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  1. #851

    Predefinito Re: Il topic della Rassegna Stampa radical-chic

    BARÇA VS REAL MADRID: LA GUERRA DEI MONDI

    Pubblicato in: LA SPAGNA NON È L’UGANDA - Limes n°4 - 2012


    Spoiler:
    Le regine del campionato spagnolo e della Champions esprimono culture sportive e geopolitiche opposte. I catalani curano lo spirito di squadra e sognano l’indipendenza, i madrileni puntano sui campioni e credono nella Spagna. Quando Monti arbitrò un loro scontro.di Luca VALDISERRI


    1. I«CULETTI» CONTRO LE «MERINGHE». DETTA così, in un mondo a misura di macho come quello del calcio – basti pensare al caso Cassano-Cecchi Paone e a tutti i suoi sconfortanti particolari – non sembra una sfida epica. E invece è quella tra le due squadre più forti e più ricche del mondo: Futbol Club Barcelona e Real Madrid Club de Fútbol. Barcellona e Real per tutti gli italiani. Se meringhe (merengues) è intuitivo, visto il colore bianco dei dolci e delle maglie del Real, più interessante è la genesi di culé, il soprannome dei tifosi catalani. Fra molte ipotesi, la più accreditata data 1909-22, quando il Barça giocava al campo di Calle de la Industria, dove il pubblico era diviso tra la tribuna a due piani e le due curve. Quando la capienza iniziò ad essere insufficiente, molti tifosi iniziarono a sedersi sul muro di cinta dello stadio. Chi passava dall’esterno vedeva sporgere i sederi e, così, la gente rifilò quel soprannome ai tifosi del Barça. Genesi molto popolare per una società che, nel suo futuro, diventerà un modello di stile e eleganza.


    2. Più interessante è il motto del Barcellona, che spiega molto se non tutto: més que un club, più che una società calcistica. Rende l’idea di una multinazionale dove il calcio è il motore principale di moltissime iniziative. La sponsorizzazione dell’Unicef, voluta dall’ex presidente Joan Laporta, ne è stata un esempio. Il Barça non ricavava soldi dall’accordo, anzi li versava all’Unicef, ma il ritorno di immagine è stato clamoroso. Il successore di Laporta, Sandro Rosell, ha portato sulla maglia lo sponsor Qatar Foundation (150 milioni di euro in 5 anni, è il logo istituzionale di un’organizzazione no profit per la difesa dei bambini), suscitando comunque grandi polemiche e un commento sarcastico di Laporta, che ha visto lo sponsor Unicef «scivolare in basso sulla maglia», all’altezza dei calzoncini. Més que un club, poi, è scritto in catalano e non in castigliano (sarebbe: más que un club), particolare chiaro della trasformazione del Barcellona in una vera e propria bandiera catalana, opposta al centralismo di Madrid. Una storia antica, ma che nell’èra dei social media e della globalizzazione è esplosa in tutta la sua forza.

    L’indipendentismo catalano non ha molti punti in comune con quello sperimentato in Italia con la Lega Nord. Non è un fenomeno conservatore, non ha connotati xenofobi, è patrimonio anche di una classe acculturata, giovane e europeista. Barcellona è storicamente e politicamente la città antagonista di Madrid. La differenziano il mare e la cultura mediterranea. Più che un bilinguismo, in molte parti della Catalogna (vedi Girona) c’è stato un ritorno quasi totale all’idioma locale. Durante la dittatura di Francisco Franco, il Barcellona è stato più di un simbolo: è stato il catalizzatore del sentimento catalano quando l’uso della lingua era proibito. Le vittorie calcistiche erano festeggiate come battaglie vinte.

    Il Real Madrid è sempre stato, in Spagna ma anche in Europa, un club ricchissimo, potentissimo, presente nella stanza dei bottoni. Ha cercato e comprato i migliori giocatori, fin dai tempi in cui Ricardo Zamora, lo storico portiere della Nazionale, passò proprio dal Barcellona al Real. La rivoluzione culturale del Barcellona è invece arrivata negli anni Settanta, con la guida tecnica di Rinus Michels, l’inventore del primo Ajax (Coppa dei Campioni 1970, 4 scudetti olandesi, 3 Coppe d’Olanda). Michels, a Barcellona, ha allenato dal 1971 al 1974 e dal 1976 al 1978, vincendo tutto sommato poco (una Liga e una Copa del Rey) ma tracciando la strada del gioco «all’olandese» e impiantando la tradizione della formazione di giocatori all’interno delle squadre giovanili. I suoi eredi sono stati Johann Cruijff, Frankie Rijkaard e soprattutto Pep Guardiola, sotto la cui guida il Barcellona è diventato la squadra degli Imbattibili, oscurando in quanto a stile di gioco anche il cosiddetto Real Madrid dei galácticos.

    Cultura del lavoro, rispetto delle regole, importanza della vittoria ma soprattutto di come si ottiene la vittoria. Il Barcellona ha trovato il modo calcistico di rappresentare in pieno le virtù che i catalani sentono parte del loro dna. Con un pizzico di pessimismo tipico della storia e della cultura locale. Basti pensare che la festa nazionale è la Diada Nacional de Catalunya (o semplicemente Diada), che si celebra l’11 settembre e che commemora la caduta di Barcellona nelle mani delle truppe borboniche di Filippo V di Spagna, durante la guerra di successione spagnola, l’11 settembre 1714, dopo 14 mesi di assedio. Conseguentemente, nel 1716, vennero abolite le istituzioni catalane, come ad esempio la Generalitat de Catalunya, a seguito dei decreti di Nueva Planta.


    Celebrazione di una sconfitta, eroica ma pur sempre una sconfitta, come se fosse più importante di una vittoria senza onore.


    3. Il contraltare del Barça è, da sempre, il Real Madrid. La squadra della capitale, città dell’interno, senza mare, multiculturale, centro moderno di una movida ancor più intensa che a Barcellona. Il Real come squadra del governo e del potere. La più amata, quella con più tifosi in tutte le regioni della Spagna, ma anche la più odiata. Calcisticamente legata a grandi presidenti: in primis lo storico Santiago Bernabéu, dal 1943 al 1978, cui oggi è dedicato lo stadio, e il modernissimo Florentino Pérez, colui che costruì la squadra dei galácticos dal 2000 al 2006 e che è ritornato al comando nel 2009. Grandi presidenti e grandi giocatori, comperati con investimenti sempre superiori a quelli che venivano fatti per la guida tecnica e/o per lo sviluppo del settore giovanile. Del Real Madrid si ricordano più i campioni (Amancio, Di Stefano, Puskás, Zidane, Raúl, Cristiano Ronaldo) che gli allenatori che li hanno guidati. Se il Barcellona è diventato il simbolo di un gioco di squadra, il Real Madrid è sempre stato e probabilmente sempre sarà il simbolo della giocata di un grandissimo campione.

    Come il barcelonista si specchia nella sua squadra, così anche il madrileno. Gode della sua tradizione, si sente parte della storia della Grande Spagna e vede la sua squadra di club come la vera Nazionale del paese, al contrario dei simboli del separatismo: Barcellona e Athletic Bilbao. Non a caso le uniche tre squadre spagnole che, dalla creazione della Primera Division, nel 1929, non sono mai retrocesse.

    Il palmarès del Real Madrid è più ricco di quello del Barcellona: 32 titoli nazionali vinti, 18 Coppe di Spagna (Copa del Rey), 8 Supercoppe di Spagna, ma soprattutto 9 Coppe dei Campioni, 3 Coppe Intercontinentali, 2 Coppe Uefa e una Supercoppa Europea. È sul terreno europeo che il Real Madrid, fino all’avvento dell’èra Guardiola, ha marcato la sua superiorità sui rivali. Quanto alla denominazione Real, non è «originale» del 1902. È arrivata per concessione del re Alfonso XIII, nel 1920, insieme alla corona applicata sullo stemma. Il primo cambio di simbolo data 1908, quando le lettere MCF (Madrid Club de Fútbol) furono stilizzate e inserite in un cerchio. Con la dissoluzione della monarchia, nel 1931, ogni simbolo reale fu eliminato. Dal nome fu tolta la denominazione Real e la corona fu levata dallo stemma, mentre fu aggiunta una banda trasversale violetta, a rappresentare la Castiglia. Nel 1941, due anni dopo la conclusione della guerra civile, fu ripristinata la corona reale nello stemma e il club tornò a chiamarsi Real Madrid Club de Fútbol. Ma ancor più che la squadra del re, soprattutto dai catalani, il Real è sempre stato identificato come la squadra di Francisco Franco e dei franchisti. Il Real Madrid, in tempi di autarchia e isolamento, fu per Franco un potente veicolo internazionale. Non per questo, nella sanguinosa guerra civile spagnola, mancarono episodi cruenti ai danni di dirigenti della squadra. Il presidente Rafael Sánchez Guerra (in carica dal 1935 al 1936) fu imprigionato e torturato perché repubblicano. Riuscì poi a fuggire a Parigi, dove divenne uno dei principali membri del governo repubblicano in esilio. Le milizie arrestarono e uccisero anche un vicepresidente e un tesoriere e fecero scomparire un sostituto presidente.


    4. Real Madrid-Barcellona è diventata così qualcosa di più di una semplice partita di calcio. La rivalità divenne ancora più feroce dopo la semifinale di Coppa del Re del 1943. L’andata finì 3-0 per il Barcellona, in casa, ma il ritorno vide vincere il Real Madrid per 11-1. Secondo molti sui giocatori catalani furono fatte pressioni e intimidazioni. Negli anni Cinquanta la disputa per l’ingaggio di Alfredo Di Stefano, naturalmente finito al Real Madrid, gettò altra benzina sul fuoco. E in tempi recenti, il 23 novembre 2002, in occasione di una gara di campionato al Camp Nou, il «traditore» Luis Figo, passato dal Barça al Real Madrid per 60 milioni di euro, si vide lanciare dagli spalti una testa di maiale – entrata chissà come nello stadio – mentre stava per battere un calcio d’angolo.

    L’indipendentismo catalano, di cui il Barcellona è un simbolo, impregna la vita dell’ex presidente Joan Laporta, avvocato e poi politico, che ha costruito l’epopea di Pep Guardiola, l’allenatore che tra il 2008 e il 2012 ha vinto 3 campionati, 2 Coppe del Re di Spagna, 3 Supercoppe spagnole ma soprattutto 2 Champions League (più due semifinali), 2 Supercoppe europee e 2 Coppe Intercontinentali. Laporta ha dichiarato di «sognare una nazione catalana organizzata come uno Stato a sé stante» ed è entrato in politica a metà degli anni Novanta, come membro del Partit per la Independència (1996-99), creato da Pilar Rahola e Àngel Colom. Il partito non ottenne successo, ma Laporta non si è dato per vinto ed è entrato prima nelle file del CiU (Convergència i Unió) e poi in quelle dell’Erc (Esquerra Republicana de Catalunya). Ha infine fondato Democràcia Catalana, che si è presentata alle elezioni del parlamento catalano del 2010 unita a Solidaritat Catalana per la Independència (Si). Nelle primarie di Si (4 settembre 2010), Laporta è stato eletto capolista per la circoscrizione di Barcellona e ha ottenuto un posto nel parlamento catalano. Nel dicembre 2011, intervistato dal giornale La Cámara, ha dichiarato: «L’indipendenza è indispensabile per la Catalogna perché riguarda tutte le persone che vivono e lavorano nella nostra comunità e perché è l’unica via per uscire dalla crisi economica, democratica e culturale nella quale, per disgrazia, siamo precipitati».

    La sua posizione sul dualismo Barcellona/Madrid ma anche Catalogna/Spagna è sempre stata chiarissima. I recenti campionati Europei 2012, in Polonia e Ucraina, l’hanno, se possibile, rafforzata: «Ho tifato Spagna perché c’erano tanti giocatori del Barcellona e la loro felicità è anche la mia. Però la mia vera Nazionale è quella catalana che, purtroppo, non gioca gli Europei».

    Trascinato in una sfida a chi è più catalano e più antimadridista, il successore di Laporta, Sandro Rosell, è voluto intervenire anche lui sull’argomento, trovando una chiave interpretativa molto astuta: la rivalità dentro la rivalità. Non solo Barça contro Real, ma anche Messi contro Cristiano Ronaldo nell’ottica della conquista del prossimo Pallone d’oro: «Cristiano Ronaldo non è il miglior giocatore al mondo, è il dodicesimo. I primi undici sono i titolari del Barcellona». Non contento, Rosell ha attaccato anche José Mourinho, l’allenatore del Real, che in occasione dell’ultima Supercoppa di Spagna aveva avuto un’accesa discussione con Tito Vilanova, all’epoca assistente e adesso erede di Pep Guardiola sulla panchina blaugrana: «Non accetterei mai un allenatore che vuole vincere a tutti i costi, senza tenere in conto il modo in cui si vince. E chiederei scusa se il mio tecnico mettesse il dito nell’occhio di un altro». Sì, in Barça-Real è successo anche questo. «Quanto al Pallone d’Oro, fuori dalla Spagna tutti lo darebbero a Messi. Ma qui…». Vecchio discorso: il Real Madrid sempre dalla parte dei potenti, delle istituzioni, dei mass media.


    5. La guerra tra le due grandi rivali non si limita al campo. Stiamo parlando (fonte Deloitte, Football Money League 2012, con dati che si riferiscono alla stagione 2010-11) dei due club che fatturano di più al mondo. Il Real Madrid primo, con 475,9 milioni di euro, il Barcellona secondo con 450 milioni. Staccato il Manchester United, terzo, con 367 milioni. La prima squadra italiana è il Milan, al settimo posto, con 235,1 milioni. Fino a una decina di anni fa, il fatturato dei grandi club italiani era allo stesso livello di quelli spagnoli, poi è rimasto drammaticamente indietro. Nonostante questo, sia il Barça sia il Real sono pesantemente in passivo. Campagne acquisti faraoniche e stipendi sempre più alti mandano in rosso i bilanci. Con fatturati simili, però, non è un problema trovare aperture di credito.

    Come e più che in campo, la competizione economica è piena di colpi bassi e priva di vere regole. Ne chiese conto l’europarlamentare catalano Pere Esteve, il 2 settembre 2002, con un’interrogazione presentata all’Unione Europea. Nel mirino il Real Madrid che, da società con 277 milioni di euro di debiti (praticamente sull’orlo del fallimento), si ritrovò in cassa 480 milioni grazie al cambio di destinazione del suo centro sportivo, reso edificabile dal Comune di Madrid e venduto per la costruzione di 224 mila metri quadri di uffici. La modifica del piano regolatore, insomma, permise la creazione della squadra deigalácticos, con gli acquisti di Zidane, Ronaldo, Beckham, Roberto Carlos, del «traditore» Figo… Per Esteve, il favore «pilotato» dall’allora premier Aznar (grande tifoso del Real, mentre Zapatero lo è del Barcellona) violava il trattato dell’Unione Europea che proibisce «gli aiuti degli Stati o dei Fondi statali sotto qualsiasi forma, tali da falsare o minacciare la concorrenza favorendo determinate imprese». Florentino Pérez, per la precisione, è uno dei più importanti costruttori edili spagnoli. L’allora commissario europeo Mario Monti rispose così: «Il Comune e la Comunità di Madrid hanno modificato l’accordo urbanistico in un modo che sembra conferire un vantaggio, ma non implicare un trasferimento di risorse statali». In poche parole, una furbata. Ma inattaccabile. E non l’unica. La Spagna ha assistito i suoi club calcistici dal punto di vista finanziario in almeno due occasioni (1985: prelievo del 2,5% dalla Quiniela, l’equivalente del Totocalcio; 1995: contributo per l’ammodernamento degli stadi attraverso un prelievo del 7,5% della Quiniela). In totale: 168 milioni di euro.

    Non contento della risposta, Esteve ripresentò l’interrogazione. Così: «Il giorno 7 maggio 2001, il presidente della Comunità autonoma di Madrid, il sindaco di Madrid e il presidente del Real Madrid hanno sottoscritto un accordo per lo sviluppo urbanistico dell’area situata tra il Paseo de la Castellana, l’Avenida de Monforte de Lemos e le Calles di Pedro Rico e Arzobispo Morcillo, distretto di Fuencarral-El Pardo, ai sensi del quale le parti in causa si impegnano e si obbligano ad effettuare tutti i passi necessari per modificare la qualifica urbanistica dei circa 120 ettari di terreno in cui si trova attualmente la Città sportiva del Real Madrid, cosicché 30 mila metri quadrati di terreno, considerati precedentemente impianti sportivi privati, vengono trasformati in terziario generico, ossia la qualifica di industrie, stabilimenti commerciali, hotel. Sul terreno si prevede la costruzione di quattro torri, ciascuna di 54 piani, la cui vendita e/o utilizzo permetterà al Real Madrid di beneficiare di una fonte di entrate atipiche che non solo assorbiranno il forte debito della squadra ma la porranno finanziariamente dinanzi alle sue concorrenti. Poiché il calcio europeo costituisce un mercato unico, ai sensi della normativa comunitaria, bisogna considerare che una situazione di favoritismo nei confronti di una squadra spagnola non si ripercuoterebbe solo su altre squadre spagnole, ma anche su altre squadre dei paesi dell’Ue, visto che tutte attingono allo stesso mercato di beni e servizi sia per quanto riguarda il materiale sportivo che le prestazioni professionali di calciatori e allenatori. Deve esser chiaro che non stiamo discutendo l’esistenza di squadre di calcio più o meno ricche: si tratta di stabilire se le condizioni di trasmissione o vendita delle proprietà immobiliari in questione partono da uno speciale favore politico e amministrativo, a detrimento delle norme che disciplinano la libera concorrenza. In questo caso è stato possibile mascherare giuridicamente un aiuto di Stato sotto le apparenze di un’operazione urbanistica».

    Anche questa seconda volta, però, la risposta di Mario Monti deluse le speranze di Esteve e, con lui, del Barcellona: «La Commissione constata che la riqualificazione del terreno in questione non sembra implicare trasferimenti diretti o indiretti di risorse né da parte della città di Madrid né da parte della Comunità autonoma di Madrid. Il fatto che la riqualificazione conferisca un vantaggio al Real Madrid non basta di per sé a conferirle un carattere di aiuto di Stato ai sensi dell’articolo 87 del trattato Ce».

    Barcellona e Real, Catalogna e Castiglia, gioco e giocatori, indipendentismo e centralismo, europeismo e tradizione degli hidalgos. Ma soprattutto una battaglia senza quartiere per il potere. Perché il calcio è passione, nazionalismo, storia, fanatismo. Ma anche e soprattutto business.

  2. #852

    Predefinito Re: Il topic della Rassegna Stampa radical-chic

    Se ho capito bene, stasera pre e post Napoli-Inter ci dovrebbe essere un "Buffa-Condò raccontano" sulle olimpiadi di Berlino 1936.
    Qualcosa tipo, 19.30 e 23.45.

  3. #853
    Shogun Assoluto L'avatar di Frykky
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    Predefinito Re: Il topic della Rassegna Stampa radical-chic

    già visto sull'on demand, lasciate pure perdere

  4. #854
    Shogun Assoluto
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    Predefinito Re: Il topic della Rassegna Stampa radical-chic

    Lo spettacolo in teatro é molto meglio.
    Sent from Outer Space

  5. #855
    Lo Zio
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    Predefinito Re: Il topic della Rassegna Stampa radical-chic

    L’elenco dei calciatori prodotti negli ultimi vent’anni dal settore giovanile dall’Atalanta è sterminato: da Baselli a Tacchinardi, da Montolivo a Bonventura, da Pazzini a Zaza fino a Zauri e i gemelli Zenoni, ma davvero si potrebbe andare avanti a lungo. Hanno tutti una cosa in comune, di cui Favini è molto fiero: sono buoni calciatori, non fenomeni. «Noi non creiamo fenomeni perché i fenomeni non si creano. Noi formiamo dei buoni giocatori. La più grande soddisfazione è quando mi dicono che un nostro ragazzo che è andato a giocare in prestito si comporta bene, ha buona volontà e dedizione». Questa è anche la ragione per cui la società quando può ricompra sul mercato i calciatori formati nel suo vivaio: la scuola Atalanta è una garanzia. Magari non diventerai un campione, ma se hai buone «attitudini» e molta voglia di lavorare l’Atalanta ti renderà un buon calciatore.
    http://www.rivistaundici.com/2015/12/01/allevare-il-talento/

  6. #856
    Shogun Assoluto L'avatar di Angels
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    Predefinito Re: Il topic della Rassegna Stampa radical-chic

    Dimenticano Padoin SP20

  7. #857
    Suprema Borga Imperiale L'avatar di MrVermont
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    Predefinito Re: Il topic della Rassegna Stampa radical-chic


  8. #858
    Vitor
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    Predefinito Re: Il topic della Rassegna Stampa radical-chic

    Burdisso che cita Roth e Murakami, grazie a Steph per la segnalazione

    Dopo pochi minuti, il foglio con le domande finisce virtualmente accartocciato. Non serve. Accarezzata dagli stimoli di “Pastorale americana” di Philip Roth, la conversazione con Nicolas Burdisso non ha bisogno di argini. Nessuna sorpresa: l’argentino è uomo vero. D’altronde, uno che ha indossato la fascia da capitano nel Boca, Inter, Roma e ora nel Genoa, sa guidare i propri pensieri anche in acque profonde.Perché ha scelto questo capolavoro straziante?
    “Per tanti motivi diversi, ma principalmente per il rapporto che c’è tra il protagonista, lo Svedese, e sua figlia, ed io, da padre, mi ci sono immedesimato non senza dolore. E poi per una frase che non mi tolgo dalla testa: “Non c’è niente di peggio di farsi delle domande troppo presto che farsele troppo tardi”. Ecco, io mi sono fatto sempre tante domande, e non ho ancora finito”.

    Lo Svedese è stato l’idolo a portata di mano del Narratore: qual è stato invece il suo?
    “Mio padre Enio. Abitavamo ad Altos de Chipion, un paese di 1500 abitanti nella campagna argentina, e lui sapeva fare tutto. È stato anche calciatore in Prima Serie nell’Instituto de Cordoba, poi è diventato professore di educazione fisica ma tutti andavano da lui per qualsiasi cosa, organizzava persino il carnevale”.

    È anche un libro sull’inesorabilità del destino: ci crede?

    “No, per me è solo una possibilità. L’ho preso sempre come una sfida. Lo sa, dieci anni fa a mia figlia Angela fu diagnosticata una leucemia e io ho avuto le possibilità economiche di lasciare tutto, smettere col calcio per sei mesi e curarla. Non sono stato un eroe: l’eroina è stata lei, che ha sopportato cure terribili. In quel periodo, poi, ho scoperto che scrivere mi aiutava. C’è una frase di Murakami che dice: “Per capire le cose che mi succedono devo scriverle”. E così ho buttato giù la storia della mia vita. Ho fatto leggere qualcosa solo a mia moglie, Maria Belen. Scrivere mi ha aiutato a riflettere. A volte non mi sono sempre fermato a farlo. Se fosse successo, avrei potuto fare di più. Ho vinto tanto ma sarei potuto essere un top, sarei potuto restare all’Inter da protagonista o vincere lo scudetto con la Roma o andare al Mondiale in Brasile. È stata la delusione più grande della carriera. Avevo avuto un terribile incidente al ginocchio nel 2011 proprio in nazionale, mi ero ripreso, il c.t. (Sabella, ndr) mi era anche venuto a trovare, poi negli ultimi sei mesi è sparito e io non sono il tipo che chiede”.

    Roth parla anche di tradimento: a lei è successo?
    “Mah, quando sono andato via dall’Inter e poi dalla Roma avevo ricevuto delle promesse, ma questo è il calcio. Io ho la fortuna di essere circondato dagli amici giusti, e poi ho senso di responsabilità”.

    Quando Ranieri si dimise dalla Roma disse che solo lei poteva guardarlo negli occhi: fu tradito?
    “No, ma con lui ero sempre sincero e diretto. È che arrivano momenti in cui inconsciamente un allenatore non ti fa dare tutto. Era solo, in confusione, stava cambiando la proprietà. Ranieri è solido, non sono sorpreso che ora sia facendo bene col Leicester”.

    Come quello che galleggia nel romanzo, il tradimento può essere anche dell’etica: lei ha vissuto Calciopoli.
    “E sono rimasto deluso. Dopo che era stata scoperchiata la pentola, sarebbe stato il momento giusto per farsi domande – come dice il libro – e invece vinto il Mondiale non è cambiato nulla. Ad un certo punto sembrava che i colpevoli fossimo noi dell’Inter, invece di vedere ciò che era successo. C’era un lavoro scientifico: non il rigore contro, ma ammonizioni, falli. E alla Juve ancora espongono gli scudetti revocati: segno che non accettano di avere sbagliato”.

    La famiglia ha un peso decisivo nelle scelte dei personaggi: e nel calcio?
    "Non dimenticherò mai quello che ha fatto Moratti per mia figlia. C'era un gestione familiare, come quella dei Sensi o di Preziosi, e quindi con dei limiti. Gli americani a Roma sono capaci, però più freddi. La svolta all'Inter c'è stata con l'arrivo di Mancini. Prima c'erano grandissimi giocatori, ma non una leadership come in Juve o Milan: l'ha portata lui. Abbiamo avuto un rapporto ottimo. Abbiamo litigato, ma anche festeggiato e ci siamo emozionati. E ora mi sembra ancora più maturo, prima si sentiva ancora calciatore".

    Differenza tra Milano e Roma?
    "Tanta. A Milano c'è la pressione per la vittoria ma si resta sempre con i piedi per terra. A Roma invece si passa da un eccesso all'altro e non aiuta".

    Pensa che Totti rappresenti solo una fortuna per la Roma o ne sia stato anche un limite, come dice qualcuno?
    "Francesco è fantastico e non può mai essere un limite, ma non si è mai fatto delle domande. Non si è mai chiesto se fosse stato meglio giocare per 15 anni alla Roma e vincere oppure per 20 e non farlo. Calcisticamente non è un leader che trascina in campo. De Rossi è stato troppo buono, non ha mai voluto scavalcarlo".

    Quale allenatore è stato il suo Svedese?
    "Direi Carlos Bianchi, ma sono stato fortunato, ho lavorato anche con Maradona, Montella - che era bravissimo e non l'avrei mai mandato via dalla Roma - e anche Luis Enrique. Guardi che se il Barcellona vince, non è solo merito dei tre davanti. Ricordo quando nei preliminari con lo Slovan lui sostituì Totti e fummo eliminati. Avevamo in campo tanti ragazzi e c'era bisogno di Francesco. Io quando vidi il cambio scossi la testa. Il giorno dopo Luis mi disse: 'Non farlo più'. Aveva ragione lui. Ha portato a Trigoria la cultura del lavoro. A Roma sembrava che quando si allenavano ti facevano un favore. Ricordo che Spalletti e Montella impazzivano di rabbia. Vincenzo usava i gps e alla fine diceva: 'Avete lavorato in modo imbarazzante' ".

    A Milano era diverso?
    "Ogni giorno era una guerra. Si lottava per il posto in squadra e tutti all'Inter volevano vincere sempre. Giocando così contro i campioni in allenamento si cresce".

    Messi a parte, il più forte con cui ha giocato è?
    "L'Adriano dell'Inter: era indescrivibile. Si è perso perché era troppo buono".

    L'Inter non ha Adriano ma è forte lo stesso, mentre voi siete un po' in crisi: cosa succede sabato?
    "Possiamo vincere lo stesso, ed è questo in fondo il bello del calcio, che sa essere bianco o nero. Abbiamo gente in gamba come Izzo, Rincon poi c'è Perotti che mi ricorda Figo, per non parlare di Perin, che è ambizioso e in gamba. Come spirito lo vedrei bene alla Roma".

    Chi vede meglio tra le big?
    "L'Inter ha più carattere, la Roma ha più tecnica, ma il Napoli ha tutte e due le cose. La Fiorentina invece credo sia un gradino sotto".

    Con Gasperini parlate mai dell'Inter?
    "Certo. È stato sottovalutato, invece lui è un estremista, un rivoluzionario. Non gli hanno dato supporto".

    Anche lei è un rivoluzionario?
    "Guardi, è vero che posso avere anche idee di sinistra ma, come dice una canzone, è facile quando ho una Mercedes in strada. Ma ricordi che in ogni storia di calciatore c'è della sofferenza, piccola o grande che sia".

    Se lo Svedese era essenzialmente un puro, il calcio ha a che fare con presidenti addirittura con la fedina non immacolata, come Ferrero o il suo Preziosi: perché?
    "Perché ognuno pensa ai propri interessi. Pensi alla politica. C'è commistione tra politici e ultrà. A Roma l'ho trovato più che altrove, ma in Argentina è peggio. Addirittura durante le partite fanno propaganda all'altoparlante durante l'intervallo: 'Abbiamo fatto scuole, ospedali...'. Trasmettono gratis tutte le partite del campionato e la gente è contenta, ma io ai miei amici dico tutte le volte: 'Non capite che stanno togliendo soldi per altre spese?' ".

    Come nel libro, la politica può contaminare un figlio? Pensi a quanto sta succedendo in questo periodo.
    "Sono preoccupato del terrorismo, ma il mondo musulmano non c'entra. E' come se i cristiani fossero giudicati per le Crociate o la Chiesa per ciò che combinano certi cardinali che si arricchiscono. Per fortuna che c'è Papa Francesco. A Roma, l'ho conosciuto andando alla 7 di mattina a Santa Marta ad una messa dove c'erano 15 persone Quando mi ha visto ha detto: 'Hai portato il pallone?'. È fantastico. Sta facendo la rivoluzione".

    Lei invece cosa farà da grande?

    "Approfitto del tanto tempo che si è in ritiro per crescere. Ho fatto anche il corso allenatori. Se non sai fare niente, finisce che pensi solo al calcio. Io sono stato fortunato, ho imparato tante cose. Ricordo ad esempio quando Stankovic mi parlava della guerra nei Balcani e pensavo invece che da piccolo io avevo al massimo da preoccuparmi della pioggia per andare a scuola. Per questo ricordo sempre un'intervista di Facchetti che, a chi gli chiedeva del suo futuro dopo il calcio, rispondeva: 'Vorrei fare l'uomo'. Ecco, mi basterebbe questo".

  9. #859
    Lo Zio L'avatar di Steph
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    Predefinito Re: Il topic della Rassegna Stampa radical-chic

    l'ho postata nel topic Roma, sicuramente meglio qui.
    non me l'aspettavo

  10. #860
    Il Nonno
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    Predefinito Re: Il topic della Rassegna Stampa radical-chic

    era una mezza pippa ma "mister [ranieri ndr] no se vive como se juega, se juega como se vive" è la mia citazione preferita anche meglio di kubrik e osho messi assieme (cit.)

  11. #861
    Sbonk
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    Predefinito Re: Il topic della Rassegna Stampa radical-chic

    La stavo per postare, sia per l'intervista sia per l'incredulità di vedere un qualcosa di decente sul sito della gazzetta

  12. #862
    Lo Zio L'avatar di Steph
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    Citazione Originariamente Scritto da Sbonk Visualizza Messaggio
    La stavo per postare, sia per l'intervista sia per l'incredulità di vedere un qualcosa di decente sul sito della gazzetta
    this.
    ovviamente la maggior parte dei commenti è di juventini che contestano la frase su Calciopoli citando giurisprudenza a profusione

  13. #863
    Volo85
    ospite

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  14. #864
    Shogun Assoluto L'avatar di Numero_6
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    Predefinito Re: Il topic della Rassegna Stampa radical-chic

    Citazione Originariamente Scritto da Steph Visualizza Messaggio
    this.
    ovviamente la maggior parte dei commenti è di juventini che contestano la frase su Calciopoli citando giurisprudenza a profusione
    Mi piacerebbe rispondere loro con un ":bicchierechetrema:", ma non mi farebbero passare il post.

  15. #865
    Il Nonno
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    Predefinito Re: Il topic della Rassegna Stampa radical-chic

    L’elenco dei calciatori prodotti negli ultimi vent’anni dal settore giovanile dall’Atalanta è sterminato [...] Hanno tutti una cosa in comune, di cui Favini è molto fiero: sono buoni calciatori, non fenomeni. «Noi non creiamo fenomeni perché i fenomeni non si creano. Noi formiamo dei buoni giocatori. [...]



    http://www.rivistaundici.com/2015/12...re-il-talento/










  16. #866
    Shogun Assoluto L'avatar di Frykky
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    Non l'avevi già messo?

  17. #867
    Vitor
    ospite

    Predefinito Re: Il topic della Rassegna Stampa radical-chic

    A proposito di Mourinho, sull'ultimo numero di The Blizzard c'erano 12mila parole di Jonathan Wilson su Mou e la sindrome del terzo anno.
    Si può leggere qui (la prima parte, per la seconda c'è il link in fondo alla pagina).
    Magari durante le vacanze di Natale, ecco
    https://www.theblizzard.co.uk/articl...-devils-party/

  18. #868
    Il Nonno
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  19. #869
    Il Nonno
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  20. #870
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  21. #871
    Il Nonno
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