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  1. #3851
    Il Nonno
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    Predefinito Re: nazionalizzare le banche e dazi le uniche cure alla crisi? [Crisi Economica]

    I ministri del partito greco di estrema destra Laos hanno presentato le proprie dimissioni al primo ministro Lucas Papademos. Spetterà proprio a Papademos scegliere se accettare o meno le dimissioni, spiegano le fonti ma il Governo greco vacilla anche perché un ventina di deputati del partito socialista Pasok e altrettanti del conservatore Neo Dimokratia, i due maggiori partiti della coalizione di governo hanno annunciato di non voler votare il pacchetto domenica in Parlamento sfidando i rispettivi segretari Georgios Papandreou e Antonis Samaras.
    http://www.ilsole24ore.com/art/notiz...?uuid=AahYIrpE

    La Grecia si appresta a vivere oggi ancora una giornata di paralisi totale dovuta allo sciopero generale di 48 ore, proclamato dai principali sindacati del Paese
    http://ansamed.ansa.it/ansamed/it/no..._77330019.html

    Si valuta quindi tra nuovi sacrifici e uscita dalla moneta unica, una soluzione, a detta di molti, più che scontata osservando l'andamento catastrofico dell'economia reale. Entro mercoledì prossimo, nella prossima riunione dell'eurogruoppo, si dovrà decidere quale futuro spetta alla Grecia.
    http://it.ibtimes.com/articles/27201...-venizelos.htm

    La leader tedesca ha dichiarato che il fallimento della Grecia è un rischio che non si vuole affrontare, aggiungendo che le conseguenze sono incalcolabili e incontrollabili.
    http://www.politica24.it/articolo/grecia-l-allarme-della-merkel-sul-rischio-default-il-laos-non-votera-il-piano-austerity/21283/

  2. #3852
    Il Nonno L'avatar di Muccolo
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    Predefinito Re: nazionalizzare le banche e dazi le uniche cure alla crisi? [Crisi Economica]

    ...
    Delle 11 recessioni verificatesi negli Stati Uniti dopo la Seconda guerra mondiale, 10, fra cui la più recente, sono state precedute da un balzo improvviso dei prezzi del petrolio. Sembra esser chiaro che non è stato solo un problema creditizio, il cosiddetto credit crunch, a dar l’avvio alla recessione del 2008, ma anche l’assai meno pubblicizzata e discussa «stretta» dei prezzi del petrolio. Gli alti prezzi dell’energia pesano sui bilanci delle famiglie e remano contro la ripresa economica.

    Sia gli Stati Uniti che l’Europa spendono 1 miliardo di dollari al giorno per importare petrolio. Il prezzo medio della benzina negli Stati Uniti è salito dai 75 centesimi al litro del 2010 ai 95 centesimi al litro del 2011. E dato che negli Stati Uniti se ne consumano circa 1,4 miliardi di litri al giorno, il paese ha speso circa 280 milioni di dollari al giorno in più per acquistare benzina, lasciando meno denaro a disposizione per le spese discrezionali.

    Un altro efficace esempio dell’effetto della crescita dei prezzi del petrolio lo si può vedere in Italia. Nel 1999, quando il paese ha adottato l’euro, l’attivo commerciale annuo del paese era pari a 22 miliardi di dollari. Da allora, la sua bilancia commerciale è cambiata in modo notevolissimo, e oggi l’Italia ha un passivo di 36 miliardi di dollari. Anche se le cause di questa svolta sono molte, fra cui la crescita delle importazioni dalla Cina, l’aumento del prezzo del petrolio è la più importante di tutte. Malgrado un calo delle importazioni pari a 388.000 barili al giorno rispetto al 1999, l’Italia spende oggi 55 miliardi di dollari all’anno per importare petrolio, rispetto ai 12 miliardi del 1999. La differenza è prossima al corrente deficit della bilancia commerciale. Il prezzo del petrolio ha probabilmente dato un forte contributo alla crisi dell’euro nell’Europa meridionale, i cui paesi dipendono completamente dal petrolio estero.

    L’Agenzia Internazionale per l’Energia ha detto con grande chiarezza che l’economia globale è a rischio quando i prezzi del petrolio sono superiori ai 100 dollari al barile – come sono stati negli ultimi anni, e come certamente continueranno a essere, data la risposa anelastica della produzione globale. Storicamente, il legame tra produzione petrolifera e crescita economica globale è molto stretto.

    Se la produzione di petrolio non può crescere, ciò implica che non può crescere neppure l’economia. E questa è una prospettiva così spaventosa che molti hanno semplicemente evitato di prenderla in considerazione. Il Fondo Monetario Internazionale, per esempio, continua a prevedere una crescita economica pari al 4 per cento del prodotto interno lordo per i prossimi 5 anni, vicina ai massimi storici del periodo successivo al 1980. Eppure, per realizzarla ci vorrebbe o un eroico incremento della produzione di petrolio del 3 per cento all’anno, o un aumento dell’efficienza dell’uso del petrolio, o una crescita a maggiore efficienza energetica o una rapida sostituzione del petrolio con altre fonti di combustibili. Economisti e politici discutono continuamente di politiche che portino al ritorno alla crescita economica, ma dato che mancano di riconoscere la centralità del problema dell’alto prezzo dell’energia, non hanno identificato la necessaria soluzione: svezzare la società dai combustibili fossili.

    ...



    extended edition:

    Spoiler:

    Petrolio: il punto di non ritorno è ormai superato

    © Joho/cultura/Corbis
    Molto più dell’ambiente in pericolo, saranno i dolori dell’economia alle prese con un’offerta ormai incapace di crescere a farci ridurre l’uso dei combustibili fossili di James Murray e David King


    In molte parti del mondo, e in particolare negli Stati Uniti, un insistente dibattito sulla qualità della scienza del cambiamento climatico e i dubbi sulle dimensioni degli impatti ambientali negativi hanno fatto da remora alle scelte politiche di riduzione della crescita delle emissioni di gas-serra. Ma può esserci una ragione più persuasiva per abbassare le emissioni globali: l’impatto del calo dell’offerta petrolifera sull’economia.
    La produzione di combustibili fossili di cui possiamo disporre è minore di quanto molti credano. A partire dal 2005, la produzione convenzionale di petrolio greggio non è cresciuta di pari passo con la crescita della domanda. Noi sosteniamo che il mercato del petrolio è passato a un nuovo e diverso stato, in una di quelle che in fisica si chiamano transizioni di fase: oggi la produzione è «anelastica», incapace cioè di seguire la crescita della domanda, e questo spinge i prezzi a oscillare in modo selvaggio. Le risorse degli altri combustibili fossili non sembrano in grado di colmare il buco.

    © Barry Lewis/In Pictures/CorbisI ripidi picchi dei prezzi dei combustibili che derivano da questa situazione possono provocare crisi economiche, e hanno contribuito a quella da cui il mondo si sta risollevando. È ben poco probabile che l’economia del futuro sia in grado di sopportare quel che ci riservano i prezzi del petrolio. Solo allontanandoci dai combustibili fossili possiamo, al tempo stesso, assicurare più solide prospettive economiche e affrontare le sfide del cambiamento climatico. È una trasformazione che richiederà interi decenni, ma è necessario che abbia inizio subito.

    La produzione di petrolio greggio è cresciuta di pari passo con la domanda dal 1998 al 2005. Ma poi qualcosa è cambiato. La produzione è rimasta grosso modo costante per tutti gli ultimi sette anni, malgrado un aumento del prezzo di circa il 15 per cento all’anno (considerando il prezzo del Brent sulla piazza di Londra), dai circa 15 dollari al barile del 1998 agli oltre 140 dollari al barile del 2008. Il prezzo continua a riflettere la domanda: è sceso fino a circa 35 dollari al barile nel 2009 grazie alla recessione del 2008-2009, per poi risalire con il miglioramento dell’economia globale fino ai 120 dollari al barile, e ridiscendere al suo attuale valore di 111 dollari. Ma la catena di fornitura non è stata capace di tenere il ritmo della crescita della domanda e dei prezzi.

    L’idea di un «picco del petrolio» – che la produzione globale dovesse raggiungere un massimo e poi declinare – è in giro da decenni, con gli accademici impegnati a discutere se fosse già stato superato o se dovesse ancora venire. La tipica risposta degli operatori del settore è far notare la crescita delle stime delle riserve globali – i quantitativi sotterranei noti che possono essere commercialmente prodotti.
    La produzione dei campi petroliferi sta declinando in tutto il mondo a tassi compresi tra il 4,5 per cento e il 6,7 per cento all’anno
    Ma questi dati sono fuorvianti. Il reale volume delle riserve accertate è oscurato dal segreto; le previsioni delle aziende petrolifere di stato non sono verificate e sembrano essere esagerate. Inoltre, e soprattutto, le riserve richiedono spesso dai 6 ai 10 anni di perforazioni e sviluppo per entrare a far parte dell’offerta, e nel frattempo avrà cominciato a esaurirsi qualche altro campo petrolifero più vecchio. È molto più sensato guardare invece agli andamenti della produzione effettiva, e questi sono meno incoraggianti. Anche se le riserve sono, a quanto pare, in crescita, la percentuale disponibile per la produzione sta scendendo.

    Negli Stati Uniti, per esempio, la produzione come percentuale delle riserve è costantemente diminuita dal 9 per cento del 1980 al 6 per cento di oggi. La produzione dei campi petroliferi in tutto il mondo sta declinando a tassi compresi più o meno tra il 4,5 per cento e il 6,7 per cento all’anno. È solo aggiungendo la produzione proveniente da nuovi pozzi che la produzione complessiva mondiale sta riuscendo a restare costante.

    La produzione di petrolio ha toccato il tetto
    Fino al 2005, la produzione ha seguito la domanda, ma poi è rimasta ferma malgrado l’aumento dei prezzi sia continuato. La linea azzurra indica la produzione, in milioni di barili al giorno; quella in rosso il prezzo del petrolio in dollari USA/barile.

    Transizione di fase
    Il brusco cambiamento verificatosi nell’economia del petrolio è ben visibile nel diagramma di dispersione prezzi/produzione. Sono evidenziate una fase «elastica» (la produzione è in grado di rispondere alla domanda, modulando i prezzi), un «punto di transizione» e la successiva fase «anelastica» (in cui la produzione non tiene più il passo della domanda, con ampie oscillazioni dei prezzi). L’asse verticale indica i prezzi spot a livello mondiale (dollari USA/barile) e quello orizzontale la produzione di petrolio greggio (milioni di barili di petrolio al giorno).

    Nel 2005 la produzione globale di greggio convenzionale ha raggiunto i 72 milioni circa di barili al giorno. Da allora in poi, la capacità produttiva sembra aver raggiunto un tetto al livello di 75 milioni di barili al giorno. Il grafico che mette a confronto prezzi e produzione dal 1988 a oggi mostra questa evidentissima transizione, da un periodo in cui l’offerta era in grado di rispondere elasticamente alla crescita dei prezzi dovuta all’aumento della domanda a un periodo in cui non riesce più a farlo.

    Il risultato è che i prezzi oscillano selvaggiamente in risposta a modesti cambiamenti della domanda. Già altri hanno fatto osservare che intorno all’anno 2005 c’è stato questo cambio di passo nell’economia del petrolio, ma questo è un punto che va fermamente inculcato nella mente di tutti coloro che hanno il compito prendere decisioni di ordine politico.

    © Ocean/Corbis

    Facile accesso

    Non stiamo restando senza petrolio; ma stiamo finendo il petrolio che può essere prodotto con facilità e a basso prezzo. Le proiezioni dell’Energy Information Administration degli Stati Uniti prevedono una crescita del 30 per cento della produzione petrolifera da oggi al 2030. Tutto l’incremento è attribuito a progetti non identificati – petrolio, vale a dire, che ancora deve essere scoperto. Anche se la produzione dei campi già esistenti dovesse miracolosamente smettere di diminuire, un aumento del genere richiederebbe per il 2030 una nuova produzione di 22 milioni di barili al giorno. Se continuerà, realisticamente, un declino del 5 per cento all’anno, avremmo bisogno di nuovi campi petroliferi che diano più di 64 milioni di barili di petrolio al giorno di nuova produzione – una cifra grosso modo equivalente all’intera produzione odierna. A nostro avviso, è molto improbabile che ciò accada.

    Non sarà il petrolio non convenzionale a colmare la differenza. La produzione di petrolio a partire dalle sabbie bituminose del Canada – la cosiddetta «ultima dose del petrodipendente» - dovrebbe raggiungere, secondo le attese, appena i 4,7 milioni di barili al giorno per il 2035. Quello ottenuto dalle sabbie bituminose del Venezuela è attualmente meno di 2 milioni di barili al giorno, con ben poche prospettive di spettacolari aumenti.
    Molti studi recenti suggeriscono che il carbone disponibile sia meno abbondante di quanto finora dato per assodato
    Molti credono che il carbone sarà la soluzione ai nostri problemi energetici, e che rimarrà a buon mercato ancora per decenni. Ma parecchi studi recenti suggeriscono invece che il carbone disponibile è meno abbondante di quanto si sia finora dato per assodato. La produzione di carbone degli Stati Uniti ha toccato il suo massimo nel 2002, e la produzione mondiale di energia da carbone, secondo le proiezioni, dovrebbe toccare il suo acme già nel 2025.

    A ogni aggiornamento delle cifre delle riserve di carbone, le stime sono in genere riviste al ribasso: l’ammontare stimato delle riserve mondiali (che per il 79 per cento sono detenute da Stati Uniti, Russia, India, Cina, Australia e Sud Africa) è stato ridotto di più del 50 per cento nel 2005, al livello di 861 gigatonnellate (miliardi di tonnellate). Il relativo studio poneva la produzione finale di carbone (il quantitativo totale che l’umanità sarà in grado di estrarre dal suolo) a 1163 gigatonnellate. Una stima indipendente della produzione finale formulata nel 2011 è arrivata a un valore di sole 680 gigatonnellate, del 40 per cento più bassa del valore stimato nel 2005 e circa cinque volte inferiore a quanto era stato assunto in alcuni precedenti scenari ad altro consumo di carbone dell’IPCC (l’organismo dell’ONU sul cambiamento climatico).

    Il comitato del National Research Council degli Stati Uniti incaricato della valutazione di ricerca, tecnologia e risorse carbonifere ai fini della politica energetica ha osservato nel 2007 che «le attuali stime delle riserve di carbone sono basate su metodi che non sono stati mai più sottoposti a revisione o riesame dopo la loro prima formulazione nel 1974 […] i metodi aggiornati indicano che solo una piccola frazione delle riserve precedentemente stimate è costituita da riserve effettivamente estraibili».

    Il gas naturale è ancora abbondante, e ne sono state effettuate grosse scoperte di recente, in particolare in Israele e in Mozambico. Le centrali a gas naturale forniscono il 25 per cento dell’elettricità generata negli Stati Uniti, e la cifra è in aumento. La produzione del gas naturale convenzionale negli Stati Uniti ha toccato il massimo nel 2001, ma le aziende energetiche hanno fatto grossi sforzi per promuovere l’idea che la fatturazione idraulica delle rocce scistose (o scisti bituminosi) condurrà a una vera e propria «età del gas naturale».

    Non c’è alcun dubbio sul fatto che le risorse di gas ricavabile dalle rocce scistose negli Stati Uniti sono immense, ma recenti rapporti fanno pensare che sia le riserve che i futuri tassi di produzione siano stati sostanzialmente esagerati. Per siti come gli scisti di Barnes e Fayetteville, dove è possibile studiare una lunga storia di produzione, vi è stato un declino annuo dei tassi di produzione estremamente forte. Il consulente geologico Arthur Barman, direttore della Labyrinth Consulting Services di Sugar Land, nel Texas, ed esperto di livello mondiale dell’estrazione di gas da rocce scistose, ha posto questo declino a livelli compresi tra il 60 e il 90 per cento. Fra i pozzi di estrazione del gas dagli scisti in attività da più di cinque anni, circa il 30 per cento è ormai sub-commerciale in seguito a tale rapido declino, unito al basso prezzo del gas.

    Ostacoli alla crescita

    Cosa vuol dire tutto questo per l’economia globale, così strettamente legata alle risorse fisiche? Delle 11 recessioni verificatesi negli Stati Uniti dopo la Seconda guerra mondiale, 10, fra cui la più recente, sono state precedute da un balzo improvviso dei prezzi del petrolio. Sembra esser chiaro che non è stato solo un problema creditizio, il cosiddetto credit crunch, a dar l’avvio alla recessione del 2008, ma anche l’assai meno pubblicizzata e discussa «stretta» dei prezzi del petrolio. Gli alti prezzi dell’energia pesano sui bilanci delle famiglie e remano contro la ripresa economica.

    © Redlink/CorbisSia gli Stati Uniti che l’Europa spendono 1 miliardo di dollari al giorno per importare petrolio. Il prezzo medio della benzina negli Stati Uniti è salito dai 75 centesimi al litro del 2010 ai 95 centesimi al litro del 2011. E dato che negli Stati Uniti se ne consumano circa 1,4 miliardi di litri al giorno, il paese ha speso circa 280 milioni di dollari al giorno in più per acquistare benzina, lasciando meno denaro a disposizione per le spese discrezionali.

    Un altro efficace esempio dell’effetto della crescita dei prezzi del petrolio lo si può vedere in Italia. Nel 1999, quando il paese ha adottato l’euro, l’attivo commerciale annuo del paese era pari a 22 miliardi di dollari. Da allora, la sua bilancia commerciale è cambiata in modo notevolissimo, e oggi l’Italia ha un passivo di 36 miliardi di dollari. Anche se le cause di questa svolta sono molte, fra cui la crescita delle importazioni dalla Cina, l’aumento del prezzo del petrolio è la più importante di tutte. Malgrado un calo delle importazioni pari a 388.000 barili al giorno rispetto al 1999, l’Italia spende oggi 55 miliardi di dollari all’anno per importare petrolio, rispetto ai 12 miliardi del 1999. La differenza è prossima al corrente deficit della bilancia commerciale. Il prezzo del petrolio ha probabilmente dato un forte contributo alla crisi dell’euro nell’Europa meridionale, i cui paesi dipendono completamente dal petrolio estero.
    Malgrado un calo delle importazioni pari a 388.000 barili al giorno rispetto al 1999, l’Italia spende oggi 55 miliardi di dollari all’anno per importare petrolio
    L’Agenzia Internazionale per l’Energia ha detto con grande chiarezza che l’economia globale è a rischio quando i prezzi del petrolio sono superiori ai 100 dollari al barile – come sono stati negli ultimi anni, e come certamente continueranno a essere, data la risposa anelastica della produzione globale. Storicamente, il legame tra produzione petrolifera e crescita economica globale è molto stretto.

    Se la produzione di petrolio non può crescere, ciò implica che non può crescere neppure l’economia. E questa è una prospettiva così spaventosa che molti hanno semplicemente evitato di prenderla in considerazione. Il Fondo Monetario Internazionale, per esempio, continua a prevedere una crescita economica pari al 4 per cento del prodotto interno lordo per i prossimi 5 anni, vicina ai massimi storici del periodo successivo al 1980. Eppure, per realizzarla ci vorrebbe o un eroico incremento della produzione di petrolio del 3 per cento all’anno, o un aumento dell’efficienza dell’uso del petrolio, o una crescita a maggiore efficienza energetica o una rapida sostituzione del petrolio con altre fonti di combustibili. Economisti e politici discutono continuamente di politiche che portino al ritorno alla crescita economica, ma dato che mancano di riconoscere la centralità del problema dell’alto prezzo dell’energia, non hanno identificato la necessaria soluzione: svezzare la società dai combustibili fossili.

    © Michael Interisano/Design Pics/CorbisNel Regno Unito, un gruppo di lavoro costituito da alcuni grandi gruppi (la Industry Taskforce on Peak Oil and Energy Security) e il Department of Energy and Climate Change del governo sono assai consapevoli di questi rischi, e si sono impegnati a lavorare insieme per salvaguardare il paese e la sua economia dalla crescita dei prezzi del petrolio. Il gruppo, formatosi nel 2008, ha messo in guardia la Gran Bretagna dal farsi trovare impreparata dalla stretta petrolifera, e ha detto che le politiche rivolte ad affrontare il «picco petrolifero» devono essere inserite tra quelle prioritarie.

    Nel 2011, il suo presidente, John Miles, ha detto: «Dobbiamo definire i rischi e sviluppare ragionevoli piani d’emergenza. Ciò vuol dire ripensare criticamente a ciò che dovremmo fare da subito se sapessimo che nei prossimi cinque anni i prezzi del petrolio si impenneranno». Un analogo riconoscimento congiunto da parte del governo federale e del settore privato è assente negli Stati Uniti, in cui le relative azioni sono state in larga misura intraprese a livello di singolo stato o di singola città. Il governo britannico ha preso con una decisione parlamentare l’impegno a diminuire le emissioni di biossido di carbonio dell’ 80 per cento, rispetto ai livelli del 1990, entro il 2050. il Congresso degli Stati Uniti ha respinto ogni impegno di questo genere.

    Agire più in fretta

    Cambiamento climatico e nuovi sviluppi nella produzione di combustibili fossili sono in genere visti come fenomeni separati. Ma in realtà sono strettamente legati. Del rischio di una limitazione dell’offerta di combustibili fossili bisogna certamente tenere conto quando si considerano le incertezze legate ai futuri cambiamenti climatici. Gli approcci di cui c’è bisogno per affrontare gli impatti economici della scarsità di risorse e quelli del cambiamento del clima sono gli stessi: andare oltre la dipendenza dalle fonti energetiche date dai combustibili fossili.

    Mentre le implicazioni dei cambiamenti del clima non hanno indotto che a lente risposte politiche, le conseguenze economiche tendono a spingere all’azione a breve termine. Dai dati storici sappiamo che quando i prezzi del petrolio si impennano, l’economia risponde nel giro di un anno. I governi che trascurano di fare i loro piani rispetto al declino della produzione di combustibili fossili subiranno colpi potenzialmente assai seri all’economia ben prima che l’innalzamento del livello dei mari inondi le loro coste o i raccolti agricoli comincino catastroficamente a mancare.

    © Roger Wood/CORBISLe soluzioni non hanno nulla di segreto o di misterioso. Globalmente, noi otteniamo 55 x 10 ^ 18 joule di energia utile da 475 x 10 ^ 18 joule di energia primaria ricavata da combustibili fossili, biomasse e centrali nucleari. La differenza è dovuta a perdite energetiche e inefficienze dei processi di trasmissione e conversione. Incrementando l’efficienza, potremmo ottenere la stessa quantità di energia utile bruciando meno combustibile.

    Dobbiamo specificare degli obiettivi di conservazione per migliorare l’efficienza dell’uso dell’energia ricavata dai combustibili fossili. Di ciò fa parte tassare il petrolio per tenere alti i prezzi e incoraggiare riduzioni del suo impiego; incoraggiare l’energia nucleare; domandarsi se e come la crescita economica possa andare avanti senza aumenti della disponibilità di combustibili fossili; abbassare i limiti di velocità sulle strade e incoraggiare il trasporto pubblico; o rimodulare gli incentivi fiscali a favore dello sviluppo delle energie rinnovabili.

    È una trasformazione che richiederà decenni, quindi bisogna cominciare il più presto possibile. Sottolineare gli imperativi economici a breve termine imposti dai prezzi del petrolio dovrebbe bastare a spingere i governi ad agire subito.


    ----------------------------------
    James Murray lavora alla School of Oceanography dell’Università dello stato di Washington a Seattle, Washington 98195, USA. È stato fondatore e direttore del Program on Climate Change dell’Università dello stato di Washington. David King dirige la Smith School of Enterprise and the Environment dell’Università di Oxford, Oxford OX1 2BQ, ed è chief scientific adviser della banca UBS. È stato chief scientific adviser per il governo britannico nel periodo 2000-2007.
    (L'originale di questo articolo è stato pubblicato su Nature, n.481, 26 gennaio 2012; riproduzione autorizzata)



    http://www.lescienze.it/news/2012/02...spalle-834942/

  3. #3853
    Shogun Assoluto L'avatar di SaTaN SHaRK
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    Predefinito Re: nazionalizzare le banche e dazi le uniche cure alla crisi? [Crisi Economica]

    E lo Spread s'impenna!

  4. #3854
    Il Nonno L'avatar di cek21
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    Predefinito Re: nazionalizzare le banche e dazi le uniche cure alla crisi? [Crisi Economica]

    fossi cubano se mi spiegassero cos'è realmente il capitalismo resterei da Castro

    almeno sarei sicuro di non fare la fame

  5. #3855
    L'Onesto
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    Predefinito Re: nazionalizzare le banche e dazi le uniche cure alla crisi? [Crisi Economica]

    Questo non è capitalismo...il capitalismo si basa sui capitali, non sui debiti...

  6. #3856
    Moderatore BI BI DA L'avatar di Jaqen
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    Predefinito Re: nazionalizzare le banche e dazi le uniche cure alla crisi? [Crisi Economica]

    Citazione Originariamente Scritto da cek21 Visualizza Messaggio
    fossi cubano se mi spiegassero cos'è realmente il capitalismo resterei da Castro

    almeno sarei sicuro di non fare la fame
    Ed abbiamo vinto il premio "trollata della settimana" per la categoria "best ignoranza ever"
    Che vaccata

    Nella situazione attuale di free e di market ce ne sono pochi grammi

  7. #3857
    alberace
    ospite

    Predefinito Re: nazionalizzare le banche e dazi le uniche cure alla crisi? [Crisi Economica]

    considera anche che l'assenza di uno stato forte e pulito ha provocato la shitstorm in cui siam messi, per cui l'ignoranza va pesata

  8. #3858
    Shogun Assoluto L'avatar di Manu
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    Predefinito Re: nazionalizzare le banche e dazi le uniche cure alla crisi? [Crisi Economica]

    Citazione Originariamente Scritto da cek21 Visualizza Messaggio
    fossi cubano se mi spiegassero cos'è realmente il capitalismo resterei da Castro

    almeno sarei sicuro di non fare la fame
    A parte l'obiezione di Abaper... io credevo che la gente da Cuba scappasse via mare buttandosi letteralmente in vasca da bagno, per andare in Florida, e non viceversa...

    non scherziamo, siamo in crisi ma non siamo niente di paragonabile a paesi come Cuba. Tantomeno gli Stati Uniti.

  9. #3859
    Chiwaz
    ospite

    Predefinito Re: nazionalizzare le banche e dazi le uniche cure alla crisi? [Crisi Economica]

    Citazione Originariamente Scritto da Jaqen Visualizza Messaggio
    Ed abbiamo vinto il premio "trollata della settimana" per la categoria "best ignoranza ever"
    Che vaccata

    Nella situazione attuale di free e di market ce ne sono pochi grammi
    Beh, se lo dice Diliberto possiamo pure perdonarlo ad un utente del forum

  10. #3860

    Predefinito Re: nazionalizzare le banche e dazi le uniche cure alla crisi? [Crisi Economica]

    Citazione Originariamente Scritto da stuckmojo Visualizza Messaggio
    stanno calando perche' la proporzione dei bond in mano alle banche centrali sta salendo a rotta di collo. Debt monetisation.

    Google it .
    Insomma la moltiplicazione dei pani e dei pesci



    Visto che siamo in tema Sud America, ma che mi dite dell'Argentina?

    Che si ricordo bene aveva defaultato qualche anno fa, beee beee pio pio dell' FMI ed altri indignados, però

    non mi pare di aver ancora visto il Re di Hokuto da quelle parti...

    Qualche analisi attendibile? Che ho intravisto della roba da far rabbrividire pure il faccialibro qua sopra e

    la wiki SUCKS as usual

  11. #3861
    Frappo
    ospite

    Predefinito Re: nazionalizzare le banche e dazi le uniche cure alla crisi? [Crisi Economica]

    Citazione Originariamente Scritto da Chiwaz Visualizza Messaggio
    Beh, se lo dice Diliberto possiamo pure perdonarlo ad un utente del forum
    minchia come mi manca l'Oliviero

    questa comunque è da mettere insieme all'uscita di Rizzo sulla Corea Del Nord. Da antologia

  12. #3862
    Il Nonno L'avatar di cek21
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    Predefinito Re: nazionalizzare le banche e dazi le uniche cure alla crisi? [Crisi Economica]

    "sgungiurare il fallimento"

    per chi è da scongiurare?

    per le banche di sarkò e di angela,penso che i greci se dovessero scegliere di che morte morire preferirebbero essere seppelliti da tonnellate di banconote dracmiane piuttosto che essere prosciugati fino al midollo dagli speculatori

  13. #3863
    Shogun Assoluto L'avatar di SaTaN SHaRK
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    Predefinito Re: nazionalizzare le banche e dazi le uniche cure alla crisi? [Crisi Economica]

    Citazione Originariamente Scritto da Odysseus Visualizza Messaggio
    Questo non è capitalismo...il capitalismo si basa sui capitali, non sui debiti...
    Infatti si chiama Debitalismo!

  14. #3864
    alberace
    ospite

    Predefinito Re: nazionalizzare le banche e dazi le uniche cure alla crisi? [Crisi Economica]

    invece quello è(ra) comunismo

  15. #3865
    Il Nonno L'avatar di Muccolo
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    Predefinito Re: nazionalizzare le banche e dazi le uniche cure alla crisi? [Crisi Economica]

    polemiche in francia per la delocalizzazione in marocco di 400.000 veicoli l'anno presso il nuovo stabilimento renault:

    La Renault apre un maxi stabilimento in Marocco

    Pubblicato alle 15:45 in:
    La fabbrica inaugurata ieri a Tangeri ha una capacità di 400.000 vetture l’anno e si occuperà di realizzare la Dacia Lodgy. Intanto, in Francia infuriano le polemiche contro la politica di delocalizzazione della produzione attuata dal gruppo.

    C’ERA PURE IL RE - Ieri è stato nientemeno che il re del Marocco, Muhammed VI, a “battezzare” il nuovo stabilimento della Renault a Tangeri (nella foto sotto). Una presenza, quella del sovrano, che dà l’idea dell’importanza attribuita dalla politica locale a una fabbrica per cui il gruppo francese ha investito un miliardo di euro e che dovrebbe dare lavoro a oltre 36.000 persone, tra dipendenti (si parla di 6000 assunzioni entro il 2015) e personale che verrà assorbito nell’indotto. L’impianto, che è in grado di produrre 400.000 vetture all’anno, si occuperà dei veicoli di fascia più bassa del marchio Dacia, come la futura monovolume low cost Lodgy.




    BASSI COSTI DI PRODUZIONE
    - E dire che, neanche un mese fa, il presidente della Repubblica francese, Nicolas Sarkozy, aveva convocato l’amministratore delegato del gruppo Renault-Nissan, Carlos Ghosn, per fare pressioni affinché la casa, di cui l’Eliseo è azionista al 15%, abbandoni la politica di delocalizzazione della produzione intrapresa negli ultimi anni (la realizzazione della Clio, per esempio, sembra in partenza per la Turchia). È però difficile che le raccomandazioni ottengano l’effetto sperato. Basti pensare che lo stipendio mensile di un lavoratore marocchino si aggira sui 250 euro (200 in meno di un romeno) contro i quasi 2000 euro di un collega francese. Non stupisce pertanto che la produzione di automobili in Francia sia crollata: la Renault ne produceva oltre un milione nel 2004, adesso meno di 500mila. Come se non bastasse, il sovrano marocchino ha fatto a Ghosn una di quelle offerte che non si possono rifiutare: detassazione completa sulle attività della fabbrica per i prossimi cinque anni e infrastrutture nuove di zecca, tra cui un’autostrada e una linea ferroviaria ad alta velocità.




    POLEMICHE IN PATRIA
    - “L’apertura della nuova fabbrica non sarà fatta a danno della Francia; anzi, procurerà nuovo lavoro agli ingegneri e alle fabbriche francesi, oltre che ai fornitori”, aveva assicurato Ghosn. Pochi però ci credono. Da qui il polverone di polemiche sollevato in patria. Tanto più che, in Francia, infuria la campagna elettorale (le presidenziali si terranno il 22 aprile). I sindacati non la mandano a dire: “Tangeri è la fabbrica madre di tutti i mali”. Addirittura, l’ex ministro dell’Industria, il conservatore Christian Estrosi, ha accusato la casa di “dumping sociale” in Marocco. A ogni modo, gli occhi restano puntati sul piano d’investimenti da 5,7 miliardi che il gruppo ha promesso di attuare entro il 2011, il 40% dei quali, secondo quanto assicurato dal management, sarà speso in Francia.
    Ultima modifica di Muccolo; 11-02-12 alle 17:44:41

  16. #3866
    Il Nonno L'avatar di cek21
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    Predefinito Re: nazionalizzare le banche e dazi le uniche cure alla crisi? [Crisi Economica]

    http://finanza.lastampa.it/notizie/0,454790/Audi_Volkswagen__record_di_vendite_in_Cina_.aspx

    e
    marchionne va a detroit

    no cosi tanto per capire la differenza di strategia mercato

    probabilmente gli analisti di mercato fiat pensano che i cinesi siano ancora una miliardata e mezza di contadini

  17. #3867
    Chiwaz
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    Predefinito Re: nazionalizzare le banche e dazi le uniche cure alla crisi? [Crisi Economica]

    Meglio documentarsi prima di parlare.

    http://www.autoblog.it/post/25822/fiat-la-produzione-in-cina-con-guangzhou-partira-nel-2011


    Purtroppo in Cina si doveva entrare massicciamente ben prima dell'arrivo di Marchionne.

  18. #3868
    Frappo
    ospite

    Predefinito Re: nazionalizzare le banche e dazi le uniche cure alla crisi? [Crisi Economica]

    anche la Mercedes ha fatto così, comunque. Perchè Pechino impone dazi altissimi sugli import e l'unico modo per ovviare a ciò e costruire da loro. C'era un bell'articolo su Quattroruote, se lo trovo anche sul sito lo posto

  19. #3869
    Shogun Assoluto L'avatar di SaTaN SHaRK
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    Predefinito Re: nazionalizzare le banche e dazi le uniche cure alla crisi? [Crisi Economica]

    Non date assist a Marchionne che poi chiude Mirafiori, Pomigliano d'Arco e Melfi e le riapre in Cina (che tanto non ci sono i Dazi sull'Import in Italia!)

  20. #3870
    Il Nonno L'avatar di Muccolo
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    Predefinito Re: nazionalizzare le banche e dazi le uniche cure alla crisi? [Crisi Economica]

    male fanno in ue a non mettere i dazi al made in china, eccheccazzo ma le tasse le devono pagare sempre i soliti fessi?

  21. #3871
    Frappo
    ospite

    Predefinito Re: nazionalizzare le banche e dazi le uniche cure alla crisi? [Crisi Economica]

    Citazione Originariamente Scritto da SaTaN SHaRK Visualizza Messaggio
    Non date assist a Marchionne che poi chiude Mirafiori, Pomigliano d'Arco e Melfi e le riapre in Cina (che tanto non ci sono i Dazi sull'Import in Italia!)
    a Pomigliano d'Arco ha appena investito un bel po' di soldi per la Nuova Panda, comunque

  22. #3872
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    Predefinito Re: nazionalizzare le banche e dazi le uniche cure alla crisi? [Crisi Economica]

    Citazione Originariamente Scritto da Frappo Visualizza Messaggio
    a Pomigliano d'Arco ha appena investito un bel po' di soldi per la Nuova Panda, comunque
    No veramente ha speso niente.
    Ha licenziato tutti, ha riassunto (senza contratto) quasi tutti senza i tesserati Fiom, ed ha messo a costruire la Nuova Panda al posto dell'Alfa 147.
    Infatti a tal proposito c'è una interrogazione parlamentare ai danni della FIAT per Discriminazione Politica nei confronti dei tesserati Fiom che non vengono reintegrati o assunti.

  23. #3873
    La Borga L'avatar di Firestorm
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    Predefinito Re: nazionalizzare le banche e dazi le uniche cure alla crisi? [Crisi Economica]

    per cambiare le linee dall'alfa alla panda ci vanno un sacco di soldi...non è che i robot programmati per un tipo di auto si riprogrammano a gratis e così via...per cambiare auto devi reingegnerizzare l'intero processo e non costa poco... che poi magari non stia assumendo gente della FIOM non lo so ma non si può dire che non abbia investito nulla.

  24. #3874
    Frappo
    ospite

    Predefinito Re: nazionalizzare le banche e dazi le uniche cure alla crisi? [Crisi Economica]

    Citazione Originariamente Scritto da SaTaN SHaRK Visualizza Messaggio
    No veramente ha speso niente.
    Ha licenziato tutti, ha riassunto (senza contratto) quasi tutti senza i tesserati Fiom, ed ha messo a costruire la Nuova Panda al posto dell'Alfa 147.
    Infatti a tal proposito c'è una interrogazione parlamentare ai danni della FIAT per Discriminazione Politica nei confronti dei tesserati Fiom che non vengono reintegrati o assunti.
    800 milioni di euro.

    al riguardo un interessante articolo del mai abbastanza osannato Giannino

    http://blog.panorama.it/economia/201...-a-pomigliano/

  25. #3875
    Chiwaz
    ospite

    Predefinito Re: nazionalizzare le banche e dazi le uniche cure alla crisi? [Crisi Economica]

    Citazione Originariamente Scritto da SaTaN SHaRK Visualizza Messaggio
    No veramente ha speso niente.
    Ha licenziato tutti, ha riassunto (senza contratto) quasi tutti senza i tesserati Fiom, ed ha messo a costruire la Nuova Panda al posto dell'Alfa 147.
    Infatti a tal proposito c'è una interrogazione parlamentare ai danni della FIAT per Discriminazione Politica nei confronti dei tesserati Fiom che non vengono reintegrati o assunti.
    Ahahaha la FIOM.
    Quella che a Termini Imerese avrebbe preferito chiudere l'azienda piuttosto che lavorare alle condizioni di Marchionne. E' stata accontentata, e ora fa l'interrogazione parlamentare.

    Aahahahahaha.

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