Se è vero che i videogiochi tendono sempre più ad assomigliare al cinema (e viceversa), è altrettanto vero che corrono molto più rapidamente di quanto faccia la celluloide, che ci ha messo un po' prima di inventarsi lo stratagemma dei remake. Qualche anno fa, sull'onda dell'esplosione del treddì, uscirono alcuni orrebondi rifacimenti dei primi, storici videogame da bar, da Pong a Frogger. Fortunatamente la cosa non ebbe un gran successo, e si fermò lì. Adesso possiamo passare al livello 2: i remake di giochi relativamente recenti, dieci anni al massimo (Delta Force, Carmageddon). Certo, l'idea può sembrare interessante, almeno sulla carta.
Si prende un buon titolo, magari di successo, gli si fa un bel lifting, si aggiungono un po' di ammennicoli qua e là e lo si rimette in vendita. Ma a conti fatti si rischia di scontentare tutti: i fan dell'originale, che si ritrovano un titolo comunque diverso (vedi Pong); chi all'originale non ci ha giocato, di solito perchè troppo giovane, e che nella migliore delle ipotesi lo considererà un prodotto come tanti. Il rischio, alla fine, è quello di trovarsi di fronte ad un film in bianco e nero con la pellicola ri-colorata, che di solito non è un granché. Molto meglio limitarsi a riscrivere quel tanto di codice che basta a far girare il gioco originale sui nuovi sistemi operativi (Bad Mojo Redux, GTA2); uniche eccezioni ammesse, che il progetto sia amatoriale e/o gratuito (vedi Classic DooM o They Hunger).