L'ho detto in jappo perché in jappo tutti i titoli sono più fighi.
Visto che non c'ho un cazzo da fare dico bon dai facciamo un topic come nel 1994.
Brandon Sanderson è famoso per essere lo scrittore senza collo, l'erede di Jordan e a quanto pare uno scrittore high-epic-stocazzo fantasy che stranamente piace ai nerdbook fantasy che sono una razza peggio pignola dei degustatori di vini pregiati.
Ordunquequindi, in breve, Sanderson è famoso per le sue "innovative" tre leggi riassumibili brevemente in "Se la vita ti da i limoni tu fai una limonata, non è che ci puoi tirare fuori un Barolo dell'86". Che infondo poi se non altro è abbastanza coerente con la sua visione di insieme. Se crei un sistema, per esempi quello magico o sarcazzo che ti pare, struttura bene le sue regole, rendilo coerente e chiaro al lettore. A quel punto non ti puoi inventare deus-ex-machina a cazzo ma devi sempre cercare di rispettare lo schema che hai creato.
Sembra una puttanata, in parte lo è, ma nel "genere" effettivamente affronta un problema esistente. Sanderson prende sul serio il suo "lore". Lo esplica fin da subito (le prime duecento pagine del libro I sono un trattato chimico alchemico più che altro) ma nella messa in sce.. in pagina dimostra che il suo sistema può funzionare, e rende la cosa decisamente più appagante del generico sistema fantasy di derivazione dungeondraghiana.
Mistborn parla di Vin, una ladra che risiede nella capitale dell'Ultimo Impero, governata da tale Lord-Reggente-Dio-Sceso-In-Terra-Tiranno. Vin scoprirà presto di possedere il potere dell'Allomanzia ovvero la capacità di poter ingerire vari metalli e usarli per i poteri più disparata (vi risparmio il riassuntone della cosa, tanto ci pensa lui per metà libro a esplicarlo in ogni virgola). La cosa buona è che tale allomanzia non viene buttata lì giusto per far fare le cose fighe alla gente ma diventa presto il vero fulcro di tutta la trama. L'incipit è banalotto, vero, ma se non altro presto (e per presto intendo alla fine del primo libro le cose vengono ribaltate creando un minimo di ambiguità al solito AH ESSERE MALVAGIUO E TIRANNUO ORA SAGGIUERAI LA MIA LAMUA).
Sanderson ci ha due problemi grossi, almeno in questa saga: il primo è che tanto è capace di creare un background accattivante, convincente, estremamente coerente e perfettamente studiato, poco riesce poi a valorizzare i personaggi che sono tagliati con l'accetta come un tronco canadese pieno di nidi di PicchiPicchiarelli. Capiamoci, alla fine funziona, e per quanto si sforza di creare ambiguità morali queste funzionano più da canovaccio narrativo che non come vera tridimensionalizzazione dei protagonisti. Ma su questo ci si passa sopra. Infondo funzionano e quando possibile riescono a essere perfino interessanti più per il loro ruolo che per altro (Le piccole note sulla leggenda di Alendi che sembrano messe lì a fare brodo e poi di colpo diventano la base fondamentale del twist finale che, nella sua semplicità, sfido CHIUNQUE a dire <ah ma io l'avevo capito>) L'altro grosso problema è che Sanderson si sbrodola, ma si sbrodola tipo un neonato lasciato solo in una cucina di Masterchef dopo la prova finale. Periodi lunghissimi in cui ripete, fino allo sfinimento, le stesse quattro cose che VA BENE HO CAPITO DAI CAZZO NON ME LO DEVI RIDIRE OGNI VOLTA. Stesso vale per l'intreccio. Quello che accade in 800 pagine poteva benissimo essere condensato in 400 e nessuno se la sarebbe preso a male.
Eppure. Eppure in qualche modo funziona perché, sorpassati alcuni momenti di vacuità cosmica (quasi tutti concentrati nel primo libro a dire il vero) è piacevole vedere come Sanderson affronti il suo sistema magico (l'allomanzia) con un rigore quasi scientifico. Una volta entrati nella logica di funzionamento quella che fa è cominciare ad ampliarlo, scavando a fondo fino alle sue radici, in una sorta di lunga estasi empiristica. Persino i vari twist della trama, una volta svelati, lasciano il lettore con quel piacevole senso di sorpresa che lascia dire "Accidenti, era così logico, come ho fatto a non pensarci prima!". Niente stravolgimenti, nessuna scelta avventata. Tutto, dalle razze del mondo al sistema biologico lentamente si incastra in un unico mosaico. Non reinventa nulla, ma lascia quella gradevole sensazione di non essere stati presi per culo.
Non ho ancora capito se Sanderson mi sta simpatico o meno, alcune lacune letterarie e una gestione del ritmo che in confronto i bonghi di Elio sembrano raffinate sincopi uscite da Whiplash mi vorrebbero far esclamare "mamuorigonfio". Ma l'onestà e la capacità di saper dar vita a mondi originali e perfettamente oliati non è una cosa da poco, in quasi tutti i generi ma nel fantasy soprattutto dove a tirar via un filo e lasciare il lettore sperduto fra dei, leggende, miti, riti e triccheballacche varie è un attimo.
In definitiva mi è piaciuto? Si, e nemmeno poco. Forse siamo, nonostante le dovute differenze, dalle parti di un Brent Weeks più che di un Abercrombie. La lettura cattura, non tanto per l'intrigo che tocca scene più o meno classiche ma per la curiosità nello scoprire come i piccoli dettagli, a volte decisamente marginali, poi ci incastrano nell'affresco globale. C'è un qualcosa di profondamente naturalista nel suo approccio che funziona, e funziona davvero bene. I protagonisti hanno una conoscenza limitata del mondo in cui vivono, e lentamente ne diventano sempre più consapevoli scoprendo che quella minima cosa che appariva un dettaglio marginare creduta X poi in realtà si ribalta e nasconde in se un incastro Y che non avevano considerato, e così via.
Ruzzola ogni tanto a causa della lunghezza eccessiva, i personaggi sono per buona parte cheap e ben delineati dalla parte che devono reggere e il tutto soprattutto all'inizio scorre in maniera veramente veramente lenta, ma tra il marasma di roba uscita devo ammettere è stata una delle letture più gratificanti degli ultimi tempi in ambito fantasy.