai visto, senza una nuvola o un volatile che lo rendessero meno monotono; ma poi, guardando più in fondo, verso sinistra, si rese conto che d’improvviso quell’azzurro si fermava, lasciando spazio ad un cielo oscuro indescrivibile, che avrebbe causato angoscia a chiunque. Per un momento sembrò che la sua figura presente nel sogno stesse per svenire dall’orrore che quell’oscurità gli aveva causato: la vista su quel prato stava quasi per svanire, poi si rese conto che ci fu come una distorsione dello spazio intorno a lei, quasi come una vecchia pellicola cinematografica ormai quasi totalmente logora. Dopo vide come una leggera luce davanti a lei, poi fissandola meglio riconobbe una figura umana in essa, la quale si avvicinò a lei librandosi nell’aria. Quando fu più vicina potette riconoscere i suoi contorni e infine un leggero brivido la colse quando vide che quella figura aveva due ali, una fatta da soffici piume bianche e ben distesa verso l’esterno, l’altra fatta da oscure ed attraenti piume nere, meno distesa dell’altra, più vicina al corpo della creatura. Rimase sbalordita vedendo una simile apparizione, poi spalancò gli occhi quando riuscì a notare il viso della creatura: era una figura più che conosciuta, era B. Ne rimase felice per il fatto che sapeva di essere al sicuro, ma il modo in cui si presentava continuava a turbarla: lo guardò negli occhi appena si posò poco lontana da lei, gli sorrise e cominciò ad avvicinarsi a lui. Ma di colpo venne interrotta da una sua domanda secca che la colse totalmente impreparata: «lo ami davvero?», lei per un attimo rimase bloccata davanti a tale domanda, non si mosse più fino a che quello non alzò la testa prima fissa verso il terreno e ora diretta verso il viso della fanciulla, in modo che i due sguardi si incontrassero. Lei così potette riconoscere gli occhi del suo amico, e lesse in essi una certa severità la quale però nascondeva probabilmente una bontà malcelata, come si poteva evincere dal mezzo sorriso che mostrava con la sua bocca. Vedendolo la giovane si fece di nuovo coraggio e cercò di nuovo di muoversi verso quello che doveva essere il suo amico, ma quello di colpo alzò la testa a metà tra il cielo e il viso di F, lasciando però gli occhi fissi verso quelli di lei. Subito dopo si alzò di nuovo in volo muovendo appena le ali e dirigendosi di nuovo verso la direzione dalla quale era apparso, ma poi si fermò di nuovo a terra, porgendo le spalle alla ragazza. Quella sentì crescere il timore che aveva avuto appena la figura era apparsa, e corse verso di lui cercando un riparo certo, ma appena si avvicinò abbastanza da poterlo guardare chiaramente quello si girò lentamente e alzò il viso di nuovo verso la sua faccia: e ora che poteva rivederlo in viso F perse tutte le sue certezze e fu presa da una paura talmente forte che nemmeno lei probabilmente riuscirebbe a descrivere. Un sentimento così forte non si era mai impossessata di lei, e questo lo fece sia nel mondo che stava vivendo nella sua mente sia nel mondo esterno, infatti anche il suo bellissimo corpo vibrò a quella visione generata dalla sua mente: appena infatti la creatura gli mostrò di nuovo il viso lei non potette non notare la divisione netta e precisa della faccia in due emisferi. La parte destra era quella che aveva visto già prima, il suo caro amico B proprio come lo conosceva, mentre la parte sinistra era un teschio privo di qualunque brandello di carne o pelle. Prima di saltare di colpo dal letto riuscì ad ascoltare le parole di quella creatura: «perché non mi rispondi», ma la voce che le pronunciò fu orribile quasi quanto la bocca divisa in due parti dalla quale uscivano; anch’essa infatti era come formata da due tonalità diverse, la prima forse era quella ascoltata poco prima e conosciuta, l’altra era come un suono gracchiante e cupo, la quale sommata all’altra diede vita ad una sorta di voce rimbombante e mostruosa. A questo punto non potette fare altro che svegliarsi di colpo sedendosi sul suo letto e cercando di recuperare fiato per lo spavento provato nella sua mente poco prima, girandosi attorno per cercare quella figura e allontanarla in qualche modo. Quando si rese conto che era stato solo un incubo si rituffò sul suo cuscino ma la paura le rimase impressa e i suoi splendidi occhi verdi ne furono il segno evidente: rimasero spalancati come due fanali nella notte atti a far notare il malfunzionamento dell’intero corpo tramite la loro cadenzata intermittenza. Era ancora presto per svegliarsi, eppure non riuscì più ad incontrare l’abbraccio leggero del sonno, anche cercandolo.

  5. #5

    Predefinito Re: I nostri racconti

    Quote:
    L'altro Mondo - seconda parte

    La mattina dopo si alzò dal letto, e non provava il benché minimo affanno per il mancato riposo ma cercò di nascondere, riuscendoci in buona parte, quella paura radicata ancora nelle sue memorie. Fece colazione lentamente, ripensando a quello che aveva provato, scambiò poche parole con i suoi familiari adducendo come scusa il fatto che non aveva preso sonno presto, e quindi si sentiva stanca. Decise poi di scendere a fare una passeggiata da sola, pensò che magari cambiando per un attimo ambiente sarebbe riuscita a non pensare a quel sogno, o che forse sarebbe riuscita ad incontrare qualcuno con cui scambiare quattro chiacchiere, cosa che la avrebbe comunque aiutata; decise però di non prendere appuntamenti, voleva fare qualcosa di diverso dal solito, qualcosa che forse la avrebbe aiutata nel suo intento, come le diceva un qualche pensiero nascosto. E così fece infatti, camminò per molto ed incontrò due persone, due “conoscenti”, con i quali scambiò appena qualche battuta, niente di speciale di certo dal distoglierla dal suo pensiero fisso. Camminò così tanto e non se ne rese conto proprio perché la sua mente si posava su quella strana visione: voleva significare qualcosa di specifico? Perché le era stata posta quella domanda? E soprattutto perché quella creatura era B, certo in una versione nuova e terrificante? Solo dopo un bel po’ di tempo si rese conto di aver camminato così tanto, e di trovarsi ora in una zona molto trafficata, così ripensando a tutta la strada che doveva fare sbuffò, distogliendosi così per un po’ dai suoi pensieri.
    «Ehi F che ci fai quaggiù??», questa frase, preceduta da un leggero colpo di clacson, bastò a farla girare verso un’auto che riconobbe subito e che le fece volare subito alla mente il colore nero perfetto delle piume dell’ala sinistra della creatura che aveva “infestato” il suo sogno la sera prima: il paragone le saltò alla mente forse non a caso, perché la macchina era guidata proprio da B. Per un momento rimase attonita vedendolo, ma poi la ragione prese il sopravvento e le fece subito rispondere «eh è una storia…lunga da raccontare, ora stavo tornando a casa comunque» ed accompagnò a questa affermazione uno dei suoi indescrivibilmente belli e disarmanti sorrisi. «A casa? Beh ne hai di cammino da fare, ti va un passaggio così magari mi racconti questa “storia lunga”? eheh». La giovane accettò l’offerta e il ragazzo in fondo a sé ne fu felice. Quando quella entrò in macchina non concesse però il solito saluto al ragazzo: essa era ancora presa da quello che chiamava sogno, e così quasi per avere una certezza si avvicinò a B accarezzandogli la guancia sinistra in un modo delicatissimo e a dir poco improvviso. Egli, che aveva sempre nascosto i forti sentimenti che provava per lei con successo, per un momento provò un leggero brivido sulla pelle, e quando lei gli sorrise dolcemente (anche per la certezza acquisita di essere davanti al suo vecchio amico) lui le accarezzò la mano, ancora posata sulla sua guancia, e sorrise a sua volta. Quando poi si spezzò questo momento il ragazzo tornò come al solito a guidare, parlando con lei, dicendole che aveva portato la sua fida auto ad un autolavaggio (forse proprio per questo le ricordò le piume nere della creatura dei sogni appena la vide), e chiedendole come mai si trovasse proprio lì. La solare ragazza, forse presa dalla sua constatazione, non rispose a quella domanda, che fu subito ripresa da B: «Ehi, perché non mi rispondi?!», disse con un tono scherzoso, ma queste semplici parole bastarono a far rabbrividire la ragazza che si girò spalancando i suoi ipnotizzanti occhi, che divennero intrisi di una folle paura. Aveva di nuovo sentito le parole pronunciate dalla voce mostruosa, e pronunciate proprio dalla persona più “vicina” a quella creatura: «ferma…ferma la macchina» balbettò, e B confuso acconsentì e accostò, pensando che la bella avesse dimenticato qualcosa dietro di sé. Ella però aprì la portiera e si catapultò fuori quasi cadendo, rimanendo paralizzata sul marciapiede e fissando il ragazzo ancora all’interno. Egli quindi preoccupato uscì dalla vettura e si avvicinò a lei, chiedendole amorevolmente cosa le fosse successo, ma quella cercò di bloccare le braccia del ragazzo, il quale si era limitato a gesticolare dolcemente, cercando di rassicurarla una volta notata la paura che si proiettava violentemente da quegli amati occhi. F non riusciva più a parlare, e muoveva solo il capo accennando ad un “no”, mentre cominciava a piangere: B allora si avvicinò a lei non potendola vedere soffrire così tanto. Mosse appena le braccia e la giovane mollò la presa, così potette sfiorarle le spalle chiedendole premurosamente cosa fosse successo: notando però che stava tremando pensò che stesse perdendo conoscenza, così la abbracciò dolcemente, ripetendole «F, ci sono io qui, non preoccuparti, non succede niente» con una voce a dir poco rassicurante. A questo punto la ragazza si riprese con un movimento appena più veloce della testa, e alzò la testa per guardare negli occhi B: notò subito la sua preoccupazione e capì che era causata da sé stessa, ma soprattutto notò che erano gli occhi innocenti del suo vero amico, non di una creatura demoniaca. Così per scaricare la tensione e per rassicurare colui che inizialmente l’aveva fatto per lei, lo strinse in un abbraccio quasi asfissiante, che fece riacquistare un certo “calore” ai due, una distrutta dalla paura l’altro tremante dalla preoccupazione. Rientrarono nella nera vettura non preoccupandosi dei pensieri degli altri attorno e cercarono di sorvolare su quell’avvenimento inizialmente, anche se non ci riuscirono. Una volta a casa della ragazza i due si abbracciarono di nuovo, questa volta in macchina, per salutarsi definitivamente. Si lasciarono ancora un po’ sconvolti ma probabilmente, da quello che si poteva cogliere dai loro sguardi, si volevano più bene di prima. B non potette fare altro che pensare a quell’accaduto, alzando poi il volume dell’autoradio e correndo a casa, F invece cercò di dimenticare mentre saliva le scale per tornare all’appartamento della sua famiglia. Passarono entrambi la serata da soli. F oramai non si interessava più del suo sogno, forse perché l’incontro con B l’aveva aiutata, e decise di andare a letto presto, per recuperare il sonno della notte precedente. Così, dopo aver salutato i familiari presenti, tornò in camera sua, spense le luci e si posò con dolcezza sul suo letto. Mai prese sonno così velocemente, e riuscì ad avere alcune ore di sonno piacevoli, non disturbate né dalla sua mente né da avvenimenti esterni. Dopo circa 4 ore però venne di nuovo catapultata nella dimensione di un sogno e, come mai le era successo prima, questa volta aveva memoria di quello che aveva visto la notte prima, anzi lo ricordava proprio chiaramente, come fosse accaduto poco prima. Questa volta si trovava all’esterno di una enorme villa, proprio davanti al portone d’ingresso. Le ispirava sicurezza quella bellissima abitazione e decise di aprire quella grandissima porta, e una volta varcata si trovò in un immenso salone, totalmente pieno di persone le quali vestivano indumenti d’epoca ed avevano tutte il viso coperto da una maschera: si girarono contemporaneamente tutte quelle figure non appena la proprietaria del sogno aprì rumorosamente il grande passaggio. Erano davvero tantissimi e tutti come se stessero aspettando l’inizio di una musica che li invitasse a ballare. Si avvicinò a loro e notò che erano tutti molto cortesi, si appropinquavano a lei quasi come se volessero chiederle il permesso di un ballo, attratti da quella figura che avrebbe ammaliato qualunque essere. La ragazza quindi si sentì lusingata e sorrise, e aveva intenzione di capire chi fossero quegli uomini, poiché poteva forse conoscerli: questo fu probabilmente l’errore principale della serata, sarebbe stato meglio non sapere. Quando infatti uno dei tanti “cloni”, per via della maschera simile a quella delle bambole d’epoca, si avvicinò alla giovane, essa con delicatezza gli tolse la copertura del viso ma di nuovo la paura si impossessò di lei, e lasciò cadere l’oggetto in terra frantumandolo. Certo non si svegliò poiché il suo corpo dopo lo spavento occorso la notte precedente era ormai abituato a simili avvenimenti, ma esso tremò lo stesso, come scosso da una scarica elettrica. Quando scoprì il viso di quell’uomo infatti, notò che esso non aveva faccia: né occhi, né naso, né bocca, niente che potesse far affermare che quella cosa di color bianco candido fosse un viso di una persona. Di nuovo gli occhi della sua proiezione onirica si spalancarono, ma ancora incredula la fanciulla si girò e vide una figura femminile che si avvicinava a lei: provò a togliere la maschera anche ad essa, ma anche questa non aveva faccia, così come le altre due figure che si lasciarono strappare l’oggetto. Proprio in quel momento tutti i presenti nell’enorme salotto tolsero via la maschera mostrando all’attonita F la loro totale uguaglianza: il panico si impossessò della sognatrice che cominciò a scappare verso il centro del salotto dopo che un fulmine aveva squarciato il cielo all’esterno, come aveva potuto constatare scrutando attraverso le gigantesche finestre della camera. Mentre correva tutti quegli esseri la seguivano come se potessero vederla, ma non accennavano ad avvicinarsi ad essa, la lasciarono infatti correre riuscendo così a farle aprire un corridoio verso una piccola rampa di scale che collegava la parte bassa del salotto con un piano rialzato di circa mezzo metro: al di sopra delle scale le sembrò di vedere una figura che indossava ancora la maschera, l’unica tra le migliaia oramai presenti (le figure infatti sembravano sempre di più in quell’enorme spazio). Inizialmente la notò ma non ci fece caso, poi man mano che si avvicinava ad essa non riusciva a non fissarla, come se la ipnotizzasse. Una volta alle scale dovette fermarsi al secondo gradino: comparve un leone dal portamento maestoso che passò davanti alla figura in maschera, quasi volesse difenderla, e poi si fermò in posizione seduta accanto alla gamba sinistra di quello. Era ora il momento per quell’essere di togliersi la maschera, e così fece, turbando ulteriormente il precario equilibrio che manteneva F ancora in quel mondo: era di nuovo B, che di nuovo mostrò le due ali dal piumaggio differente. Il suo viso era rivolto in basso, a metà tra il terreno e il dolce viso della ragazza, ma gli occhi erano come al solito puntati negli occhi di lei, come se volesse scrutarle l’anima ma a sua volta come se si lasciasse studiare. Dopo pochi secondi di sguardi, la giovane donna notò una sorta di movimento negli occhi dell’altro: inizialmente pensò che si stava sbagliando, ma poi non potette notare che un fuoco stava bruciando in quegli occhi, cosa che la fece ulteriormente terrorizzare. Di un colpo la creatura alata alzò la testa e allargò le braccia e tutte le strane figure senza viso che circondavano quel luogo acquisirono il viso di B, il quale pronunciò alcune parole con la terribile voce che aveva fatto scappare dal sonno la fanciulla solo la sera prima: «Devi rispondermi» disse, e fece paralizzare F. In quell’istante tutto intorno a lei svanì, eccetto il leone, che si era alzato e le si era avvicinato: la ragazza stava per piangere, era al limite di sopportazione ma non riusciva a scappare via quasi fosse stata paralizzata per davvero, ma venne rassicurata dai movimenti di quell’affascinante felino, il quale la annusò e le accarezzò il corpo, partendo dalla gamba sinistra e girando intorno ad essa per poi porsi di nuovo davanti a lei. Dopo ciò riuscì a muoversi di nuovo, e una lacrima leggera le sgorgò dall’occhio destro, come per liberazione; poi sorrise e cercò di fare una carezza all’animale, il quale di colpo cominciò a sanguinare dal dorso. F quindi ritirò la mano e si coprì la bocca, e vide il sangue della bestia sgorgare da più zone del corpo e sempre più copioso, infine esso si girò verso di lei la quale potette notare la mutazione del suo viso: proprio come il sogno del giorno prima, la faccia del leone era per metà normale e per metà scheletrica. La ragazza, terrorizzata come non mai, si coprì completamente la bocca per trattenersi e cominciò a piangere più forte che poteva non appena l’animale prese fuoco e scomparì. Subito dopo sentì due mani che leggere le toccavano i gomiti: accennò appena a girarsi verso sinistra poiché quel tocco non le causò paura ma le ispirò sicurezza, poi sentì una voce leggerissima all’orecchio destro, era B (o almeno il B abitatore dei sogni) che aveva avvicinato la sua testa a quella di F e le sussurrò: «non preoccuparti, non voglio farti del male, sono qui per difenderti…». Quella frase fu pronunciata in un modo delicatissimo, ella smise di colpo di piangere (anche se il suo viso rimaneva coperto di lacrime) e cercò di girarsi per guardare il suo amico, il quale ora sfiorava leggermente col suo viso la spalla destra della ragazza. All’improvviso però sentì allentare il tocco delle mani di B e si sentì circondata dalle risate di quegli uomini senza viso scomparsi prima, anche se non poteva vederli. Così si svegliò di nuovo di colpo, senza balzare ma spalancando gli occhi: rimase bloccata in quella posizione fino al mattino seguente. Quando si alzò era distrutta non tanto per il sonno perduto, quanto per le nuove paure e i nuovi interrogativi che prendevano piede in lei: quei sogni dovevano pur significare qualcosa. Cercò di evitare un confronto con i suoi parenti e per lo più ci riuscì, dovendosi preparare per uscire e per partecipare ad un incontro col suo gruppo di amici, come aveva fatto proprio due giorni prima. Si vestì invero svogliatamente, e lasciò casa soprappensiero fissando il terreno per pensare a quello che poteva trovare nella sua mente. Raggiunti gli altri puntò diritta verso M, incollando sulle sue labbra un bacio che lo avrebbe zittito probabilmente per il resto della giornata: fu infatti lunghissimo ma a dir poco passionale. Il ragazzo infatti non proferì parola quando F gli disse che aveva bisogno di parlare con B, il quale era arrivato in quel momento e aveva parcheggiato l’auto a pochi passi da loro: lo raggiunse in macchina e non gli diede il tempo di salutarla poiché attaccò subito un discorso veloce e preciso. «Ecco, B, è meglio che non ci vediamo più per un po’, anzi è meglio anche evitare di parlare o scriverci, devo riflettere a fondo su di una cosa, poi quando ne sarò venuta a capo ti farò sapere io…», il suo viso era deciso e cupo, quello di B preoccupato e già in parte triste, anche se riusciva a nascondere fin troppo bene i suoi sentimenti, volendo affrontare il problema razionalmente: «come mai mi dici questo? Ho fatto qualcosa? Qualche errore di cui stupidamente non mi sono reso conto? Dimmi tutto ti prego, sai che voglio parlare con te» si rese conto però che la ragazza non era troppo aperta al dialogo in quel giorno: «no guarda, non è il caso ora di parlarne, te l’ho detto, poi ti farò sapere…». B fu preso da quel discorso, e ne rimase colpito e scosso, cercò ancora di replicare ma ciò che pronunciò non giocò a suo favore: «ma, F, ti prego dimmi cosa è successo, io non voglio farti del male, sono qui per difenderti…» non finì di pronunciare quella frase che venne subito interrotto dalla giovane: «no basta adesso davvero non mi va di parlarne, io vado ci vediamo». Lasciò di colpo l’auto e il ragazzo rimase bloccato per quel comportamento, mentre la guardava che le scappava dalle mani per correre dal suo ormai unico punto di riferimento, M. Fecero così la loro solita passeggiata, questa volta però con M ancora stordito per lo scossone di poco prima, F ancora piena di paura per la nottata e B incredulo per il discorso che aveva avuto, mentre altri amici ed amiche cercavano di comprendere perché fosse così “giù”, poiché si era staccato dal gruppo che seguiva i due fidanzatini. La mattinata si concluse così come era iniziata, senza alcun interesse a proseguirla da parte di tutti. Coloro che solitamente davano vita a quelle passeggiate erano o turbati o tristi per gli avvenimenti descritti, e non riuscivano a farsi consolare dagli altri presenti. M quindi cercò di invitare ad uscire F anche quella sera ma la ragazza rifiutò, mentre era ancora avvolta nei suoi pensieri, e il suo fidanzato non insistette, forse ancora sotto l’effetto del bacio stordente. Tornarono tutti a casa, tutti per passare la solita giornata, tranne la splendida F, ancora occupata a cercare un significato per quei suoi sogni, e il triste B, che pensava al discorso che aveva avuto con la ragazza che segretamente amava. Le ore passarono con la loro consueta velocità e la notte arrivò: F tremò al solo pensiero di doversi avvicinare di nuovo al letto, come se avesse visto la creatura che infestava i suoi sogni stesa su di esso ad aspettarla, ma poi si distese delicatamente coprendo la sua morbida pelle con la coperta, unico scudo esterno per il suo avvenente corpo. Di nuovo il sonno si impossessò di lei, nonostante la sua mente non ne sentisse il bisogno in quel momento. Riuscì comunque a recuperare qualche ora di sonno, ma di sicuro di meno di quelle del giorno prima, le quali furono circa quattro. Dopo poco però si ritrovò di nuovo nel luogo apparentemente paradisiaco del primo sogno, l’immenso campo sovrastato da un cielo terso, questa volta era però più vicina a quella zona oscura che in passato la stava per far scappare dal sogno. Guardava quella zona con odio e cercò di evitarla dopo averla fissata, poi di colpo vide ergersi ai suoi fianchi due immense mura che si innalzavano fino al cielo, cercò quindi di girarsi dietro di sé, ma di colpo apparse un altro muro che le chiudeva la strada anche in quella direzione: si rese conto di trovarsi in un corridoio a senso unico che l’avrebbe condotta direttamente verso la zona oscura e malvagia, e quindi pensò bene di non muoversi dalla sua posizione, appoggiandosi alle mura formatesi: purtroppo questa sua idea venne vanificata dopo qualche istante, quando si rese conto che proprio il muro dove si era poggiata si stava muovendo, e anche a gran velocità, verso quella nefanda zona. Tentò di fermarlo ma non ve n’era modo, quindi cominciò a correre con i suoi piedi notando che il muro si era fermato, come se prima avesse voluto invogliarla a muoversi. Era costretta a correre verso quella odiata zona, e con tutte le sue forze. Arrivata lì venne come annunciata ad un nuovo mondo da un lampo che toccò terra poco distante dalla sua posizione, il quale fu subito seguito da un tuono molto potente e che causava uno strano effetto di riverbero. Si sentì indifesa e impaurita, pensando che ci potessero essere altre creature, quasi certamente pericolose, in quella zona. Notò poco distante da lei una casa e, dopo un dubbio iniziale, si precipitò verso essa sperando di trovarvi riparo. Una volta entrata si rese conto che non poteva difenderla più di tanto, a causa delle mura piuttosto fragili, fatte di un legno ormai marcio forse per l’età, che ad occhio le sembrò antidiluviana, inoltre era completamente priva di qualsivoglia mobilio o suppellettile qualsiasi. Dopo aver fatto un giro di ricognizione, tornò nel piccolo atrio principale per sorvegliare la fragile porta, ma fu colta da un forte spavento quando si rese conto che in un angolo di quella camera era presente la creatura che infestava ormai da troppo tempo i suoi sogni: il suo cuore cominciò a battere più forte che mai e, nonostante avrebbe voluto cacciarlo via, il fiato per pronunciare la benché minima parola le mancò non appena quello aprì le sue ali e alzò il suo viso, che mostrava un sorriso che ai suoi occhi parve subito malvagio, per fissarla. La povera ragazza cercò di rintanarsi nell’angolo opposto a quello in cui si trovava la creatura che lei vedeva come un demonio dalla faccia conosciuta. Quest’ultimo abbassò le braccia e le ali e cercò di avvicinarsi alla sognatrice con un viso questa volta pulito, essa però cominciò a piangere cercando di allontanarlo nonostante non potesse ancora toccarlo: quello si fermò ma solo per un istante, infatti ricominciò subito ad avanzare verso di lei che era ormai in delirio dalla paura, con il viso totalmente coperto dalle lacrime. Una volta raggiunta, la creatura alata si piegò sulle ginocchia per potersi avvicinare alla giovane e con una mano le accarezzò il viso con una delicatezza impensabile, asciugandole anche parte della faccia. Essa quindi si girò per guardarlo negli occhi senza fermare il pianto, e vide che un sorriso benevolo e solare era nato sul viso di colui che lei giudicava come un nemico: ciò riuscì per un momento a calmarla, fino a che di nuovo una vampata di paura si impossessò di lei, una paura quasi violenta, che la fece scattare in piedi per allontanare l’unico abitatore della casa all’infuori di lei. I due continuarono a guardarsi, uno ancora sorridendo, questa volta con un velo di tristezza forse per la forte volontà che li aveva separati, l’altra invece smetteva in quel momento di piangere, ma era ancora affannata per la disperazione di poco prima. Nessuno dei due parlò, solo il “B alato” cercava di comunicare con lei tramite sguardi, poi proprio F si fece forza e cercò di dare inizio ad un discorso, in modo da non far terminare il sogno come tutti gli altri: «tu…tu cosa vuoi da…me…perché…perché ogni notte mi costringi a soffrire in questo modo…cosa ti ho fatto io, e perché ti presenti a me con…con il viso di una persona che…esiste davvero». L’altro per un momento rimase confuso, o almeno questo si poteva afferrare dall’espressione assunta dal suo viso e in generale dalla sua testa, che si piegò verso destra, come se non avesse afferrato le parole della ragazza, chiare nel significato ma tremolanti nell’espressione. Dopo qualche sguardo l’uomo alato prese la parola: «cosa intendi dire con perché? Io esisto davvero, altrimenti non sarei qui davanti a te, F…» la ragazza si sentì presa in giro dopo quella frase, e lo fece comprendere tramite il suo sguardo, a momenti feroce. Ma proprio in quel momento si rese conto che quel sogno era troppo “vero”: mai aveva provato qualcosa del genere in vita sua, si sentiva intrappolata in quel sogno più che sentirsi padrona di esso, e mai aveva provato così tante emozioni differenti in un mondo creato dalla sua mente, cosa che lo rendeva ancora più reale. L’altro nel frattempo continuò: «e, dimmi, cosa intendi dire con “soffrire”, perché mai dovrei farlo? Te l’ho già detto l’ultima volta, io sono qui per difenderti», F avvicinò le mani alle orecchie come per non ascoltarlo, poi si avvicinò velocemente a lui e, mentre quello avvicinava le braccia per abbracciarla, la ragazza lo colpì ripetutamente in petto cominciando di nuovo a piangere, poi disse: «devi smetterla! Perché mi prendi in giro! Smettila! Ti odio! Qualunque cosa tu sia, ti odio!». La proiezione onirica quindi, dopo averla osservata per qualche secondo, chiuse le sue braccia delicatamente attorno al suo corpo turbato per abbracciarla. La giovane lo lasciò fare mentre continuava a piangere disperatamente, ma trovò stranamente un appoggio mentale in lui, riuscì a calmarsi grazie a quell’abbraccio e grazie al sorriso di quella creatura, che vide spostando il suo viso verso l’alto: continuarono a fissarsi per un bel po’ di tempo, con gli occhi che parlavano per loro; in quelli di uno c’erano una sicurezza e una dolcezza che F non si sarebbe mai aspettata, giudicando anche dai suoi, ancora distrutti e supplicanti clemenza a quella creatura temuta ma ora in un modo molto più contenuto. La paura la abbandonò del tutto, e spostò le sue braccia, piegate scomodamente sul petto dell’altro, attorno al suo corpo, potendo così sfiorare le sue morbide ali, e appoggiò la testa al posto della precedente posizione delle mani, stringendo il corpo dell’altro più forte che poteva. Sentì ridere leggermente l’altro che lasciò la presa e la ragazza, dandogli le spalle e allontanandosi verso l’angolo che occupava prima. Di colpo si girò mentre pronunciava una frase: «ora devi solo scegliere…», quando finì di voltarsi però il terrore saltò di nuovo ferocemente sulla già fortemente provata F: il viso dell’abitatore dei sogni infatti era diviso in due parti, metà teschio e metà uomo, così come aveva già visto altre volte. Camminando all’indietro si chiuse di nuovo nell’angolo, con il fiatone e gli occhi sbarrati, mentre il suo corpo, nel mondo esteriore, stava contorcendosi in un modo a momenti sovrumano, cominciando a sudare freddo. Le sue mani si aprivano in continuazione, come volessero fugare un dolore troppo forte. Nel frattempo, nel mondo onirico, quella figura vivente nella sua mente si piegò verso il basso coprendosi il viso con le mani, poi dopo pochi secondi tornò a guardare la ragazza: ora la sua faccia era di nuovo interamente umana, ma F diffidava ancora di lui. Essa si alzò da terra, essendo scivolata per suo volere lungo il muro, volendo a momenti scomparire, ma rimase in quell’angolo, dal quale poteva fissare l’altro e poteva guardare la porta. L’altro intanto riprese la parola: «devi solo scegliere, non devi temermi. Scegli, me –a questa parola indicò se stesso- o loro –e indicò la porta con la mano aperta e distesa-. Ora, sta a te». La cosa che più la preoccupò fu la voce che pronunciò la parola “loro”, quella voce malvagia che aveva sentito già in passato, rimbombante e accompagnata da un forte effetto di riverbero. Non aveva capito cosa volesse intendere con quella domanda così lo fissò, aspettando una risposta, ma dopo qualche istante qualcosa cominciò a colpire pesantemente la porta, che stranamente non crollò. Urla strazianti cominciarono ad accompagnare quei possenti colpi, urla non appartenenti al pianeta in cui fisicamente lei viveva, ma nemmeno alla sua mente, esse erano qualcosa di raccapricciante anche se ascoltate a gran distanza, colpivano direttamente zone remote del cervello, passando bruscamente e malvagiamente per gli organi adibiti alla percezione del suono, ferendoli immancabilmente. Eppure la figura alata sembrò conoscere bene quel suono, e lo ignorò come fosse stato un comune rumore, attendendo risposta alla sua domanda. Quando la giovane era sull’orlo di una crisi, il frastuono e i colpi continui alla porta cessarono; F quindi fissò la porta e poi diede un’occhiata al ragazzo, quindi si scaraventò sulla porta con uno scatto velocissimo, aprendola al volo e trovandosi all’esterno. Qui la follia cominciò a stendere le sue fredde e malvagie mani sulla mente di quel povero essere, a causa di quello che vide: il cielo era diventato rosso scuro, e ciò che gli rimaneva di normale erano le venature scure che dovevano rappresentare probabilmente le numerose nuvole del luogo, e il rumore di sottofondo era qualcosa di anormale per il continuo cambiamento di frequenza che si poteva avvertire. Ciò bastò a farla fermare a guardarsi intorno, ma ciò che le fece mancare il respiro fu il battito del cielo: dopo qualche istante infatti tutto ciò che era sopra di lei cominciò a battere rumorosamente e lentamente, come se fosse intrappolata in un enorme cuore. Quei battiti disgustosi continuarono senza mai fermarsi, e dopo poco si rese conto che l’intero cielo si stava avvicinando a lei, comprimendosi come una stella prima dell’esplosione in nova. Il fiato le mancò del tutto, come se l’ossigeno fosse stato succhiato via da quel mondo, si girò cercando di nuovo la creatura che l’aveva posta di fronte a quella scelta, forse era l’unico che poteva aiutarla, ma quando si voltò lo vide di profilo ancora all’interno della casa: egli mosse il capo annuendo ad una negazione, poi le voltò le spalle e davanti a lui una luce intensa apparve, e in essa egli scomparve, alzando le gambe una alla volta e infilandole in quello squarcio luminoso. La ragazza cercò di urlare ma il fiato era sempre di meno e tutto ciò che riuscì a pronunciare fu un leggero gemito, e coprendosi la bocca inciampò all’entrata della casa senza però subire alcun danno. Prima di svenire si rese conto che la creatura onirica appena scomparsa le aveva lasciato una piuma, per metà bianca, la metà destra per la precisione, e l’altra metà nera. La strinse in mano non appena sentì di nuovo un grido straziante dietro di lei, quando si girò notò il cielo vicinissimo, a momenti tutto intorno alla casa, ma l’urlo proveniva da un essere ripugnante, alto molto di più di qualunque altra creatura umana, la sua figura mostruosa, probabilmente dalla pelle squamosa, molto robusta e dal cranio duro già alla sola vista. Fissandolo dalla paura si rese conto che la fronte era come divisa in due parti distinte ma solidamente unite tra loro e che inglobavano gli incavi adibiti agli occhi nelle creature “normali”: quest’essere infatti non aveva alcun tipo di occhi, eppure puntava con estrema precisione la sua preda, sbavando avidamente dalla sua bocca, dotata di denti molto più aguzzi di un qualunque altro animale conosciuto nel mondo “reale” (cos’è reale…?). Non appena quel mostro lanciò un secondo urlo la fanciulla si svegliò di colpo, con la fronte coperta da un sudore freddo, gelido, e cominciò a piangere cercando di non farsi sentire da nessun abitante della sua casa. Aveva dormito qualche ora di più rispetto alla giornata precedente, ma un sonno talmente tormentato non le sarebbe comunque servito a riposare le sue membra ormai a pezzi da tempo.

  6. #6

    Predefinito Re: I nostri racconti

    Quote:
    L'altro Mondo - terza e ultima parte

    Passò una giornata scialba come e, anzi, più delle altre: ormai la sua vita si svolgeva di più nel suo mondo degli incubi, come si poteva denotare dai suoi occhi iniettati di sangue, segno di vera e proprio distruzione fisica e mentale, anche se l’ipnotizzante colore di essi rimaneva ancora vivo, come in segno di un’ultima speranza di vittoria contro quelle creature che ogni notte la terrorizzavano. Vide di nuovo M, che notò il suo viso sconvolto e cercò di capire quali fossero i suoi problemi, senza ottenere però un buon risultato, cosa che lo fece irritare e addirittura lo portò a comportarsi male con lei, essendo una persona piuttosto cocciuta ed orgogliosa, “che non perde mai”, come diceva spesso con fierezza. Continuava a vivere le sue giornate nel peggiore dei modi, bloccandosi spesso, fissando il nulla, e piangendo senza alcun motivo apparente. Passò la giornata così, scontrosa contro le creature del mondo esterno a causa di quelle del suo mondo interno, fino all’avvento delle tenebre che avvolsero la terra dopo la corsa per scacciare la soffusa luce del crepuscolo. Dopo una a dir poco leggera cena, e dopo qualche altro momento struggente e pensieroso, cominciò di nuovo a guardare il letto con terrore, tenendo gli occhi incollati su quel materasso a momenti considerato malvagio anch’esso. Dopo un po’ però il sonno si mostrò di nuovo più forte di lei, avviluppandola e trasportandola proprio verso quel luogo odiato. Si accasciò subito, come se avesse dimenticato tutti i “pericoli” che correva facendolo. Oramai aveva dimenticato un sonno così forte, che non la trasportava da giorni con tanta foga verso quegli odiati mondi. Quella notte inoltre cominciò a sognare prima delle precedenti: si trovò subito in quell’immenso campo fiorito, ma era come se il tempo corresse, come le fece notare di nuovo un movimento intorno a lei che le ricordò di nuovo una pellicola cinematografica consunta, e subito dopo questa immagine tutto attorno a lei scomparve come fosse stato bruciato via. Si ritrovò in un luogo dove non si potevano distinguere un cielo o un qualunque tipo di suolo: era tutto dello stesso colore, una sorta di marrone, ma di una tonalità mai vista prima, e forse non esistente nel mondo umano. Si guardò intorno impaurita, e ancora di più si intimorì quando sentì un rumore continuo di passi, non particolarmente pesanti, ma che in quella situazione le sembrarono assordanti, e di conseguenza asfissianti a causa della paura che causavano. Di colpo venne abbagliata da una luce forte che apparve davanti a lei, e quando riuscì a guardare di nuovo chiaramente, vide davanti a sé l’odiata creatura alata, ancora pronta a perseguitarla. Mai in un sogno aveva provato sentimenti così forti, nemmeno nei giorni passati, rimase totalmente senza parole per un attimo, poi un forte odio le scoppiò dentro quando l’altro disse: «Allora…dovresti avere scelto piccola mia…». La dolce bellezza della ragazza venne affiancata da una potente rabbia che scoppiò in un attacco inaspettato: «devi smetterla con queste maledette decisioni, te l’ho già detto, io ti odio, non voglio vederti, tu devi andartene dai miei sogni, io ti odio lo capisci? Solo ieri volevi che un mostro orrendo mi facesse a pezzi e ora hai ancora il coraggio di parlarmi?», venne interrotta, anche se con molta calma, dall’altra figura, che cercò di lasciarla ragionare, sfruttando anche movimenti molto delicati: «ma…io sono qui solo per te, per i tuoi sogni e per la tua vita…la creatura che ieri sera ti ha attirata a sé? Beh tu hai deciso di andare da lei, io ti ho porto la mia mano ma tu l’hai rifiutata…ma ho rimediato al tuo errore, ti ho lasciato una…una parte di me, un metodo per scegliere, se non lo hai fatto potremmo farlo insieme…ora…qui…». La sua mano si distese di nuovo verso di lei, come volesse invitarla ad avvicinarsi, ma la giovane ancora optò per l’attacco diretto: «credevi davvero che mi sarei avvicinata alla tua mano? Sapevo bene che volevi ingannarmi –guardando il viso dell’altro per un attimo si fermò, pensando che forse stava commettendo un errore a pronunciare quelle frasi, ma una forza indomabile le era oramai divampata dentro e non riuscì in alcun modo a placarla-, tu mi hai condotta verso quella porta, tu hai invocato quella bestia immonda e mi hai abbandonata! Vattene via dalla mia testa!». L’altro cercava ancora di spiegarsi, di fare capire alla creatrice di quel mondo che in realtà lui non aveva cercato in nessun modo di nuocerle: «F, cerca di ricordare, forse è solo una leggera dimenticanza, tu hai fatto la tua scelta, ma io ti ho lasciato una ultima possibilità…» «ma di cosa diavolo stai parlando?» «quando hai tentato di oltrepassare per la seconda volta quella porta, io ho lasciato un segno lì per terra…una piuma, molto particolare…dovresti averla messa nella tasca del tuo pantalone…», prima di ricominciare ad attaccare colui che lo aveva perseguitato per così tanto tempo, la ragazza si frenò e meccanicamente mise una mano nella tasca del suo jeans, e da quella estrasse proprio la piuma bicolore che aveva raccolto la notte prima. Dopo un istante di sconcerto si rivolse all’altro con un tono confuso ma calmo rispetto a quello di poco prima: «non ricordavo di…averla posata qui…quindi cosa dovrei fare con questa piuma?» «essa dipende da te, dalla scelta che farai, io lo capirò tramite essa. Ora cerca di ricordare, qui…con me…ti darò una mano io. Io non ho fatto altro che guidarti, non ho mai voluto causarti del male, vieni, stringi la mia mano, ti darò la possibilità di rivedere quello che è accaduto…» quando le porse la mano, la giovane perse totalmente il controllo delle sue emozioni e cominciò a colpire verbalmente il suo interlocutore: «io ricordo benissimo quello che è successo lo capisci? Vuoi ficcartelo in testa? Tu sei un maledetto bello, se solo penso a quello che mi hai fatto…! Mi avresti lasciata marcire in braccia a quel…quel coso che con un morso mi avrebbe trapassata, che solo con il fetore della sua putrida bava mi avrebbe uccisa…tu non lo capisci perché? Te lo dico io perché, sei una fottuta bestia proprio come quello che ho visto fuori da quella porta, tu sei uno di loro, un mostro pericoloso! Vattene, ora!». L’altro, dopo avere inizialmente accusato il colpo con una smorfia quasi di dolore, dopo aver fissato senza alcuna espressione il viso della ragazza sporcato dalla rabbia più pura, guardò la mano destra dell’altra, la quale teneva ancora stretta la piuma; allargò gli occhi, poi mostrò un’espressione per metà preoccupata e per metà cattiva e decisa, infine con la faccia coperta prima dal dolore e poi dalla rabbia fissò i verdi e grandi occhi della ragazza, la quale di colpo placò la sua furia e venne presa da una sottile linea di paura che partiva dagli occhi misteriosi della creatura alata, e che la centrò in pieno, causandole la pelle d’oca. La sua voce cambiò, non era più quella dolce ed appagante di poco prima, ma una voce contraddistinta da una rabbia appena nascosta: «e così, a quanto vedo, hai deciso…la tua scelta è stata definitivamente fatta…» «ma cosa dici? Io non ho scelto niente, ho detto solo che devi andartene…» «per l’appunto –la interruppe prontamente, troncandole le parole e le emozioni- almeno sei stata coerente, in un certo qual senso, con le tue decisioni, nonostante io abbia cercato di distoglierti più volte…sei riuscita a cascare nella trappola della tua stessa paura…sei molto impressionabile, troppo debole, dovevo immaginarmelo…» «ma cosa diavolo vai blaterando? Ti ho chiesto soltanto di andartene e di lasciarmi vivere…e sognare…» «si, vivere e sognare, ora che me ne andrò l’illusione sarà quella; è mai possibile che tu non ti renda conto dell’errore che hai commesso? Beh in parte hai ragione, io non sono stato sempre esplicito, però come hai potuto essere così cieca. Ti sei lasciata spaventare da un volto strano, malvagio ai vostri occhi, spero tu abbia pensato a cosa rappresentasse, non solo alla paura che ti causò, vero? Era solo un volto, per metà teschio e per metà, hm, potremmo dire conosciuto: cosa c’è di tanto cattivo in un teschio? Perché vi fa talmente tanta paura un pezzo d’osso, è in ognuno di noi in fondo. E quella voce…questa voce –di colpo cambiò il tono della sua parlantina, riprendendo quello di qualche sera prima che appariva malvagio a F, anche se pronunciò con essa solo queste due parole- davvero ti sei lasciata impressionare da una semplice voce, al massimo leggermente “inusuale”?» «erano qualcosa di mostruoso e tu dici che non erano nulla? Una voce che penetrava dalle orecchie fino al cuore e congelava il sangue, un viso per metà vivo e per metà morto…» «ognuno di noi è così, o forse vorresti negarlo? Almeno dicendomi ciò alleggerisci il mio compito, scegliendo da sola la tua pena: se quel viso da te ritenuto malvagio ti causava dolore, ora lo farà un viso da te ritenuto amichevole, se una voce ti causava angoscia, ora lo farà il silenzio…per sempre…» detto ciò alzò gli occhi verso l’alto e con una velocità assurda una vampata di fuoco lo avvolse, comparendo dal suolo sotto i suoi piedi, ma quello cominciò a ridere, sempre più forte, fino a che la sua voce non divenne di nuovo quella mostruosa e riverberante bandita da F poco prima. Il corpo della ragazza, nel mondo umano, continuava a contorcersi in un modo inimmaginabile, mentre il sudore ghiacciato continuava a scendere grave lungo il suo viso provato dal dolore di quei giorni. Nel mondo onirico invece la scena continuava, fino a che l’alato girò velocemente i suoi occhi verso quelli spalancati della ragazza: la sua faccia era di nuovo divisa in due parti, ma ora un ghigno malefico la rendeva ancora più insopportabile alla vista. Di colpo la sua figura divenne cenere portata via dal vento, e la piuma che aveva in mano F si dissolse con lui. Solo una piuma nera era rimasta dove il fuoco era divampato, perfetta e bellissima: la ragazza cercò di raccoglierla avvicinandosi timidamente, ma una ulteriore folata di vento la tramutò in polvere e la portò via. Non si svegliò questa volta, e il suo corpo ritornò ad essere calmo e a riposarsi, ciò di cui aveva principalmente bisogno. La mattina seguente si svegliò e si guardò intorno, era tutto finito, sorrise di nuovo e abbracciò il cuscino, poi di nuovo si ricordò che aveva un appuntamento con la sua fidata (almeno a prima vista…) compagnia, così felice si alzò e baciò sua madre, fece colazione gustandosela, come non faceva più da giorni, salutò tutta la famiglia dopo essersi preparata e si precipitò in strada per salutare i suoi amici. Le sembrò, guardandoli da lontano, che un alone di tristezza aleggiasse su di loro, e ciò fu confermato quando li raggiunse: alcuni di loro stavano piangendo, M guardava un punto fisso ma sembrava l’unico meno sconvolto, così cercò chiarimenti da lui riguardo allo sconforto che attanagliava la comitiva: «ancora non hai saputo. Potevi guardare almeno un telegiornale siccome ne parlano tutti oramai…», comprese che si trattava di qualcosa di particolarmente brutto, e mutò l’espressione del suo viso da sorridente a preoccupata: «stanotte, verso le 2 o le 2.30, B è morto…» i suoi occhi si aprirono e lo sconcerto gli trattenne le palpebre, si coprì la bocca con una mano, non credeva a quello che gli era stato detto, e odiava il modo in cui gli era stato detto, M intanto continuò: «è stata trovata la sua auto schiantata contro un albero, in fiamme, ora è completamente distrutta, eppure dicono che forse non è stato un incidente, la metà sinistra del suo viso infatti era stata scarnificata in un modo mostruoso, totalmente, addirittura le ossa erano pienamente visibili». F fu sconvolta da queste notizie, eppure qualcosa non la fece piangere, un qualcosa trattenne le lacrime dentro di lei, riuscì solo a esternare il suo dispiacere a M, balbettando, poiché sapeva che era il suo migliore amico, ma la voce del suo ragazzo la sconcertò profondamente: parlava appunto di telegiornali, ma anche le sue espressioni erano quelle di chi guarda i fatti dall’esterno, come se non avesse mai conosciuto la povera vittima dell’incidente, contraddistinte da una freddezza non rara ma unica. Poi pensò forse che era talmente sconvolto da non poter provare più emozioni precise, così lo abbracciò per donargli conforto, ma il suo pensiero venne distrutto dall’azione seguente del ragazzo: si mosse velocemente e disse: «allora ragazzi, andiamo a farci questa passeggiata, F è qui ora…», era calmo come poche volte avevano potuto notare, e tutti lo seguirono guardandolo però sbalorditi per “l’iceberg” che mostrava di essere. E tale rimase per il resto della mattinata, e così lo lasciarono quando si salutarono tutti poco dopo, poiché non avevano una gran voglia di passeggiare dopo quello che era successo. Quando fu a casa F non sapeva a cosa pensare, non voleva immaginare che il suo sogno fosse in qualche modo collegato a quello che era successo, ma non riusciva a non pensarlo, tutto quadrava: nel suo sogno l’essere che aveva le sembianze del suo amico B era scomparso dai suoi sogni per sempre, bruciando e mostrandole infine le sue “due facce”, e proprio nella stessa ora della notte il suo amico B, quello in carne ed ossa, era morto, schiantandosi contro un albero, la sua auto era finita in fiamme, bruciando in parte anche il corpo, il suo viso però era stato distrutto da una qualche forza esterna. Tutto era terribilmente ed angosciosamente combaciante (naturalmente nelle giuste proporzioni tra mondo e sogno…); rabbrividì e aprì gli occhi più che poteva, stava tremando mentre la sua fronte cominciava a mostrare delle gocce di sudore freddo: quello che aveva visto quella notte era davvero sogno? Poteva mai essere una sorta di visione, che le aveva predetto il futuro del suo amico? O un qualche collegamento con la mente dell’altro? Tutto le sembrava assurdo eppure ci doveva essere una zona del suo cervello che le permetteva di vedere quelle cose, che la portava in un mondo onirico parallelo, poiché quelle visioni non potevano di sicuro essere normali sogni. Pianse tutta la giornata pensando al fatto che non avrebbe mai più visto una persona in un certo senso a lei cara, una vita intera, anche se fosse durata solo un altro istante, alla quale viene tolta la possibilità di vedere un uomo che significa qualcosa per un'altra persona, anche se si limitava magari a rimembrare qualche ricordo di poca importanza; ma pianse anche perché non capiva cosa le stesse accadendo a causa di quei sogni. Di nuovo l’oscurità seguì la luce per prendere il suo posto, e Morfeo nuovamente abbracciò le valli di questo mondo per portare sollievo e dolore, vita e morte. Quando pensò di riposare ancora le sue stanche membra non ebbe la stessa sensazione delle precedenti notti: sapeva di essersi liberata almeno dagli incubi notturni, anche se aveva constatato, con la tragica morte di B, che erano cominciati quelli diurni, e non pensò al discorso che l’ormai defunta creatura alata le aveva fatto la nottata precedente con tono grave. Si posò sul letto, soavemente, fissò per un attimo un punto preciso, mentre la sua mente lasciava scivolare via tutti quegli orribili avvenimenti, poi le sue palpebre calarono lentamente, coprendo la luce e le sensazioni che scaturivano dai suoi streganti ed emozionanti occhi verdi. Dormì tranquillamente per un paio di ore, poi si ritrovò per l’ennesima volta in quell’immenso prato, coperto da un cielo totalmente limpido. Era sola in quella distesa paradisiaca, e questa volta non vedeva alcuna zona “oscura” stagliarsi malefica in lontananza. Dopo un po’ però notò una figura in lontananza, non era molto lontana da lei ma non poteva distinguere precisamente la sua figura. Per un momento ebbe paura, poi decise di avvicinarsi, come se la curiosità l’avesse ipnotizzata: una volta vicina si rassicurò poiché questo nuovo ospite non possedeva ali o altre anormalità, era solo un corpo umano, e si rese conto che di fronte ad esso si ergevano due alberi colmi di fiori che cadevano dolcemente, come fosse una continua pioggia rallentata. Quando gli fu alle spalle quello lentamente si girò, ed F fu felice di notare che si trattava di una persona molto cara, il suo M, un uomo importante per lei. «M sei…sei tu!? Non ci posso credere, io…finalmente è tutto finito…!», l’altro non rispose, F gli accarezzò il viso ma ancora non ricevette risposta alcuna, anzi non fu rassicurante la temperatura che aveva il corpo dell’ospite del sogno: era piuttosto fredda per essere normale. Nel frattempo, il corpo di F stava contorcendosi in un modo raccapricciante, già dall’inizio del suo sogno nonostante fosse cominciato come un sogno piacevole. Per un attimo, alla sua proiezione onirica, tornò in mente il discorso della creatura alata: “se quel viso da te ritenuto malvagio ti causava dolore, ora lo farà un viso da te ritenuto amichevole, se una voce ti causava angoscia, ora lo farà il silenzio…”; impallidì pensando che ciò che le era sembrata una vana minaccia poteva avverarsi davvero come una tremenda punizione, arretrò di due passi mentre anche la sua figura nel mondo dei sogni cominciava a tremare. Subito M piegò il collo e la testa verso sinistra, mentre il suo sguardo rimaneva morto e privo di espressione, poi rialzò la testa e chiuse gli occhi: proprio in quell’istante la ragazza notò varie anomalie intorno a sé, le solite distorsioni che le ricordavano una vecchia pellicola. Dopo poco il ragazzo riaprì gli occhi, ora non potevano distinguersi le pupille, infatti entrambi i bulbi erano totalmente scuri, completamente privi di vita, come se stessero per scoppiare: F indietreggiò ancora, la paura di nuovo si divertiva ad accarezzarla sadicamente causandole brividi sia sul suo sinuoso corpo sia nella sua tormentata mente. M d’un tratto cominciò a piangere, ma le sue lacrime erano sangue, e gli solcarono il viso lasciando una precisa scia sulle sue guance, e continuarono a scendere, lungo il suo collo, una dietro l’altra, segnando sempre di più il viso, rendendo quella scena insopportabile agli ormai distrutti, ma ancora splendidi occhi della giovane. Tutto intorno cominciarono a comparire nuvole oscure, che viaggiavano ad una velocità inaudita, e di nuovo erano accompagnate da un frastuono assordante e riverberante: F si girò per scappare, ma si rese conto che, per quanti passi sarebbe riuscita a compiere, non si sarebbe mossa da dove si trovava, poiché qualcosa di oscuro, una forza paranormale, la tratteneva, e infatti la distanza tra lei e quella presenza inquietante non cambiò minimamente. Non voleva girarsi per guardarlo in viso, ma il cielo divenuto rossastro le crollò addosso, come era accaduto due notti prima, anche se molto più velocemente, e delle braccia marce con forza uscirono dal terreno e dalle nuvole che le erano intorno, trattenendola, e costringendola a girarsi per fissare gli occhi sanguinanti del suo ragazzo. Cominciò a piangere come non aveva mai fatto prima, ora che ogni speranza stava svanendo, poi ogni suono scomparve del tutto: pensò di aver cominciato a perdere i sensi, ma poi si ricordò di nuovo di quella frase, “una voce ti causava angoscia, ora lo farà il silenzio…”. Il dolore si era ormai impossessata del suo corpo e della sua anima, ma soprattutto dei suoi sentimenti, non poteva più sentire alcun rumore, però i suoi occhi potevano ancora vedere tutta quella infernale e rumorosa (nonostante fosse costretta a non udire nulla) scena, quindi pensò che quella minacciata punizione si stava compiendo in ogni minimo particolare, per farla soffrire dall’inizio alla fine, poi di colpo cominciò a piovere delicatamente, e potette cogliere lo scrosciare della pioggia accompagnato dal totale silenzio circostante, come se qualcuno volesse alleviarle la pena: subito le venne in mente che B amava la pioggia, ma lei non aveva mai capito il perché, al contrario di questa volta, in cui ne colse al volo il dolce motivo. Comprese il suo errore, e continuò a versare lacrime poiché non poteva più scusarsi con il ragazzo morto sulla Terra così come nella sua mente, quindi si prese tutte le colpe. Ora il suo corpo si distese calmo per un’ultima volta, essa infatti non viveva più nel mondo dei vivi, dove non poteva più provare emozioni, bensì nel mondo dei sogni e degli incubi.

    Ciò che non era segno del male, ma che si presentava come difficile da affrontare, fu allontanato poiché non poteva causarle piacere istantaneo, questo fu un grosso errore; quella creatura alata, il cui volto rappresentava il viso del suo caro amico, era solo il suo custode dei sogni, l’unica creatura che le avrebbe assicurato un equilibrio psichico: tutte le sue domande, tutte le sue espressioni, tutte le sue azioni, avevano lo scopo quasi di un insegnamento per quella splendida creatura che F era, di farle prendere coscienza delle sue scelte e del mondo che la circondava, ma il suo scopo era rimasto incompreso per una superficialità, che andrebbe cancellata da ogni essere in verità…




    “Ebbene ero solo un custode dei sogni, una creatura potente quanto insignificante, incompresa quanto importante, forse la cosa meno conosciuta dagli umani, nonostante io sia creato da loro stessi, e questo la dice lunga sulla capacità di governamento che l’uomo ha su gran parte del suo cervello.
    Non mi conosci, ma ti osservo. La tua vita non è per me che un'ossessione. Ti seguo, scruto nella tua vita incessantemente, ascolto ogni tuo respiro, ogni battito del tuo cuore. Cosa sai, tu, di me? Nulla! Perfino la mia esistenza ti è ignota. Ma io ti conosco. Ho imparato ogni espressione del tuo viso, ogni smorfia, ogni dettaglio. Indovino i tuoi pensieri, conosco le tue ansie, le tue paure. Saprei perfino dirti quando ti radi male la barba. Sono qui, anche se non mi vedi. I miei occhi non fanno altro che osservarti. Non ho altro scopo che la tua vita, e quando sarà il momento, con un gesto semplice, me la prenderò. Un lampo e un ruggito saranno l'addio definitivo.”
    (thus ends...)
    che ne pensate?? la frase in corsivo alla fine del racconto è quella presa da Automatic Jack...è perfetta per il racconto che avevo appena creato e lui l'aveva scritta parlando di cecchini...nn eravamo assolutamente d'accordo...pensate un pò....

  7. #7
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    Predefinito Re: I nostri racconti

    Questo è un racconto lungo che ho scritto un pò di tempo fa. Parecchio lungo. Forse pure troppo. E forse non è proprio horror. Credo. Vabbè, se c'avete voglia...


    La Nuova Morte.
    di Obi-Fran Kenobi.




    Capitolo 1. Uccisione.


    "Suona" pensò Michael alle sette e quarantacinque di un orribile lunedì.
    La notte precedente aveva messo l'ora legale. Brutta cosa perdere un'ora di sonno di lunedì.
    D'altronde non avrebbe mai potuto andare a letto un'ora prima: la sua vita sociale lo stava ancora reclamando l'ultima volta che aveva guardato l'orologio, all'una di notte.
    Ma se esiste una cosa più brutta di perdere un'ora di sonno di lunedì, forse quella è il suono della sveglia mentre stai ancora sognando.
    Michael stava facendo un sogno molto nitido e profondo; correva senza sosta e a perdifiato in un ampia valle verde, con un cielo azzurrissimo e tante nuvole bianche e perfette, mentre il sole era quasi all'orizzonte. D'improvviso il sole era calato e una fredda notte senza stelle aveva sostituito senza preavviso il paesaggio da quadro in cui stava correndo mezzo secondo prima. E proprio mentre cominciava ad intravedere, in lontananza, una figura incappucciata che sembrava venirgli incontro, un grosso corvo -almeno credeva di ricordare che fosse un corvo- gli aveva sfiorato la testa gracchiando, con una voce stranamente metallica e artificiosa, molto simile a quella della sua sveglia. La sveglia. Maledetta sveglia.
    "Per colpa tua devo andare a lavoro!"
    Ma non capiva ancora bene quello che diceva. Michael pensò che essere strappati da una fase r.e.m. dal bieco rumore di una sveglia con molta probabilità è un'esperienza simile ad un'overdose, o ad un'ubriacatura con un mix quasi letale di alcolici. Ma non lo pensava con cognizione di causa, dato che non aveva mai provato nessuna di queste esperienze.
    Si, sicuramente doversi alzare il lunedì mattina dopo l'ora legale per andare a lavoro mentre si sta ancora sognando è una delle cose più brutte che possano succedere ad una persona comune.

    "urgh!"
    Non c'era che dire: alzarsi dal letto, in quel momento, sembrava a Michael un'impresa degna di un qualche riconoscimento importante, sicuramente a livello mondiale. Aveva molto freddo, e quando si ricordò che questo era dovuto al fatto che non aveva acceso il riscaldamento la sera precedente non la prese molto bene. Le piccole rughe sulla fronte che gli si formavano quando si corrucciava iniziavano già a marcarsi definitivamente sulla sua giovane cute, così come gli angoli della bocca, troppo abituati ad incurvarsi verso il basso.
    L'acqua era fredda, e i vestiti ghiacciati. Non aveva voglia di farsi il caffelatte, però il latte da solo era freddo e non aveva voglia di usare il microonde per riscaldarlo. Gli aveva giocato troppi scherzi quel microonde. Ok, per quanto l'aveva pagato si poteva dire che facesse il suo onesto lavoro, ma forse sarebbe stato il caso di spendere un pò di più, per una volta. Michael non era tirchio. Almeno, non era tirchio riguardo le cose che gli interessavano. Considerava il nutrirsi una cosa inevitabile, che andava fatta per forza, e che rubava tempo alle cose che uno ha veramente voglia di fare. per questo odiava il nutrirsi e, ovviamente, tutto quello che è legato ad esso, come un forno a microonde, ad esempio. Per questo quando era "costretto" a comprare qualcosa per la cucina, lo faceva controvoglia e finiva per risparmiare comprando dei completi rottami. Fatto sta che quel microonde gli aveva già bruciato diverse cene e una volta quasi stava per dare fuoco alla casa, quindi non gli rimaneva molto simpatico, e optò per un succo di frutta e pane e marmellata.
    "Uh... Ho preso quelle pratiche? Si, sono in macchina."
    Prese le fredde chiavi di casa e quelle della macchina e uscì nel freddo pianerottolo. Ma questo era niente rispetto al mordente gelo che lo aspettava fuori. La sua piccola auto scassata lo guardava con uno sguardo di dolore da sotto lo strato di fredda brina che la ricopriva. Quando inserì la chiave nella serratura Michael fu quasi convinto che anche lei avesse avuto un brivido di freddo.
    Le mani tremanti nei guanti, accese il motore e tolse il freno a mano. Testò l'aria condizionata per vedere se... Già! Non aveva l'aria condizionata.
    I denti gli battevano, così li strinse, così forte da pensare che gli sarebbe venuta un'emicrania, e partì.
    Almeno, le pratiche erano effettivamente sul sedile del passeggero, e non avrebbe dovuto affrontare nuovamente il freddo esterno per tornare in casa a cercarle.
    Il viaggio fu freddo e noioso finchè i suoi occhi semicoperti dalle palpebre ancora mezze addormentate non dovettero obbligatoriamente spalancarsi.

    STUMP! cr-crrr!
    Frenò.
    Un'orribile nuvoletta di lunghe penne nere stava volteggiando intorno al lato destro del suo cofano. Inchiodò, e non si curò della lunga suonata di clacson dell'auto che aveva dietro, obbligata a inchiodare a sua volta. Invece, sfilò la cintura di sicurezza e uscì dalla macchina intimorito, con la mano guantata sulla bocca, a vedere cosa aveva fatto. La sua coscienza gli impose di fare il giro largo, forse per temporeggiare e raccogliere la forza mentale sufficiente a dominare la situazione, o forse per semplicissima e cinica suspance.
    "Oh, no..." eh si...
    "Oh, no, no..." e invece si.
    Ma come si fa a mettere sotto un corvo?
    "Ma come si fa a mettere sotto un corvo?! Stupido corvo, non potevi volare come fanno tutti gli uccelli di questo schifo di mondo?!" Sicuramente la giornata non era iniziata nel migliore dei modi.
    "Che è successo? Ha bisogno di aiuto?" Un tizio grasso, forse un automobilista, si era fermato per dare una mano. O forse per soddisfare la sua curiosità.
    "No, io... Il corvo..." e si grattava la testa, e poi si portava le mani alla bocca, e poi nei capelli, e poi si grattava la gamba, ma non gli prudeva così si portava le mani alla bocca.
    "Oh... Caspita, ma come si fa ad investire un corvo?! Ah ah ah!" rise "Via non ne faccia un dramma, era solo un uccello!" aggiunse, visto il comportamento nervoso di Michael, e soprattutto le sue lacrime silenziose.
    Lacrime silenziose? Ma stava piangendo?! Perchè?! Michael nemmeno si era accorto di stare piangendo. Non riusciva a spiegarselo, non ce n'era motivo... Almeno, non secondo il modo in cui era sempre vissuto! Non era certo un animalista, o un altro maniaco delle difese degli animali... In fondo di corvi ce ne sono tanti, e gli uccelli si mangiano cotti in forno... Perchè diavolo stava piangendo davanti il corpo esanime di quell'animale?!
    "Si, ma... Un uccello. Ha ragione. Beh, grazie dell'interessamento!". Si voltò senza guardarlo e rientrò in macchina.
    "Prego..." disse il tizio grasso, con tono vaporoso, e pensando che sembrava proprio un pazzo, quello lì.
    Michael per poco non ebbe un conato di vomito quando, ripartendo, schiacciò il corpo del corvo, le cui ossa emisero un rumore piuttosto grottesco e raccapricciante.
    Ed era pure in ritardo.




    Capitolo 2. Hai un'aria strana.


    "Stai bene, si?"
    "Si, Annie, grazie. E' solo che... Io ho... Beh, mi è successa una cosa strana."
    "Mh. Quanto strana? Più strana di quella volta che pensavi di essere diventato cieco?"
    "Spiritosa. Ma niente, è una sciocchezza..."
    "E dai, su. Guarda che non avere almeno una persona con cui poter parlare liberamente in ufficio fa male alla salute!" Annie era molto simpatica e carina. Adesso gli stava porgendo un bicchierino di plastica pieno di cioccolata calda.
    "Uff... dai, perchè insisti?" il fastidio di Michael cresceva di secondo in secondo.
    "Ah beh, se non vuoi parlare non sei mica obbligato eh." come solo le donne intelligenti sanno fare, Annie risultò effettivamente convincente, con quel tono tra l'offeso e il malizioso. Michael raccolse la sfida verbale.
    "Oooh dai! Come sei drastica... Niente, è una sciocchezza, ho investito un corvo." Michael cercò di dare il tono più piatto che potè all'ultima frase.
    "Un corvo?" Annie si sforzò molto per non dare a vedere che la cosa la divertiva, e ottenne il risultato opposto. Michael sbuffò.
    "Si un corvo, va bene? Tanto adesso dirai..."
    "Ma come si fa ad investire un corvo?!" dissero all'unisono.
    Annie cominciò a ridere forte, ma poi vide che Michael aveva un'aria davvero strana.
    "Ehi! Senti, ma era solo un corvo... Perchè te la prendi così? Ci sei rimasto molto male?"
    "Non so, è strano... Non dovrei sentirmi in colpa?" Conosceva la risposta che avrebbe ricevuto. Non solo. Conosceva anche la risposta che avrebbe dato lui! Ma era assurda, troppo assurda. La accantonò in un angolo lontano della sua mente.
    "In colpa? Per un uccello?" Se Michael avesse scommesso con qualcuno, avrebbe vinto.
    "Eh eh... No, certo. Però io ho..." ma voleva davvero dire ad Annie che aveva pianto per un corvo? Il telefono dell'ufficio di Annie lo salvò.
    "Ops, mi squilla il telefono! Mi finisci di raccontare più tardi!" il sorriso di Annie era senz'altro radioso. Lo faceva stare bene.

    "Ehi, stai bene, Michael?"
    "Si, George..."
    "Uh, che faccia, che ti sei fatto ieri sera? Ah ah ah!"
    "Niente, ho solo molto sonno..."
    "Mamma che faccia, Michael!"
    "Eh, ho dormito molto male stanotte, non farci caso..."

    Rientrò a casa, ed era convinto che quella fosse stata la giornata più brutta e faticosa della sua vita. Quando si tolse il giubbotto, i guanti e la sciarpa, ancora si sentiva un cadavere. Il riscaldamento entrò in funzione e la giornata cominciava a diventare quasi un ricordo lontano. Si mise sul divano ed accese la televisione: tsè, in fondo era stata una giornata come tante altre. Finito di cenare, aveva già dimenticato tutto. Quando però, una volta a letto, entrò a pieno regime nel mondo dei sogni e si ricordò del corvo, non si sentì poi così rilassato.
    "Uh, è già ora di alzarsi? Ma non è suonata la sveglia..." erano le tre.
    "Sete..." erano le cinque.
    "Devo andare in bagno." erano le sette e un quarto.
    Alle sette e quaranta cominciò la sua ultima fase r.e.m.
    Correva senza sosta e a perdifiato in un ampia valle verde, con un cielo azzurrissimo e tante nuvole bianche e perfette, mentre il sole era quasi all'orizzonte. D'improvviso il sole era calato e una fredda notte senza stelle aveva sostituito senza preavviso il paesaggio da quadro in cui stava correndo mezzo secondo prima. E proprio mentre cominciava ad intravedere, in lontananza, una figura incappucciata che sembrava venirgli incontro, sentì un miagolìo stridulo alle sue spalle. Si girò e un grosso gatto bianco si avventò come volando sulla sua faccia. Il miagolìo stridulo assomigliava tremendamente al suono della sveglia.
    "No, no NO! ANCORA!!!" pensò che forse se qualcuno gli avesse potuto strappare l'anima avrebbe provato una sensazione più piacevole, rispetto a quella che provava in quel momento. Decisamente la sveglia che rompeva i suoi sogni per lui era come una spada che gli trafiggeva i polmoni.
    Un gatto. Il giorno precedente aveva sognato un corvo, e poi ne aveva investito uno. Allora oggi avrebbe investito un grosso gatto bianco? Gli piacevano i gatti. Meglio, diciamo che gli erano indifferenti. Ma amava i cuccioli. Ecco, i gattini erano una delle poche cose che trasformavano il suo broncio in una risata sincera. Lo facevano veramente stare bene, così piccoli e delicati, con le piccole unghie e i dentini, e quel miagolìo ancora da maturare, molto più vicino al pigolìo di un pulcino. Sua mamma ne aveva molti, nella casa in campagna. Ma sua mamma adesso non c'era più, e nemmeno la casa dov'era nato e cresciuto. Uscì di casa pensieroso e preoccupato.

    Si avvicinò al punto in cui il giorno prima aveva investito il corvo. Ancora una volta, si comportò come non si sarebbe mai aspettato. Tremava, ed era in un incredibile stato di agitazione e angoscia. Ma arrivato a quel punto maledetto, non vide gatti. Nè bianchi nè neri, nè grandi nè piccoli. Non c'era più traccia neppure del corvo.

    "Come va stamattina?" Annie, il volto radioso, il sorriso dolce...
    "Meglio, grazie, Annie." mentì spudoratamente. La sua faccia parlava più sinceramente della sua lingua.
    "Certo. Sai che mi sono appena licenziata perchè non mi trovo bene a lavorare con te?"
    "Ah, davvero?" Michael dimostrò ampiamente che la sua attenzione si trovava a livelli molto bassi. Annie se ne era accorta, ovviamente, ma per poco non si offese, sentendo quella risposta. Decise di prendere Michael per le spalle e scuoterlo come un albero.
    "Ehi!!! Sveglia!!! Michael!!! Sono Annie, pronto?!"
    "Oh, scusami, anche stanotte ho dormito poco e male. Cosa hai detto?" si grattava nervosamente il naso.
    "Niente, niente. Senti, fai qualcosa, vai a letto prima, prenditi un sonnifero leggero... Valeriana! Ecco, prendi delle pastigliette di valeriana, rimedio naturale, e ti distende i nervi, che ne dici?"
    "Valeriana hai detto? Ok, proverò..." Ma il suo tono era troppo spento perchè Annie potesse credergli veramente. Ma lei decise di non insistere e tornò alla sua postazione.

    Decisamente Michael odiava la pausa pranzo. Era troppo breve per poter tornare a casa a mangiare, o andare a un bar o un ristorante; ma era anche troppo lunga da sopportare. I suoi antipatici colleghi parlavano di facezie e cose frivole, oppure di lavoro. E lui odiava entrambe le cose. Eh già: odiava il suo lavoro. Non è una bella cosa, soprattutto quando si è coscienti del fatto di non sapere fare altro, e che trovare un altro tipo di lavoro non sarebbe stata una cosa veloce ed indolore, e soprattutto non avrebbe garantito che si sarebbe trovato meglio. Eppure, cosa aveva da lamentarsi? Il salario era buono... in ogni caso nella media, e bene o male nel suo ufficio nessuno lo disturbava mai. Eppure... Eppure c'era qualcosa di celato; una malinconia oppressiva ma invisibile, nella sua tangibilità. Forse quello di cui Michael aveva davvero bisogno era semplicemente una finestra, nel suo grigio e freddo ufficio male illuminato. Così anche quella pausa pranzo, nonostante i pensieri che gli correvano in testa giocando a nascondino, nonostante i chiacchiericci di sottofondo di persone inutili, nonostante lo schifoso tramezzino molliccio comprato nel distributore, finì.

    Uscendo da lavoro investì un gatto.
    Bianco, ovviamente. Ma non era grande come quello del sogno: era un cucciolo. Eh, come poteva lui, povero umano medio, con una velocità di riflessi quasi annullata dalla fatica mentale della giornata lavorativa, con un'auto da nemmeno tremila euro con le gomme quasi finite e i freni poco buoni, evitare un giovane gattino che corre giocando in mezzo ad una strada stretta uscendo da un cespuglio posto sul ciglio della strada?

    Fu solo un attimo, talmente veloce che nemmeno se ne accorse. Talmente veloce che passò avanti, perchè non si rendeva ancora conto che poteva appena aver ucciso un gattino. Ma quando realizzò il fatto, l'ignobile specchietto retrovisore non lasciava spazio a dubbi: il riflesso della strada che si trovava dietro di lui mostrava il corpo disteso di un gatto bianco in mezzo alla strada.

    C'erano migliaia di spiegazioni per palesare la sua innocenza. Qualsiasi tribunale dell'Universo, qualsiasi possibile razza aliena capace di pensare non lo avrebbe ritenuto responsabile. Non c'era giudice che l'avrebbe condannato, tranne se stesso.
    Urlò. Urlò forte, e un neonato che stava dormendo si svegliò, a dieci chilometri di distanza, ma forse fu solo una coincidenza.
    Poi Michael prese il cellullare.
    "No-no-non può! Non è mica morto, come può essere morto? Però sicuramente è rimasto ferito. Eh si, è ferito per forza, l'ho steso con la macchina! Quindi a-a-adesso chiamo il pronto intervento per gli animali, ce l'ho il numero, ce l'ho..." La rubrica del cellulare non gli era mai sembrata così male ordinata. Non riusciva a trovare quello che cercava. Ma davvero aveva il numero del pronto intervento per gli animali? E perchè? Da quando, poi? L'aveva cercato dopo aver investito... Cosa aveva investito il giorno prima? All'agitazione si aggiunse altra agitazione, data dal fatto che non ricordava nulla con precisione di quello che era successo il giorno prima. Ma era sicuramente la nevrosi del momento, pensò.
    "P-p-pronto? Aiuto! Ho investito un gatto. Un gattino, è un cucciolo. Cosa... Voi potete... Cosa devo fare?"
    "Signore! Pronto?! Si calmi e mi ascolti! Il gattino è ancora vivo?"
    "E' vivo?"
    "Non lo so! Deve controllarlo lei!"
    "Già! O-o-ora controllo, aspetti in linea, per favore."
    Fu obbligato a farlo. Dovette uscire a vedere cosa aveva fatto. Un passo, due...

    "Uuuh... Uuuh..." singhiozzava.
    La verità era sempre più vicina. Ed era troppo rossa per i suoi gusti. Il gatto era bianco, doveva essere bianca anche la verità. Invece era rossa. Proprio, molto rossa.
    Il piccolo collo spezzato, piegato all'indietro, in modo innaturale.
    La lingua, rosa e piccola, fuori dalla bocca. I dentini rotti, prima ancora di poterli usare per difendersi dagli animali cattivi.
    Un occhio chiuso. L'altro invece fuori dell'orbita. Michael poteva vedere il nervo ottico.

    Gli cadde il cellulare, e poi cadde lui. In ginocchio, a piangere come un bambino, la faccia nelle mani. Stavolta lo stava facendo molto rumorosamente.

    "Pronto? Signore! E' ancora in linea?"

    Quanto passò? Guardò l'orologio, ma non indicava il passare dei secoli. Quando si alzò Annie era davanti a lui, che lo aiutava ad alzarsi.
    "Dai, asciugati quelle lacrime." Annie glie le stava asciugando lei, quelle lacrime. Con un fazzolettino. Gli accarezzava i capelli.
    "Annie... Cosa mi succede?" singhiozzava ancora, ma si faceva capire. Si sentiva un bambino.
    "Cosa vuoi che ti succeda? Dormi poco e sei distratto... Poteva capitare a tutti!"
    "Ma è capitato a ME. E due giorni di fila! Cosa investirò domani? Un cane? O magari un cavallo? Forse sarà una persona! E poi... mi sento disperato quando succede. Non te l'ho detto, ma anche ieri ho pianto..."
    "Senti, prenditi un pò di ferie... Una settimana, che te ne pare? Ci penso io alle tue pratiche, quanto lavoro sarà mai? Stai a casa, ti rilassi, esci con qualche amico... e dormi abbondantemente! Quando tornerai non investirai più nessuno, vedrai." lo baciò sulla guancia, e Michael trasalì. Si guardarono negli occhi, e Annie vide un uomo-bambino, così sensibile e fragile, bisognoso di protezione e affetto. Michael invece non potè che ricevere conferma della bellezza di Annie... Ma lui le piaceva? Forse...




    Capitolo 3. Una settimana di ferie?

    Michael stava facendo un sogno molto nitido e profondo; correva senza sosta e a perdifiato in un ampia valle verde, con un cielo azzurrissimo e tante nuvole bianche e perfette, mentre il sole era quasi all'orizzonte. D'improvviso il sole era calato e una fredda notte senza stelle aveva sostituito senza preavviso il paesaggio da quadro in cui stava correndo mezzo secondo prima. E proprio mentre cominciava ad intravedere, in lontananza, una figura incappucciata che sembrava venirgli incontro, sentì una voce chiamarlo, da sinistra. Era il suo amico Max.
    "Ciao Max!"
    "Ciao Michael! Che succede?"
    "Non so, però questo cambiamento repentino del tempo non mi piace!"
    "Ma dai, è normalissimo in questa zona! Non vedi com' è bello?"
    "Normale? Ma non succede da nessun parte del Mondo!!! E poi lo vedi quel tipo con il cappuccio? Cosa vuole?" Si girò verso la figura incappucciata per indicarla, ma non c'era più.
    "Quale tipo?"
    "Strano, lì c'era..." Si voltò verso Max, e Max aveva la faccia imputridita di uno zombie, i verdi pezzetti di carne attaccati al teschio, le orbite vuote e buie.
    Si svegliò di soprassalto, scosso, madito di sudore, il respiro affannoso. Erano le undici di mattina.

    Si alzò e chiamò Annie. Lei e Michael si conoscevano dalle scuole medie; periodo quello in cui Annie aveva una cotta per lui, anche se non si fece mai avanti. Michael invece era ancora troppo piccolo per accorgersene, o troppo stupido, forse. In ogni caso non ci fu mai niente di più che amicizia tra di loro. Finite le medie andarono in due scuole superiori differenti, sebbene con lo stesso indirizzo, e si persero di vista. Si incontrarono solo un anno dopo il diploma, quando Michael finì il suo anno "di riflessione", come lo aveva chiamato lui (in realtà si traduceva in nullafacenza assoluta a casa dei genitori), e trovò lavoro nella ditta in cui lavorava anche adesso. La ditta dove lavorava anche Annie. Come se i sei anni non fossero mai passati, il rapporto che aveva con lei rifiorì istantaneamente. Michael spesso pensava che se non ci fosse stata lei, si sarebbe licenziato dopo pochi mesi, e probabilmente nemmeno avrebbe cercato altri lavori. Si sarebbe abbandonato all'apatia.
    I genitori di Michael erano morti in un incidente d'auto subito dopo la sua assunzione, e Michael si vide costretto a crescere di punto in bianco. Arrivò a quel famoso momento in cui si capisce chi sono le persone che ti vogliono veramente bene, che ti sono veramente amiche. Non la sua ragazza, che lo lasciò qualche mese dopo, non riuscendo a sopportare la sua depressione. Non la maggior parte dei suoi amici, che lo lasciarono a se stesso, parlando male di lui quando non c'era. Non i parenti, ma questo già lo sapeva. La sua famiglia aveva cattivi rapporti con i parenti, per antichi dissapori, per quello che ne sapeva. Insomma, quando il mondo gli crollò addosso Michael si trovò sorpreso nel constatare che poteva veramente contare solo su due persone: Max ed Annie. Max era un amico della scuola superiore, sempre attivo e spigliato, riusciva ad essere allegro in qualsiasi situazione. Grazie a queste due persone Michael ritrovò pian piano la voglia di vivere e di lottare. Vendette le proprietà dei genitori, ricevute in eredità, e andò a vivere in un appartamento, da solo. Con molti arranchi, riuscì a mantenere il lavoro. Quando non riusciva a finire le pratiche in tempo, era Annie che ci pensava. Quando era da solo a casa, e la depressione lo prendeva, e non si faceva trovare, Max ed Annie lo trovavano lo stesso, e gli stavano vicini.

    Decisamente, se era ancora lì, era grazie a loro.
    Ma Michael era comunque cambiato radicalmente e profondamente. Col tempo aveva sviluppato la ghiandola del cinismo, e non trovava più nulla che lo emozionasse davvero. Si identificava nei personaggi dei film noir, disillusi della vita, sarcastici e pungenti, che non si meravigliavano mai di nulla. E lasciava che la vita e il tempo gli scorressero semplicemente addosso.

    "Pronto? Michael? Come va? Vedo che hai dormito un pò di più almeno oggi!" rispose Annie al telefono.
    "S-si, ho dormito abbastanza. Annie, devo dirti una cosa, mi sento in ansia..."
    "Adesso non posso, c'è il direttore che passa di qui ogni cinque minuti, ci sono dei clienti importanti. Ti passo a trovare dopo cena, che ne dici?"
    "Dopo cena? Si, va bene. A stasera allora."
    "Ok, ciao! Goditi le ferie!"
    "Grazie, Annie." Ma lo disse dopo aver sentito Annie riagganciare.

    Fu una giornata all'insegna della noia. In televisione non c'era niente degno della sua attenzione. Provò a leggere qualcosa, ma gli frullavano troppi pensieri in testa. Quando si accorse di stare leggendo la stessa riga per la tredicesima volta, lanciò "La metaformosi, di Franz Kafka" lontano e decise di fare un giro nei suoi pensieri.

    Cosa era successo il giorno prima? Qualcosa di brutto... ma cosa? Non se lo ricordava affatto. Si ricordava di aver avuto una specie di "sogno rivelatore". Non credeva affatto a quelle cose, tutte baggianate, secondo lui. Eppure, eppure... Si ricordava una cosa analoga anche del giorno precedente. Aveva ucciso qualcuno? Ma com'era possibile che non ricordasse?
    Quello che sentiva quando ripensava ai due giorni precedenti era solo un'opprimente sensazione di dolore e tristezza, un sentimento così forte da lacerargli il petto. E poi c'era stato quell'incubo, con Max. Sarebbe successo qualcosa a Max? Avrebbe fatto LUI qualcosa a Max?
    Gli tornò in mente quella strana sensazione che aveva provato quando aveva chiesto ad Annie se si sarebbe dovuto sentire in colpa per quello che aveva fatto, qualsiasi cosa avesse fatto. L'aveva nascosta in un angolo lontano della mente, era inconcepibile, ma ripensandoci adesso... Gli sembrava così naturale... Non era senso di colpa, era senso del dovere. Si sentiva in DOVERE di fare quello che aveva fatto. Questo pensiero lo scosse.

    Dopo cena arrivò Annie. Si sentiva teso all'inverosimile, e Annie, naturalmente, se ne accorse.
    "Uff. Mi sa che nemmeno le ferie ti abbiano aiutato, eh?" aveva un tono sconsolato.
    "Annie, siediti. Scusa se ti aggredisco, ma ho assolutamente bisogno di sapere delle cose." Annie lo guardò con uno sguardo incuriosito. Inarcò le sopracciglia senza volere.
    "Cosa è successo ieri? Cosa ho fatto? E l'altro ieri?"
    "Oh, è questo... Mi dispiace Michael, so che ci stai male, ma non dovresti fartene una colpa, in fondo può succedere a chiunque!" Annie era diventata di nuovo la madre, ma stavolta Michael non aveva intezione di fare il bambino.
    "Ok, bene, non ti preoccupare, mi è passata, ma COSA di preciso ho fatto? Per cosa dovrei sentirmi in colpa?" La faccia di Annie si fece interrogativa. Era la faccia di uno che sta cercando di dire una cosa che ha sulla punta della lingua.
    "Beh... uh. Dunque, hai fatto... Accidenti, sai che non me lo ricordo?" rise "Dev'essere veramente una cosa irrilevante, non ti pare?"
    "Io credo che non sia irrilevante AFFATTO. Mi sento davvero strano, Annie, e non riesco a ricordare di preciso cosa ho fatto in questi ultimi due giorni. So che è stato qualcosa di brutto, ma non posso focalizzare l'accaduto. E poi ricordo dei brutti sogni..." fece una pausa. Odiava dover dire quella parola. Soprattutto davanti ad Annie. "...premonitori." Annie sembrò divertita.
    "Oh, mi sa che la cosa è più grave di quanto sembri, se proprio tu mi vieni a dire di aver fatto dei sogni premonitori su qualcosa! E su cosa, di preciso?"
    "NON LO SO!" Michael si accorse di essersi scaldato eccessivamente. "Scusami. Il fatto è che sono sicuro di aver sognato qualcosa riguardo questi fatti che non riesco a ricordare. Ma se è veramente così, sono piuttosto agitato, perchè stanotte HO SOGNATO MAX!"
    "Max?"
    "Max." Annie non era più divertita. La faccia di Michael era davvero seria. Era sempre seria, veramente, ma in quel momento lo era particolarmente.
    "E... Ricordi altri particolari del sogno?"
    "E' tutto il giorno che provo a ricostruire. Ci sono io che cammino in un parco, o un giardino... Forse è una vallata, ma non importa. E' tutto sereno e pacifico, e ad un certo punto tutto si fa buio. C'è un uomo -cioè, non so se è un uomo- c'è una persona incappucciata, che cammina verso di me, lentamente. Non mi fa paura, so che non devo temerlo, ma mi sento inquieto. E poi arriva Max, così, dal nulla. Io gli indico la persona incappucciata, che però è scomparsa e a Max succede qualcosa di brutto... Forse è morto, non so, però mi parla ancora, con la faccia di un cadavere."
    Ci fu un lungo silenzio.
    "Io... Non so che dirti."
    "In effetti non lo saprei nemmeno io, se fossi nei tuoi panni."
    "Capita a tutti di fare brutti sogni. E poi secondo l'interpretazione dei sogni, la Morte rappresenta un passaggio, un cambio di stato... Dei cambiamenti nella vita, in generale, un nuovo modo di porti nei confronti di qualcosa o qualcuno. Potrebbe essere, no?"
    "Si, potrebbe." Annie vide che Michael non era affatto convinto.
    "Ascolta, non prendere troppo sul serio questa faccenda... Certo, è strano che non ricordi quello che è successo ieri e l'altro ieri ma..."
    "Ma nemmeno TU lo ricordi!"
    "Ma dai, sono stanca, ho dovuto lavorare un sacco oggi, con il titolare che passava di continuo davanti al mio ufficio e tutti quei clienti!" sorrise, ma Michael non ricambiò il sorriso. La sua faccia era sempre tesa.
    "Esci stanotte?" chiese lei, nello sforzo di cambiare discorso.
    "N-no."
    "Perchè?"
    "Non ho... Uhm, voglia."
    "Perchè non chiami Max?"
    "Perchè ho paura." Aveva paura? Aveva davvero paura?
    "Giusto. Si, si." Lo stava palesemente prendendo in giro.
    "Senti, lo chiamerò domani, va bene? Stanotte dormo, e domani e lo chiamo e andiamo a fare qualcosa insieme, ti sta bene?"
    "Mh. Un buon affare." Sorrise, si alzò e lo baciò sulla fronte. Avrebbe voluto dargliene altri... Ma per Michael lei era solo un'amica, e... "Che sciocca." pensò.
    "Adesso vado, sono molto stanca." Michael la guardò andare verso l'ingresso.
    "Grazie, Annie." ma lo disse quando la porta si chiuse e Annie era già nel corridoio, dietro di essa.




    Capitolo 4. Una telefonata.

    Drin! Drin! Drin!
    "Pronto?" disse Max alla cornetta. Attese invano una risposta.
    "Pronto?!" disse, alzando il volume. Sentiva dall'altro capo della cornetta un lieve fruscìo. Pensò ai soliti scherzi dei ragazzini.
    "Eh eh eh, dai ragazzi, non dite niente? Che scherzo sarebbe? Il silenzio non fa ridere, vi pare?" e lo pensava veramente. Quanti scherzi al telefono aveva fatto con i suoi amici, al tempo delle medie!
    Il fruscìo si fece più forte. Max non riusciva a riagganciare. Poteva e doveva farlo, ma la sua mente si stava decisamente rifiutando di eseguire l'ordine di riagganciare la cornetta.
    D'un tratto Max sentì una cosa che non aveva mai sentito. Una voce -almeno poteva immaginare che fosse una voce- profonda e cupa, lentissima. Poteva quasi sentire quanto fosse densa e pastosa, in quello strano gorgogliare di suoni mai sentiti, di sillabe impronunciabili, che sembravano appartenere ad una lingua aliena. Quello che più allibiva Max, però, era la maestosità con cui quei suoni venivano pronunciati. Quella strana voce esplicava chiaramente l'antichità della sua origine, la sua possanza immortale, che sembrava esistere da quando il tempo cominciò ad esistere. Max era ammaliato, completamente rapito da quelle sequenze vocali indecifrabili, eppure così chiare nella sua testa... Era un messaggio.
    "La mia ora..." aprì la bocca, in un misto di sorpresa e ammirazione, quando si accorse che il respiro gli stava venendo meno, e sentiva il suo cuore pulsare intensamente dentro la gabbia toracica, con un'insistenza che non aveva mai provato, con una forza tale da spaccargli il torace per uscirne a saltelli. Ma non ne uscì: solo, si contrasse per l'ultima volta, in uno spasmo mortale, per poi squarciarsi a metà.

    "Mi spiace, signora" disse il dottore del pronto intervento, giunto con la squadra dell'ambulanza a casa di Max. La mamma di Max era andata a portargli i vestiti che aveva lavato per lui e l'aveva trovato lì, per terra, senza vita. I soccorsi non servirono, era passato troppo tempo dalla morte. Portarono via il corpo.

    Michael intanto stava facendo un sogno molto nitido e profondo; correva senza sosta e a perdifiato in un ampia valle verde, con un cielo azzurrissimo e tante nuvole bianche e perfette, mentre il sole era quasi all'orizzonte. D'improvviso il sole era calato e una fredda notte senza stelle aveva sostituito senza preavviso il paesaggio da quadro in cui stava correndo mezzo secondo prima. Poi intravide una figura incappucciata che gli si avvicinava, sempre di più, lentamente. Si fermò a pochi metri da lui e parlò. Michael non riusciva a vedere la sua faccia, ma sentiva la voce, e la capiva; ma capiva anche che non stava parlando nessuna lingua che lui avesse mai sentito parlare in vita sua... Eppure la capiva.
    "E' iniziata." disse la figura incappucciata, con cadenza lenta e tono tranquillo. Michael le chiese che cosa fosse iniziata.
    "La sostituzione. Finalmente."
    "Non capisco."
    "La cosa non mi meraviglia."
    "Voglio dire, puoi spiegarmi meglio? Essere più esaustivo?"
    "Non necessito che tu capisca, adesso." la voce della figura non aveva alcun tono, sembrava non avere alcuna intenzione nei confronti di Michael. Tuttavia lui non si sentiva assolutamente a suo agio, nonostante fosse il SUO sogno. Si sforzò di pensare subconsciamente che quello era il SUO sogno. Il suo sogno, il suo sogno, il suo sogno.
    "Vattene!" urlò alla figura.
    "Posso andarmene, se vuoi. Ma non puoi evitare di incontrarmi. E questo, se lo vuoi sapere, non è nemmeno il tuo sogno."
    "Che vuoi dire? Aspetta!" si rese conto di quanto ridicola fosse la sua contraddizione, ma chi poteva deriderlo, in un un suo sogno? In ogni caso, la figura aveva deciso per lui, e se ne era andata. Rimasto senza parole, in quello scenario freddo e buio, Michael si voltò, d'istinto, per andare verso... Beh, per andare da qualche parte nel suo sogno. E davanti a lui c'era Annie. Apriva la bocca, e ogni volta che lo faceva sentiva il rumore di una porta che viene percossa.

    Stavano bussando alla porta. Si tolse gli sfilacciamenti dei sogni rimastigli negli occhi con i pugni chiusi e si alzò, con grande sforzo fisico e mentale. Quando aprì la porta e vide Annie con gli occhi arrossati e pieni di lacrime, non fece in tempo ad aprire la bocca in segno di stupore che se la ritrovò tra le braccia, urlante e singhiozzante.
    "E' morto, Michael! E' morto!" Michael non sapeva come comportarsi. Il suo istinto non gli diceva nulla, ma riuscì a pensare che probabilmente era la situazione in cui lui doveva abbracciarla dolcemente e consolarla, così ci provo, in modo molto impacciato.
    "Sssh, calma, non piangere. Cosa è successo? Chi è morto?" Ma Annie non riusciva parlare bene, emetteva solo respiri affannati e singhiozzi. Michael non l'aveva mai vista così. Chiuse la porta e la diresse sul divano, a sedere. Aspettò che si calmasse il tanto che bastava per farla parlare e poi le richiese di spiegargli cosa fosse mai successo.
    "Max. Max è morto, Michael". Fu evidentemente uno sforzo immane per lei concludere quella frase senza piangere, così si rifece una volta terminata, ributtandosi tra le braccia di Michael. Michael, per canto suo, era rimasto come paralizzato. Si sentiva più freddo di una lastra di ghiaccio, sia fuori che dentro.
    "Lo so." disse. Ma non lo fece apposta, gli uscì naturalmente dalla bocca.
    "La mamma di Max ha telefonato anche a te?" chiese sorpresa Annie. Cosa avrebbe dovuto risponderle? "No, ne ero sicuro perchè ho sognato che moriva"? Così mentì.
    "Si, ha chiamato anche me." I minuti scorrevano, con pacata calma, come se non valesse la pena che il tempo passasse. E pian piano, Annie si calmò.
    "Michael..."
    "Si, Annie?"
    "Posso dormire da te stanotte?"

    Come stava Michael? Non lo sapeva affatto. Se lo stava chiedendo da circa quattro ore, insonne, sul divano, con Annie addormetata sulla sua spalla. Erano rimasti lì, dopo lo sfogo di Annie, e poi lei si era addormentata.
    Lui la guardava, ma stava pensando a Max. Non stava male! Non stava male affatto! Ma perchè? Era la persona più importante della sua vita! Colui che insieme ad Annie era riuscito a tirarlo fuori da un baratro esistenziale buio e senza fine, senza via di scampo! Era il suo amico Max! E lui non l'aveva ancora pianto. Quelli non erano nemmeno i pensieri più brutti che gli stavano circolando in testa... Stava scandagliando la mente alla ricerca di un bocchettone artificiale da cui stavano uscendo frasi come "E' stato un bene" "Doveva accadere" "Non c'è nulla di sbagliato". Lui ascoltava quei pensieri scorrergli dentro, e non se li spiegava. Aveva un male in testa, evidentemente... schizofrenia o una di quelle cose là, e tuttavia non riusciva ad esserne spaventato. Si stava abituando a quelle sensazioni, che aveva da due o tre giorni, da quando, cioè, aveva compiuto quegli atti orribili di cui non aveva memoria. Ma erano poi così orribili, in fondo? Quelle sensazioni, continuava a dirsi, avrebbero spezzato la ragione di chiunque, avrebbero reso matto un qualsiasi, maledetto, comune mortale, e lui era lì, tranquillo e beato, con la notizia della morte della persona più importante della sua vita, e tutto quello che riusciva a fare era starsene seduto sul divano, con la sua bella amica Annie tra le braccia.
    Già, la sua bella amica Annie. Bella, amica Annie, con quelle labbra sottili, come disegnate sul candore della sua pelle. Avrebbe analizzato ogni centimetro del corpo di Annie, aveva deciso. Partì dai piedi, lentamente, per poi risalire lungo i fianchi tondeggianti, fino al ventre, fino al seno, e poi il collo, così sottile e liscio, il mento, la bocca, il naso... Si accorse che Annie lo stava guardando. Era sveglia, e lui non l'aveva mai vista con quello sguardo. Era uno sguardo che aveva un significato solo, e anche un imbranato come lui non poteva non capirlo, così si baciarono.

    "Non dovresti fare così." disse la figura incappucciata. Michael ormai capiva benissimo dove voleva andare a parare.
    "Parli di Annie, giusto? Perchè non dovrei?"
    "Non dovresti fare così con nessuno. Ti sarà controproducente. La sostituzione potrebbe essere più dolorosa."
    "Non ti capisco. Smettila di parlare per enigmi, e potrò risponderti a tono!"
    "Mi capisci eccome. Mi hai capito dal primo momento. Hai sempre saputo, e sempre taciuto. Ma non posso biasimarti, poichè io feci lo stesso."
    Stava ancora sognando, ma Michael si sentiva lucidissimo, come non si era mai sentito in sogno. Si ritrovò a pensare con disarmante facilità che quello non era affatto un sogno fatto sulla Terra, ma semplicemente un luogo etereo sospeso tra diverse dimensioni, dove lui e quella strana figura incappucciata si stavano dando appuntamento ormai da quattro giorni.
    Ma quello che più lasciava sconvolto Michael, era il fatto che quella figura umanoide parlava come se conoscesse esattamente gli anfratti più reconditi dei suoi pensieri; e non era telepatia: era proprio come se egli stesso formulasse le frasi della figura incappucciata.




    Capitolo 5. Omicidio.

    Michael e Annie si svegliarono nello stesso momento e si guardarono intensamente. Non c'erano parole da dire, non c'erano azioni da fare: il momento si esplicava da sè, in un linguaggio di sguardi intensi e profondi. Era una situzione satura da molto tempo, ma ora il blocco era stato tolto, e Annie si sentiva felicissima. Michael invece si sentiva solo insicuro, riguardo le emozioni che provava. Gli ultimi giorni l'avevano sconvolto al di là di ogni possibile concezione, e si trovava in uno stato confusionale abbastanza forte da non riuscire a distinguere l'amore dall'indifferenza. Annie ruppe il silenzio:
    "Ti amo Michael... Ti ho sempre amato."
    Era la prova che Michael aspettava. Una cosa del genere avrebbe dovuto smuoverlo... Invece, niente. Si ritrovò ad arrancare tra i suoi pensieri, mentre cercava qualcosa da dire per non rovinare la felicità di Annie... "Anch'io"? No, sarebbe stato troppo compromettente... "Grazie"? Ma si poteva dire "grazie" in risposta ad una dichiarazione d'amore? L'aveva sentito in un film, ma non ricordava se era una commedia demenziale o un film drammatico. Forse la cosa migliore sarebbe stata non dire niente... Anzi no, avrebbe sorriso! Ecco, si, avrebbe sorriso!
    Michael sorrise e sembrò funzionare: Annie ricambiò il sorriso e non disse niente. Rimasero ancora un pò abbracciati, nel letto, poi si alzarono e si rivestirono.

    "Annie è tardissimo, non vai a lavoro?" chiese Michael, dopo aver visto l'orologio.
    "No, penso che mi darò malata... Voglio stare con te per tutta la settimana!" sorrise e baciò di nuovo Michael. Era un buona notizia? O una pessima notizia? Michael non riusciva a decidersi.
    "Andiamo a fare un giro al parco? E' una bellissima giornata!" propose Annie. Michael accettò, nella sua perpetua indecisione, e uscirono.
    Passarono una giornata piacevole, al tiepido sole che cominciava a manifestare la sua presenza proprio in quei giorni. Girarono tutto il parco tre volte, fermandosi sulle panchine davanti al lago, comprando delle ciambelle calde, dando da mangiare ai piccioni e alle colombe, ai cigni e alle papere.
    Parlarono molto, di tutto e di tutti, avevano tante cose da dirsi, che non si sarebbero potute dire tra amici, ma solo tra amanti, e scoprirono entrambi lati di loro stessi che non avevano mai conosciuto. Per la prima volta negli ultimi quattro giorni Michael riuscì a non pensare ad altro che ad Annie, e distese finalmente i nervi. Almeno, finchè non rientrarono in casa, e la voce gli parlò.

    Un baritono stonato, ecco cosa poteva rappresentare bene il suono di quella voce. Un profondo boato dal suono ancestrale, che stava suonando proprio dentro la sua testa... e pericolosamente vicino ai timpani, a quanto sembrava.
    "Ora-tocca-a lei."
    BANG. Sembrava proprio un colpo di pistola, anzi: tre colpi di pistola, uno per ogni parola che la voce aveva scandito, con un'irreprensibile precisione. Poteva essere intesa in mille modi, quella frase. Era talmente ambigua da non avere alcun significato, ma non per Michael... Lui sapeva esattamente cosa significasse. E allora si chiese se non sapesse già da prima ciò che doveva fare... Se non lo sapesse semplicemente da sempre. Non trovò risposta.

    "Certo che fa caldo... Non hai caldo?" disse ad Annie.
    "Caldo? Addirittura? Va bene che è uscito il sole, ma non ti sembra di esagerare?" rispose lei sorridendo. Michael sbirciò di soppiatto le sue mani: stavano tremando, ma non sentiva freddo, ne caldo. Non sentiva assolutamente niente: passione, amore, compassione, tristezza: niente. Solo una cosa, una cosa che non era riuscito a spiegarsi nei giorni precedenti, che aveva accantonato nei meandri della sua testa, che fino a quel momento si era rifiutato di accettare: senso del dovere. Aprì le braccia dentro di se, e accettò il suo Destino, e in quell'istante Michael cessò di esistere.

    "Vieni qua in terrazza, c'è l'aria fresca e un vento leggero..." Annie aprì la porta-finestra che dava sulla terrazza e invitò gestualmente Michael a raggiungerla per coccolarla. Lui si avvicinò a lei, lentamente, come se i piedi gli pesassero almeno cento volte di più, ma non era un peso morale che stava bloccando il suo cammino, era semplicemente la calma di chi ha tutto il tempo che desidera per fare ciò che deve, il passo di chi vive nell'eternità.
    "E sia." dichiarò Michael. La possanza nella sua voce lo meravigliò.
    "Come?" chiese Annie.
    "Niente." rispose lui.
    Annie poggiava la schiena sul basso davanzale, e aveva le braccia aperte ad accogliere il suo nuovo amore, e il sorriso sulle labbra, pronte per baciarlo. Michael entrò lentamente nella terrazza, aprì le braccia verso Annie e la tenne forte a sè, così calda nella frescura che il vento portava. Strinse la presa, sempre di più.
    "Michael?" Annie era divertita dalla presa che diventava sempre più forte, ma si aspettava il suo rilascio a breve, anche.
    Michael strinse di più.
    "Sei mia." disse, con voce tombale. Il divertimento di Annie finì.
    "Michael? Con che voce parli? Mi fai paura... Mi fai male! Michael smettila di stringere così forte!!!" stava cominciando a spaventarsi, ma non lo era ancora abbastanza. Lui la sollevò da terra.
    "Michael cosa fai? MICHAEL HO PAURA, SMETTILA!"
    Il suo corpo sul davanzale, il suo corpo nel vuoto, il suo corpo che precipita, in una caduta senza fine, verso l'oscurità.
    Michael fissò Annie cadere, senza provare emozione alcuna. Una lacrima gli cadde dagli occhi nel vuoto, una lacrima con volontà propria, che portava nel baratro, insieme ad Annie, tutta l'umanità che gli era rimasta.

    Michael si voltò e vide la figura incappucciata. Era la prima volta che la vedeva al di fuori dei sogni, e gli fece una strana impressione, inserita in quel contesto. Non disse niente, e lui nemmeno, ma la figura alzò le mani e abbassò il cappuccio. Michael non rimase assolutamente sorpreso nel vedere la sua faccia: una faccia comune, di un tizio comune.
    "Accetti?" disse il tizio comune.
    "Non posso che farlo." rispose in tono spento Michael.
    "Ovviamente."
    Michael si mise a sedere sul davanzale, alzò lo sguardo al cielo, e si lasciò cadere all'indietro. Ogni metro che copriva nella sua caduta nel vuoto, era un ricordo che svaniva: il suo sesto compleanno, la prima bicicletta, la fidanzatina delle elementari, il primo giorno di medie, Annie. L'esame delle medie, l'entrata alle superiori, i nuovi amici, Max, il diploma, i suoi genitori, la casa, il lavoro, Annie.
    Come bolle di sapone argentee li vedeva volare via con lentezza e delicatezza, in quella caduta che sembrava non avere fine, che lo stava conducendo non alla morte, ma verso un nuovo orizzonte che era obbligato a scoprire. Riatterrò in piedi, come volando, accanto al corpo senza vita di Annie, circondato da decine di persone dagli sguardi preoccupati e spaventati, mentre il suono delle sirene si avvicinava.
    Chi era quella ragazza stesa per terra? Michael ricordava solo grande dolore e sofferenza.




    Capitolo 6. Domande e risposte.


    "Chi sei?"
    "Perchè me lo chiedi?"
    "Per scrupolo."
    "Capisco. Rimasugli di mortalità. Io sono la Fine."
    "La Morte?"
    "Nella tua cultura potrei essere chiamato così, ma in realtà il significato del termine è inteso in modo altamente ambiguo e impreciso, nel tuo Mondo. Io sono semplicemente ciò che si trova all'altro capo della corda chiamata Vita, che è cominciata con l'Inizio."
    "Tu... Uccidi le... Uhm." Il cervello di Michael stava provando un sforzo micidiale. E' difficilissimo parlare di cose che non si possono assolutamente comprendere. "Tu prendi le anime... Uccidendo le persone?"
    "Che orribile definizione grossolana! Io concludo ciò che qualcun'altro ha iniziato. Sono solo parte di un percorso."
    "Di un ciclo?"
    "Non uso le parole a caso, ho detto 'percorso'. Nemmeno a me è dato sapere come funzionano queste cose e dire che si tratta di un ciclo sarebbe troppo avventato da parte mia." Michael fece una faccia offesa.
    "Oh, questo mi distrugge. Non sei depositaria della Verità?" Michael marcò l'ultima parola, per far capire al suo interlocutere che l'aveva pronunciata con la lettera maiuscola.
    "La Verità, dici? Cosa mai ti fa pensare che ce ne sia una sola? In cinquecento anni non ho mai visto nel tuo Mondo ne nel mio qualcosa di Assoluto. Direi che il Tutto viene creato grazie alla sovrapposizione e al complemento di molte Verità."
    "Non capisco."
    "Non me ne stupisco, ma capirai con la pratica."
    "Vivi da cinquecento anni?"
    "'Vivo' non è la parola corretta. Esisto da cinquecento anni... più o meno. Ero un mortale come te, in origine."
    "E io devo... prendere il tuo posto. Devi morir..." si interruppe. Aveva imparato qualcosa da quella conversazione. "devi cessare di esistere?"
    "Potrò riposarmi, si. Il mio compito deve passare a te, tramite la Sostituzione. La tua vita sarà prolungata di circa cinque volte, e non invecchierai mai."
    "Io non so niente di questo... Ehr... Lavoro."
    "Non c'è bisogno di sapere niente, ma solo di sentire. Ci sono Forze che governano il Tutto, e anche io non sono che un piccolo meccanismo microscopico, come lo sarai tu. Hai già sperimentato come funziona. Saprai sempre cosa fare, dove e quando."
    "Il 'come' non è importante?"
    "No."
    "Com'è possibile?"
    "Ricorda sempre che non sei tu ad uccidere. Non sei tu che compi un omicidio. Tu porti solamente la Fine. Un mortale può rimanere colpito in una sparatoria, avere un infarto o suicidarsi. Queste sono tutte cause di morte. Tu NON SEI causa di morte. Porti solamente la Fine." Michael era contratto in uno sforzo mentale enorme.
    "Immagina un giradischi." questo era facile.
    "Ok, un giradischi."
    "Quando il disco è finito, continua ugualmente a girare a vuoto, no?"
    "Si."
    "Tu sei la persona che preme l'interruttore per farlo smettere di girare. Ma il disco è già finito di per sè." Michael si illuminò.
    "Penso di aver capito, ma ho un'altra domanda... La gente non mi vede? Sono invisibile?"
    "Non sei invisibile. Sei diventato un'Entità... un'elemento, come è elemento l'aria che i mortali respirano, come lo è l'acqua che bevono e la terra che calpestano."
    "Ma io posso vedere la terra..."
    "Ma non puoi vedere che vive e respira; che mangia e uccide, anche. Come mortale, sei cosciente della sua esistenza, ma cosa ne sai, in fondo? Ne puoi conoscere la composizione chimica, puoi prevederne gli spostamenti, se studi per tutta la tua esistenza... Ma sai giustificare la sua Entità? E' come conoscere il significato di Infinito: non puoi nemmeno immaginarlo, perchè la tua mente non è adatta a farlo... I mortali devono vivere confinati nel loro confortevole mondo. Ognuno deve stare al posto proprio."
    "Nessuno saprà mai niente?"
    "Negazioni così importanti non si possono assolutamente pronunciare. Come ti ho detto, nemmeno io posso sapere cosa accadrà. Ma per ora, il fatto che tu possa concludere il percorso esistenziale di una persona non ha assolutamente riflessi nel mondo mortale. Tu non esisti affatto, si può dire, nel mondo mortale. Tra l'altro, chiunque abbia contatti con te, non ricorderà niente di quello che fai o hai fatto, a loro o ad altre creature." Michael decise di lasciare le sue personali elucubrazioni per dopo. Ora aveva troppe domande da fare, e decise di farlo senza riprendere più fiato di quanto gli servisse per formulare la domanda successiva.
    "Non ricordo niente. Niente di specifico, intendo..."
    "So cosa intendi."
    "Niente immagini, facce, o luoghi... solo sensazioni."
    "E' l'unica agevolazione che ci è stata concessa. Non ricordiamo i volti delle persone su cui poniamo la nostra spada, ne il nostro passato, ne niente che possa turbarci dal nostro compito. Ma, ahimè, nemmeno le Forze che ci governano sanno toglierci le nostre emozioni."
    "Possiamo solo... ricordare il dolore?"
    "Teoricamente potremmo ricordare anche la gioia... Ma che gioia reca il nostro compito?"
    "Non lo so, che gioie reca il nostro compito?"
    "Non reca gioie, il nostro compito." Michael aveva capito che era una domanda retorica, ma non poteva dare niente per scontato. Forse la Morte l'aveva capito, e per questo non si arrabbiò.
    "Quindi le emozioni umane sono qualcosa di così potente da trascendere la grandezza delle Forze che governano il Tutto?"
    "Così pare."
    "E dicevi di non conoscere la Verità!"
    "Come ti ho detto, queste sono solo DELLE Verità. Ma è normale che a te bastino, arrivato solamente a questo punto."
    "Che vuoi dire?"
    "Voglio dire che nel corso dell'Eternità avrai modo di rimpiangere di non poter sapere altro."
    "Ma alla fine anche io cesserò di esistere? Perchè parli di eternità?"
    "Così come non conosci il significato di Infinito, non puoi conoscere quello di Eternità. L'Eternità può essere anche un solo minuto, talvolta."
    "Forse riesco a capire."
    "Non abbastanza, credimi."

    Ci fu, per la prima volta dopo la lunga e serrata discussione, un attimo di silenzio. Michael stava riordinando i pensieri, ma non poteva assolutamente riuscirci, era qualcosa al di là della sua portata. Si sentiva la gola secca. La Morte stava ascoltando tutto quello che diceva, anche all'interno della sua testa.
    "Non puoi avere la gola secca. E' una cosa che dipende dal tuo pensiero."
    Michael si sforzò di pensare di non avere sete... Anzi, rimosse dal suo cervello lo stesso concetto di sete, e quello di acqua. La gola non gli sembrò più secca. Non gli sembrò più e basta, decise poi. Era pronto per altre domande.
    "Come posso essere in più posti nello stesso momento?"
    "L'Ubiquità è il secondo potere che ci è concesso, oltre a quello di porre Fine alle cose viventi. Esplora la tua mente e riuscirai a capirlo."
    Michael chiuse istintivamente gli occhi, e si mise a fissare il buio dell'interno delle sue palpebre. Si meravigliò molto quando, riaprendoli, si trovava di nuovo nel Mondo a lui familiare (ormai non più molto, in verità), con le mani intorno al collo di un giovane ragazzo. Il ragazzo si accasciò a terra, senza fiato, e tutta la gente che gli era intorno gli corse intorno strillando e gemendo. Michael si rese conto delle parole della Morte: nessuno poteva vederlo, nessuno poteva rendersi conto della sua Entità. Non era logicamente possibile per un mortale essere cosciente della sua presenza.
    Sentì come un pizzicore dentro il cervello, si concentrò su di esso e si sentì come risucchiato e poi espulso attraverso uno stretto passaggio. Era da un'altra parte, e stava "ponendo fine" ad un'altra esistenza. Ancora non riusciva a dire che quello non era un omicidio. Cominciò ad apprezzare la concessione delle Forze superiori: non ricordava affatto la vita che aveva terminato solo pochi istanti prima, così come non ricordava di avere investito un corvo lunedì, di aver schiacciato un gattino martedì, di avere avuto una conversazione senza senso con quello che ricordava come un vecchio amico e di averlo ucciso con la sua sola voce, ne di avere, infine, ucciso Annie.
    Volle semplicemente trovarsi su una comoda sedia: lo pensò ed avvenne. La voce della Morte era adesso alle sue spalle.
    "Comodo, ti pare? Puoi prenderti una pausa quando vuoi, almeno."
    "Non posso farcela."
    "In realtà, sei l'unico che può farcela. Non nascono molte persone con la mente adatta a reggere questo peso. Il compito della Fine può essere eseguito solo da una mente razionale ma aperta al punto di riuscire a comprendere l'irrazionale, talmente disillusa da riuscire ad immaginare sempre un livello di esistenza superiore a quello in cui si trova al momento, e deve essere stata forgiata da più esperienza possibile, nel minor tempo possibile. Unione degli opposti."
    "Unione degli opposti..." ripetè la frase come fosse una litanìa.
    "Devi essere il vertice che unisce tutti i punti, Michael."
    "Michael?"
    "Era così che ti chiamavi."
    "Che ne sarà di te?"
    "Io non sarò più." La Morte prese la mano di Michael, e la pose all'altezza del suo cuore. Ci fu uno scambio di sguardi fuggente, e quella che era stata l'Entità della Fine fino all'istante precedente, divenne solo una ventata piena di polvere grigia, polvere che penetrò negli occhi di Michael, nel suo naso, nella sua bocca, nelle orecchie e tra i capelli, sulla pelle e tra le unghie. La assorbì come fosse un'aspirapolvere, una spugna asciutta buttata in una piscina. L'assimilazione era completa, la Sostituzione terminata.




    Capitolo 7. La nuova Morte.


    Così cominciò. Ciò che Michael era, ora non era più. Tutto quello che aveva fatto, vissuto, provato, sperimentato era sparito. Ricordi belli e ricordi brutti, momenti che gli avevano cambiato la vita, che glie l'avevano distrutta e poi ricostruita, per poi distruggergliela di nuovo... Tutto spazzato via. Se avesse ancora potuto provare sensazioni ed emozioni umane, Michael si sarebbe sentito vuoto, ma libero. Libero dalle sofferenze e dai rimpianti, dai sensi di colpa, dai moti di disgusto, dall'odio e dall'amore, dal pianto e dall'indifferenza, dalla rabbia e dal rancore.

    Stava facendo degli esperimenti con i suoi nuovi poteri. L'ubiquità era senz'altro quello che preferiva, perchè gli consentiva di fare tutto quello che doveva e contemporaneamente tutto quello che voleva. Era come vivere infinite esistenze, tutte contemporaneamente, ma riuscire lo stesso a tenere il controllo di ognuna. Il tempo non passava, per il semplicissimo motivo che era già passato e al contempo doveva ancora essere creato. Michael si trovava in varie dimensioni in cui niente di quello che conosceva aveva senso. Pian piano le parole della vecchia Morte risultavano più chiare e semplici, pian piano riusciva ad abbracciare il significato di Eternità ed Infinito.
    E nel frattempo faceva il suo lavoro, staccando teste in violenti incidenti automobilistici, squartando corpi di perfetti sconosciuti, dirigendo mani di assassini più o meno casuali; e mano a mano che diventava sempre più bravo nel suo compito, cominciava a distaccarsi dal concetto di "valore della vita". Purtroppo però, pur non ricordandosi assolutamente niente dei suoi lavori, provava una soffocante sofferenza, ogni volta che pensava a loro. E questa secondo lui era una punizione, per il compito che doveva sbrigare. Pensava spesso alla comicità del fatto che le misconosciute e astratte Forze che regolano il Tutto dessero una punizione a colui che doveva svolgere un compito che gli avevano assegnato loro stessi.
    Uccise un certo Lorenzo, e al contempo si trovò al cinema a vedere "Il Settimo Sigillo", al momento della sua pubblicazione.
    Contemporaneamente era perso nei suoi pensieri sdraiato su un divano di una casa che non conosceva, aspettando che la sua vittima rientrasse ed accendesse la luce, per far esplodere la casa che Michael si era premurato di riempire di gas.
    Andò in Francia per uccidere Angelo, in Spagna a strappare la vita di Maximilian e poi a Londra a terminare l'esistenza terrena di Luke. In Germania doveva invece far brillare una bomba in un supermercato al momento giusto, e aveva diverso lavoro da sbrigare in Medio Oriente.

    Così il tempo, nella sua relatività, passava, anche per Michael. Si rendeva conto sempre di più di quale lavoro dovesse mai fare e cominciò a spiegarsi alcuni toni tristi che aveva colto nella voce della Morte passata. La solitudine lo portò velocemente a parlare con se stesso.
    "Se esiste l'orrore, io sono l'orrore." quasi mai riusciva a pensare a qualcosa di allegro.
    "Se esiste la sofferenza, io sono la sofferenza. Vedo vite scivolarmi tra le dita, e di loro ricordo solo il pianto. Mi è stato dato potere ma insieme alla condanna. Se esiste la tristezza, io sono la tristezza.
    Per me nulla è più giusto ne sbagliato, opero secondo mia volontà, eppure non ho volontà se non quella che mi è stata concessa da altri. Se esiste la schiavitù, io sono la schiavitù. Non provo dolore per le persone e ne più le amo o le ricordo. Per questo, se esiste l'indifferenza, io sono l'indifferenza.
    Sono ciò che non voglio, e ciò che ho sempre desiderato essere. Provo rabbia, ma solo perchè la ricordo dalla mia vita mortale."
    Lo tormentava, tra tutte le spiegazioni che la precedente Morte gli aveva dato, una particolare frase: "le emozioni umane sono qualcosa di così potente da trascendere la grandezza delle Forze che governano il Tutto". Non era giusto questo. Esistere solo per soffrire... Esistere per soffrire... Eppure era sicuro di ricordare che era esattamente quello che pensava di stare facendo quando era un mortale! Ma quale disilluso? Ma quale duro dalle mille esperienze? Era stato ingannato, di nuovo. In vita era stato portato a credere che non valesse la pena di vivere, ed ora era stato portato a credere che valesse la pena porre fine alle esistenze mortali! Era di nuovo un burattino, di nuovo nelle mani di qualcosa di più grande e potente. Sentì le emozioni rientrargli nelle vene, il sangue a fiotti riscaldarsi dalla rabbia e dall'agitazione, e allo stesso tempo, sentì i blocchi che le Forze Superiori gli avevano dato cercare di calmare quelle emozioni potenti.
    "Le emozioni umane sono qualcosa di così potente da trascendere la grandezza delle Forze che governano il Tutto." Click, click, click! Scattavano le rotelle e gli ingranaggi nel cervello di Michael, mentre si sforzava a ricomporre i pezzi di un quadro che era stato più volte distrutto e ricomposto, cercando di mostrare un'immagine diversa da quella che era in origine.

    "Gggh..." Stava sanguinando dal naso, e il calore gli scaldava la faccia. Sentiva gli occhi uscirgli dalle orbite, le dita intirizzirsi in una stretta convulsa, infliggendogli ferite sui palmi delle mani.
    "Ora io..." ora lui ricordava, stava ricordando. Aveva associato delle facce alle emozioni, dei nomi alle facce, dei ricordi ai nomi.
    "IO... MI... CHIAMO..."
    Il cielo tremò, in quella dimensione di cui in fondo lui nulla sapeva, e sembrò mettersi in tremenda agitazione e ribollire, tra rigurgiti di tuoni e boati lontani, mentre l'Universo si richiudeva su se stesso, inorridito per quello che stava per succedere.
    Nel buio, una faccia: Annie.
    "IO MI CHIAMO MICHAEL!!!" sembrò a Michael di essersi strappato delle pesanti catene di ferro con le sue sole mani mortali, mentre la stretta bloccante delle Forze che inibivano i suoi ricordi si dipanava velocemente, come lembi di vestiti di seta strappati, che svolazzano via intimiditi e impauriti, insicuri del Futuro che verrà.
    Tutta la vita, la sua lunga, interminabile vita, secondo per secondo, gli passò davanti agli occhi. Si accorse di quanto futili erano stati alcuni suoi comportamenti, di quanto inutili fossero tutte le regole e le costrizioni che erano applicate all'Universo. Lo vide. Vide l'Universo nella sua totalità, e comprese tutte le risposte di tutte le domande, mentre il suo corpo si disfaceva, accartocciandosi come un sacco di tela svuotato, incapace di tenere ancora dentro di sè l'Entità di Michael, che cresceva esponenzialmente mentre assorbiva infinite quantità di informazioni. Ora capiva cosa volesse dire Eterno e Infinito, ora non aveva più dubbi ne paure, aveva i suoi ricordi e le sue emozioni, e insieme alle sue, quelle di tutto ciò che vive. Incontrò il corvo nero, che si posò sulla sua spalla, ed incontrò il gattino bianco, che fece le fusa ai suoi piedi. Vide Max venirgli incontro salutandolo, e infine, potè abbracciare di nuovo Annie, e baciarla per l'ultima volta.
    "Mi hai salvato. Molte volte." le disse, ma lei non poteva sentirlo.
    Michael aveva il Tutto nelle sue mani.

    Come sibilanti fantasmi, le altre Forze Superiori cominciarono a ronzargli intorno, cercando di ingurgitare la sua essenza. Ma Michael ora comprendeva anche le loro Entità: fece un gesto ed esse si dilatarono fino a scomparire. Adesso era solo, di nuovo... Ma stavolta era una solitudine assoluta, completa. C'era lui e lui solo, assolutamente nessun'altro, nel Tutto. Ancora una volta, non era poi cambiato granchè, ma almeno non era più un burattino, non era sotto la volontà di nessuno. Ora lui era ciò che non si può superare.

    Volse lo sguardo verso la Terra.
    "Che ognuno viva la propria esistenza come gli è consentito." disse, e svanì, lasciando la Terra ed i suoi abitanti a vagare nel Tutto, finchè il Tutto se ne fosse stancato.



  8. #8
    Harlan draka
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    Predefinito Re: I nostri racconti

    anche io ho scritto un racconto è abbastanza lungo ed è diviso in tre parti, ma la prima e l'ultima oltre a non essere finite non le posso postare perchè sono il background del mio GDR....


    e la seconda è sui 100kb e non so se può andare...

  9. #9
    Il Puppies L'avatar di Freezah
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    Predefinito Re: I nostri racconti

    Io a tempo perso durante le ore di lezione sto scrivendo un racconto chiamato "Necronomicon"...Sono a buon punto,quando sarà terminata la trascriverò qua credo...

  10. #10
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    Predefinito Re: I nostri racconti

    Harlan draka ha scritto gio, 30 settembre 2004 alle 18:51
    anche io ho scritto un racconto è abbastanza lungo ed è diviso in tre parti, ma la prima e l'ultima oltre a non essere finite non le posso postare perchè sono il background del mio GDR....


    e la seconda è sui 100kb e non so se può andare...
    se ti va di dividerla in puntate saremo felici di leggerla...

  11. #11
    Banned L'avatar di Bukowski
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    Predefinito Re: I nostri racconti

    Freezah ha scritto sab, 13 novembre 2004 alle 16:23
    Io a tempo perso durante le ore di lezione sto scrivendo un racconto chiamato "Necronomicon"...Sono a buon punto,quando sarà terminata la trascriverò qua credo...
    ci conto...i "miti" sono la mia passione!

  12. #12
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    Predefinito Re: I nostri racconti

    CLAGLANTROPIX

    Non avrei mai immaginato che il signore maestoso e supremo, l'Orrore, facesse visita alle nostre vecchie, tediose stanche vite e le avrebbe riempite fin nell'orlo di terrore paranoico. In un certo senso sono fortunato. Cioè non nel senso che sono ”vivo” o che ce l'ho fatta, ne sono uscito fuori. No. Sono fortunato. E basta. Pensare che nei giorni scorsi non ci avevo fatto caso che ero al mondo solo per riempire qualche modulo dell'anagrafe ed essere etichettato come l'essere umano N°miliardoeuno. D'altronde, se nessuno si cura del fatto che esisto, perché continuare a vivere? Grazie a Loro, almeno ora la mia vita ha un senso, ed è più interessante.

    Ma lasciate che vi racconti com'è realmente andata.

    Qui a Southville era una mattina d'estate come le altre: calda e umida. Il tempo preferito dai misantropi suicidi per dire addio alla Terra che li ha partoriti. Io mi trovavo a fumare qualche light steso come un sacco vuoto sul vecchio divano, a guardare un vecchio film di Eastwood alla tele. Come al solito, ero solo nell'appartamento, e pigro com'ero non sarei uscito fuori neanche se il sole avesse ricominciato a splendere decentemente in un cielo privo di nuvole. Fu la tele stessa a tirarmi fuori dal mio stato di abbandonamento. Una vecchia pubblicità, stupida come quelle di una volta attirò la mia attenzione. Mi tirai su dal divano e m'appoggiai sullo schienale, osservando il bianchenero della vecchia pellicola. C'era la voce fuori campo di una donna, che sponsorizzava il solito detersivo del cavolo che sbianca qualsiasi cosa. Ciò che mi attirò in questa pubblicità fu il paesaggio: era evidentemente la solita scenografia da quattro soldi messa in piedi alla buona, raffigurante una strana spiaggia color bronzo, bagnata da un calmissimo mare di cobalto. La stupida pubblicità parlava di questo fantastico detersivo che scioglieva via qualsiasi macchia, eliminandola definitivamente. Io rimasi fermo e immobilizzato da quella visione. Non poteva essere semplicemente un dipinto o un quadro. Pareva una gigantografia tratta da una qualche isola sconosciuta, forse nei Caraibi o delle Hawaii...

    Per un attimo immaginai di essere lì, con la spiaggia intorno e il sole giallognolo splendente come oro nel cielo turchese. Per un attimo sentii l'infrangersi delle onde circostanti sul bagnasciuga, lo zampettare di strani granchi verso di me, il muoversi brulicante della sabbia...

    Aprii gli occhi. Li richiusi subito. Forse stavo ancora sognando quello strano luogo. Li riaprii. Cacciai un urlo tremendo e tentai di correre via, paralizzato dal terrore. Non chiedetemi come, ma all'improvviso non ero più nel mio appartamento. Mi trovavo nella spiaggia che avevo immaginato, ed ero quasi ricoperto da degli strani esserini con l'esoscheletro rossiccio, simili a dei mostruosi granchi-vermi. Si erano attaccati alle mie gambe e stavano tentando di salire verso di me. Saranno stati cinque o sei, ma erano abbastanza forti da tenermi giù. Uno di loro prese l'iniziativa mentre urlavo follemente, scalò il mio corpo e arrivò alla bocca deponendomi un uovo liquido e trasparente nella bocca, una specie di muco biancastro e disgustoso. Con un gemito me ne allontanai e sputai la robaccia per terra. Con un conato di vomito rimessi la colazione sulla sabbia. Tentai di allontanarmi disgustato e spaventato da quei piccoli orrori, che mi avevano lasciato perdere e stavano tutti intorno alla fanghiglia mischiata col mio vomito, la poltiglia- mucosa e un po' di sabbia. All'improvviso, il liquame scattò verso il mare come se fosse vivo e vi si immerse, provocando delle bolle durante la sua immersione, tingendo il mare di nero. Spaventato, corsi a più non posso, rallentato dalla sabbia. Un odore salmastro e di vecchio mi arrivò alle narici. Mi girai e i granchi vermosi erano spariti. Il mio respiro, ancora non me ne ero accorto, era diventato un affanno sia per lo sforzo di allontanarmi che per la paura incalzante nelle viscere. Non feci in tempo a chiedermi cosa mi stesse accadendo, che il liquido scuro penetrato poco fa nel mare si allargò, estendendosi a vista d'occhio. Poi ebbe come una contrazione subacquea e creò un risucchio inspirando e creando una falla circolare nel mare, come se fosse un polmone grottescamente liquido, ed emise un po' d'aria calda tornando piatto. Il mare non era mare, appurai. Era...vivo ?

    Lentamente, mostruosamente, si alzò dall'orizzonte un enorme naso umano squamoso, seguito dal volto assurdo di uno squalo.

    Per il mio cervello e la mia ragione fu uno sforzo troppo elevato, e svenni.

    Delicatamente, aprii gli occhi. Mi ero scordato ciò che avevo visto, o sognato.

    Poi la memoria mi ritornò un po' alla volta, mentre finivo di guardare lo spot.

    Già. Se avevo sognato, lo avevo fatto in una manciata di secondi, giusto in tempo per veder finire la pubblicità misteriosa. La donnina sponsorizzatrice disse le battute finali. ”Piaciuto, eh?” per un attimo credetti che si stesse rivolgendo a me. ”Questo è ciò che può fare il nostro CLAGLANTROPIX ! Da oggi il bianco sarà ancora più bianco!”

    Eh? ”CLAGATROPIKS”? Pensai. Cosa voleva dire? Certo che ne avevano di fantasia a quei tempi! Che cavolo di nome...

    Mi stiracchai sul divano, stupefatto dal mio stesso incubo: non ne avevo mai fatto uno così reale, pieno di immagini così definite, odori mai sentiti e paesaggi mai visti. Qualunque cosa fosse, ora era scomparsa nei meandri della mia psiche, in attesa di riemergere esattamente come quel mostruoso squalo...

    Stappai una tre quarti e ne ingurgitai quasi la metà a grandi sorsate. Improvvisamente mi bloccai. Sentivo il piede raschiare il fondo della scarpa in modo strano. Posai la birra a terra e me la slacciai, togliendola piano piano, dopodichè la capovolsi e, con sorpresa vi uscì un mucchietto di sabbia dorata. Fissai stupefatto i granelli per terra e mi chiesi come ciò poteva essere possibile. Non andavo a mare da tre mesi e quelle scarpe di certo non le usavo per andarci. Colto da una percezione di orrore mi allontanai spaventato dal mucchietto di orrenda sabbia. Sentivo che stavo per calarmi fino al collo di misteri inimmaginabbili, oscuri e cavernosi come la gola di un mostro. Cercai di tornare in me schiaffeggiandomi più volte la faccia. Quale assurdo orrore avevo visto? Si trattava forse della visione di un altro mondo ultraterreno ( o sotterraneo )?

    Non avevo neanche finito di arrovellarmi il cervello con queste cavolate che la porta bussò. Avvertii alla gola come un violento fremito di paura, generato dal basso torace e salito come un razzo al cervello. Chiunque fosse, non avrei dovuto aprire. Perché? Cosa c'era di così orrendo e innominabile oltre la soglia? La porta bussò nuovamente. Urlai al misterioso visitatore di dirmi chi era. Forse mi sbagliavo. Forse era solo Lorna venuta a prendersi le sue ultime cianfrusaglie. Eppure c'era come un'aura di orrore che emanava e avvolgeva tutto, da quella porta. Colui che stava distro la soglia non mi rispose. Poi, improvvisamente capii. Il bussatore non doveva avere buone intenzioni: mi accorsi con non poco terrore che ogni volta che batteva con le nocche alla porta, in questa vi si formava una bolla che poi scoppiava per generare un piccolo bozzo, una spaccatura all'interno del legno. Colto da un orrido senso di terrore folle, mi gettai a cercare un nascondiglio o una scappatoia. Facile, al quindicesimo piano. Fuori, la promessa di un miracoloso sfracellarsi sul'asfalto, le bianche dolci dita della morte attorno al mio sterno spappolato. Mentre decidevo sul da farsi, osservai i bubboni sulla porta espandersi fino a creare una piccola breccia, dalla quale colò un liquido denso blu-bianco, e così anche dalla toppa della serratura. Aveva le movenze di un serpente, pensai. Aprii frettolosamente la finestra e le persiane e mi misi a cavalcioni sul muro che separava la mia camera dall'oblìo. Urlai come un pazzo mentre la pozzanghera viva che s'era formata col finir del colare del liquido si addensava e si induriva fino a formare sagome mai viste di organismi mai vissuti in questo mondo. Gridai fortissimo e caddi, o almeno questo ricordo: il cuore a mille mentre il senso di vuoto sotto il mio corpo straziava le cellule del mio cervello, e infine la caduta. Poi, il buio.

    ”Ben svegliato.” mi disse una voce. A dire il vero non ero ancora sveglio, tenevo gli occhi socchiusi mentre una sagoma indistinta, probabilmente la proprietaria della voce, si muoveva lentamente occultata dalle mie palpebre.
    Aprii gli occhi. Ancora una volta li richiusi, urlando di orrore. Li riaprii. Avvertivo la sabbia sotto il mio corpo muoversi, depressa e spinosa.

    Lo squalo col naso umano, il mostro che avevo creduto di sognare era lì, col muso fuori dall'acqua, a parlarmi come un vecchio amico.

    Terrorizzato, ordinai ai miei muscoli dorsali di alzarmi e scappare, ma non ci fu alcuna risposta. Improvvisamente, avvertii come un freddo malvagio invadermi la colonna vertebrale la quale aveva assunto stranamente la forma di punto interrogativo.

    Urlai come un pazzo cercando di capire cosa mi stesse accadendo, quando il mostro decise di uscire dall'acqua per calmarmi, raggiungendomi. Urlai più volte come un folle, mentre avvertivo il dolore espandersi dietro di me.

    ”Mi dispiace. Ti ho salvato troppo tardi.” borbottò la gola del mostro, mentre mostrava sempre nuove parti del suo pauroso corpo di scimmia-ornitorinco. Era evidente che ormai ero andato. Eppure la mia materia grigia ancora si rifiutava di dare il knock out, e mi mostrava ciò che dovevo e non volevo sapere.

    ”Umano, io sono Iam Nithrit, Dio caduto in miseria di questo mondo.” biascicò l'orrendo essere, mentre dal mio corpo sgorgava lentamente come un fiumicello, un rivolo color porpora. ”E tu,” si rivolse a me, indicandomi con tre pelosi tentacoli palmati ”Sei il Prescelto per aiutarci. Solo TU potrai salvarci da La Piaga.” il suo odore era insopportabilmente nauseabondo, mentre qualche mosca gli girava attorno. Gli chiesi cosa volesse da me, e lui di tutta risposta scavò nella sabbia dorata e vi trascinò fuori una strana lancia unta forse d'olio. La mostruosa entità scagliò l'arma sul mio stomaco con poca violenza , ma io emisi ugualmente un rauco urlo di dolore, mentre ciò che rimaneva dei miei polmoni poteva essere usato come concime. ”Questa” disse, indicando l'arnese ”E' l'arma temeraria dei Nove Cavalieri, forgiata in una lega che nessuno ha mai visto. Ora è tua. La userai per annientare per sempre La Piaga” poi si voltò a guardare il sole ”E restituire pace e prosperità a Claglantropix.” ora era tutto chiaro. Claglantropix non era un detersivo, come avevo creduto, ma un mondo che aveva tentato di avvisarmi sul mio destino. Detto questo, l'essere abominevole si girò e camminò goffamente sulle sue piccole e tozze zampe palmate. Urlai debolmente che non sapevo di cosa stesse parlando, e che non ero nelle condizioni di combattere, ma il mostro s'era già allontanato, sparendo a poco a poco dall'orizzonte sabbioso. ”Ciò non mi riguarda.” mi disse l'eco di una voce lontana, facendo tornare un lieve silenzio, scandito dal brusio insostante della risacca. Strisciai come potei sul terreno, quando ad un certo punto tutta la zona dal torace in giù mi divenne completamente insensibile. Mi fermai meccanicamente, mentre le forze mi abbandonavano. C'era un velo di grottesca drammaticità in tutto quell'orrore. L'eroe, paladino della giustizia, ultimo baluardo di salvezza di quel mondo, era stato ridotto alla strenua d'un vegetale, coinvolto in forze misteriose che non conosce, e mai conoscerà, in attesa che sopraggiunga la pietosa Morte.

    Improvvisamente, il cielo terso e limpido si rannuvolò in fretta e furia, coprendo lo stupendo azzurro con un nero pece che oscurò anche lo splendido sole. La sabbia, le poche palme, il mare e la volta celeste s'ingrigirono fino ad ombrarsi d'oscurità, che rese poco visibile qualsiasi cosa intorno a me, creando uno scenario orrorifico forgiato nel buio. Ad un certo punto, mentre il mio cuore palpitava come un tamburo di ferro, i miei occhi captarono un ombra ancora più scura del buio poggiarsi su di me, dalla forma e sagoma indistinte. Riuscii a capire comunque che era dietro di me. Lentamente, tentai di voltare la testa, fallendo l'impresa, mentre un retrogusto di mandorla si diffondeva nelle mie papille. Cercai di chiedere al vento chi ci fosse lì oltre a me, ma ciò che riuscii a fare fu solo tossicchiare un grumo rossastro dalla bocca straziata. L'ombra s'avvicinò di più a me, mentre il dolore e l'angoscia aumentavano simultaneamente. Finalmente intravidi con la coda dell'occhio la cosa che mi stava guatando, e mi prese il panico, perché ciò che avevo immaginato di vedere non m'era piaciuto per niente. Terrorizzato, ordinai al mio essere di dimenarsi, scappare, fuggire, chiudere gli occhi, coprirmi il volto, ma nessun membro rispose al richiamo. Sputai, moribondo, la birra che avevo ingoiato prima, cercando in qualche modo, come unica risposta all'orrore, di vomitare, impaurito, disgustato e straziato. L'essere si mostrò a me, trascinandosi vicino al mio corpo. Fu allora che i segnali del mondo esterno sparirono, e con me rimase solo l'infinito signore supremo,l'Orrore.

    La Piaga.

    (FINE)

  13. #13
    Il Nonno L'avatar di Kyudo
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    Predefinito Re: I nostri racconti

    hmmm ne sto scrivendo uno, e se facessimo tipo a concorso?

  14. #14
    Lo Zio L'avatar di jimypage
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    Predefinito Re: I nostri racconti

    Eladar ha scritto lun, 07 marzo 2005 alle 18:05
    hmmm ne sto scrivendo uno, e se facessimo tipo a concorso?
    Perchè no? La proposta è molto interessante...

  15. #15
    Harlan draka
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    Predefinito Re: I nostri racconti

    ecco il mio racconto "Alpha & Omega"

    per ora solo la seconda parte ditemi se vi piace

    http://harlandraka.altervista.org/file/A lfa_e_Omega_Libro_Secondo.rtf


    ps. la prima parte la sto riscrivendo e la terza e ferma da anni, comunque questo pezzo è fruibile anche da se dato che la trama degli altri è slegata da questo

    pps. per scaricarlo dovete copiare il link nella barra del browser

  16. #16
    Harlan draka
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    Predefinito Re: I nostri racconti

    vi piace?

  17. #17
    Il Puppies
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    Predefinito Re: I nostri racconti

    bravi bravi ottimi racconti , poi mettero' il mio

  18. #18
    Lo Zio L'avatar di jimypage
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    Predefinito Re: I nostri racconti

    Fra70 ha scritto lun, 31 luglio 2006 alle 00:55
    bravi bravi ottimi racconti , poi mettero' il mio
    Una ventata d aria fresca in questo topic non fa mai male
    E' u peccato lasciarlo abbandonato così a se stesso...
    Il problema è che non riesco a trovare un minuto di tempo per buttare giù le 2000 idee che mi passano per la testa...

  19. #19
    L'Onesto L'avatar di kanga-roo
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    Predefinito Re: I nostri racconti

    Ehm, è il mio primo racconto, quindi è breve e forse un po' banale, sono alle prime esperienze, spero che vi piaccia


    Quote:

    Il volto del male.

    Notte. Camminavo in un cimitero, non il mio, il mio lavoro di becchino era legato al camposanto della cattedrale di Luxeterna.
    Questo sembrava un antico cimitero inglese, vedevo recenti tombe, di pietra, ma anche croci di legno marcio, o lapidi spezzate, nelle zone più antiche.
    La luna era piena, non c’era una nuvola in cielo, uno scenario fantastico, di quelli che affascinano le menti degli adolescenti amanti delle emozioni forti che si introducono nei cimiteri di notte per sfida.
    Non ero spaventato, sapevo di essere in un sogno, ma fu terribile il cambiamento che in me sarebbe avvenuto nelle successive ore, dalla calma al terrore puro.
    Passeggiando in questo sacro luogo notai che delle altre persone erano in piedi vicino alle tombe, così mi avvicinai ad una vecchia signora perfettamente immobile, era vestita da domestica;
    -Salve-

    Non ottenni risposta alcuna, neanche notò la mia presenza, era come una statua; siccome la vedevo di spalle la aggirai per guardarla in faccia e vedere se aveva reazioni, quando vidi il suo volto cacciai un urlo per lo stupore, la donna non aveva faccia, era come se qualcuno avesse grattato via il naso, gli occhi e la bocca e successivamente avesse lisciato il tutto come fosse legno, la visione mi mise in corpo una profonda inquietudine e Dio sa cosa darei per essere subito fuggito da quell’onirico luogo d’incubo.
    Abbassai gli occhi sulla lapide accanto alla quale si trovava la statua della domestica e lessi questa iscrizione:

    Katrin Foleman
    1897-1918

    A quel punto mi parve di sentire un sibilo dalla statua senza volto vicino alla lapide, alzai lo sguardo, non più sicuro del fatto che fosse una statua e toccai una spalla alla donna; l’orrore mi colse quando il braccio si staccò e uno schizzo di sangue impressionante partì dal braccio arrivandomi sulla faccia, la cosa (oramai non ero più sicuro di cosa fosse) emise un lungo gemito (mi chiedo ancora da dove) e protese l’unico braccio che le era rimasto verso la mia faccia.
    Avevo risvegliato questa creatura d’incubo dal suo sonno maledetto, e come se avessi fatto scattare un meccanismo generale, sentii delle urla raccapriccianti provenire dalle altre figure senza volto.
    Colto da un orrore spaventoso, ormai dimentico del mio credere di essere in un sogno, corsi via urlando in cerca di aiuto; non riuscivo ad intravedere la fine del cimitero, il paesaggio era dominato da una fila interminabile di sepolture, e da figure senza volto urlanti.
    Non riuscivo ad immaginare dove trovare un luogo di riparo da queste creature infernali quando vidi un mausoleo su una bassa collina che dominava il cimitero.
    Ormai prossimo allo sfinimento raggiunsi la cima della collinetta e sfondai la vecchia e marcia porta del mausoleo e la visione che mi si presentò fu sconcertante; dinanzi a me avevo un’enorme ghiacciaio, di dimensioni enormi, se confrontate alla grandezza del mausoleo, la cosa che provò la mia mente più di ogni cosa però fu la figura che vidi in piedi al centro del grande ghiacciaio ai lati del quale vedevo solo un cielo puntellato di molte più stelle di quante ne vedessi nel cimitero; la figura aveva due zampe da capra, un corpo da donna e due ali da pipistrello, la cosa più orribile però era la testa, formata da un numero imprecisato di volti, tutti concentrati e misti tra loro in un cangiante vortice di disperazione odio e terrore che non so esprimere a parole. Il terrore mi paralizzò completamente, impedendomi di scappare verso il cielo stellato e di buttarmi giù dalla alta parete del ghiacciaio, o di correre indietro e cercare una via per fuggire da quel luogo maledetto dove mi trovavo. La figura ghignava in modo sinistro, non so nemmeno spiegare dove fosse la bocca in quel guazzabuglio di morte e rabbia, ma vedevo chiaramente che la creatura era soddisfatta, capii il perché quando sentii delle mani che mi afferrarono per le spalle e mi tirarono indietro, in mezzo a quell’orgia di esseri senza volto, quello che successe dopo non lo so spiegare, ho solo dei ricordi così raccapriccianti che solo richiamarli alla mia mente mi farebbe avere una crisi tale da costringe i guardiani del manicomio a sedarmi.
    Quando mi svegliai infatti, mi trovavo in una cella dalle pareti imbottite e, portandomi le mani alla faccia, sentii una maschera di ferro che mi celava il volto.
    ah, il quote era per differenziarlo dal resto della pagina
    che ne dite?

  20. #20
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    Predefinito Re: I nostri racconti

    post salva-APOCAFUD

  21. #21
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    Predefinito Re: I nostri racconti

    Uno dei miei:

    - DANNATO AMORE -


    Tutti guardavano in alto ora. E lui continuò indisturbato: lavoro di braccia e martello sulle sbarre. I colpi arrivavano fino a loro, ma nessuno sembrava farci caso, avevano occhi solo per lei ora. Lui continuò a picchiare sui cardini, sulle saldature, sui lucchetti arrugginiti, ed il pesante clangore cominciò ad entrargli nelle tempie, con pulsare ritmico.
    Oltre le sbarre c’era il suo premio, ma lui non osava guardare, avrebbe perso il coraggio di andare avanti. Fissava il punto in cui picchiava col martello che aveva aperto verruche grandi come sanguisughe in mezzo ai palmi.
    Poteva solo sperare che continuassero a parlarle, che lei continuasse a guardare loro senza fare sciocchezze.

    Il suo vestito una volta candido era ridotto in pezzi. Le gambe erano scoperte fin sopra le ginocchia, si mostravano tra le ferite lacere di quella veste una volta bianca. Teneva le mani strette sull’inguine a fermare il vento che riempiva la gonna. Aveva sotto di sè un panorama stupendo ed una piccola distesa di teste vociferose.
    - …LE RIPETO DI NON MUOVERSI, HA CAPITO? RIPETO: NON SI MUOVA! LA PERSONA DI CUI HA CHIESTO STA ARRIVANDO. RIPETO: STA ARRIVANDO! "
    Poteva sentire la voce dal megafono anche da lì sotto, ed anche da quella cripta silenziosa avvertiva la puzza di una menzogna. Non facevano che peggiorare le cose perché, anche nelle condizioni in cui si trovava adesso, Lara non si sarebbe certo fatta ingannare da quelle misere parole.
    Il primo lucchetto cedette nello stesso momento in cui Lara conficcò il chiodo rugginoso nel mezzo del palmo della sua mano destra. Lo fece con forza e rapidità. Quelli di sotto non ebbero il tempo di far nulla. Aveva poggiato la mano destra sul muro di fianco al suo corpo, caricato il colpo col l’altra mano, e scaricato la forza in un colpo netto da togliere il fiato.

    Padre Carmine si fermò per un attimo su quelle grida. Guardò il lucchetto sventrato. Aveva voglia di dare un’occhiata a quello che c’era oltre le sbarre, quello che agognava, ma nemmeno questa volta lo fece. O almeno non del tutto. I suoi occhi arrivarono solo alla base di quel cupo simulacro. Gli tremarono le mani e calò lo sguardo.
    “Signore, abbi pietà di me…”, recitò dentro sè, “prenditi cura della mia anima se riuscirò a finire il mio lavoro, per questo io ti supplico.”
    Inspirò profondamente, guardò le sue mani e vide che non tremavano più. Espirò.
    Ricominciò a battere sul secondo dei tre lucchetti che tenevano salde le catene di quelle sbarre.
    Solo il bagliore di una candela guidava le sue mani, il sudore era freddo nonostante la fatica, la paura di qualcosa di troppo grande dominava i suoi pensieri. Era sceso solo una volta in quella cripta, e quel giorno di un anno addietro promise che sarebbe stato l’ultimo.
    Ma lei era decisa ad andare fino in fondo. E solo oggi lui si rese conto di quanto il suo amore fosse forte, potente e…definitivo.

    - SIGNORINA SI FERMI! PER L’AMOR DI DIO NN FACCIA SCIOCCHEZZE! LUI A MINUTI SARA’ QUI ACCOMPAGNATO DA PADRE CARMINE IN PERSONA! NON SERVE TUTTO CIO’! LA PREGO SI FERMI E PARLI CON ME. MI CHIEDA QUELLO CHE VUOLE!”
    “Imbecille di un poliziotto!”, pensò Padre Carmine quando la ragazza, dopo pochi attimi di incredulità in risposta diede un urlo che fece rabbrividire il sergente Duilio e tutta la gente presente al momento, civili e forze dell’ordine. La disperazione di quella ragazza rimbalzò contro le mura di quella chiesa imponente e raggiunse le orecchie anche di persone che abitavano a isolati da lì.
    Il lato ovest della chiesa di San Giuda era transennata dalle 6:00 di quel mattino, e la ragazza era sul balcone più alto, con una mano gravemente ferita, lacrime sul viso, piedi nudi sul marmo, capelli biondi al vento.

    “Come volevasi dimostrare”, pensò, e si tranquillizzò per quanto potè: almeno aveva la certezza che era ancora viva.
    Scaricava la sua rabbia su quei lucchetti che lui stesso aveva applicato, e dei quali aveva distrutto le tre chiavi.
    Il secondo lucchetto saltò mentre la sua mente tornava a quel fatidico mese di Agosto, quando il suo servitore di messa prediletto, Giovanni, cominciava ad avvertire degli strani malesseri durante le celebrazioni.
    Continuò a battere col martello sempre più forte, una vescica si ruppe in bruciore e liquido, ma non vi badò, non esitò nemmeno per un momento.

    Giovanni era cresciuto con lui, orfano di entrambi i genitori, ed era stato sempre un ragazzo solitario, di poche parole, benchè serio ed efficiente. Amava la lettura e la musica, ma aveva una riservatezza ed una timidezza di fondo che lo tenevano lontano dallo stringere rapporti duraturi con i suoi coetanei.
    Aveva un difetto dalla nascita, e padre Carmine lo aveva sempre aiutato a non farsene un problema anche se il ragazzo tendeva sempre a nascondere questa sua malformazione.
    Il ragazzo aveva la carnagione chiara come quella di un angelo ma aveva gli occhi del colore del mare di notte, delle onde senza schiuma e luce.
    Le ragazze che incrociava per strada quando il buon padre gli commissionava qualche lavoretto si giravano a guardarlo, ma lui non ci faceva nemmeno caso. Era felice di poter essere utile a “suo padre”.
    Tutti quello che lo conoscevano non lo avevano mai visto un giorno senza il suo amato copricapo, una coppola da “guappo”, regalo di padre Carmine per il suo diciassettesimo compleanno, al quale il ragazzo teneva come ad una sacra reliquia, e che non avrebbe ceduto nemmeno in pericolo della sua stessa vita.
    Due volte la settimana Giovanni ritirava la posta della chiesa e spediva le missive che padre Carmine gli aveva affidato direttamente all’unico ufficio postale del paese, quello vicino alla piazza.
    Lì per la prima volta i suoi occhi si fermarono su una donna. E vi rimasero sopra a lungo.
    Lara. Lavorava alla posta del paese già da 2 anni ed era più grande di lui di 2.
    Aveva gli occhi che spaccarono in un istante tutti i pensieri che separavano la sua mente ed il suo cuore dal concetto di passione.
    - Sono tutte dello stesso peso?- gli disse mentre soppesava le missive e tenendo lo sguardo sul suo lavoro.
    Aveva fatto quella domanda quasi in automatico.
    Giovanni non diede una risposta, fissava come ipnotizzato le mani della ragazza che lavoravano e sentiva di essere cullato dalle onde su una barca nel silenzio del mare.
    - Ehi, ti ho chiesto se son tutte dello stesso peso!” " riprovò lei, e questa volta alzò lo sguardo a guardarlo, come a controllare se fosse ancora lì.
    In quel momento iniziò tutto. Giovanni vide nei suoi occhi il senso di quei giorni e, senza saperlo, vide il destino dei suoi ultimi giorni.
    Le rispose, scusandosi, balbettand qualcosa. Fece la sua commissione e scappò via.
    Lei rimase ferma solo qualche attimo pensando alla stranezza di quel ragazzo con quel buffo copricapo, poi tornò al suo lavoro.
    Quella sera a letto le tornarono in mente quegli occhi profondi e quell’espressione sincera.
    Non sapeva il perché, successe e basta.

    Il metallo si spaccò con un ultimo colpo ed un suono di lacerazione.
    Restava l’ultimo lucchetto.
    Lara sfilò un secondo chiodo dalla tasca della sua veste.
    Padre Carmine si portò il dorso del braccio alla fronte, asciugandosi il sudore.
    - LA PREGO NON E’ NECESSARIO CHE LEI FACCIA TUTTO QUESTO, SI STA FACENDO DEL MALE INUTILMENTE SIGNORINA, LA COSA PUO’ ESSERE RISOLTA IN UN ALTRO MODO…-
    Quel poliziotto continuava a menarla nella stessa direzione, non aveva capito chi si trovava davanti.
    I colpi di martello aumentavano di frequenza proporzionalmente alla paura che gli attanagliava il cuore.

    Giovanni serviva la messa tutti i giorni, e la mattina del 12 Agosto cominciò a versare l’acqua santa per padre Carmine che celebrava la messa delle dieci.
    Poche gocce gli caddero sulle mani e siccome era concentrato sulla celebrazione e la preghiera, non si accorse di quello che stava accadendo.
    Se ne accorse il prete, quando accettò come sempre l’acqua ed il vino. Aprì gli occhi più del dovuto solo per un attimo e Giovanni ne seguì lo sguardo. Ebbe paura.
    - Corri in bagno, posso continuare da solo - gli sussurrò padre Carmine.
    Ed il ragazzo così fece.
    Nessuno medico seppe spiegare la causa delle nette bruciature sulle mani del giovane, ed i pensieri del prete cominciarono a divenir cupi.

    - Togliti il cappello. - gli disse. Giovanni si irrigidì immediatamente e la fissò negli occhi.
    Lara sfoggiava il suo miglior sorriso. La sera si avvicinava e loro erano seduti sulla riva del fiume sotto una luce che presto sarebbe diventata tramonto.
    - Preferisco di no.-
    Lara temporeggiò solo per qualche secondo, strappò qualche stelo d’erba distrattamente e…
    saltò come una cerbiatta verso di lui, rubandogli il cappello mentre poggiava le labbra su quelle di lui.
    Giovanni spalancò gli occhi e le pupille si dilatarono. Il cuore cominciò a battergli nel petto e gli sembrò come se avesse poggiato le labbra su una pesca profumata e morbida, sul mare e sul fuoco vivo.
    Lara gettò il cappello lontano e, chiusi gli occhi, dischiuse leggermente le labbra e gli donò il suo sapore.
    Follia. Confusione ed estasi lo stavano attraversando in quel momento. Tutti i sensi erano completamente fusi ed impazziti tra loro.
    Duro pochi minuti ed un’eternità.
    Poi finì.
    E Lara aveva gli occhi dentro i suoi.

    Poi si posarono sul suo capo.

    STUMP!

    Padre Carmine si paralizzò. Era andato anche il terzo lucchetto.
    Deglutì sonoramente. Lasciò cadere martello e scalpello. Lentamente poggiò le mani sulle sbarre, ancora lo sguardo basso.
    Poi si fece coraggio e tirò verso di sé.

    Passò una settimana e Giovanni continuò a servir messa e a vedersi con Lara.
    Poi accadde qualcosa durante la messa Domenicale del 17 Agosto. Padre Carmine stava alzando il sacramento al cielo ad invocare la presenza divina e a Giovanni mancò il respirò, sembrò che qualcosa gli si strozzasse in gola. I suoi singhiozzi distrassero solo marginalmente padre Carmine, restio ad interrompere il solenne momento dinanzi ad una chiesa piena. Qualcuno del pubblico cominciò ad accorgersi del ragazzo che si portò le mani alla gola.
    Voci cominciarono a mormorare: “…ma quel ragazzo…”, “…ma forse sarebbe il caso di…”, “…chiamate un dottore…”.
    Ma nessuno intervenne in tempo. Giovanni sembrava volesse esplodere da un momento all’altro. La sua voce si tramutò nell’urlo di una bestia che sfogava la sua rabbia primordiale.
    - Ma che…- fu tutto quello che riuscì a dire padre Carmine prima di essere assalito da qualcosa che aveva girato gli occhi all’indietro dinanzi a lui, che lo strinse in una morsa al collo cominciando a scandire frasi in una lingua incomprensibile.
    Cercò di divincolarsi e subito accorsero diversi uomini ad aiutarlo.
    Qualcuno cinse quello che una volta era il ragazzo alla gola, chi ad un un braccio, ma Giovanni dimostrava una forza ed una stretta sovrumana, ne scrollò due di dosso senza alcuno sforzo.
    Sull’altare si era formata una piccola folla e ci fu tale Andrea Campora, fabbro dalla notevole mole, che si aggrappò e fece forza contraria con tutto il suo peso sul ragazzo mentre altra gente gli prendeva le braccia e le dita per fargli allentare la morsa sul povero padre che respirava a fatica ormai, diventato paonazzo in viso.
    Le parole ringhiate del ragazzo terrorizzarono il pubblico che era rimasto a guardare la terribile scena da lontano. Molti erano già fuggiti dalla chiesa.
    Donne e vecchie si segnavano spiando al riparo dei banchi sul fondo.
    Uno strattone fece cadere il copricapo del ragazzo.
    La sua malformazione nascosta per anni venne mostrata a tutti : due protuberanze curve e appuntite gli spuntavano in alto sulla fronte, da un lato e dall’altro.
    “EVAS EM DROL, MORF EHT NIAP EVAS EM DROL! MORF EHT HTAED EVAS EM DROL….”
    E continuò così finchè il signor Andrea non gli assestò un colpo brutale a due mani sulla nuca con un candelabro in ferro preso dall’altare.
    Svenne.

    Aprì le sbarre. La cassa era davanti a lui. Le croci, l’acqua santa, doveva spostare tutto ora. E lo fece.

    Padre Carmine si riprese dopo una settimana circa. Il ragazzo fu tenuto in prigione.

    Aprì la cassa e le mani cominciarono a tremargli di nuovo.

    Quando si riprese gli uomini del paese gli dissero che avrebbero ucciso il ragazzo. Padre Carmine si coprì il viso e cominciò a piangere.

    Quando sollevò il coperchio la visione fu tremenda. Quello che una volta era stato il suo servitore, quasi un figlio per lui aveva gli occhi aperti e lo fissava come se lo aspettasse già da tempo, tranquillo. Le croce sulla fronte aveva i bordi ormai fusi nella pelle che aveva bruciato al contatto tempo addietro. Le occhiaie erano infossate, mostruose. Il pallore era indescrivibile. Le protuberanze sul capo, simili a quelle di un ariete ora si erano allungate e poggiavano sul bordo della cassa. Le mani incrociate sul petto legate con la corda stringevano una croce metallica che gli aveva bruciato l’interno delle mani.
    Padre Carmine cominciò a tagliare. Un ghigno beffardo comparve su quel volto abominevole.

    Portarono il ragazzo in aperta campagna. Erano tutti uomini. Lo avevano bendato e imbavagliato.
    Padre Carmine camminava a testa bassa. Arrivarono su un terreno di nessuno, selvaggio, silenzioso.
    Lo condussero sotto l’ombra di un’unica grande quercia. Lo poggiarono con le spalle al tronco e due uomini lo tenevano per le braccia. Padre Carmine cominciò una preghiera tra i singhiozzi, poi mentre lo benediva con acqua santa Andrea si avvicinò e gli puntò uno scalpello sul cuore.
    Giovanni cominciò a ringhiare versi di altri mondi che cadevano su quelle persone recando paura. Suonavano come maledizioni innominabili.
    Un unico colpo secco ed un rumore di un ramo che si spezzava immerso nel liquido.
    Le parole maledette cessarono.
    Andrea tornò a casa imbrattato di sangue. Non avrebbe riuscito a proferire parola per giorni.

    Nessuno parlò.
    Controllarono che fosse morto, poi lo lasciarono lì, tra le braccia di padre Carmine che si era lasciato cadere a terra.
    Rimasero lì a lungo.

    Con mani tremanti levò le corde e lentamente rimosse la croce dalla fronte e dalle mani. In quel momento Giovanni rise.
    Poi si sollevò.

    Lara si conficcò il secondo chiodo nel braccio.

    Giovanni strinse padre Carmine per il collo, sollevandolo da terra per una decina di centimetri. Padre Carmine cominciò a pregare, conscio e consapevole della sua imminente fine.
    Giovanni gli baciò la fronte e lo adagiò in quello che era stato il suo gigaciglio.

    Lara estrasse il terzo chiodo, quello che aveva intenzione di piantarsi nel cuore, per poi buttarsi giù, ma non fece in tempo. Una voce alla sua destra l’aveva chiamata.

    - AraL -

    Lei si volto incredula verso la voce. Poi si incamminò subito verso di lui-
    Quando gli fu davanti cominciò a piangere commossa e tentò di abbracciare il suo amore.

    Lui la strinse forte a sé e le rubò il fiato con un bacio.

    “I EVAS UOY MORF EHT HTEAD”, le disse e si lanciò giù con lei.


    08/08/06

    Ricorretto 29/01/07

    Ricorretto con nuovo finale 01/10/07



    Ultima modifica di Seraph888; 02-10-07 alle 12:11:27

  22. #22

    Predefinito Re: I nostri racconti

    Questa non è una storia inventata ma è successa realmente,il testimone di ciò non sono stato io in prima persona ma un mio amico...
    Accadde tutto tre anni fa all'incirca:

    il sogno

    Tutto ha inizio con un semplice sogno ripetutosi più volte per la precisione 3 se non erro.
    Il sogno si svolgeva in questo modo:un ragazzo perseguitato da una ragazza affascinante ma misteriosa che lo perseguitava dovunque in qualsiasi luogo egli si trovasse,ora voi tutti sapete con certezza che i sogni sono molto strani a volte non hanno un ordine logico e i dialoghi che si svolgono all'interno il più delle volte non hanno alcun senso.
    Quando si sogna di qualcuno di cui non si conosce praticamente nulla è come se il suo viso non si focalizzasse alla perfezione all'interno di esso..vi è mai capitato di sognare una persona che in realtà è il puro frutto della vostra immaginazione e nonostante ciò al vostro risveglio non riuscite a rammentare minimamente il suo viso?Credo proprio di si.
    Il punto crociale di questa storia alquanto assurda è proprio questo,il mio amico riusciva a focalizzare all'interno del suo sogno il volto perfetto della ragazza quasi come se lei esistesse realmente,e anche quando era desto ricordava alla perfezione ogni suo paritcolare.
    La cosa mi stupì tantissimo,anche perchè ogni descrizione era curata nel minimo particolare e ricordo che quando mi raccontava di questa insolita esperienza gli tremavano tremendamente le mani.
    Cmq ritorniamo al racconto,una domenica mattina durante il periodo estivo il nostro protagonista si recò al mare per trascorrere un allegra giornata con i suoi familiari,mentre stava scherzando allegramente con suo cugino sulla riva del mare vede passare tra la folla dei bambini che giocavano in spiaggia una ragazza..ebbene si che voi ci crediate o no era proprio lei che lo guardava in un modo alquanto inquietante,logicamente non seppe darsi una spiegazione logica a quello che i suoi occhi gli stavano mostrando e così svenne sul colpo,i familiari impauriti corsero in suo aiuto e quando il mio amico si risvegliò della ragazza non vi fu più traccia era scomparsa nel nulla.
    Durante la perdita dei sensi la ragazza gli era parsa di nuovo in sogno dicendogli testuali parole:Svanirò nel nulla e porterò te con me!

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