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  1. #1
    La Borga L'avatar di Tyreal
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    Predefinito Tra realtà e leggenda: i racconti del mondo dei motori

    Visto che in passato sono emersi parecchi aneddoti divertenti e curiosi sul mondo dei motori, ho pensato di aprire un topic apposito in cui raccogliere quei racconti e quei retroscena a volte narrati da personaggi storici e a tratti leggendari. Se non ricordo male fu Entreri a citarne un paio su questo forum, entrambi relativi agli "anni d'oro" dell'Alfa Romeo... Mentre vado a cercarli, vorrei condividerne altri e invitare anche voi a contribuire: se avete in qualche cassetto un gustoso retroscena legao al mondo delle due e quattro ruote, questo è il posto giusto per condividerlo.


    Vorrei iniziare da un classicone: Domenico Chirico racconta un retroscena sulla nascita della 75, in occasione del ventennale

    "Io non ho preparato niente, perchè mi han detto vieni lì e racconti qualche cosa... bene, vi voglio raccontare perchè abbiamo deciso di fare la 75. Quindi dobbiamo andare indietro nel tempo, al 1980 circa. A quel periodo, noi avevamo pensato che nello stabilimento di Alfa Nord dovevamo fare qualcosa di nuovo, cercare di progettare qualcosa di nuovo.
    Dopo un certo numero di riunioni, decidemmo di progettare due vetture, in grande sinergia tra di loro, che chiamammo 154 e 156. Queste vetture, erano a trazione posteriore, e cominciammo subito a progettare, a disegnare, la prima delle due, la più importante, la 156.
    La 156, come ho detto, a trazione posteriore, aveva il cambio a 6 marce, che fu disegnato tutto, fabbricato e pure provato, perchè non so se Moroni si ricorda (Moroni annuì) ma ci fu un muletto sul quale montammo questo sei marce. La vettura, era in grado di accogliere tutte le motorizzazioni che conoscevamo a quel tempo, cioè tutti i quattro cilindri, fino al sei cilindri a V, il VM diesel, e guarda caso, anche il più grosso dei boxer, cioè il millessette, che era sulla carta, e che sapevamo che doveva nascere.
    Però... ricordo una sera, sentii un giornale radio, delle 11 e 20, stavo andando a letto e usualmente sentivo le notizie. Sentii parlare un ministro, un certo Giovanni Marcora, ve lo ricordate? Qualcuno se lo ricorda... il quale venne fuori a dire 'se c'è qualcuno che pensa, di progettare e costruire una vettura del segmento alto se lo tolga dalla testa, perchè ne abbiamo già troppe in Italia, il mercato è piccolo, e di conseguenza non è assolutamente possibile pensare ad una cosa del genere'.
    Chiaro, il messaggio era chiaro. Talmente chiaro che pochi mesi dopo dovetti andare con Surace a Torino, dove ci fu mostrato un..... pezzo di carta... un piccolo capitolato di una vettura che chiamavano T4. La T4 era l'antesignana di quella che fu poi la Thema, la Croma, e l'Alfa 164. Praticamente, l'ordine, venuto dall'alto, era che noi dovevamo fare una macchina in sinergia con Fiat. E così fu.
    Questa fu l'origine della cosa.
    Noi cosa avevamo in casa a quel tempo? Avevamo l'Alfetta, e la Nuova Giulietta, cioè la Giulietta a coda corta che ho visto su, e che era nata dopo la crisi energetica. E quindi... dopo un po' di tempo, ci accorgemmo che eravamo senza prodotti, perchè la 164 sarebbe nata grossomodo nel 1986... cosa potevamo fare? Temevamo moltissimo la perdita dei mercati, per cui si decise, a gran velocità, di progettare un qualche cosa che sostituisse tutte e due, cioè rispettivamente l'Alfetta e la Nuova Giulietta.
    A quel periodo, avevamo inaugurato un bel sistema per lo stile delle automobili: vale a dire, si metteva in concorrenza il Centro Stile interno con un carrozziere esterno. Questa procedura l'avevamo già usata per la 33, per cui c'erano stati in gara Ermanno Cressoni e Giugiaro, e vinse Cressoni con la 33 che tutti conoscevate e avete visto. E la mettemmo poi in funzione per la 164: gareggiarono Cressoni da una parte e Pininfarina dall'altra. Notoriamente vinse Pininfarina come sapete.
    Mentre per le due nuove, non avevamo tempo! Eravamo nel 1981, non avevamo tempo! Soprattutto perchè una delle due avrebbe dovuto arrivare in accoppiata alla Thema o prima di questa. Per cui decidemmo di dare l'incarico a Bertone per quella che poi si chiamò Alfa 90 e a Cressoni per l'altra che poi si chiamò Alfa 75.
    Così Cressoni partì... e io mi ricordo di quando andavo a vedere il gesso da lui, perchè a quel periodo il Centro Stile era ancora al Portello, non era qui, e mi ricordo la prima volta che vidi quella striscia nera che andava da cima a fondo della vettura gli dissi 'Cressoni, che cosa stai combinando??'
    'Per il fatto che quest'affare...' mi dette le sue buone ragioni, e alla fine aveva ragione, perchè era quella striscia nera che poi andava a morire sulla parte anteriore che dava una sensazione di freccia alla vettura."



  2. #2

    Predefinito Re: Tra realtà e leggenda: i racconti del mondo dei motori


  3. #3
    La Borga L'avatar di pasquaz
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    Predefinito Re: Tra realtà e leggenda: i racconti del mondo dei motori


  4. #4
    La Borga L'avatar di Tyreal
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    Predefinito Re: Tra realtà e leggenda: i racconti del mondo dei motori

    Aneddoti dal mondo Alfa, ovvero "se non son matti non li vogliamo":

    Il fatto che racconterò ora, che risale alla prima metà degli anni ’80, mi è stato narrato da chi l’ha vissuto in prima persona a quel tempo: un collega che lavora ancora qui, ma che, allora, era poco più di un neoassunto.
    Questa persona aveva dovuto accompagnare il suo “capo” a Torino, ad una riunione presso una Società Consortile (di più non fatemi dire: non posso; ma chi tra voi sa, ha capito a cosa mi riferisco). Già a quel tempo, infatti, si tenevano riunioni, anche a livello europeo, tra i rappresentanti delle varie case automobilistiche, per discutere di argomenti di interesse comune (come ad esempio i limiti di emissione che si sarebbero dovuti accettare; oppure quali protocolli di comunicazione si sarebbero dovuti utilizzare nelle –sempre più prossime- centraline elettroniche; o altro ancora). Il viaggio si sarebbe condotto con una Giulia Super “di sperimentazione”. Una “Nuova Super 1,3”. Verde bottiglia, a voler proprio essere precisi.
    Per correttezza d’informazione, va detto che, allora (così come anche ora), chi lavorava in Sperimentazione Veicolo utilizzava muletti e prototipi anche per “servizio”, ossia –che so- appunto per raggiungere destinazioni di lavoro diverse dalla propria sede…in fin dei conti, “più chilometri si fanno maggiore sarà la probabilità di verificare prestazioni e trovare difetti”.

    Bene, quel giorno di primavera ci si doveva recare a Torino. Percorso: autostrada A4. Alla guida, il “capo” del mio collega, un ingegnere tanto “matto” quanto “in gamba nel proprio lavoro”, cioè capace e preparato. Di fianco a lui, il mio collega, appunto.

    La prima parte del viaggio scorre liscia e senza intoppi: si percorre un tratto di tangenziale, si arriva al casello; si prende il biglietto e s’imbocca l’autostrada. E, durante il tragitto, si chiacchiera: di lavoro e di argomenti vari.

    Non passano una trentina di chilometri che, d’un tratto, dietro alla “Nuova Super 1,3” si presenta una 911 che, sfanalando forsennatamente, chiede strada con impazienza. Secondo la testimonianza del collega, “è una Porsche bella bassa e larga, con l’alettone” (presumo, dunque, una Turbo). La targa, svizzera. Alla guida, un distinto, seppur deciso, signore “sulla quarantina” con tanto di occhialoni da sole.

    Prima sfanalata, nervosa. Dalla “Super 1,3”, regolarmente targata (a quel tempo, ogni inizio d’anno, l’Alfa immatricolava regolarmente un certo numero di vetture da dedicare allo sviluppo e alla sperimentazione che venivano poi dismesse al termine delle attività, che non necessariamente terminavano alla fine dell’anno solare; per cui, le auto erano regolarmente dotate di targa normale, anziché di “targa prova”…), nessuna reazione.
    Seconda sfanalata, più insistente. Ancora nulla.

    Il poverino alla guida della 911 non avrebbe dovuto insistere troppo, come invece fece: terza sfanalata, oltretutto con “colpetto”, seppur gentile (da svizzero, insomma), di clacson.

    Peccato.

    Se, infatti, il distinto signore alla guida della Porsche avesse avuto il buon gusto di stare un po’ più calmino, ma soprattutto di tenere gli occhi ben aperti e attenti ai particolari, si sarebbe accorto che la “Nuova Super 1,3” non aveva il classico terminale “a fetta di salame” comune a tutte le Giulia; ma, al suo posto, due canne d’organo –una a destra, l’altra a sinistra- più simili a tubi da stufa che a scarichi normali. E, se si fosse comportato “più gentilmente” (parole dell’ingegnere alla guida), quando l’avesse superata, si sarebbe accorto anche che il cofano era più alto di un bel 15 cm.

    E da questi particolari avrebbe capito che, magari, non era proprio il caso di fare troppo il supponente…

    Ma tant’è: l’ing. alla guida della Giulia, prima di accostare a destra sulla corsia “lenta”, aveva provveduto a spostare una leva, collocata proprio vicino al cambio, in una delle due posizioni consentite da una griglia, fatta alla bell’e meglio, sulla quale erano scritte (con un Post-it che si era staccato e, per questo, era stato ri-fissato con un po’ di scotch) le seguenti frasi: “Max 60 sec.” (per la posizione 1) e “Max 30 sec.” (per la posizione 2).
    La posizione scelta era stata, naturalmente, la posizione 2. Eccheccazzo!

    A questo punto, l’ing non aveva fatto altro che affondare il piede sul gas. Senza neanche cambiare marcia: tanto, i rapporti (del cambio e del ponte) utilizzati erano quelli di una 2000…

    E la 911 era scomparsa alla vista. Letteralmente. E rapidamente (allora, certe cose si potevano fare; oggi non più, purtroppo).

    L’accelerata era durata qualcosa meno dei 30 secondi consentiti.

    A questo punto, l’ing aveva spostato la leva in posizione 1 e, conservando un buon margine sull’inseguitrice, giocava con l’acceleratore, a tratti accelerando e per farsi poi raggiungere di tanto in tanto. Rallentando, per accelerare nuovamente. Rimanendo sempre sulla corsia “lenta” e, quando si avvicinava ad una macchina davanti, accelerando a fondo con giusto anticipo, con la freccia inserita, mettendosi infine nuovamente davanti alla Porsche…..e schizzando via.

    Questo giochino era proseguito fino a Torino. Dovete sapere che allora la barriera della A4 in direzione Torino NON era, come adesso, a Rondissone; ma a Settimo Torinese, a circa 3-4 Km dall’imbocco della tangenziale.
    E alla barriera, c’era la solita fila (era ben più piccola di quella odierna, la barriera)….

    La 911 si affianca. Il distinto signore, sulla quarantina, abbassa il finestrino e si rivolge all’ing: “Scusi, ma… S O N O T U T T E C O S I’?”

    E l’ing., serissimo: “Certo!”

    Aveste visto la faccia dello svizzerotto….!

    L’ing non gli aveva mica detto che, sotto al cofano, al posto del 4 cilindri 1300, c’era un V6 3000 Biturbo “appena tolto dal banco prova, allestito al limite delle proprie possibilità meccaniche e della rottura, per saggiare delle massime prestazioni assolute, in funzione di un possibile sviluppo..” (eravamo agli inizi di quella che sarebbe stata “l’era dei turbo”).





    Massì, è un po’ la stessa storia, anche questa VERA, che è capitata a un mio amico, grande appassionato di Alfa Romeo nonché molto noto nell’ambiente delle auto storiche (la maggior parte delle Alfa utilizzate nei servizi di Ruoteclassiche sono le sue). Non posso fare nomi, ma molti lo conosceranno, probabilmente. Insomma, questo qui si era comperato una 75 IMSA. Ma non una “qualsiasi”: una di quelle che avevano fatto il Giro d’Italia (con gente del calibro di Nannini, Patrese, Biasion, Larini, Laffitte, etc). Quelle 75 erano targate. E lui ne aveva comprata una. Per renderla più “umana” e, nello stesso tempo, meno appariscente, all’interno gli aveva “appoggiato” un divano di una 75 1.6 che aveva trovato da uno sfasciacarrozze, lasciano tutto il resto immutato (rollbar compreso. Tanto, era omologato…). Fuori, aveva tolto le decalcomanie e, nel toglierle, erano rimasti i segni sulla carrozzeria, che era dunque “bicolore”. E, con questa, ci andava in giro tranquillamente Tranquillamente per modo di dire, naturalmente!
    Perché un giorno -ai tempi si era trasferito da poco nella città in cui abito io e aveva lasciato la vecchia casa nei dintorni di Asti, dove tornava spesso per sistemare le ultime cose- sull’autostrada Genova-Gravellona Toce, si era anche lui imbattuto in una 911 (bi)turbo; la quale, guarda caso, al momento di essere sorpassata, aveva iniziato ad accelerare. Sul cruscotto della 75 IMSA c’era un gran manopolone che regolava la sovrapressione del turbo. Quel deficiente del mio amico l’aveva girata a fondo corsa; poi, si era messo dietro alla 911 (si era ben oltre i limiti autostradali, eh! Ben ben oltre!) che era in corsia di sorpasso. Si era quindi spostato (A DESTRA!!!) e, quindi, aveva accelerato (guai ad accelerare prima di avere sterzato ed essersi di nuovo messo diritto, con quella macchina….! Avresti rischiato di brutto!)
    Insomma, l’aveva passato a destra; praticamente, sverniciato!
    Il bello di quella macchina era che non andava fortissimo in assoluto. Arrivava a poco più di 270 km/h. più o meno. Ma a quei 270 ci arrivava in un attimo. Poi, si piantava lì. Ma ci arrivava come un fulmine!
    Bene. Dopo averla bruciata, aveva lasciato lì la 911, in corsia di sorpasso come inebetita.
    Il problema era che quella 75 beveva come un’idrovora.
    Erano nei dintorni di Felizzano. E il mio amico decide di fermarsi a fare benzina. Entra nell’aera di servizio. Dietro, a spron battuto, arriva sparata la 911.
    Il conducente della 911 si avvicina alla colonnina del distributore dove la 75 si è accostata per fare rifornimento e, incuriosito (ma anche un po’ incazzato), si rivolge al mio amico:
    “Ma, che macchina è questa?”
    “Una 75 turbo”, risponde l’amico, con (falsa) tranquillità.
    “Ma che razza di 75 turbo è, è preparata?” lo incalza il tipo
    “Sì, è una serie speciale “elaborata”: è una 75 turbo Evoluzione! Ha 155 CV!” replica, sempre tranquillo ‘sto pirla…
    “Ma mi vuole prendere in giro? Ma se mi ha passato a destra a oltre 240 all’ora…. è andata via alla mia, che ha 400 CV!” s’infiamma quello della 911
    “Eh, cosa vuole: l’Alfa ha sempre fatto motori GENEROSI!” gli dice sorridendo il mio amico….

    Solo quando guarda i freni della 75, quello della Porsche si rende conto di non essere di fronte a una macchina troppo normale….e lascia perdere. Riparte sgommando e se ne va.

    Per inciso, va detto che il cofano della 75, a motore caldo, si gonfiava perché non era realizzato di lamiera…

    Sempre per inciso, il sottoscritto ha imparato da lui il metodo del “sorpasso in lettura” che adesso vado a spiegarvi:

    per umiliare ulteriormente l’avversario, ‘sto scemo (chè solo così lo si può chiamare) teneva in macchina un quotidiano vecchio e un paio di occhialini da lettura: quando doveva sorpassare uno, in autostrada, una macchina sportiva naturalmente, appoggiava il giornale sul volante, si metteva gli occhialini sul naso e inclinava la testa in avanti come se stesse leggendo (in realtà, guardava la strada. Ma chi è sull’altra macchina non se ne accorge..)…così faceva finta di leggere il giornale….tanto per sottolineare la facilità disarmante con cui effettuava il sorpasso: vi posso garantire che è un metodo che lascia basiti “gli avversari”

  5. #5
    Suprema Borga Imperiale L'avatar di Arnald
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    Predefinito Re: Tra realtà e leggenda: i racconti del mondo dei motori


    Il sorpasso in lettura!

  6. #6
    La Borga
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    Predefinito Re: Tra realtà e leggenda: i racconti del mondo dei motori

    Non so quanti altri potranno contribuire a questo topic, ma gli aneddoti sono bellissimi!

  7. #7
    Shogun Assoluto L'avatar di Scott
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    Predefinito Re: Tra realtà e leggenda: i racconti del mondo dei motori

    Certo che una 75 IMSA si dovrebbe riconoscere, se non altro per i passaruota esageratamente larghi (con tanto di feritoie e sfoghi) e per uno scarico laterale che non passa proprio inosservato...


  8. #8
    La Borga L'avatar di Tyreal
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    Predefinito Re: Tra realtà e leggenda: i racconti del mondo dei motori

    Questa ve la dico in prima persona, anche se non posso rivelare la (affidabile) fonte: immaginatela come l'informatore di Fox Mulder che passa al protagonista il plico di documenti riservati sulla panchina del parco...
    No, scherzavo, è più un "il terzo giro di birra lo offro io".

    Per chi non lo sapesse, Yamaha ha una grossa esperienza in materia di engineering e sviluppo motori automotive per conto terzi e vi si apoggiano praticamente tutte le grandi case; se non sbaglio parecchi motori ford, compresi i V8 sono stati sviluppati tenendo conto delle loro consulenze, quindi si occupano anche di roba abbastanza potente.
    Si era nei primi anni '90 e il gruppo Fiat stava pensando concretamente a una sorta di Lancia Kappa 8.32, stavolta non con motore di derivazione Ferrari, come sulla precedente Thema, ma con un V8 pensato ad hoc, pertanto contattarono i giapponesi per lo sviluppo di questo nuovo motore.
    A prototipo pronto, i tecnici di Torino volarono a Iwata per vedere i progressi dei collaboratori giapponesi e si trovarono di fronte due motori praticamente identici montati su due auto distinte. Alla domanda su quale fosse il prototipo effettivamente sviluppato, il responsabile giapponese rispose che i due motori erano strutturalmente identici, con la stessa potenza, ma che uno era "maschio" e l'altro "femmina" e che lo sviluppo sarebbe andato avanti solo dopo aver scelto quale dei due poteva essere più adatto alle specifiche richieste. A poco valsero le richieste di spiegazioni, l'unica cosa che risposero i giapponesi fu un laconico "ascoltate" seguito dall'accensione delle due auto.
    Il motore "maschio" suonava basso e corposo, simile a un v8 americano, il "femmina" urlava a frequenze più alte, come un tipico motore ad alta cubatura europeo.
    Non ci fu verso di farsi spiegare nel dettaglio come avevano ottenuto queste differenze, ottenendo solo vaghe risposte inerenti ordine di accensione, differenze di fasatura e di collettori di scarico, fatto sta che alla fine la consulenza fu pagata e nessuno seppe quale fosse il "preferito" dei due motori da parte della dirigenza. Ovviamente, come molti progetti Fiat del tempo, la produzione non avvenne mai.

  9. #9
    La Borga L'avatar di pasquaz
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    Predefinito Re: Tra realtà e leggenda: i racconti del mondo dei motori

    Citazione Originariamente Scritto da Tyreal Visualizza Messaggio
    Ovviamente, come molti progetti Fiat del tempo, la produzione non avvenne mai.
    da questi aneddoti si capisce anche quante barcate di soldi buttavano in progetti bizzarri, fermi a metà o abortiti...

  10. #10
    Shogun Assoluto L'avatar di GREZZ
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    Predefinito Re: Tra realtà e leggenda: i racconti del mondo dei motori

    ma la striscia della 75 non era per nascondere le saldature della carrozzeria della Giulietta (che era condivisa il più possibile per risparmiare soldi e tempo)?

  11. #11

    Predefinito Re: Tra realtà e leggenda: i racconti del mondo dei motori

    Topic bellissimo

    Inviato dal mio Nexus 5 utilizzando Tapatalk

  12. #12
    La Borga L'avatar di Tyreal
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    Predefinito Re: Tra realtà e leggenda: i racconti del mondo dei motori

    Citazione Originariamente Scritto da GREZZ Visualizza Messaggio
    ma la striscia della 75 non era per nascondere le saldature della carrozzeria della Giulietta (che era condivisa il più possibile per risparmiare soldi e tempo)?
    Così si diceva al tempo, ma pare fosse una leggenda metropolitana. Per la cronaca, la mai nata 75 sportwagon quella striscia non l'aveva:


  13. #13
    La Borga L'avatar di Tyreal
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    Predefinito Re: Tra realtà e leggenda: i racconti del mondo dei motori

    Il padre di un mio conoscente ha lavorato per decenni nel settore della concerie, settore che fornisce da sempre le case automobilistiche prestigiose e all'epoca tentò di fare il salto e proporre la fornitura alla Ferrari. La qualità del pellame era eccelsa, ma di fatto era una causa persa fin dall'inizio: era infatti risaputo che Enzo Ferrari in persona sceglieva la pelle per le sue auto, e la scelta ricadeva sempre sulla Connolly, azienda inglese capace di produrre pelli non di qualità così eccelsa, ma con una ben precisa caratteristica: il profumo. Non si sa bene come facessero, forse utilizzavano componenti vegetali particolari, fatto sta che riuscivano a produrre un odore particolarissimo; Scaglietti in persona riferiva che Enzo si sedeva nella macchina, annusava in giro e se gli piaceva l'odore, allora si poteva parlare di business. Che io sappia, nessuno riuscì mai a replicare quell'odore.

    Così racconta il figlio del protagonista della vicenda:


    Mio papà arriva così al fatidico cancello di Maranello e vede immediatamente dei segni di pneumatici sull'asfalto; incuriosito chiede spiegazioni alla persona di guardia dentro il casello e la spiegazione fu questa: un giornalista era venuto a fare una intervista in azienda con la sua Fiat 128, ma aveva avuto la sfortuna di prendere la macchina ed uscire proprio quando Gilles Villeneuve stava uscendo anche lui con la sua Ferrari; Gilles cominciò a giocare a gatto e il topo con il giornalista, lasciando in pratica metà delle ruote sull'asfalto.
    Mio papà disse scherzosamente al guardiano: "Questo non dura molto vivo!".
    Era il Maggio 1981, un anno prima dell'incidente di Zolder.

  14. #14

    Predefinito Re: Tra realtà e leggenda: i racconti del mondo dei motori

    video molto bello sulla nascita della EB110. Se avete venti minuti ve lo consiglio.


  15. #15
    Shogun Assoluto L'avatar di GREZZ
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    Predefinito Re: Tra realtà e leggenda: i racconti del mondo dei motori

    Davide Cironi fa dei bei video
    ma mi sta troppo sul cazzo, quindi riesco a vedere solo quelli tecnici come questo
    le review delle varie macchine non riesco a vederle

  16. #16
    Lo Zio
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    Predefinito Re: Tra realtà e leggenda: i racconti del mondo dei motori

    pure a me, non so perchè poi

    mi basta vedere la faccia e sentire la voce che cambio video..

  17. #17
    La Borga L'avatar di Tyreal
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    Predefinito Re: Tra realtà e leggenda: i racconti del mondo dei motori

    Idem, stesse sensazioni, però ne sa, è innegabile.

  18. #18
    La Borga L'avatar di Tyreal
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    Predefinito Re: Tra realtà e leggenda: i racconti del mondo dei motori

    Non molti sanno che in tempi non sospetti Alfa Romeo stava già lavorando su prototipi a trazione anteriore: alla fine degli anni '50 venne concepita la 103, che proprio bella non era, ma ha una storia interessante e che merita di essere raccontata dall'ingegner Busso:

    «Malgrado sia l’unica trazione anteriore Alfa Nord che sia scesa in strada e di cui il Museo custodisca un esemplare, è forse la vettura di cui è più difficile raccontare la storia.
    Ebbe una gestazione estremamente lunga; da quando si cominciò a parlarne, 1954, a quando il prototipo cominciò a circolare (seconda metà del 1962) all’Alfa si succedettero tre Presidenti e tre o quattro Amministratori Delegati e Direttori Generali. In quegli anni, venne completata, con la berlina e con lo spider, la prima gamma Giulietta, seguirono poi le varie edizioni con più carburatori, le cilindrate maggiori, sempre Giulietta; arrivarono la SS, la SZ, la Giulia; nella fascia più grande comparvero le 2000, berlina coupé e spider, e poi le edizioni con il 6 cilindri 2600; infine a ottobre 1962, a Torino sarebbe comparsa la TZ.
    La storia della 103 cominciò cosi: verso la fine di aprile 1954, al Salone di Torino dove erano stati presentati la Giulietta Sprint e il Romeo, l’ing. Hruska mi informò dell’intenzione della Finmeccanica di mettere in cantiere una microvettura. Disse proprio così, microvettura.
    Erano ancora caldi i precedenti studi di cui ho appena parlato; subito dissotterrata l’ascia di guerra, ripresero le esercitazioni intorno alle soluzioni più varie (forse sarebbe meglio dire più pazze).
    Già ai primi di dicembre un gruppo di big con a capo il dr. Luraghi e con dietro Quaroni, Cattaneo, Alloisio e Hruska venne a trovarci per prendere visione dei nostri studi; qualcuno (chi sarà stato?) ebbe il discutibile gusto di battezzare Pidocchio la futura vettura, forse perché ciascuno aveva in testa un’immagine diversa.
    A marzo 1955, la Fiat presentò la 600. Da allora, io presi a sostenere che la nostra vettura avrebbe dovuto essere qualcosa di più, e non di meno, della nuova Fiat, ma soltanto molti mesi più tardi, in una riunione da Quaroni con Hruska, Satta, Alloisio e Ponte di Pino, venne finalmente concesso, come tema, 110 km/h, meno di 600 kg, 620.000 lire.
    Il tempo passava; al principio del 1957, le idee cominciarono a coagularsi intorno a una soluzione di circa 900 cc, raffreddamento ad aria, trazione anteriore (naturalmente) e si cominciò addirittura con l’esaminare uno schema con 4 cilindri contrapposti.
    Ma l’interesse per il raffreddamento ad aria ebbe vita breve. Il 4 cilindri piatto, disposto come nell’Alfasud, diventava troppo lungo, oltre che per le alette di raffreddamento anche per la presenza della soffiante e si tornò a parlare di motore trasversale, raffreddato ad acqua, e, come stavolta era fatale, di due assi a camme in testa.
    I primi disegni, se così si può dire, seri, portano la data del gennaio 1958, e configurano già con una certa approssimazione, la vettura che è esposta al Museo.
    In febbraio 1958, l’ing. Hruska pose come termine invalicabile la fine dell’anno per la consegna di tutti i disegni; inizio della produzione indicativamente dopo le ferie del 1961.
    Ricordo che Satta, quanto a produzione, era molto scettico, poco convinto che i finanziamenti per le attrezzature fossero disponibili per tempo; considerando poi le difficoltà che già incontravamo per fare abbastanza Giuliette era, secondo lui, un’illusione la seconda metà del 1961 per la nuova vettura.
    Purtroppo, alla fine di marzo 1958 Hruska si dimise; mantenne ancora qualche contratto part-time con noi. Ma un’incrinatura nei programmi evidentemente non si sarebbe potuta evitare. In ottobre si seppe del programma di montaggio da noi della Dauphine, il che non poteva che far crescere il pessimismo di Satta.
    Hruska rientrò ai primi di marzo 1959 ma per rimanere meno di un anno. Negli stessi primi giorni di marzo, l’ing. Quaroni, riunitici in Direzione, si congedava da noi. Chi abbia conosciuto quest’uomo, sanguigno, irruente, ma capace di tanta amicizia, potrà forse comprendere l’emozione di vederlo salutarci con le lacrime agli occhi.
    Quaroni era un direttore capace di mettere una persona a terra con una critica fulminante, da farle rimpiangere di essere nata, salvo poi darle una mano per rialzarsi e farle capire che, dopo tutto, essere nato non era poi tanto male.
    Fra i miei ricordi meno malinconici rivedo spesso il quadro della cena a Neckarsulm, alla fine del 1957 con i pezzi grossi della NSU, che ci aveva invitati a veder girare il loro motore rotativo.
    Quaroni che racconta le sue terribili barzellette, adatte, come si dice oggi in televisione, a un pubblico adulto e Hruska che le traduce nella lingua di Goethe per gli ospiti; risultato, sghignazzate e urla da far crollare le mura e accorrere la polizia.
    Quaroni aveva introdotto una simpatica consuetudine, che i suoi successori non raccolsero: la vigilia di Natale percorreva a passo da bersagliere gli uffici tecnici e faceva gli auguri e stringeva la mano a tutti, da Satta alle donne delle pulizie, se c’erano anche loro. A noi era stato detto di non mollare con lo studio della trazione anteriore da 850 cc; non era necessario, nessuno di noi pensava a mollare.
    Ma ci mordemmo i pugni quando alla fine di agosto 1959 comparve su Automobil Revue la descrizione della Austin 850 a trazione anteriore con motore trasversale di Issigonis. Riandando ai nostri poveri studi del 1952 avremmo voluto prendercela con qualcuno, ma non sapevamo con chi.
    A ottobre, Hruska se ne andò per la seconda volta; lo avremmo rivisto soltanto nel 1967; ma i bei tempi della intensa, felice collaborazione per la Giulietta e per tanti altri studi erano finiti.
    Nel 1967, Hruska aveva dinanzi a sé la grande impresa dell’Alfasud: le idee su se e come fare la trazione anteriore si erano finalmente chiarite. Ma per Satta e per me ci sarebbe stata solamente la panchina. Comunque, tornando al 1959, la vettura malgrado tutto stava pian piano prendendo forma, come meccanica e come carrozzeria.
    Il nuovo amministratore delegato, dottor Mangano, aveva confermato una cilindrata sugli 850 cc; il nuovo progetto si chiamava ormai Progetto V, la gente non si grattava più in testa quando se ne parlava.
    Il motore parti con un alesaggio di 66 mm e corsa 65,5 mm, cioè 896 cc. Dopo vari studi, definimmo per le ruote anteriori una sospensione classica a quadrilateri; per far posto ai semiassi, il gruppo molla ad elica-ammortizzatore, coassiali, venne posto sopra la leva superiore. Posteriormente decidemmo, per tenere conto della grande variazione di carico fra vettura vuota e a carico massimo, di fare una sospensione regolabile in altezza.
    La sperimentazione e la valutazione costo/beneficio sarebbero poi state incaricate di dirci se per una vettura di quella fascia la regolazione di livello era o no opportuna.
    La cinematica posteriore non era molto banale, un braccio longitudinale e uno trasversale attraversante tutta la vettura, per ogni ruota; gruppo molla-ammortizzatore, coassiali, dietro ogni ruota. Regolabile era l’appoggio superiore della molla, mediante una coppia vite senza fine-ruota elicoidale; le viti erano comandate tramite alberini flessibili come quelli dei contachilometri, da un unico motorino elettrico posto nella bagagliera.
    Avremmo scoperto con un po’ di malinconia una sospensione posteriore analoga alla nostra, ma senza regolazione e con balestre invece che con molle ad elica, sulla Honda 1300 del 1968.
    Quanto alla regolazione con l’appoggio superiore della molla ad elica mobile lungo l’asse molla-ammortizzatore, ne avremmo visto un esempio sulla Rolls Royce Silver Shadow del 1965: su questa vettura lo spostamento dell’appoggio superiore era eseguito tramite un pistone idraulico utilizzando probabilmente l’olio in pressione del servosterzo.
    Non vorrei tediare quelli fra voi meno ghiotti di particolari tecnici, ma non si può tacere della testa in due pezzi, facilmente fondibili in conchiglia, del comando dei due alberi a camme con una sola riduzione per il quale era stato deciso di sperimentare sia la cinghia che la catena, dello speciale comando del ventilatore e dei giunti omocinetici. Questi due ultimi argomenti meritano qualche parola in piu.
    Non erano ancora disponibili i comodi ventilatori elettrici odierni; noi avevamo un alberino passante attraverso l’albero primario del cambio, collegato permanentemente da un lato all’albero motore e dall’altro a una puleggia che spuntava fuori dal cambio.
    Questa puleggia comandava il ventilatore, che aveva l’asse a 90°, mediante una sottile cinghia con parecchie piccole scanalature trapezoidali all’interno, quelle che già allora si chiamavano Poly-V, analoga a quella dei recenti motori Mercedes e della stessa 164. Per arrivare al ventilatore, la cinghia passava sopra due puleggie, una folle e l’altra comandante la dinamo, le quali davano alla cinghia stessa la deviazione di 90.
    Anche se sui motori esposti al Museo non figura, era previsto un innesto elettrico del ventilatore, azionato in funzione della temperatura dell’acqua, come si fa oggi. L’intero gruppo era stato da noi sviluppato con la Peugeot; io stesso feci parecchie puntate alla Casa francese nel 1960, per trattare l’argomento.
    La Peugeot presentò a Parigi nel 1965 la sua prima trazione anteriore con motore trasversale, la 204, con un sistema di questo genere per il comando del ventilatore. Il solo staccaventilatore elettrico, se non erro, era stato però applicato ai tipi 203 e 403 già nel 1955.
    Un punto importante è quello dei giunti omocinetici dei semiassi. Che dovessero essere tutti omocinetici era stato fissato in partenza. A quel tempo, non era ancora disponibile un giunto omocinetico a sfere del tipo Rzeppa o similare che fosse dotato anche di scorrimento assiale; cominciava invece a farsi notare il tripode della Glaenzer Spicer francese.
    Noi prevedemmo la sperimentazione di tutte e due le soluzioni; per il primo tipo dovemmo naturalmente provvedere noi a interporre uno scorrevole.
    Ammaestrati da precedenti esperienze (3000 CM) su semiassi per ponti posteriori, che ci avevano condotti ad usare dentature scorrevoli su grandi diametri per ridurre le spinte assiali sotto coppia, che disturbavano le sospensioni, realizzammo uno scorrevole con teste sferiche abbastanza distanti piuttosto costoso, sperando che fosse solo una soluzione provvisoria in attesa di uno Rzeppa scorrevole o di un tripode.
    Gli omocinetici scorrevoli hanno segnato una tappa importante, almeno per le vetture, sia per trazioni anteriori che posteriori.
    I freni, naturalmente, erano a disco gli anteriori, a tamburo i posteriori. Non vi sono altri particolari tecnici di cui valga la pena parlare, e sarà forse meglio andare alla conclusione, triste come al solito.
    Ai primi di gennaio 1962, quando il motore di quella che invece di Progetto V era ora contraddistinta dal numero 103 non aveva neppure dato il primo vagito, Satta mi disse che in Direzione c’erano dei ripensamenti, che la taglia della 103 era ritenuta troppo piccola, che si voleva una 1300, e che si era pronti a rinforzare la consistenza dell’ufficio tecnico per arrivare al più presto alla nuova 1300 a trazione anteriore.
    Il motore della 103 cominciò a girare il 28 febbraio del 1962, dando 49 CV. La vettura prese a muoversi 18 agosto; risultò pesare 720 Kg, faceva 139 km/h e il Km da fermo in 41,2 secondi. Io riuscii a guidarla in una breve uscita in settembre, e ricordo che aveva uno sterzo terribilmente duro. Aveva bisogno, poverina, di una bella messa a punto, ma la messa a punto non venne mai neppure iniziata.
    Arrivati qui con il racconto bisognerebbe schiacciare il tasto “Dissolvenza’, meglio ancora se “Pietosa dissolvenza”.
    Se può interessare, posso aggiungere che gli studi della nuova 1300 furono subito avviati, con quale entusiasmo si può ben immaginare, soprattutto se si tiene conto che non passò molto tempo e si cominciò a cianciare di motore piatto anteriore, di motore piatto posteriore, di una eventuale R8 con motore Alfa, per poi finire a riparlare di una 1300 convenzionale, anche se aggiornata ai tempi.
    Se i miei ricordi non mi tradiscono, ad abbozzare la forma della nuova vettura, la 10301, fu interessato per breve tempo anche Bertone. E poi tutto fini in nulla come era già accaduto molte, troppe volte.
    L’idea che la prossima volta il progetto di una trazione anteriore venisse affidato ad altri che non a noi ovviamente non poteva piacermi, anche se noi a quell’epoca eravamo immersi fino al collo nell’operazione Alfetta.
    Ma chi ne fu maggiormente amareggiato e non riuscì mai a mandare giù il boccone fu Satta. Al punto che, in piena produzione Alfasud ancora sperava, e si raccomandava a me perché non mollassi, che ci fosse tuttora spazio per una trazione anteriore “nostra”. Ma le ultime volte che questo accadde, eravamo nei primi mesi del 1974, non lo incontravo più in ufficio al Portello o ad Arese, ma in una stanza di ospedale.
    Io andavo spesso a trovare l’ing. Hruska al n 25 di viale Teodorico, dove aveva l’ufficio e dove lavoravano anche i suoi progettisti; non dovette faticare molto per convincermi che l’unico modo di uscire dal groviglio di idee poco chiare e dalle inevitabili complicazioni e modifiche ai programmi lungo un incredibile arco di tempo, legate anche agli avvicendamenti negli alti comandi milanesi e romani, era quello di partire, come era stato fatto, dalla carta bianca, poche persone a decidere (praticamente, il dr. Luraghi e lui) e di far presto. E fecero presto, e fecero, beati loro, quello che volevano.
    Chissà se qualcuno ricorda ancora, come me, la conferenza stampa che il dr. Luraghi tenne al Museo dell’Automobile di Torino ai primi di novembre 1971, presentando la vettura.
    Allora invidiai l’orgogliosa risposta di Luraghi a un giornalista, non ricordo più chi, che gli chiedeva perché mai un certo particolare, meccanica o carrozzeria dell’Alfasud, fosse stato fatto in quel modo; l’incauto si ebbe una risposta pressapoco di questo tenore: “Vede, quando noi abbiamo messo insieme questa macchina ci è parso che il particolare cui lei accenna andasse fatto così come lo può vedere; se un giorno capitasse anche a lei di dover fare un’automobile, veda di regolarsi come meglio crederà.”
    Mi capita ancora oggi di sorprendermi talvolta a ridacchiare fra me e me pensando a cosa sarebbe successo se quel giorno il dr. Luraghi avesse usato, per esprimere lo stesso concetto, i termini a dir poco maleducati, ma tanto pittoreschi, che a me e forse non a me soltanto, è capitato qualche volta di adoperare in casi analoghi. Certo è che il putiferio e il divertimento, anche se non per tutti, avrebbero sicuramente superato il livello della serata di Neckarsulm, di tanti anni prima.»



    Alfa Romeo Tipo 103
    1954-1962
    Motore 4 cilindri monoblocco
    cilidrata 896,35 cc
    Potenza 52 CV a 5.500 giri/min
    velocità 130 km/h
    prototipo di autovettura con trazione anteriore

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