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  1. #26
    Il Nonno L'avatar di memex
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    Predefinito Re: La storia di Rosa Parks

    lory ha scritto mar, 22 febbraio 2005 alle 14:20
    memex, il topic è tuo, e quindi chiedo a te:
    oggi cade l'anniversario dell'uccisione di MalcoM X, leader del movimento radicale delle Black Panther.

    Mi veniva in mente che sarebbe possibile discutere sulla differenza di stile di lotta tra Martin Luther King (e Rosa Park ) e Malcom X, sulla loro maggiore o minore efficacia della resistenza passiva vs. lotta armata.
    Però sono incerta se aprire un topic nuovo, o proporlo qui: fatto qui, si darebbe in indirizzo differete alla discussione rispetto a quello che credo volessi proporre inizialmente tu.
    Dimmi cosa preferisci fare.
    mi sembra uno spunto interessante.

    il topic deve prendere la direzione... che deve prendere per cui a me va benissimo (e poi l'importante è come si discute)

    tra l'altro sono un po' arrugginito su malcom x, percui ogni imput è gradito

  2. #27
    Automatic Jack
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    Predefinito Re: La storia di Rosa Parks

    OT: alle superiori ho assistito a una gaffe clamorosa da parte di un tizio più grande di me (allora facevo la 3^) che era non so bene per che motivo invece di Malcom X scrisse Marco Mix.




  3. #28
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    Predefinito Re: La storia di Rosa Parks

    Automatic Jack ha scritto mar, 22 febbraio 2005 alle 14:44
    OT: alle superiori ho assistito a una gaffe clamorosa da parte di un tizio più grande di me (allora facevo la 3^) che era non so bene per che motivo invece di Malcom X scrisse Marco Mix.



    pensava fosse un deejay

  4. #29
    Il Nonno L'avatar di lory
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    Predefinito Re: La storia di Rosa Parks

    Ok, allora parto:

    da Corriere.it di oggi:

    Quote:
    Quarant’anni fa veniva ucciso Malcom X
    Il leader della componente più radicale del movimento dei neri, difensore dei diritti degli afroamericani, fu assassinato a NY.


    Sono passati quarant’anni da quel 21 febbraio del 1965 quando a New York venne ucciso Malcolm X. Il leader della componente più radicale del movimento dei neri fu assassinato mentre teneva un discorso alla riunione dell'Organizzazione per l'unità afro-americana nel ghetto di Arlem. Non fece neppure in tempo a prendere la parola che tre uomini seduti in prima fila iniziarono a sparargli contro. Fu colpito da 16 proiettili di cui tre mortali. Già esponente di punta della setta dei «Musulmani neri», se ne era appena staccato fondando il movimento «Muslin Mosque Inc.». Tra i suoi proseliti, Cassius Clay (nella foto accanto a Malcom X), che rifiutò il nome e prese quello di Mohammed Ali proprio seguendo l'esempio di Malcom X (Malcom aveva cambiato il suo cognome, Little, in "X", in memoria della privazione del suo vero nome africano a cui i bianchi avevano assoggettato i suoi antenati in schiavitù nel Nuovo Mondo).

    Una vita dedicata alla difesa dei diritti civili dei neri, cercando alleanze con paesi arabi, soprattutto africani, ed ex-colonie, per creare un fronte comune. Un paladino della libertà da difendere, come soleva ripetere, «con ogni mezzo necessario». Un motto che marcava la distanza dal pacifismo di Martin Luther King, con il quale, dopo la marcia su Washington, ruppe ogni rapporto.
    Sulla sua morte non si è ancora fatta chiarezza: tra le varie ipotesi c'è chi pensa a un’omicidio maturato all’interno del monvimento nero, chi sospetta dell'Fbi e chi ancora della malavita organizzata.

    DAL CARCERE ALL’ISLAM- La vita di Malcom X fu segnata da subito dalla violenza razziale del Ku Klux Klan che uccise suo padre, pastore battista «colpevole» di aver predicato in quartieri segregati dei neri. Come si legge nell’incipit della sua «Autobiografia»: «Quando mia madre era incinta di me, come mi disse in seguito, un gruppo di cavalieri incappucciati del Ku Klux Klan arrivò al galoppo, di notte, davanti a casa nostra a Omaha nel Nebraska. Dopo aver circondato l'edificio, essi urlarono a mio padre di uscire: erano tutti armati di fucili e carabine».
    Dopo un’infanzia passata tra orfanotrofi e riformatori, per il giovane Malcolm seguirono anni di povertà, droga e crimine e anche di carcere. Ma è proprio in galera che Malcom X si avvicina all’Islam: l’incontro con il musulmano nero Elijah Muhammad gli cambia la vita e quando viene rilasciato Malcom entra nei Black Muslins, una comunità per la tutela degli afro-americani. Inizia qui un’intensa attività di proselitismo interrotta soltanto dalla sua tragica morte.

    DA LEGGERE-VEDERE- ASCOLTARE - La sua vita oltre che nella celebre Autobiografia pubblicata postuma nel 1965 (la prima edizione italiana è di Einaudi nel 67) è stata raccontata nel film di Spike Lee (1992) con Denzel Washington e nel rap del percussionista Keith Le Blanc.
    Da leggere invece «Malcom X - L'ultima battaglia», con discorsi inediti e interviste. I temi principali dell'ultimo Malcolm X sono quelli della liberazione degli afro- americani in una prospettiva antimperialistica, ma anche le nuove migrazioni internazionali dall'Africa e dall'Asia verso i paesi industrializzati e la discriminazione razziale su scala mondiale.

    Alessandra Muglia

    22 febbraio 2005



    Ha detto:

    Quote:
    «Con ogni mezzo»

    «Affermiamo il diritto su questa terra di essere un uomo, un essere umano, di essere rispettato come essere umano... con ogni mezzo necessario»


    «Il nostro obiettivo sono la libertà, giustizia e uguaglianza con ogni mezzo necessario»

    «Educazione»

    «L’educazione è il passaporto per il futuro, il domani appartiene alla gente che lo prepara oggi»

    «Senza educazione non si va da nessuna parte oggigiorno»


    Questione internazionale

    «Il solo modo per diventare liberi è identificarci con tutti gli oppressi del mondo. Siamo fratelli di sangue con le popolazioni del Brasile, Venezuela, Haiti... Cuba, sì anche Cuba»


    Su Martin Luther King

    «Ha vinto il premio per la pace, ecco il problema.... Se sto seguendo il generale in battaglia e il nemico lo premia io mi insospettisco. Soprattutto se la battaglia non è finita»

    La rabbia è il motore del mondo

    «Di solito gli uomini quando sono tristi non fanno niente: si limitano a piangere sulla propria situazione. Ma quando si arrabbiano, allora si danno da fare per cambiare Ie cose»


    ____________________________


    Con Martir Luther King condivideva gli obiettivi, ma divergevano sui metodi per raggiungerli. Il primo, seguendo la linea pacifista che fu di Gandhi pochi anni prima, proponeva l'opposizione passiva pacifica; il secondo non disdegnava la ribellione violenta, se necessaria.
    Entrambi (tutti e tre, se vogliamo includere anche Gandhi) hanno pagato con la morte violenta la lotta per i loro ideali.
    Gandhi ha ottenuto l'indipendenza dell'India, anche se non è riuscito a fermare la scissione nei due stati, India e Pakistan, e lo scoppio di una violentissima guerra civile.
    Martin Luther King è riuscito ad ottenere l'abolizione delle leggi di discriminazione razziale, molto radicate in certi settori della società americana; ma non la scomparsa dell'odio razziale.
    Sembrerebbe quindi che l'ideale pacifista contenga in sè sufficiente spinta per i suoi obiettivi primari, ma non per procedere oltre. E' vero, sempre?
    C'è chi dice che questo è possibile solo se ci si trova di fronte ad avversari come America e Inghilterra, paesi cioè che stimano la democrazia come valore, e non avrebbero potuto avere gli stessi effetti in altri paesi, sotto altri regimi.

    Voi che ne pensate?

    No Iraq, please.


  5. #30
    Il Nonno L'avatar di memex
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    Predefinito Re: La storia di Rosa Parks

    lory ha scritto mar, 22 febbraio 2005 alle 15:11


    Sembrerebbe quindi che l'ideale pacifista contenga in sè sufficiente spinta per i suoi obiettivi primari, ma non per procedere oltre. E' vero, sempre?
    C'è chi dice che questo è possibile solo se ci si trova di fronte ad avversari come America e Inghilterra, paesi cioè che stimano la democrazia come valore, e non avrebbero potuto avere gli stessi effetti in altri paesi, sotto altri regimi.
    mah, non credo che il "metodo" pacifista non possa giungere fino in fondo, anche perchè non possiamo sapere cosa sarebbe successo se MLK e Ghandi non fossero stati uccisi. sicuramente la perdita del "capo" toglie molta inerzia (discorso che vale anche per Malcom X però).

    però credo che ad un certo punto non si tratti più di "risultati" ottenibii con la battaglia, per così dire, ma di un processo che la società deve portare avanti da sola; mi spiego meglio. prendendo la storia di rosa parks e della protesta non violenta (che secondo me vuole un coraggio leonino per essere attuata, i manifestanti venivano picchiati, minacciati se non fatti aggredire dai cani) come esempio, possiamo vedere come questa abbia portato alla cancellazione di una struttura Ufficiale di discriminazione, le leggi dello stato. la protesta ha inciso direttamente sull'ordinamento e solo in via riflessa sulla coscienza sociale (la coscienza sociale è forse stato più un mezzo della protesta, invece che un risultato). questa lotta ha abbattuto il muro, per così dire, ma i calcinacci li deve portare vial al società da sola (sempre con la pressione dei movimenti al suo interno). allo stesso modo ci si deve comportare dopo una rivoluzione violenta. è necessario ad un certo punto che le ultime riforme, e il loro ocnsolidamento, sia affidato ad un processo naturale, al convincimento della gente più che alle armi.

    tornando al "caso" americano, per chiamarlo così, la protesta degli autobus ha portato ad una rivoluzione copernicana della struttura della società (la segregazione era avallata dalla legge. era una cosa ufficiale; forse non si ha sempre presente cosa ciò voglia dire); ha cambiato la legge (in un processo lungo ovvimanete, non istantaneamente) ma non ha influito del tutto sulla testa della gente. con questo non voglio negare che abbia profondamente inciso anche sulla società americana, ma non ha dato il via, a mio parere, a quel cambiamento radicale che sarebbe stato paragonabile a quello avvenuto dal punto di vista della legge. il cambiamento sociale è stato fagocitato dalla società stessa, dalle pressioni al suo interno.

    questo a causa sia dell'omicidio del leader del movimento, sia della divisione tra le 2 correnti esistenti tra i neri (MLK e Malcom X) sia della fine dell'inierzia (si è già ottenuto tantissimo, ottenere poco di più comporta uno sforzo enorme).

    naturalemnte questa analisi, oltre ad essere molto personale, non vuole essere certo esaustiva o particolarmente profonda, è stata buttata giù quasi di getto

  6. #31
    Il Nonno L'avatar di lory
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    Predefinito Re: La storia di Rosa Parks

    uhm, sì, condivisibile.

    Pensavo oggi: esiste anche il caso Sudafricano: anche lì esistevano reggi razziali, ci sono state le due fazioni, quella pacifista (con Mandela come esponente di spicco) e quella più radicale. Ad essere sincera questa storia, sebbene più recente, la conosco meno. Mi pare però che i risultati alla lunga li abbiano ottenuti principalmente col metodo pacifista.
    In effetti, è un metodo che ha dalla sua il vantaggio di non provocare, nella parte avversa, una reazione di aggressività parossistica, e quindi alla lunga forse paga di più; anche in termini di cambiamenti della mentalità della gente, la seconda fase. Richiede certamente più coraggio, come facevi notare tu.

    Ho però sempre il sospetto che il metodo pacifista diventi inefficace se chi si combatte è rappresentato da un regime dispotico e violento, e dove è vietata la libera stampa: non so quanto una ribellione pacifista avrebbe potuto scalfire un Pinochet o un Franco, tanto per fare un paio di nomi. Credo che un ruolo non indifferente l'abbia svolto anche la televisione e la stampa.

  7. #32
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    Predefinito Re: La storia di Rosa Parks

    lory ha scritto mar, 22 febbraio 2005 alle 20:08
    uhm, sì, condivisibile.

    Pensavo oggi: esiste anche il caso Sudafricano: anche lì esistevano reggi razziali, ci sono state le due fazioni, quella pacifista (con Mandela come esponente di spicco) e quella più radicale. Ad essere sincera questa storia, sebbene più recente, la conosco meno. Mi pare però che i risultati alla lunga li abbiano ottenuti principalmente col metodo pacifista.
    In effetti, è un metodo che ha dalla sua il vantaggio di non provocare, nella parte avversa, una reazione di aggressività parossistica, e quindi alla lunga forse paga di più; anche in termini di cambiamenti della mentalità della gente, la seconda fase. Richiede certamente più coraggio, come facevi notare tu.

    Ho però sempre il sospetto che il metodo pacifista diventi inefficace se chi si combatte è rappresentato da un regime dispotico e violento, e dove è vietata la libera stampa: non so quanto una ribellione pacifista avrebbe potuto scalfire un Pinochet o un Franco, tanto per fare un paio di nomi. Credo che un ruolo non indifferente l'abbia svolto anche la televisione e la stampa.
    Chiedilo a Ghandi

  8. #33
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    Predefinito Re: La storia di Rosa Parks

    lory ha scritto mar, 22 febbraio 2005 alle 20:08
    uhm, sì, condivisibile.

    Pensavo oggi: esiste anche il caso Sudafricano: anche lì esistevano reggi razziali, ci sono state le due fazioni, quella pacifista (con Mandela come esponente di spicco) e quella più radicale. Ad essere sincera questa storia, sebbene più recente, la conosco meno. Mi pare però che i risultati alla lunga li abbiano ottenuti principalmente col metodo pacifista.
    In effetti, è un metodo che ha dalla sua il vantaggio di non provocare, nella parte avversa, una reazione di aggressività parossistica, e quindi alla lunga forse paga di più; anche in termini di cambiamenti della mentalità della gente, la seconda fase. Richiede certamente più coraggio, come facevi notare tu.

    Ho però sempre il sospetto che il metodo pacifista diventi inefficace se chi si combatte è rappresentato da un regime dispotico e violento, e dove è vietata la libera stampa: non so quanto una ribellione pacifista avrebbe potuto scalfire un Pinochet o un Franco, tanto per fare un paio di nomi. Credo che un ruolo non indifferente l'abbia svolto anche la televisione e la stampa.
    checchè se ne dica, l'inghilterra è stata la culla della democrazia, poi magari gli inglesi nn sono perfetti e nn usano il bidè ma sono sti capaci di sviluppare dei principi basilari per il vivere civile

    edit: tutto questo per speigare perchè il pacifismo di gandhi funzionò, d'altra parte lui stesso diceva che il pacifismo era una soluzione solo eventuale e che poteva essere usato per fini sbagliati

  9. #34
    Banned L'avatar di Bukowski
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    Predefinito Re: La storia di Rosa Parks

    masp ha scritto lun, 21 febbraio 2005 alle 16:57
    lory ha scritto lun, 21 febbraio 2005 alle 15:29


    il coraggio della dignità
    e la dignità del coraggio.
    E allora mia nonna gli fa le scarpe a questa. Allora?

    EDIT: correggo il tiro, che oggi ho veramente le palle girate, ma queste son cose che non ti interessano.

    Posso capire che vogliate mettere in mostra cose da ammirare, ma pensandoci e riflettendo molte volte non c'e' bisogno di andare in America per trovare persone da stimare, ci sono persone (anziani) che hanno minore visibilita' di altri, ma che in vita loro hanno fatto cose anche piu' degne di stima.
    Puoi ammirare lei, e magari non conosci la storia della tua vicina che e' simile.

    Enjoy.


    le tue vicine di casa hanno posto la parola fine alle discriminazioni raziali nel loro stato???

  10. #35
    Banned L'avatar di Bukowski
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    Predefinito Re: La storia di Rosa Parks

    lory ha scritto mar, 22 febbraio 2005 alle 15:11

    Con Martir Luther King condivideva gli obiettivi, ma divergevano sui metodi per raggiungerli. Il primo, seguendo la linea pacifista che fu di Gandhi pochi anni prima, proponeva l'opposizione passiva pacifica; il secondo non disdegnava la ribellione violenta, se necessaria.
    Entrambi (tutti e tre, se vogliamo includere anche Gandhi) hanno pagato con la morte violenta la lotta per i loro ideali.
    Gandhi ha ottenuto l'indipendenza dell'India, anche se non è riuscito a fermare la scissione nei due stati, India e Pakistan, e lo scoppio di una violentissima guerra civile.
    Martin Luther King è riuscito ad ottenere l'abolizione delle leggi di discriminazione razziale, molto radicate in certi settori della società americana; ma non la scomparsa dell'odio razziale.
    Sembrerebbe quindi che l'ideale pacifista contenga in sè sufficiente spinta per i suoi obiettivi primari, ma non per procedere oltre. E' vero, sempre?
    C'è chi dice che questo è possibile solo se ci si trova di fronte ad avversari come America e Inghilterra, paesi cioè che stimano la democrazia come valore, e non avrebbero potuto avere gli stessi effetti in altri paesi, sotto altri regimi.

    Voi che ne pensate?

    No Iraq, please.

    Io penso che un movimento pacifista alla lunga paghi di più...certo il processo che s'innesca è molto più lento, ma l'effetto risulta sicuramente più duraturo.
    Una rivoluzione pacifista come quella di Gandhi è stata un evento epocale, un qualcosa che ha "cambiato" il modo di pensare di molta gente e che ha portato (seppur con molto tempo e molti sacrifici ad una vittoria schiacciante).
    Una rivoluzione violenta d'altrocanto produce effetti opposti è immediata ma una volta placata non incide realmente perchè non "cambia" il modo di pensare delle persone.

    Per finire non sono totalmente daccordo con chi dice che un ideale pacifista funziona solo in paesi democratici...sicuramente delle libertà fondamentali come quella di stampa e di parola permettono al contrario di una dittatura che l'idea pacifista si diffonda...tuttavia direi altresì che l'ideale pacifista attecchisce dove la gente è più acculturata e istruita. E questa è una prerogativa delle democrazie. (e cmq il colonialismo inglese non era così democratico e SOFT)

    per concludere una mia piccola riflessione su Malcom X, pur vedendo i limiti del metodo della sua lotta nei suoi panni penso che avrei fatto le stesse cose se non peggio...

  11. #36
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    Predefinito Re: La storia di Rosa Parks

    lory ha scritto mar, 22 febbraio 2005 alle 20:08
    uhm, sì, condivisibile.

    Pensavo oggi: esiste anche il caso Sudafricano: anche lì esistevano reggi razziali, ci sono state le due fazioni, quella pacifista (con Mandela come esponente di spicco) e quella più radicale. Ad essere sincera questa storia, sebbene più recente, la conosco meno. Mi pare però che i risultati alla lunga li abbiano ottenuti principalmente col metodo pacifista.
    In effetti, è un metodo che ha dalla sua il vantaggio di non provocare, nella parte avversa, una reazione di aggressività parossistica, e quindi alla lunga forse paga di più; anche in termini di cambiamenti della mentalità della gente, la seconda fase. Richiede certamente più coraggio, come facevi notare tu.

    Ho però sempre il sospetto che il metodo pacifista diventi inefficace se chi si combatte è rappresentato da un regime dispotico e violento, e dove è vietata la libera stampa: non so quanto una ribellione pacifista avrebbe potuto scalfire un Pinochet o un Franco, tanto per fare un paio di nomi. Credo che un ruolo non indifferente l'abbia svolto anche la televisione e la stampa.
    Bell'interrogativo...
    Il muro di Berlino ci farebbe dire di sì (anche se il lavoro diplomatico e le condizioni in cui versava l'URSS e tutto l'est europeo avevano già segnato la strada), però piazza Tienanmen no...

    Di solito ogni tipo di protesta, pacifica o violenta, contro un regime autoritario o dittatoriale, porta a repressioni sanguinarie o guerre civili...

  12. #37
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    Predefinito Re: La storia di Rosa Parks

    lory ha scritto mar, 22 febbraio 2005 alle 20:08

    Ho però sempre il sospetto che il metodo pacifista diventi inefficace se chi si combatte è rappresentato da un regime dispotico e violento, e dove è vietata la libera stampa: non so quanto una ribellione pacifista avrebbe potuto scalfire un Pinochet o un Franco, tanto per fare un paio di nomi. Credo che un ruolo non indifferente l'abbia svolto anche la televisione e la stampa.
    mmm, in effetti questa parte del discorso l'avavo saltata perchè necessitava di maggior riflessione.

    ora (non che abbia riflettuto, ma visto che sono passate 24 ore può sembrare ), il discorso dello stato in cui si attua la protesta, se sia esso democratico o meno, è sicuramente rilevante, ma va forse inquadrato con maggiore precisione.

    ovvero: la protesta di MLK ha avuto successo (seppur relativo) perchè l'america è un ostato democratico? idem per ghandi, che ha sfruttato il germe dell'inghilterra democratica? che influenza ha avuto mandela e la sua prigionia sul regime sudafricano? (tra l'altro gli sviluppi quali sono stati? ne so poco anch'io)

    il dicorso regge, però quelle sono le stesse società in cui la segregazione era nel DNA (la società americana ha ignorato cent'anni di abolizione della schiavitù - anche se questo aprirebbe un capitolo abbastanza complesso), l'india, bè, era l'india, il sudafrica e l'apartheid nascevano dalla colonizzazione europea, la stessa dell'india. erano meno autoritarie dei regini dittatoriali "espliciti"? gli sceriffi bianchi delle cittadine dell'alabama erano più democratici dei loro corrispettivi cileni? avevano meno appoggio da parte delle istituzioni rispetto al sudafrica? non credo, tutto sommato. la gente se non era d'accordo taceva, i giudici dichiaravano ripetutamente sacrosanta la segregazone, i politici pure. dal punto di vista dei "protestanti" quindi non credo ci fosse tutta questa differenza.

    ci sono anche esempi di proteste pacifiste che non hanno avuto successo ovviamente, come in tibet.

    ovviamente questo non vuol dire che dittature e dempcraie siano sullo stesso piano, ma solo che stringendo un po' la visuale e considerando il problema concreto che la protesta vuole affrontare le differenze si riducono.

    comunque la scelta tra non violenza e lotta armata non credo sia sempre una scelta ragionata, dipende moltissimo anche dalla circostanze e dalle persone coinvolte.
    nel movimento di MLK c'erano correnti che avrebbero voluto estendere la protesta ad un livello più "attivo" ma l'incredibile carisma del leader ha fatto si che questo non accadesse. probabilmente sarebbe bastato pochissimo perchè un sit-in si trasformasse in uno scontro con la polizia.

    e non credo che si debba neanche considerare una protesta, comunque, come un blocco unitario, posto il fatto che dura nel tempo e si può evolvere in mille modi. ovvero non necessariamente esistono proteste solo pacifiste o solo armate, ma ci sono molte vie di mezzo.

  13. #38
    Il Nonno L'avatar di memex
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    Predefinito Re: La storia di Rosa Parks

    Bukowski ha scritto mer, 23 febbraio 2005 alle 02:07

    Per finire non sono totalmente daccordo con chi dice che un ideale pacifista funziona solo in paesi democratici...sicuramente delle libertà fondamentali come quella di stampa e di parola permettono al contrario di una dittatura che l'idea pacifista si diffonda...tuttavia direi altresì che l'ideale pacifista attecchisce dove la gente è più acculturata e istruita. E questa è una prerogativa delle democrazie. (e cmq il colonialismo inglese non era così democratico e SOFT)
    mah, non so sai. di solito chi è oppresso è nelle fascie deboli della società, e di conseguenza non rientra certo nel novero degli istruiti.

    per rimanere all'esempio americano la segregazione imponeva scuole per neri, che decisamente erano scuole di serie b, anche per il fatto che i neri non avrebbero mai potuto arrivare a ruoli per cui fosse necessaria un'istruzione superiore, e questo giustificava (per il legislatore razzista) la scelta di fermare la scolarizzazione dei neri a livelli minimi.

  14. #39
    Il Nonno L'avatar di memex
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    Predefinito Re: La storia di Rosa Parks

    dualismo_2000 ha scritto mer, 23 febbraio 2005 alle 10:13

    Di solito ogni tipo di protesta, pacifica o violenta, contro un regime autoritario o dittatoriale, porta a repressioni sanguinarie o guerre civili...
    sicuramente è più facile che accada.


  15. #40
    Il Nonno L'avatar di lory
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    Predefinito Re: La storia di Rosa Parks

    dualismo_2000 ha scritto mer, 23 febbraio 2005 alle 10:13


    Bell'interrogativo...
    Il muro di Berlino ci farebbe dire di sì (anche se il lavoro diplomatico e le condizioni in cui versava l'URSS e tutto l'est europeo avevano già segnato la strada), però piazza Tienanmen no...

    Di solito ogni tipo di protesta, pacifica o violenta, contro un regime autoritario o dittatoriale, porta a repressioni sanguinarie o guerre civili...
    il caso del muro di Berlino mi pare difficile da estrapolare: lì c'era un sistema, quello dell'URSS, che stava già implodendo di suo, senza bisogno di altri interventi. Quello che è avvenuto è stato solo il colpo di spalla ad un muro già pericolante.

    In effetti piazza Tienanmen e anche il Tibet spaventano per la ferocia della reazione, che non ha avuto tra l'altro ripercussioni troppo forti sul regime. I regimi dittatoriali sono dei veri macigni da abbattere.

    E forse qui veniamo al nocciolo della questione, che stiamo trascurando: nel caso di MLK e dei diritti dei neri, come anche nel caso del Sudafrica, l'obiettivo non era di far cadere un regime politico a favore di un altro, ma la rivolta era finalizzata ad ottenere il riconoscimento di diritti civili. In un certo qual modo, lo stesso si potrebbe dire dell'India di Gandhi: gli indiani lottavano per il riconoscimento del loro diritto all'autodeterminazione. Questo tipo di lotta forse è quella a maggior probabilità di riuscita, perché va ad incidere nel sentimento di dignità delle persone, a differenza di quello di rivendicazione puramente politica. E forse queste lotte sono favorite dalla libertà di stampa proprio perché questa può sollecitare l'opinione pubblica ad interrogarsi sulle condizioni di vita di chi lotta. Ovvio che questo risuta efficace solo dove l'opinione pubblica ha qualche peso sul potere politico, e cioè in democrazia. Anche nel caso dell'India questo è servito, perché l'opinione pubblica influente era quella inglese, non quela indiana.


    memex ha scritto mer, 23 febbraio 2005 alle 11:38


    comunque la scelta tra non violenza e lotta armata non credo sia sempre una scelta ragionata, dipende moltissimo anche dalla circostanze e dalle persone coinvolte.
    nel movimento di MLK c'erano correnti che avrebbero voluto estendere la protesta ad un livello più "attivo" ma l'incredibile carisma del leader ha fatto si che questo non accadesse. probabilmente sarebbe bastato pochissimo perchè un sit-in si trasformasse in uno scontro con la polizia.

    e non credo che si debba neanche considerare una protesta, comunque, come un blocco unitario, posto il fatto che dura nel tempo e si può evolvere in mille modi. ovvero non necessariamente esistono proteste solo pacifiste o solo armate, ma ci sono molte vie di mezzo.

    molto vero, questo. Il caso dell'India e della successiva spartizione ne è un esempio paradigmatico.

  16. #41
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    Predefinito Re: La storia di Rosa Parks

    lory ha scritto mer, 23 febbraio 2005 alle 13:45
    dualismo_2000 ha scritto mer, 23 febbraio 2005 alle 10:13


    Bell'interrogativo...
    Il muro di Berlino ci farebbe dire di sì (anche se il lavoro diplomatico e le condizioni in cui versava l'URSS e tutto l'est europeo avevano già segnato la strada), però piazza Tienanmen no...

    Di solito ogni tipo di protesta, pacifica o violenta, contro un regime autoritario o dittatoriale, porta a repressioni sanguinarie o guerre civili...
    il caso del muro di Berlino mi pare difficile da estrapolare: lì c'era un sistema, quello dell'URSS, che stava già implodendo di suo, senza bisogno di altri interventi. Quello che è avvenuto è stato solo il colpo di spalla ad un muro già pericolante.

    In effetti piazza Tienanmen e anche il Tibet spaventano per la ferocia della reazione, che non ha avuto tra l'altro ripercussioni troppo forti sul regime. I regimi dittatoriali sono dei veri macigni da abbattere.

    E forse qui veniamo al nocciolo della questione, che stiamo trascurando: nel caso di MLK e dei diritti dei neri, come anche nel caso del Sudafrica, l'obiettivo non era di far cadere un regime politico a favore di un altro, ma la rivolta era finalizzata ad ottenere il riconoscimento di diritti civili. In un certo qual modo, lo stesso si potrebbe dire dell'India di Gandhi: gli indiani lottavano per il riconoscimento del loro diritto all'autodeterminazione. Questo tipo di lotta forse è quella a maggior probabilità di riuscita, perché va ad incidere nel sentimento di dignità delle persone, a differenza di quello di rivendicazione puramente politica. E forse queste lotte sono favorite dalla libertà di stampa proprio perché questa può sollecitare l'opinione pubblica ad interrogarsi sulle condizioni di vita di chi lotta. Ovvio che questo risuta efficace solo dove l'opinione pubblica ha qualche peso sul potere politico, e cioè in democrazia. Anche nel caso dell'India questo è servito, perché l'opinione pubblica influente era quella inglese, non quela indiana.
    Concordo con te che una battaglia per il riconoscimento di un diritto è più "semplice" della lotta ad un regime, per il fatto che nel primo caso il regime non si sente minacciato direttamente. Se mai si può sentire minacciato dalle conseguenze che può avere la concessione di determinate libertà: gli studenti cinesi chiedevano libertà di parola, di opinione e di stampa. In questo caso il regime cinese decise (dopo aver silurato un dirigente del PCC che avrebbe "favorito" la contestazione) la linea dura proprio perchè la libertà di opinione e di stampa avrebbe portato in modo quasi naturale (come dici giustamente anche tu) a smascherare le nefandezze del regime e ad una richiesta di democrazia autentica.

    Detto questo, un unico appunto: in India era proprio una lotta politica,per l'indipendenza contro il governo coloniale inglese!


  17. #42
    Il Nonno L'avatar di lory
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    Predefinito Re: La storia di Rosa Parks

    dualismo_2000 ha scritto mer, 23 febbraio 2005 alle 16:24

    Detto questo, un unico appunto: in India era proprio una lotta politica,per l'indipendenza contro il governo coloniale inglese!

    sì, certo; è che il colonialismo lo vedo in un certo senso simile alla discriminazione razziale: certi diritti essenziali erano riservati solo ad una parte della società, per altro neppure autoctona, e quindi risultava ancora più odiosa.

  18. #43
    Banned L'avatar di Bukowski
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    Predefinito Re: La storia di Rosa Parks

    Malcom X: 21 Febbraio 1965 - 21 Febbraio 2005 Print E-mail
    di Bianca Cerri
    21 Feb 2005
    Roma, 21 Febbraio 2005. Sono pochi coloro che, nel tempo di una breve vita, arrivano ad una conoscenza luminosa passando attraverso persecuzioni e violenza, ma fu proprio così che andò per Malcom Little, i cui anni furono una miscela esplosiva di situazioni estreme e rigore morale. Figlio di un pastore battista ucciso dai razzisti quando Malcom ha sei anni, finisce in riformatorio ancora adolescente e, una volta tornato in libertà, gira da una città all’altra d’America per poi approdare tra gli spacciatori di droga dei bassifondi.

    A 23 anni viene incarcerato nella colonia penale di Norfolk, dove avviene la sua trasformazione ed inizia il suo cammino politico. Malcom rimane affascinato dalle teorie sul separatismo autosufficiente dei neri dai bianchi ed entra nella Nation of Islam mentre è ancora in carcere e, quando torna libero, diviene allievo del fondatore del movimento, Mohammad Elijah.

    Abbandonato il nome di famiglia per divenire semplicemente Malcom X, si trasforma in un infaticabile predicatore e fa del NOI un gruppo dinamico di musulmani organizzati rigidamente. Nei primi tempi, gli interventi politici del giovane ministro sono soprattutto un opera di proselitismo, che riesce a far salire vertiginosamente il numero degli aderenti al NOI.

    I rapporti con il movimento iniziano ad incrinarsi quando Malcom X scopre che Elijah ha una doppia vita, molto diversa da quella ostentata in pubblico, e una visione politica che non ha nulla a che vedere con le nuove prospettive delineatesi all’orizzonte. Il divario si amplia quando manifesta la sua intenzione di sposare Betty Shabbaz, rinunciando così al voto di castità fatto otto anni prima. Nel 1958, il leader nero inizia ad opporsi con maggior decisione allo sfruttamento dei neri e parla diffusamente dei problemi delle classi operaie con Fidel Castro, durante un incontro che avviene all’Hotel Theresa di New York.

    Nei due anni successivi, Malcom X si sposta su posizioni più ferme, anche se il suo animo è ancora legato al NOI. Continua nella sua ricerca di una sintesi che unisca il razionalismo al socialismo rivoluzionario afroamericano anche quando la pubblicistica bianca cerca di screditarlo o di contrapporlo al moderato Martin Luther King. L’unica paura che l’opprime è che gli sconosciuti che gli inviano continue minacce di morte facciano del male a Betty e alle tre figlie nate nel frattempo.

    Il viaggio alla Mecca coincide con una nuova fase di allargamento della prospettiva politica di Malcom X, che spera di collocare la lotta dei neri nel contesto teorico e culturale di tutti i popoli. Quando torna in America, scampa per miracolo ad un attentato e, in quell’occasione, riceve la solidarietà di Che Guevara, che lo considera un esponente dell’internazionalismo socialista e segue i suoi sforzi per l’affrancamento dei neri americani dalla supremazia bianca.

    Nel 1963, Malcom rompe con il NOI, che non approva alcune sue critiche alle politiche di John Kennedy, che è appena stato assassinato. Quando torna a parlare in pubblico, pronuncia il suo discorso più famoso, “La Scheda o il Fucile”, in cui denuncia l’ostruzionismo nei confronti della sua gente, accusa i bianchi di essersi accaparrati il potere economico e prende una distanza netta dalle teorie moderate dei predicatori del Sud. Nei ghetti urbani, i giovani non trovano materia di identificazione con Martin Luther King e guardano a Malcom come l’unico vero leader capace di portare le loro comunità fuori dalla miseria.

    Il 21 febbraio 1965 Malcom viene invitato a tenere una conferenza ad Harlem, ma non ha neppure il tempo di iniziare a parlare. Davanti ad un’inorridita Betty, che è in attesa del quinto figlio, e delle quattro bambine terrorizzate, l'ultima delle quali ha solo un anno, due uomini iniziano a sparare verso il palco con fucili e pistole senza che gli uomini della scorta possano intervenire. Mentre Malcom, colpito da 16 proiettili, si accascia al suolo, i due sparatori, Thomas Hagan e Reuben Hayden, si fanno largo tra la folla con le armi in pugno. La vista dei rivoli di sangue che colano dal palco dove il si trova ancora il corpo del leader nero trasformano Betty in una statua di sale, ma non si abbandona a scene scomposte per non impaurire ancora di più le figlie. Il suo dolore esplode soltanto nella saletta dalle pareti color celeste chiaro nella quale le comunicano ufficialmente la morte del marito.

    I funerali di Malcom X si celebrano il 27 febbario 1965 ad Harlem e, con parole piene di tenerezza, l’attore Ossie Davis saluta l’amico davanti a più di mille persone. Venti giorni dopo l’inizio del processo ai presunti assassini del marito, Betty Shabbaz dà alle luce Malika e Maalak, le ultime due bambine, destinate a non conoscere mai il padre.

    La vedova di Malcom X non ha mai ceduto alla tentazione di diventare un personaggio pubblico ma, nel 1995, accusa Louis Farrakhan, esponente di rilievo del NOI di essere il mandante della morte del marito. Due anni dopo, una delle sue figlie, Quilah, viene accusata di tentato omicidio nei confronti di Farrakan e le viene tolta la patria podestà del figlio di 12 anni, che si chiama Malcom, come il nonno. Il ragazzo ha assorbito il disagio esistenziale della madre e, senza un motivo, appicca il fuoco alla casa dove vive e Betty, che ha riportato ustioni di terzo grado su tutto il corpo, muore dopo quattro giorni di intensa sofferenza.

    L’EREDITA’ DI MALCOM RACCOLTA DAI BLACK PANTHERS

    Malcom X non ebbe solo il merito di aver richiamato l’attenzione dei media sulle condizioni dei neri, ma anche quello di aver separato il cuore dalla ragione nella lotta politica. Per le black communities fu una lezione essenziale, perchè, da troppo tempo, dopo la delusione delle marce per i diritti civili. Malcom X aveva conosciuto gli aspetti più feroci della vita e incitava la sua gente a non pregiudicare la loro lotta con atteggiamenti disfattisti.

    Tra coloro che ascoltarono il suo messaggio e ne raccolsero l'eredità ci furono Huey P. Newton, Bobby Seals ed Eldrige Cleaver, che fondarono il Black Panthers Party, mescolando al pensiero del leader nero le teorie marxiste. Più tardi, si unì a loro anche Bobby Hutton, che morirà quasi subito in un agguato teso dalla polizia.

    Il Black Panthers Party fu certamente una delle organizzazioni più importanti della storia afro americana. Per quattro o cinque anni, il movimento infiammò le tutte le città d’America, poi cominciò la persecuzione, che si iscrisse in un complesso di azioni repressive. L’FBI istituì un vasto reclutamento di infiltrati, organizzato e diretto direttamente da Edgar Hoover, capo dell'agenzia federale, uomo dalla mente complessa, legato al Klan. Il movimento era passato da microformazione a organizzazione internazionale e Hoover lo considerava una minaccia da estirpare.

    Per annullarlo, non perse occasione di sfruttare i conflitti fra i militanti, per la verità già presenti da tempo. Nel 1968, gli uffici preposti al controllo del dissenso nero dell’FBI aumentarono di 19 unità. Il loro compito era quello di disgregare e screditare i membri dell’organizzazione e lo assolsero in pieno.

    Ma se, all'atto pratico, i Panthers vennero sconfitti, è anche vero che, dopo la fine, entrarono come mito nell'immaginario collettivo.

    A sconfiggere definitivamente la voglia di riscatto degli afro americani ci pensò la guerra alla droga di Reagan, che raggiunse una vera e propria isteria. Si trattava però di un paravento mistificatorio, perchè il vero scopo era quello di agevolare il flusso di quintali di droga allo scopo di incarcerare liberamente le minoranze. Una volta tradotti in carcere, neri e ispanici vengono avviati alla produzione miliardaria del Prison Industry, altra gallina dalle uova d’oro del sistema. La stampa di regime ha una grande parte di colpa perché ha convalidato per anni il cliché del nero assatanato di crimine e colto solo l’aspetto nichilista dei movimenti afroamericani.

    Eppure, nonostante tutto, il pensiero di Malcom X è ancora vivo e rappresenta un passaggio vitale nella storia americana, nel quale si rispecchiano i problemi relativi alle radici del razzismo e le vie verso il riscatto.

    Bianca Cerri

  19. #44
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    Predefinito Re: La storia di Rosa Parks

    bello sto topic, devo ricordarmi di salvarlo!


    comunque secondo me è interessante vedere come Malcom X (e forse ancor di più il movimento influenzato da Malcom X dopo l asua morte) può essere considerato una "conseguenza" delle azioni di MLK, un frutto del (parziale) fallimento del reverendo King.

    ovvero: una volta che la società bianca ha spostato la segregazione da un piano ufficiale ad un piano solo sociale (abolendo le leggi razziali, me creando forse una più forte segregazione di fatto, tendendo a considerare le minoranze come cittadini di serie b - un esempio sono gli stereotipi dei neri tutti criminali - ed escludendoli per questo motivo dalla vita del paese) è stata quasi una reazione naturale da parte della comunità nera isolarsi ancor di più, e cercare/creare un movimento che volesse l'autosufficienza dei neri dai bianchi o addirittura il ritorno alla "madre" africa. questo, però ha portato necessariamente ad una ulteriore ghettizzazione delle comunità di minoranza (che già tendenzialemnte sono chiuse di loro), permettendo che queste venissero incanalate, agli ochhi della maggior parte dell'opinione pubblica, negli stereotipi di cui ancora oggi soffre la società americana (e che per certi versi sono simili a quelli dei tempi dei camppi di cotone, ma questo è un'altro discorso).

    altra aberrazione conseguenza di tale "fallimento" dell'integrazione sono molte delle leggi a tutela delle minoranze, che cercano di imporre ciò che dovrebbe essere frutto delle statistiche sociali, per così dire, come ad esempio la percentuale di lavoratori neri che deve avere un'azienda. anche questo tipo di soluzioni sono (forse) una maschera che il razzismo (prendete il termine molto genericamente, sto generalizzando, non voglio intendere bianco=razzista nero=sfruttato) utilizza per continuare ad esercitare il controllo sulla società, ponendo una facciata di formale equità e dietro continuando a funzionare con un sistema di caste.

  20. #45
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    Predefinito Re: La storia di Rosa Parks

    Quote:
    US civil rights icon Parks dies

    Quote:
    Rosa Parks, the black woman whose 1955 protest action in Alabama marked the start of the modern US civil rights movement, has died at the age of 92.

    Mrs Parks' refusal to give up her seat to a white man on a bus prompted a mass black boycott of buses, organised by Baptist minister Martin Luther King Jr.

    His protest movement brought about the 1964 Civil Rights Act, which outlawed racial discrimination in the US.

    Mrs Parks' lawyer said she died in her sleep at her home in Detroit, Michigan.
    It was revealed last year that she was suffering from progressive dementia.

    Quote:
    Mrs Parks' protest inspired a generation of activists
    "She sat down in order that we all might stand up - and the walls of segregation came down," civil rights leader Jesse Jackson said.

    He said her legacy would never die, and added: "In many ways, history is marked as before, and after, Rosa Parks."

    "The nation lost a courageous woman and a true American hero," Massachusetts Democrat Senator Ted Kennedy said.

    "Her quiet fight for equality sounded the bells of freedom for millions," he said.

    Detroit Mayor Kwame Kilpatrick said: "She's an example for all people. For one, I would not be standing here but for her sitting down and standing up at the same time."

    'I had a right'

    Mrs Parks was a 42-year-old seamstress when she made history.

    Quote:
    She was very humble, she was soft-spoken, but inside she had a determination that was quite fierce
    John Conyers
    Democratic Congressman
    On 1 December 1955, Mrs Parks refused to give up her seat on a bus in Alabama to a white man, defying the law. She was arrested and fined $14.

    For years before her arrest, Mrs Parks had been active with local civil rights groups, which were looking for a test case to fight the city's segregation laws.

    Her arrest triggered a 381-day boycott of the bus system organised by the then little-known Rev Luther King Jr, and the protest led to the desegregation of the transport system.

    Speaking in 1992, Mrs Parks said of her famous bus protest: "The real reason of my not standing up was I felt that I had a right to be treated as any other passenger. We had endured that kind of treatment for too long."

    She was awarded the Presidential Medal of Freedom in 1996, and the Congressional Gold Medal, the nation's highest civilian honour, three years later.

    Democratic Congressman John Conyers, from whom she worked in Detroit from 1965 until she retired in 1988, described her as "an almost saint-like person".

    "She was very humble, she was soft-spoken, but inside she had a determination that was quite fierce."


    Story from BBC NEWS:
    http://news.bbc.co.uk/go/pr/fr/-/1/hi/wo rld/americas/4373794.stm

  21. #46
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    Predefinito Re: La storia di Rosa Parks

    dal Rosa e Raymond Parks Institute for Self Development Website


    Quote:
    MEDIA RELEASE
    CONTACT: LILA CABBIL, PRESIDENT EMERITUS (313) 971-3882

    On October 24, 2005 Mrs. Rosa Louis Parks passed away in her Detroit home due to natural causes. Mrs. Parks is largely regarded as the Mother of the modern day Civil Rights movement. On December 1, 1955 Mrs. Parks was arrested for refusing to give up her seat to a white man on a Montgomery, AL bus. Her actions triggered a 381-day boycott of the Montgomery bus system which inspired a series of events leading to the end of legalized segregation in the United States and a heightened awareness of human and civil rights worldwide.

    Mrs. Parks was a woman who exhibited dignity with pride, courage with perseverance, and an ever-present quiet strength. Her legacy will live on through the Rosa & Raymond Parks Institute for Self-Development, a nonprofit 501(c)3 organization, which she co-founded in 1987. The mission of the Institute is to encourage youth ages 11 to 17 to reach their highest potential. The Institute's flagship program "Pathways to Freedom" gives youth from around the world the opportunity to retrace the steps of the Underground Railroad and the Civil Rights Movement and the Montgomery Bus Boycott.

    The Rosa & Raymond Parks Institute is sponsoring a 381-day commemorative schedule starting December 1, 2005 in recognition of the 50th anniversary of Mrs. Parks' arrest and the Montgomery Bus Boycott. This commemoration will also celebrate her life's work with young people through the Rosa & Raymond Parks Institute for Self-Development. The activities and programs planned during this period will celebrate Mrs. Parks' life work and engage young people through the Rosa & Raymond Parks Institute.

    Funeral arrangements are in progress to facilitate the public acknowledgement of the death of Mrs. Parks, her family, the Institute and the world. In keeping with Mrs. Parks' philosophy of quiet strength, the Institute endeavors to educate, to remember, to lift and kennel spirits to change.

    Condolences in the form of cards and flowers should be sent to:

    Rosa & Raymond Parks Institute for Self-Development
    65 Cadillac Square
    Suite 2200
    Detroit, Michigan 48226

    Financial Donations can be directed to:

    First Independence National Bank
    Rosa & Raymond Parks Institute for Self-Development
    Memorial Fund
    44 Michigan Avenue
    Detroit, MI 48226
    (313) 256-8400

    Bank Contact: Rhonda Pugh (24 358-2000 ext. 105

    Routing Number: 072001079
    Acct. Number: 101019339

    Your donations will support the programs of the Institute. Questions should be directed to the Institute at (313) 965-0606.

  22. #47
    Emack
    ospite

    Predefinito Re: La storia di Rosa Parks

    *

  23. #48
    Il Nonno L'avatar di lory
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    Predefinito Re: La storia di Rosa Parks

    panta rei

    le conseguenze del suo gesto però restano, e in positivo.
    Piacerebbe anche a me andar via così.

  24. #49
    Il Nonno L'avatar di Ergo The Elf
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    Predefinito Re: La storia di Rosa Parks

    Un "no" che ha cambiato la storia...
    Ciò che disse Einstein a proposito del Mahatma Ghandi credo si possa dire anche di lei: "le generazioni future troveranno difficile da pensare che persone persone tanto grandi abbiano camminato su questa terra"
    La terrò sempre in mente e nel cuore come esempio di coraggio e dignità

    *

  25. #50
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    Predefinito Re: La storia di Rosa Parks

    volevo solo segnalare un sito che riporta molti link su Rosa Parks, per chi volesse,eventualmente, approfondire.

    http://www.e-portals.org/Parks/

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