Eddy Cilìa recensisce il nuovo disco di Springsteen
Stupiscici, Bruce, cazzo. Fai un disco di duetti con Drake. Dai alle stampe un tuo “Arc” composto da un’ora di assoli di Tom Morello – mi raccomando: i più sguaiati – in cui non canti una parola. Sarebbe merda, ma perlomeno una merda epica, meno avvilente dell’ennesimo album peggio che inutile. Del quale manco si può dire che sia il tuo peggiore di sempre, a partire dalla copertina, perché “Working On A Dream” resta auspicabilmente insuperabile in tal senso oltre che per la pochezza dei contenuti. E per quanto sia ora “High Hopes” a contenere la canzone più orrenda di un repertorio che ne conta centinaia, Outlaw Pete scalzata dal gradino più alto (o più basso, fate voi) del podio da un’improvvida rilettura di The Ghost Of Tom Joad. Non dovrebbe toccare a un recensore di giudicare i due minuti e sei secondi conclusivi di complessivi sette e mezzo, Morello talmente senza freni da far sembrare sobri un Malmsteen o uno Steve Vai, bensì al Tribunale dell’Aia. Non chiamiamo musica quelli che sono crimini contro l’umanità.