La città di Taylor, nel Michigan, sta valutando l'ipotesi di rendere obbligatorio, come già avviene nei banchi dei pegni e nelle gioiellerie di tutti gli Stati Uniti, la registrazione del documento di identità e delle impronte digitali di chi vende merce usata al negozio.
L'obiettivo - così dicono - è scoraggiare o rendere identificabili le persone che ricettano merce rubata. I negozianti che non rispetteranno questa legge potrebbero dover pagare una multa di 500 dollari o farsi tre mesi di prigione (esagerati!).
Visti i costi delle console di nuova generazione (una PS3 usata si trova a 400/500 dollari), la misura ha un suo senso. Meno logico è applicare il medesimo principio per i giochi, che valgono molto meno e che costituiscono di fatto merce irrintracciabile.
A parte andare a riempire i vari AFIS/CODIS per facilitare il lavoro dei CSI sparsi per gli States, l'idea di dover lasciare le proprie impronte per vendere una copia usata di Gears of War appare - a voler essere ottimisti - una gran perdita di tempo, un immane spreco di soldi e una mole ingestibile di scartoffie.
A pensare un po' (ma solo un po') male, ci si può sempre lamentare del grande fratello, della privacy violata ecc. ecc.
A voler essere "gomblottisti" a tutti i costi, si può leggere la proposta come un goffo tentativo di scoraggiare la vendita dell'usato, che i produttori di console (Sony in primis) da sempre osteggiano, trattandosi di un immenso giro d'affari da cui le aziende non ricavano un centesimo. Boh.