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Risultati da 1 a 7 di 7
  1. #1

    Predefinito Commercio equo solidale

    Copio paro paro uno dei tanti articoli spuntati a compendio dell'inchiesta settimanale dell'Economist.

    Edit, visto che quello postato non è stato gredito, ne posto due che fanno lo stesso identico riassunto dell'articolo del'economist, ma che evitano di perdersi in eclatanti sarcastici commenti di parte.

    Rassegna stampa dell'Istituto Leoni pubblica dal Foglio:
    http://www.brunoleoni.it/nextpage.as...ice=0000001814

    Greenplanet pubblica dal Giornale:
    http://www.greenplanet.net/Articolo18087.html

    Qui sotto l'"originale".
    Spoiler:

    di Fausto Carioti-Capita sempre più raramente, ma quando capita è molto bello. The Economist, settimanale che qualche anno fa si poteva definire più o meno "conservative", e che ora non saprei proprio come chiamare, per una volta prova a ricordarci il grande magazine che era e dedica una copertina (nell'edizione europea), un editoriale e una signora inchiesta a una delle più grandi illusioni del marketing contemporaneo: quella del cibo socialmente, ecologicamente ed eticamente responsabile.
    Non servono presentazioni, lo abbiamo presente tutti. Lo troviamo negli scaffali della Coop, in quelli di molti altri supermercati e - ormai - anche nella bottega sotto casa. Promette meraviglie: paghi un po' di più, ma in cambio dei tuoi soldi ti viene promesso: a) un cibo di qualità migliore, più saporito e più sano; b) un pianeta più bello, più pulito e più giusto; c) un contadino, da qualche parte del mondo, in un casolare accanto al raccordo anulare o in una fazenda del Mato Grosso, che la sera, invece di andare a svaligiare negozi per far quadrare i conti, ricorda proprio te, consumatore occidentale responsabile, nelle sue preghiere. Difficile dire no a un'offerta simile. Se poi sei di sinistra, ecologista e terzomondista e gli unici libri che hai letto sono quelli di Naomi Klein e Jeremy Rifkin, rifiutare è impossibile.
    Solo che è un'illusione. O, se si preferisce, è marketing. Per i consumatori, per l'ambiente e per i contadini il commercio degli alimenti organici e dei prodotti equi e solidali (che sono due cose distinte, ma non di rado gli stessi prodotti sono l'una e l'altra cosa) è un enorme gioco la cui somma è assai più spesso negativa che positiva. I motivi, alcuni dei quali già noti, li mette in fila l'Economist, uno dopo l'altro.
    Primo. Il cibo organico, cresciuto senza pesticidi e fertilizzanti chimici, che ogni anno movimenta un giro d'affari da 30 miliardi di dollari, è ritenuto più "environmentally friendly" del cibo coltivato con metodi tradizionali. Ma non è vero. In seguito alla "rivoluzione verde", ovvero all'introduzione nelle coltivazioni di prodotti sintetizzati dall'uomo (qui raccontata dallo scienziato che l'ha resa possibile, Norman E. Borlaug), si è triplicata, dal 1950 al 2000, la produzione mondiale di cereali, a fronte di un aumento delle aree coltivate pari appena al 10%. Se per ottenere la stessa quantità di cibo si fossero usati i metodi precedenti alla "rivoluzione verde", ovvero, in sostanza, i metodi dell'agricoltura organica, come la rotazione delle colture, l'area coltivata avrebbe dovuto essere triplicata rispetto ad allora. E siccome le aree ad uso agricolo sono sottratte agli alberi, delle foreste pluviali tanto care al Wwf e a Greenpeace oggi sarebbe rimasto ben poco. Inoltre questa minore resa delle coltivazioni organiche fa sì che, anche se l'energia necessaria a una piantagione convenzionale è superiore, in termini di quantità di energia usata per cibo prodotto il metodo "organico" di coltivazione si rivela più dispendioso, e quindi meno ecologico. L'inchiesta dell'Economist non ne parla, ma nel conto presto bisognerà mettere pure gli effetti della nuova rivoluzione verde che bussa alle porte, quella del cibo geneticamente modificato. E che promette di consentire rese produttive ben più alte di quelle attuali, valori nutrizionali più elevati e di garantire alle piante una forte resistenza ai virus e ai parassiti senza l'uso di prodotti chimici.
    Secondo. Non vi è alcuna prova scientifica che il cibo coltivato con i metodi convenzionali sia in qualsivoglia modo dannoso per la salute, o che il cibo prodotto con metodi organici abbia proprietà nutrizionali più elevate. E' cosa nota, ma repetita juvant.
    Terzo. Il commercio equo e solidale, in sostanza, prevede per i produttori un premio per il loro prodotto, sotto forma di un prezzo più elevato rispetto a quello di mercato, ritenuto troppo basso. Il problema è che se il prezzo di un bene (ad esempio del caffè) è basso, è perché vi è una sovrapproduzione di quel prodotto, o quantomeno di una data qualità di esso. Efficienza vorrebbe che il coltivatore cambiasse coltivazione e si dedicasse a qualcosa di più remunerativo, o che si dedicasse a un miglioramento della qualità e delle varietà delle sue coltivazioni. Ma l'extra-prezzo pagato da chi acquista i prodotti equi e solidali rappresenta un incentivo ad andare avanti nell'errore. I prezzi così restano bassi, e chi ci rimette sono soprattutto i coltivatori estranei al giro del commercio equo e solidale, che vedono i prezzi dei loro prodotti schiacciati ulteriormente dalla sovrapproduzione finanziata con i soldi del consumatore occidentale convinto di migliorare le sorti del sud del mondo.
    Quarto. Argomento che anche uno di sinistra dovrebbe essere in grado di apprezzare al volo: solo il 10% dell'extra-prezzo pagato dal consumatore per il cibo equo e solidale arriva al coltivatore. Il resto finisce quasi tutto nelle tasche del venditore al dettaglio, convinto - a buona ragione - che di solito il consumatore interessato ad acquistare questi prodotti abbia una elasticità rispetto al prezzo piuttosto bassa. Cioè che sia disposto comunque a pagare un bel sovrapprezzo per mettere in dispensa un prodotto il cui appeal principale è ideologico, non alimentare o economico.
    Quinto. L'ultima smania del cibo "ecologicamente sostenibile" è il cibo locale, cioè prodotto, commercializzato e acquistato a due passi dalla casa del consumatore. Ovviamente è l'ennesima riproposizione, in salsa ecologista, delle vecchie tesi protezioniste. Le motivazioni ecologiche risiedono nel tentativo di minimizzare l'energia usata per portare il cibo sulla tavola del consumatore finale. Ma se l'obiettivo è usare meno energia possibile, il modo più efficiente consiste nel commercializzarlo nei grandi supermercati e ipermercati, assai più vicini alla case dei consumatori di quanto non lo siano le aziende agricole che producono gli stessi prodotti. E sono proprio le automobili dei consumatori finali quelle che rendono elevato il consumo di energia. Il ragionamento è intuitivo: è più efficiente far trasportare una tonnellata di cibo da un solo grande veicolo che far trasportare mille chili di esso in altrettante automobili. Domanda: c'è qualcuno a sinistra disposto ad ammettere che la grande distribuzione è il metodo di vendita più ecologico, e quindi migliore per il pianeta? Non solo. Se si mette nel conto anche l'energia usata nel processo produttivo in sé, cioè prima del trasporto del cibo, saltano fuori sorprese interessanti. Ad esempio che sarebbe più ecologico che la Gran Bretagna acquistasse ovini e latticini in Nuova Zelanda piuttosto che produrli sul proprio territorio: l'energia usata per l'allevamento degli animali in Inghilterra, infatti, è talmente tanta che - da un punto di vista di consumo di energia e di emissione di gas serra, per chi crede che esista davvero una cosa chiamata "effetto serra" - il trasporto da posti in cui tale consumo è minimo, anche se lontanissimi, è una soluzione più conveniente.
    Così, appena si abbandona l'ebbrezza dei facili luoghi comuni ecologisti e terzomondisti, e si vanno a fare due conti in modo intelligente, si scopre che la divisione del lavoro magnificata da Adam Smith e la globalizzazione garantiscono efficienza non solo da un punto di vista economico, ma anche da quello ambientale. Niente di cui essere stupiti. Almeno da queste parti.

    da:http://aconservativemind.blogspot.com/
    Ultima modifica di Dio salvi il re; 12-12-06 alle 11:57:28

  2. #2
    Banned L'avatar di Charles Manson
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    Predefinito Re: Commercio equo solidale

    così a naso mi pare na ******ata.
    avrà senz'altro qualche base di verità ma alcuni ragionamenti mi sembrano poco fondati, inoltre i continui riferimenti al sinistroide che dovrebbe cambiare le sue abitudini fanno capire al volo che l'articolo è scritto da uno che si fa le seghe cercando di demolire le convinzioni ecologiche dei radical chic.

    Quanto al resto, personalmente non ho mai abusato del commercio equo e solidale, mi sembra una goccia nel mare e non ho sicuramente il tempo ne la voglia per farmi 10 km e pagare il doppio una scatola di caffè.

  3. #3
    Lo Zio L'avatar di michy79
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    Predefinito Re: Commercio equo solidale

    Il post è molto lungo, mentre vorrei rispondere brevemente, su questi tre argomenti.
    1. L'articolo è pieno di forzature per collegare i "sinistroidi" al Commercio equo Solidale. Forzatura per altro non necessaria.
    2. Il Commercio Equo e Solidale non si fa garante di cibo più sano, ma solo di prodotti ottenuti con criteri meno intensive di quelli tradizionali, cioè biologici. L'affidarsi ad essi è un "atto di fede", non è qualcosa di più sano da un punto di vista medico.
    3. L'interpretazione economica è povera, perché non tiene conto dei due lati del mercato: domanda ed offerta. Infatti il prezzo maggiorato non serve a tutelare beni in eccesso di domanda, ma prodotti il cui prezzo è depresso da un eccesso di offerta (in parte).

    Michele

  4. #4
    Lo Zio L'avatar di nofaxe
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    Predefinito Re: Commercio equo solidale

    Nel mio piccolo mi permetto di fare alcune osservazioni.
    1)E' vero produrre con pesticidi e concimi chimici aumenta sicuramente la resa di una superfice. Ma l'articolo non cita dove vanno a finiere questi concimi, nelle acqua a soffocare fiumi e laghi. Ora, se in italia questa cosa è relativamente controllata non lo è certo nel terzo mondo, nessuno andrà dalla kimbo a dirgli di fare un piano di trattamento delle acque prima di collegare i canali con un corso d'acqua. In più c'è da dire che le aree ad uso agricolo ormai non sono certo le sole che sottraggono terreno alle forste, molto di più ne sottraggono aree per il pascolo del bestiame o produzione di legname. Per collegarmi al due, nessuno dice questo, però se ci aggiungiamo anche il "post trattamento" sì, e per quello intendo prendere un frutto ancora acerbo per poi farlo maturare dopo (e questo va a collegarsi con un punto più avanti) o vogliamo negare (e ci sono ricerche che lo confermano) che la frutta è sempre meno saporita?
    3) Il commercio equo e solidale è fuori dal mercato. Dubito che a qualcuno dispiaccia se la kimbo se vede la sua produzione schiacciata ulteriormente. E comunque non tutti i prodotti sono a prezzi superiori.
    4) Sarà così
    5) Si è partiti da criticare i prodotti equi e solidali della coop e grandi magazzini per arrivare a questo punto e supporre che chi acquista equo e solidalecritichi il sistema della grande distribuzione.
    A me sto' punto sembra una cavolata. Ci sono prodotti locali che vendono anche nei grandi magazzini e nei negozi, e per la frutta e la verdura questo è sicuramente meglio, visto che possono essere colti quando sono maturi e non settimane prima. Se quello che dici sugli ovini è vero e la nuova zelanda rispetta gli stessi criteri sanitari inglesi non vedo perchè no. Certo però questo toglie posti di lavoro e ricchezza economica all'inghilterra.
    Infine il tuo commento sulla globalizzazzione, i morti di fame e malattie (insomma i poveri) nel mondo sono in aumento, e questa tendenza non sembra destinata a cambiare nonostante le belle parole sprecate all'onu da i paesi ricchi
    Ultima modifica di nofaxe; 12-12-06 alle 11:58:40

  5. #5

    Predefinito Re: Commercio equo solidale

    Citazione Originariamente Scritto da Charles Manson Visualizza Messaggio
    così a naso mi pare na ******ata.
    avrà senz'altro qualche base di verità ma alcuni ragionamenti mi sembrano poco fondati, inoltre i continui riferimenti al sinistroide che dovrebbe cambiare le sue abitudini fanno capire al volo che l'articolo è scritto da uno che si fa le seghe cercando di demolire le convinzioni ecologiche dei radical chic.

    Quanto al resto, personalmente non ho mai abusato del commercio equo e solidale, mi sembra una goccia nel mare e non ho sicuramente il tempo ne la voglia per farmi 10 km e pagare il doppio una scatola di caffè.

    Purtroppo esistono amministrazioni locali che spendono non poche cifre in queste boiate del commercio equo solidale, come l'istallazione delle macchinette di prodotti equosolidali o i gemellatti tra cooperative sudamericane e assessori al commercio. E non sono in quota a Forza Italia.

  6. #6
    Banned L'avatar di Charles Manson
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    Predefinito Re: Commercio equo solidale

    Citazione Originariamente Scritto da Dio salvi il re Visualizza Messaggio
    Purtroppo esistono amministrazioni locali che spendono non poche cifre in queste boiate del commercio equo solidale, come l'istallazione delle macchinette di prodotti equosolidali o i gemellatti tra cooperative sudamericane e assessori al commercio. E non sono in quota a Forza Italia.
    all'orizzonte una nuova crisi economica dovuta alle macchinette equosolidali.

  7. #7
    Shogun Assoluto L'avatar di skywolf
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    Predefinito Re: Commercio equo solidale

    Citazione Originariamente Scritto da michy79 Visualizza Messaggio
    Il post è molto lungo, mentre vorrei rispondere brevemente, su questi tre argomenti.
    1. L'articolo è pieno di forzature per collegare i "sinistroidi" al Commercio equo Solidale. Forzatura per altro non necessaria.
    2. Il Commercio Equo e Solidale non si fa garante di cibo più sano, ma solo di prodotti ottenuti con criteri meno intensive di quelli tradizionali, cioè biologici. L'affidarsi ad essi è un "atto di fede", non è qualcosa di più sano da un punto di vista medico.
    3. L'interpretazione economica è povera, perché non tiene conto dei due lati del mercato: domanda ed offerta. Infatti il prezzo maggiorato non serve a tutelare beni in eccesso di domanda, ma prodotti il cui prezzo è depresso da un eccesso di offerta (in parte).
    Michele
    sull'ultimo punto vorrei osservare che, fermo restando che l'interpretazione economica e' effettivamente povera, quello che dici tu ("Infatti il prezzo maggiorato non serve a tutelare beni in eccesso di domanda, ma prodotti il cui prezzo è depresso da un eccesso di offerta (in parte)") mi pare esattamente quello che dice l'articolo.

    che ripropone tesi risapute, peraltro.

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