Rimediamo ad un'altra mancanza di The Book Machine, cioè nessun topic su 54
Un affresco corale, un’opera che parte da molto lontano, che intreccia trame e personaggi, che mischia finzione con realtà storica, che alla fine però ha un unico comune denominatore: l’anno di grazia 1954. Dopo Q questo è il secondo romanzo del collettivo Wu Ming che leggo e devo dire che, seppur inferiore a livello globale rispetto al precedente, la qualità è comunque sempre molto alta ed il libro scorre via che è una bellezza.
Come detto in precedenza, 54 è costruito come un lungo e laborioso intreccio di storie, ognuna quasi a compartimento stagno, che sembrano quindi slegate fra loro ma che alla fine si incroceranno, si toccheranno, per dare vita ad un libro che ha spesso il sapore epico della storia con la esse maiuscola, con piccole incursioni da spionaggio stile guerra fredda.
L’inizio di 54 è un po’ traumatico, quasi al pari di Q che, complice i salti temporali, è ostico assai in fase di approccio. Questo romanzo invece è un po’ più “semplice” da iniziare, però le innumerevoli vicende da seguire possono creare un po’ di disagio, fino a che non compare la figura di Robespierre Capponi, vincente nella sua prima apparizione al pari di Steve “Cemento” Zollo, personaggio che, poco alla volta, si conquista la fiducia e l’ammirazione di chi legge per il suo carattere inflessibile, duro e coriaceo.
54 soffre un po’ nella parte centrale, dopo il ricongiungimento familiare in Jugoslavia, si ha come l’impressione che il romanzo ristagni un poco e che certe vicende che sono venute finalmente ad intrecciarsi non abbiano più molto da dire. Invece nella parte conclusiva il libro riprende quota grazie ad un televisore sospetto che ci perseguita per tutta la durata del romanzo e ad un finale pirotecnico che mi sento di dire non deluderà minimamente le aspettative.
Il difetto che impedisce a 54 di essere un capolavoro imprescindibile è legato alla presenza di alcune vicende, alcune storie che onestamente hanno sì attinenza con le altre, ma le lambiscono solamente da lontano, contribuendo però a distogliere l’attenzione del lettore che si chiede perché introdurre i piccioni viaggiatori, perché il controspionaggio sovietico, perché Jean Azzoni e Lucien Mariani. Forse questa dispersività, quest’abbondanza di brevi intermezzi che esulano dal resto, ma che ne fanno parte indirettamente, tendono a ricordarci che il libro che abbiamo tra le mani è un frutto collettivo, venendo meno dunque la percezione (che ho avuto molto di più con Q) di leggere qualcosa scritto da una sola persona.
A parte questo lieve difetto mi sento di dire che 54 è un bellissimo libro che non prende l’eccellenza solo perché Q gli è superiore (non ho trovato questa volta una descrizione così evocativa come quella di Venezia). Se avete amato Q adorerete anche 54, forse un libro più adatto del predecessore per avvicinarsi al collettivo Wu Ming, veri talenti mi sento di dire a livello nazionale (e forse un po’ snobbati).
Da leggere comunque!
Potrebbe essere il libro giusto per approcciare i Wu Ming (complice anche gli sconti Einaudi su IBS del 30%). Io intanto mi prenoto già Manituana