Ciao, sono Massimiliano Gerardi.
Ho scritto un libro che si intitola MI PRENDO SUL SERIO e che verrà pubblicato (spero!!!) a settembre.
Qui sotto trovate un capitolo. Mi farebbe piacere ricevere commenti, riflessioni, pensieri e perchè no, anche insulti....
Un grazie di cuore a chi avrà la pazienza e l'interesse di leggere queste righe.
CIAO!!!!

Casa mia

Mi riesce difficile spiegare quanto sia incredibilmente stupendo vivere da solo.
Fin dai tempi dell’università ho sognato di avere una casa tutta per me ed era uno dei motivi che mi spingevano a studiare, a rincorrere la laurea con la speranza poi di trovare un lavoro che mi potesse dare le possibilità economiche per comprarla.
Ora è da quasi un anno che vivo in questo appartamento e mentre sono disteso sul divano, mi guardo attorno e penso: «Ma è tutto mio! ca**o il mio sogno si è avverato!» e quasi non me ne rendo conto, non me ne capacito.
Questo appartamento, ma preferisco chiamarlo casa perché suona più intimo, ha cambiato profondamente le mie abitudini e pure il modo di fare e di pensare, mi ha fatto maturare, mi ha dato più responsabilità, insomma mi ha fatto entrare in modo definitivo nel mondo dei “grandi”.
Tenere in ordine la casa, farsi da mangiare, lavare, stirare, pagare mutuo, bollette, andare a fare la spesa sono tutte cose nuove per me, cose che facevano mamma e papà. I grandi, appunto!
Ora è tutto in mano mia, tutto grava su di me, ho nuove responsabilità e impegni che mi hanno catapultato nel magico mondo degli adulti.
Mentre faccio i mestieri, lavo, stiro ecc…mi viene in mente la voce di mia mamma: «Guarda che poi non ci sarò più io a sistemare il casino che fai! E chi ti lava tutta quella roba che sporchi? Pensa solo alla borsa della palestra! E ce la fai con i soldi? Che non pensi poi di venire qui a chiedere aiuto!»
Mi stava mettendo in guardia sulle difficoltà alle quali stavo andando incontro.
Quando le ho detto che avevo comprato casa, c’è rimasta male poverina: «Ma perché te ne vai da solo? Ti manca qualcosa qui? Non mi sembra, hai tutto! Non muovi un dito qui dentro e ti trovi vestiti lavati, stirati e profumati nell’armadio, la camera sempre pulita, se hai fame basta che tu apra il frigo!»
Ha continuato a ripeterlo fino al giorno della mia partenza; io con in mano le ultime borse che sto caricando in macchina e i miei al mio fianco in un’atmosfera irreale: non c’erano suoni, rumori, era tutto ovattato. Sembrava di essere ad un funerale. Insieme, vicini nell’ultimo addio.
Me ne andavo da casa; lì rimanevano soltanto un paio di camicie orribili che non avrei mai più indossato.
Ma l’amore per la famiglia e vagonate di ricordi quelli sono dentro di me, quelli non li lascio da nessuna parte.
Sono salito in macchina, ho messo in moto e ho guardato i miei che si tenevano la mano e mi salutavano.
Sono sceso, ho abbbracciato mamma e papà e ho detto loro: «Grazie di tutto. Ma veramente di tutto.»
Sono risalito velocemente in macchina e sono partito: non volevo che mi vedessero piangere, ero un uomo adesso, un adulto che partiva verso la sua nuova casa, la sua nuova vita. Ecco il giorno del cambiamento, il giorno tanto atteso era arrivato e mentre partivo verso la maturità, verso quello che da anni desideravo, ero ben consapevole di lasciare non solo un sacco di comodità, ma un luogo colmo d’amore e due genitori che mi hanno sempre dato tutto, forse troppo e che quel giorno forse ho ferito. Ma era un colpo che si aspettavano e nel quale, per assurdo, speravano.
Comunque anche ora, quando vado a trovarli, la prima domanda che mi fanno è: «Ti manca qualcosa, ti servono soldi?»
Altro che: «Guarda di non venire a chiederci aiuto poi!»


27


Non c’è niente che solo si avvicini al piacere che provo nello stare in casa. Qui sono me stesso, con le mie abitudini vecchie e nuove, i miei cd, film e libri preferiti.
Stare a casa da solo mi piace troppo, faccio quello che voglio, ascolto la musica, ballo, leggo, mi metto le dita nel naso, guardo un film e rido, piango, mangio quando ho fame, vado in bagno senza chiudermi a chiave (anche se in certe occasioni dovrei proprio chiudere la porta…) e penso.
Nel film “Che ne sarà di noi” ad un certo punto un ragazzo appena diplomato chiede al suo compagno di scuola una cosa del tipo: «Tu, se fossi ministro dell’Istruzione, che materia nuova introdurresti?»
L’amico risponde: «Pensare.»
«Ecco pensare! Sei il più grande ministro dell’Istruzione di sempre! Quattro, cinque ore di “pensare” a settimana! Pensa a quante meno sceméttate farebbero i ragazzi se fossero aiutati a pensare!»
A me pensare piace, stimola. Non è solo pensare al passato. Non è pensare per ricordare. Mi piace pensare a chi sono, a cosa ho fatto per essere quello che sono e a come ci sono arrivato. Mi piace pensare a cosa voglio e a cosa mi prospetta il futuro. Mi piace pensare agli amici, alla famiglia, a luoghi che ho visto e a quelli che vorrei vedere.
Mi piace pensare alle scelte che ho fatto nella mia vita: sono state scelte o era destino che andasse così? Sono state giuste o sbagliate? Se fossi andato in quel posto anziché in quello, se non avessi conosciuto quella persona, se non fossi andato all’università… Poi mi accorgo che sono domande inutili: questa è la vita, bella perché non sai mai cosa ti riserva, cosa ci sia scritto nel tuo libro e tu puoi scegliere magari anche bene, ma ti occorre spesso anche una buona dose di culo.
Mi piace pensare a come migliorarmi, agli errori da non ripetere.
Mi piace però anche pensare al gelato alla vaniglia, al tiramisù, alla pizza, alla birra, ai sorrisi della gente, alle scopate, ai gol del Treviso, ai concerti dei Pulp, al Gran Canyon, al cielo, a chi non c’è più e a chi c’è ancora e mi sta vicino.
Non sono un maniaco della pulizia e a casa mia spesso vige l’anarchia. Boxer, calzini, asciugamani, vestiti, cd, libri, pentole, piatti, bicchieri…fanno quello che pare a loro, vanno dove vogliono, raramente dove io vorrei o meglio dove secondo me dovrebbero stare; me li trovo un po’ sul pavimento e io per dispetto li calpesto; spesso nel cassetto sbagliato, ma non li sposto, se sono lì magari è perché si trovano bene, stanno facendo nuove amicizie, visitando nuovi posti; sopra il bidè; sopra il tavolo da cucina, qui si dimostrano un po’ invadenti, ma li capisco, sono giovani esuberanti e non li disturbo; prendo il piatto in mano e mangio in piedi.
Sono anche un po’ geloso del rapporto che i miei boxer stanno instaurando con le pentole.
Che stia nascendo qualcosa?
Mi fa piacere, invece, vedere gli asciugamani sopra i libri; stanchi di dovermi asciugare, ogni tanto si rilassano anche loro con una buona lettura.
Non mi piace, però, vedere il lavello stracolmo di piatti da lavare. Mi capita di volermi fare il caffè e di scoprire che tutte le tazzine sono sporche. Allora comincio col lavarne una, metto su il caffè e ovviamente un bel cd (Coldplay, R.E.M, Placebo, De Gregori, Negramaro, Smith, Belle & Sebastian sono le mie preferite per il caffè), poi però riguardo il lavello e mi impongo il lavaggio totale. Dài Robi, lava tutto e poi ti gusti alla grande il caffè e la sigaretta!
E così inizio e più vedo il lavello svuotarsi più mi ripeto: «Ecco, vedi, basta poco, perché non puoi farlo ogni volta che finisci di mangiare?»
Sembra facile, ma solitamente mentre sto masticando l’ultimo boccone sono già disteso sul divano. O in doccia, anche se mia mamma continua a dirmi di non lavarmi subito dopo aver mangiato. O a prepararmi per uscire, pensando che laverò tutto dopo.
Dopo. Quante volte dico dopo, dopo, dopo? Troppe e spesso va a finire che passano giorni e la situazione peggiora. Ma sono fatto così! Non è soltanto per lavare i piatti. Troppe volte penso “dopo la chiamo, dopo vado lì, dopo faccio così…” e va a finire che non lo faccio mai. Tempo fa dovevo cambiare le ruote della macchina, ma era un continuo rinviare, finchè ho bucato.
Pigro!
Poi però se mi metto, se scatta la scintilla della voglia, parto come un razzo e non mi fermo finchè non ho sistemato tutto.
Inizio col lavare qualche piatto e finisco col far brillare la casa come si vede nelle pubblicità dei detersivi. Vado a cambiare l’olio alla macchina e mi trovo con l’aver fatto il tagliando, l’aver cambiato le gomme, l’aver lavato l’esterno e l’interno fino addirittura all’aver comprato l’arbre magic.
Quando ho voglia di fare le cose, finisce che esagero, ma quando non mi va, lascio andare nel caos.
Cose che non mancano mai a casa mia sono birra, sigarette, profilattici, lenzuola pulite e stirate, pizza surgelata, il mio kit di sopravvivenza. Quando arriva una visita femminile inaspettata come posso farmi trovare senza condom e lenzuola pulite? Magari sono avvinghiato con lei, impegnato nei preliminari (che adoro…) e poi sul più bello mi tocca fermarmi, scendere giù in farmacia, ritornare in casa e magari dirle: «Eccomi di nuovo qua, dove eravamo rimasti?»
No, no, no, si spezzerebbe l’incantesimo, si dissolverebbe la magia di quegli istanti. Per non parlare poi di farlo con una costretta ad usare la mano per tapparsi il naso perché non cambio le lenzuola da settimane!
La pizza surgelata è indispensabile per i giorni nei quali non ho voglia di fare niente, i miei giorni da ameba, figurarsi farmi da mangiare. Basta accendere il forno e aspettare. In quei giorni mi preparo tutto a portata di mano sul divano per non dovermi più alzare: telecomando del lettore dvd e dello stereo, un libro, patatine, birra, posacenere e sigarette e la pizza appunto.
Lo so che fumare fa male, ma non riesco a farne a meno. Ho provato decine di volte a smettere, ma il piacere della sigaretta dopo aver mangiato, dopo aver bevuto il caffè, dopo aver fatto l’amore, mentre penso, mentre ascolto un pezzo che mi ricorda momenti importanti, non ha prezzo.
E’ un vizio, ma come si fa a vivere senza vizi? Che vita è? E poi chi ha inventato la parola vizio? Chi ha definito vizi il fumare, il bere alcolici, il fare sesso? Si intendono vizi le cose di cui si potrebbe fare a meno? Beh, io non posso farne a meno, quindi vizi per me non lo sono e, anche se lo fossero, me ne frego perché mi fanno stare bene.
Insomma, mi è capitato più di una volta di trovarmi in quei very important moment e non avere sigarette in casa. Insopportabile l’idea di dover uscire per andare dal tabacchino, magari se sono in boxer, stanco, sprofondato sul divano o sul letto. Che nervoso! Poi sono proprio le volte in cui decido di smettere quelle in cui posso farne a meno e…mentre mi sto convincendo sto già facendo le scale.
Anche adesso, mentre sto scrivendo, guardo la mia casa e sento che le voglio bene. Mi accoglie come un figlio, mi protegge dai rompicitroni, mi coccola, si lascia fare di tutto e non chiede niente in cambio. Raramente la sento un po’ sbottare: quando l’entropia interna si aggira a livelli insostenibili.
E’ vero, in fondo ha ragione; sapete cosa faccio? Quasi quasi mi metto a sistemare un po’ in giro, anche se mi dispiace separare i boxer dalle pentole, proprio ora che stava nascendo una grande amicizia!
Insomma, sto talmente bene qui da solo che faccio fatica ad instaurare un rapporto serio con una donna. Magari mi frequento con qualcuna, ma appena la cosa si sta facendo seria, quando il legame comincia a farsi forte, importante, me la immagino girare per casa mia, mettere le sue cose nei miei armadi, nei miei cassetti, dover stabilire nuovamente regole, orari, dover condividere quello spazio e allora scappo, la lascio.
Ma questo è solo perché non ho ancora trovato la persona giusta, vero?
A dir la verità io con una donna ho convissuto.
Con Laura ho convissuto alcuni mesi. All’inizio ero un po’ in difficoltà. Non riuscivo ad abituarmi a condividere la casa con qualcuno dopo anni di vita da single. Ma lei non era qualcuno.
Ero felice che vivesse con me, ma nello stesso tempo mi sentivo, come dire, limitato.
Limitato in tante piccole sciocchezze, ma che per me erano delle conquiste: mangiare quando volevo, mettermi le dita nel naso, ruttare, ballare, cantare, fare i mestieri quando ne avevo voglia.
Erano cose che con lei in casa non mi sentivo più di fare. E provavo fastidio.
C’è voluto ben poco tempo perché capissi che potevo fare quello che volevo, anche se c’era lei.
Me lo aveva fatto capire lei. Lei era capace di rendere tutto semplice e naturale.
Io mi facevo tante paranoie, vivevo di accortezze. Vivevo forzato. Credo fosse naturale. All’inizio c’è sempre un po’ di imbarazzo, cerchi di capire lo stile di vita domestica di una persona, cerchi di capire le sue esigenze, le sue abitudini. Noi lo avevamo fatto insieme, parlandoci, chiarendoci, spiegandoci in modo molto disinvolto, chiaro, diretto.
Molte donne si ingarbugliano in pensieri complessi, complicati, si creano un sacco di problemi e non capiscono l’ovvio. Anche lei si ingarbugliava ogni tanto, ma capiva subito le cose ovvie. Soprattutto aveva capito subito che l’amavo per quello che era, senza trucchi o maschere.
Tutto era stato facile perché, come prima cosa, avevamo capito che se eravamo andati a vivere insieme il motivo era che ci amavamo. Amavamo tutto di noi. E allora perché limitarsi? In poco tempo io e Laura siamo entrati in sintonia casalinga. In poco tempo conoscevamo l’uno le abitudini dell’altro.
Così, non solo il nostro amore, ma anche le cose più semplici e banali, si sono incastrate alla perfezione.
Lei mi piaceva. Lei mi inondava di piacere.
Adoravo guardarla, ammirarla, osservarla mentre girava per casa.
Mi piaceva guardarla anche quando andava a fare la pipì; non chiudeva mai la porta e adoravo entrare in quel suo momento di intimità. La prima volta che l’avevo vista seduta sul bagno ero rimasto colpito. Mi sembrava assurdo, pazzesco. Quella era sempre stata casa mia, solo mia, e ora c’era una donna che girava liberamente per casa.
E mi ero emozionato per questo.
Io, comunque, la porta la chiudevo sempre. Qualche volta non centravo la tazza (anche ora qualche volta fallisco il bersaglio) e mi sarei vergognato se mi avesse visto in quelle occasioni…
Era tutto naturale, vivevamo insieme, ma ognuno era libero di comportarsi in modo naturale.
Ed era un gran vivere!
E’ ovvio che non potevo rovistare nel mio naso davanti a lei, ca**o, un po’ di rispetto me lo hanno insegnato!
Osservarla mentre cucinava mi eccitava.
Era una delle sue passioni. Mi piaceva vedere l’entusiasmo, il piacere che provava nell’inventarsi sempre qualcosa di nuovo; mi piaceva leggerle in faccia la curiosità di esplorare gusti, aromi sempre diversi e di scoprirli.
Purtroppo per lei io ero, e sono, tutt’altro che un buongustaio. Non mi piace quasi niente. Una sera stava preparando le orecchiette con salsiccia e broccoli.
Broccoli? Solo qualche minuto prima non mi piaceva nemmeno il nome. Poi, per darle una piccola soddisfazione, una gratificazione, le ho chiesto di farmele assaggiare e ho scoperto che mi piacevano. Da allora sto migliorando, e ho cominciato a mangiare un po’ tutto. I formaggi no. Quelli non li mangerò mai. Schifo.
Con lei mi stavo scoprendo. Grazie a lei scoprivo nuove cose di me, del mio carattere, dei miei gusti, dei miei interessi. E io impazzivo di piacere. Mi piaceva, anzi l’adoravo. Lei mi faceva vivere in un modo che non conoscevo.
Lei mi dispensava vita.
Ogni giorno lei alimentava in me curiosità.
Curiosità di vita.
Lei mi faceva stare bene e io cercavo in tutti i modi di ricambiare. Provavo piacere quando la rendevo felice, la facevo sorridere, ridere, emozionare, quando la stupivo.
Avevo sempre bisogno di sentirla vicino, toccarla, parlarle, e quando doveva stare fuori casa per lavoro ero sempre un po’ triste. Mi mancava. Era da tanto tempo che non mi mancava così tanto una donna.
Poi come era venuto, l’amore se ne è andato.
Un po’ alla volta è scemato.
Non chiedetemi come, perché, quando.
Io certe cose proprio non le capisco.
E’ da tanto che non sento più Laura.
Chissà cosa sta facendo!
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...una favola ha una fine, ma lieta o meno che sia, non si può fare a meno d'amarla e continuare a riviverla sempre in fondo al proprio animo...