Aldo De Luca, addio alla firma della mondanità
di Marco Molendini
ROMA - Nei giornali ci sono dei paradossi. Si passa la vita a scrivere degli altri e poi, quando c'è da scrivere di noi, di qualcuno di noi, scatta una sorta di blocco mentale. No, non è facile raccontare di un collega e di un amico carissimo che se ne è andato. Specie se poi ci ha lasciato all'improvviso e senza senso (forse a causa di un sushi dal contenuto velenosamente fulminante). E specie se, con quel collega, hai vissuto una gran parte della vita, nel giornale e fuori, condividendo amicizie, vacanze, delusioni e risate.
Era facile ridere con Aldo De Luca. Anzi, in genere il primo era lui. Appena ti vedeva cominciava a sorridere con l'aria svagata (ma, sotto i baffi, si accorgeva di tutto con le sue ansie devastanti), con la sua sorniona leggerezza, con la sua intelligenza, con quell'aria da ragazzino curioso della vita.
Aldo era un cronista del Messaggero di vecchio corso (già lo sentiamo protestare per quel vecchio: rifiutava categoricamente di rivelare il suo anno di nascita).
Un cronista di classe che si era fatto sul campo: dalle cronache delle province da Civitavecchia alla leggendaria cronaca di Roma, alla cronaca nera, alle campagne giornalistiche come quella sul ripristino della Befana, uno dei cavalli di battaglia vittoriosi del Messaggero, ai servizi sul terrorismo (il delitto D'Antona), alla cronaca mondana, al gossip, eterno vagabondo notturno, pronto a carpire la notizia, a spifferare il segreto e a raccontarlo con perfidia sottile nella sua rubrica del sabato nata nel segno di Flaiano. Era diventata la sua vita, su è giù per feste e ristoranti (la sua pigrizia svaniva con il calar del sole) a far tardi la notte e svegliarsi al pomeriggio (se gli telefonavi a mezzogiorno, ti rispondeva con la voce ancora impastata: «Non sono ancora in me»).
Lo conoscevano tutti. Si ricordavano ancora del sosia di Occhetto del Bagaglino, una frequentazione della compagnia di Pingitore di cui andava divertitamente fiero, anche se poi la carriera al Salone Margherita (non per colpa sua, ma per la rapida caduta del segretario che aveva chiuso il Pci) fu breve.
Lo conoscevano tutti anche a Miss Italia (seguita lungamente per il giornale) e al Festival di Sanremo, inesauribile provocatore delle conferenze stampa del Festival, esattamente come nelle frequenti e impertinenti ospitate televisive (tante volte a Domenica in) con il suo sorriso di bronzo.
Qualche anno fa, proprio in sala stampa del teatro Ariston, si sentì male per la troppa fatica. Insomma, una crisi di stanchezza. Svenne. Una giunonica collega si lanciò prontamente in suo aiuto: «Gli faccio io la respirazione bocca a bocca», gridò facendosi largo nel capannello di soccorritori. Aldo all'improvviso aprì gli occhi, la guardò, alzò la mano in segno di difesa e ritrovò la parola: «No, no... sto bene».
Stavolta nessuno ha minacciato di fargli la respirazione bocca a bocca. E Aldo non si è svegliato. Lasciando di stucco i suoi, la figlia Valeria, i fratelli Athos e Sergio, Silvana, la donna della sua vita, gli amici (infinita, ieri, la serie di telefonate della gente dello spettacolo sbigottita per la sua improvvisa scomparsa), i colleghi. Maledetto sushi (se il sushi è stato) e il suo veleno implacabile che se lo è portato via in poche ore.
I giornali non sono solo di carta. Hanno un'anima e tante facce, facce come quella con il sorriso sotto i baffi di Aldo De Luca, vecchio cronista con la voglia di restare bambino e andarne fiero.
Venerdì 19 Aprile 2013 - 12:17
Ultimo aggiornamento: Sabato 20 Aprile - 13:01