Sul discorso del mascheramento più o meno plausibile, bisogna distinguere quello che si vede nei fumetti e quello che si è visto al cinema finora. Nel fumetto secondo me non vale più di tanto la pena domandarsi come funzioni la storia degli occhiali, non vedo il senso di tirare in ballo realtà e realismo in un fumetto di supereroi. Se quella fantasia annoia, annoia e basta, non ha senso esorcizzare la noia tirando in ballo la non plausibilità di una certa scelta narrativa, altrimenti potremmo dire che anche Batman è facilmente riconoscibile dalla bocca, che guardacaso è l'unica parte del corpo esposta e quindi quella più oggetto di attenzione. Uno conosce Bruce Wayne perché è l'obiettivo numero uno del gossip, lo vede sulle copertine, è affascinante, un viso che non si dimentica e tutto quello che volete, poi il primo che si trova davanti Batman dovrebbe domandarsi: "cazzo, dove ho già visto quella bocca??"...
Passiamo al cinema. La quadrilogia Donner-Lester-Furie appartiene a un'epoca in cui manca qualsiasi richiesta di realismo. Sono gli anni della corsa agli armamenti nucleari e di paura in giro ce n'è a sufficienza perché si abbia voglia di riportare la fantasia a un certo livello di realismo. Il contesto non lo richiede, senza contare che le tecnologie più avanzate costano cifre esorbitanti e sono ovviamente ben lontane dal consentire quello che oggi è facilmente realizzabile e alla portata di tutti per pochi euro. Nei fumetti di Superman dell'epoca non ci sono storie che facciano del realismo la propria bandiera o che facciano da fonte di ispirazione per Donner & Co. per apportare note di realismo nei vari film. Anzi, l'unico tentativo di affrontare la questione della plausibilità del mascheramento con un semplice paio di occhiali è proprio nel secondo film, nella scena del bacio con cui Clark fa perdere la memoria a una Lois sopra la media in quanto a perspicacia. Anche qui nessuna nota di realismo, solo una trovata romantica e fantasiosa per giustificare la primordiale fantasia di Siegel&Shuster.
Il Returns come noto aggiunge poco o nulla al Superman di Donner/Lester, è chiaro che non ha alcuna intenzione di stare al passo coi tempi in cui il film è girato, la trama segue di soli cinque anni quella dei precedenti Superman e pensare di porsi il problema degli occhiali sarebbe suonato anacronistico e irrispettoso verso chi di questo aspetto aveva fatto un manifesto di semplicità (il Clark impacciato e goffo visto come creatura donneriana per eccellenza).
Il prossimo Man Of Steel promette, da quel poco che si è visto, di approfondire il tema della maschera di Superman. Provando a ricostruire le scene principali del trailer, e le varie immagini pescate qua e là durante la postproduzione, possiamo immaginare che Lois Lane sia alla ricerca di un uomo di nome Clark Kent, che tutto è fuorché un noto giornalista. Sappiamo che è in giro per il mondo a cercare se stesso, e che durante uno dei suoi lavori ad una piattaforma petrolifera succede un incidente e lui salva delle vite. Lo fa quando ancora non è Superman, anzi è quello che fa a fargli cominciare a prendere coscienza delle proprie potenzialità. Successivamente possiamo immaginare che decida di allontanarsi dal mondo civile - fino alla scoperta di quella che diventerà la Fortezza della Solitudine, o forse si chiama già così ma questo è un dettaglio ancora poco chiaro - e che in questo frangente Lois sia alla ricerca dell'uomo barbuto che ha scoperto chiamarsi Clark Kent e il cui volto è - sempre immaginando quel poco che si vede nel trailer - apparso nei vari notiziari successivi all'incidente della piattaforma petrolifera.
E' possibile che Lois non abbia un primo piano chiarissimo dell'uomo che sta cercando (capelli folti e barba lunga) ed è plausibile a mio avviso che nella scena finale del trailer, quella dell'interrogatorio, non abbia riconosciuto l'uomo che ha davanti, vuoi perché appunto non gli è facile e immediato associare barba e capelli spettinati a quel viso pulito e solare che si trova davanti, vuoi perché l'emozione del momento non la porta a considerazioni elaborate. Immagino anzi che il realismo stia proprio nell'evidenziare l'aspetto psicologico del trovarsi di fronte un essere del genere in un contesto come quello odierno, in un susseguirsi di emozioni che è plausibile immaginare - se l'incontro con questo essere avvenisse davvero - possano scatenare in una persona di media intelligenza elucubrazioni diverse dal "dove ho già visto questo tizio" ma piuttosto incentrate sul "come fa a fare quello che fa e da dove viene". Paura atavica o ammirazione incondizionata, quasi venerazione, che porta all'annullamento di qualsiasi spirito critico.