da http://www.linus.net/hdoc/articoli/articolo.asp
di Marco Travaglio
è un po lungo ma divertente non dice niente di nuovo ma mi fa piacere portarlo comunque alla vostra attenzione...
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"Ho chiesto il ministero della Difesa, e non transigo", tuonò Clemente Mastella da Ceppaloni (Benevento) nei giorni caldi della formazione del governo Prodi. "Altrimenti si beccano l’appoggio esterno". Infatti divenne ministro della Giustizia, mantenne l’appoggio interno e diede la colpa ad Andreotti: "Volevo la Difesa, ma Giulio mi ha convinto ad accettare la Giustizia". Ecco, per uno che si rivolge a un tizio che s’è salvato dalla condanna per mafia solo grazie alla prescrizione, c’è da aspettarsi di tutto. A Mastella, comunque, dev’essere venuto da ridere: Mastella alla Giustizia pareva un ossimoro persino a lui. Un po’ come l’estate di un anno fa, quando rilasciò al Corriere un’intervista sulla "questione morale" del caso Unipol, e subito dopo commentò: "Tutto mi sarei aspettato, fuorché di dover sollevare, proprio io, la questione morale". Il suo pulpito pareva un po’ eccessivo persino a lui. Poi però ci ha preso gusto, e appena Guido Rossi - un pericoloso incensurato - è divenuto presidente della Telecom, l’ha subito invitato alle dimissioni da commissario della Federcalcio. Per "risolvere il suo conflitto d’interessi", in nome della "questione morale".
Negli stessi giorni, il presunto Guardasigilli raccomandava all’Unione di non far nulla sul conflitto d’interessi di Berlusconi ("mi propongo come forza di interposizione fra la maggioranza e Mediaset": una sorta di scudo umano a protezione del Cavaliere e della sua bottega), contro il quale non s’era mai sognato di sollevare alcuna questione morale. Diciamo che la sua morale è come le luci al neon di Ceppaloni listata a festa per il trentennale di carriera parlamentare del suo primo cittadino: va a intermittenza.
Nato il 5 febbraio 1947 a San Giovanni di Ceppaloni, sposato con Sandra Lonardo, padre di un figlio maschio, Pellegrino, laurea in filosofia, primo impiego giornalista alla Rai di Napoli su raccomandazione di Ciriaco De Mita nonostante un eloquio decisamente lontano dalla lingua italiana, deputato dal 1976, Mastella nasce politicamente nella sinistra Dc, al seguito dell’uomo di Nusco, di cui è portavoce e responsabile per i rapporti con l’informazione. Poi, nel ’94, si butta a destra, col Ccd di Pierferdinando Casini, che lascia il Ppi di Mino Martinazzoli per allearsi con Berlusconi, Fini e Bossi. Diventa ministro del Lavoro, ma il governo di Silvio I dura solo sette mesi. Poi qualche anno di opposizione, fino alla caduta di Prodi, ottobre ’98: dal Polo si stacca una pattuglia di "straccioni", così li chiama il loro condottiero Francesco Cossiga: è l’Udr, con cui s’intruppano tanto Mastella quanto Buttiglione, per rimpiazzare Rifondazione e sostenere il governo D’Alema. Poi Cossiga litiga con Cossiga e se ne va, mentre Mastella resta, con l’Udeur, nel centrosinistra. La prova più dura è il quinquennio 2001-2006: cinque anni all’opposizione, un altro ossimoro, per un uomo abituato a stare sempre dalla parte del potere. Ma resiste, e intanto ne approfitta per imbarcare l’amico Paolo Cirino Pomicino e per piazzare la moglie Sandra sulla poltrona di presidente del consiglio regionale della Campania: prima fa la guerra al governatore Bassolino, poi, quando la sua signora ottiene l’ambito cadreghino, la resistenza mastelliana si trasforma in entusiastico sostegno. Il figlio Pellegrino, intanto, si fa le ossa come procuratore di calciatori, e secondo alcuni è piuttosto vicino alla Gea di Moggi jr. Del resto, Clemente è amicone di Moggi senior, il leggendario Lucianone, conosciuto e molto apprezzato quando il re del calcio era general manager del Napoli e Mastella vicepresidente della società. Pomicino, Moggi, Berlusconi: il futuro ministro della Giustizia non s’è fatto mancare nulla, nella vita. Nella scelta degli amici e dei compagni di strada, è decisamente di bocca buona e di stomaco forte. In Sicilia, per dire, va d’amore e d’accordo con Totò Cuffaro per diversi anni. Finché Vasa Vasa, sul finire degli anni 90, molla l’Udeur per andare con Berlusconi, portandogli in dote un bel po’ di voti mafiosi, e diventare governatore dell’isola. Il divorzio di Clemente e Totò provoca una crisi di coscienza nel presidente dei giovani dell’Udeur, un certo Francesco Campanella che s’è fatto le ossa negli scout e poi nei pulcini della Dc. Alla fine Campanella resta fedele a Mastella e diventa presidente del consiglio comunale di Villabate, alle porte di Palermo. Qui verrà arrestato nel 2003, quando si scoprirà che è stato lui a fornire al superboss latitante Bernardo Provenzano i documenti falsi per la trasferta ospedaliera a Marsiglia per un’operazione alla prostata. Ora Campanella, mafioso pentito, collabora con la giustizia, e racconta ai giudici gli anni belli al seguito di Totò e Clemente. Un racconto, il suo, che dovrebbe imbarazzare almeno un po’ il leader dell’Udeur e i suoi alleati, che della lotta alla mafia (almeno a parole) han sempre fatto un punto d’onore. Invece niente, nessun imbarazzo. Nel bel mezzo delle confessioni di Campanella al processo Cuffaro, nonché nel pieno dello scandalo di Calciopoli che ha l’epicentro proprio in Moggi Luciano da Monticiano, Mastella viene scelto dal governo Prodi come ministro della Giustizia. Buon gusto vorrebbe che lui tacesse su Calciopoli, visto che è amicone non solo di Moggi, ma pure di un altro protagonista dello scandalo: Diego Della Valle. Da una telefonata intercettata, si sente il suo portavoce che parla con Lucianone per concordare un’interrogazione parlamentare che il futuro ministro dovrà presentare contro il presidente del Pescara, che ha osato attaccare l’ex direttore sportivo della Juventus. Moggi detta, e l’uomo di Clemente prende nota. Ma il neoministro, a tacere, non ci pensa proprio. Anzi, comincia subito ad attaccare Guido Rossi, chiamato a moralizzare la cloaca pallonara, e a difendere Luciano e Diego, invocando amnistie, colpi di spugna e indulgenze plenarie per i colpevoli. Intanto, grazie al pm di Potenza Henry John Woodcock, si scoperchia il pentolone di casa Savoia, di casa Fini e di casa Rai. La cosiddetta "Vallettopoli". Mastella viene fuori anche lì. Niente di penalmente rilevante, ci mancherebbe. Ma la soubrette Cannelle racconta di quando Cristiano Malgioglio, nel 1988, dopo uno spettacolo a Benevento, la portò a cena a casa Mastella e le raccomandò di "far cadere una spallina" del suo succinto abitino "fra una portata e l’altra". La ragazza evitò, anche perché Mastella era con la moglie. Del resto, è più facile dire chi non è entrato almeno una volta nell’ospitale villa mastelliana in quel di Ceppaloni, impreziosita da una graziosa piscina a forma di cozza (secondo i maligni), o di conchiglia (secondo gli amici). Nemmeno l’inchiesta di Potenza, comunque, piace al ministro della Giustizia, che anche stavolta non si morde la lingua, anzi la usa a profusione, per denunciare l’uso delle intercettazioni e parlare addirittura di un "grande fratello" (nel senso di Orwell, non del reality). Poi sguinzaglia gli ispettori ministeriali contro il pm e il gip che hanno osato arrestare il cosiddetto principe Vittorio Emanuele e il portavoce di Fini, Salvo Sottile. Il malvezzo di perseguitare con ispezioni i magistrati scomodi si ripete poche settimane dopo, quando Mastella concede il bis contro il giudice di Cosenza che ha osato arrestare il capogruppo diessino Franco Pacenza fra le proteste e i sit-in dei deputati dell’Unione eletti in tutta la Calabria. Non a caso, il suo primo atto da Guardasigilli è stato una visita a Rebibbia, a braccetto con Andreotti, per un discorso applauditissimo che si concludeva con questa programmatica dichiarazione: "Io sarò un ministro della Giustizia molto più dalla parte dei carcerati che dei magistrati". E, va riconosciuto onestamente, almeno questa promessa è stata scrupolosamente rispettata.
Resta da capire che cosa sia cambiato da quando, in via Arenula, non siede più Castelli ma Mastella, a parte il cambio della consonante iniziale e della vocale finale. Pochino, si direbbe, almeno a giudicare dai primi mesi di governo. Le leggi vergogna che - secondo le promesse elettorali dell’Unione - avrebbero dovuto esser cancellate con un tratto di penna restano tutte in vigore: dal falso in bilancio alla Cirami, dall’ex Cirielli alla Pecorella, sono tutte in piedi, e la Castelli sull’ordinamento giudiziario, che lorsignori si erano impegnati a bloccare con un decreto urgente, è stata lasciata entrare in vigore nella sua prima parte a metà luglio, fra le proteste dei magistrati. In compenso, il cosiddetto ministro della Giustizia s’è dato un gran daffare per patrocinare, a tempo di record, il più vasto indulto della storia repubblicana, quello di 3 anni su tutti i reati (salvo mafia, molestie, razzismo e terrorismo) commessi fino al maggio 2006: compresi l’omicidio, il voto di scambio politico-mafioso, le morti bianche sul lavoro, le malattie professionali, e tutti i delitti di Tangentopoli, quelli fiscali e quelli finanziari che, con l’esigenza di svuotare le carceri, c’entrano come i cavoli a merenda, ma con quella di evitare la galera a Previti, ai furbetti del quartierino, agli imbroglioni di Calciopoli e ai riciclati delle vecchie e delle nuove Tangentopoli c’entrano moltissimo. Peccato che il 90 per cento dei cittadini italiani fosse decisamente contrario a questo indulto, anche perché nel programma dell’Unione non ce n’era traccia. Esattamente come non c’era traccia della legge Mastella sulle (anzi, contro) le intercettazioni, per limitarne l’uso da parte dei magistrati e impedirne la pubblicazione da parte dei giornali. In compenso, una legge ammazzaintercettazioni era in cima ai programmi di Berlusconi, che ci aveva già provato un anno fa, peraltro senza esito. Ecco: ci pensa Mastella a completare l’opera lasciata a metà dal Cavaliere.
Chissà se c’è un legame fra i suoi sforzi infaticabili per perpetuare il berlusconismo anche dopo Berlusconi e la strepitosa copertura mediatica che tutte le tv, dalla Rai ancora berlusconiana a Mediaset eternamente berlusconiana, hanno riservato alla Festa dell’Udeur (1 per cento di voti) nella località diuretica di Telese Terme, con grandi aperture di telegiornali e approfondimenti speciali come se si trattasse di una nuova Woodstock. Quel che è certo è che i telespettatori sanno molto più di Telese Terme che di Francesco Campanella, mentre non sanno proprio nulla della Bmw "serie 7" blindata da 270 mila euro, con speciali protezioni antirazzo, che il ministro s’è fatto attrezzare. Per proteggersi da chi, non è ben chiaro. Forse, ha insinuato qualcuno, dalle vittime dei delinquenti liberati dall’indulto.