Mi riallaccio apertamente al vetusto topic “E’ possibile il pensiero metafisico?”: quanto segue si riferisce al discorso parzialmente aperto e toccato di striscio, mai pienamente, sul linguaggio.
Spesso, e con grandi vantaggi, usiamo espressioni quali “la mancanza di puntualità è riprovevole” e “la virtù è premio a se stessa”. E a prima vista si direbbe che queste siano dello stesso tenore di “Jones merita rimproveri” e “Smith si è concesso un premio”. Perciò i filosofi, assumendo che quel che s’intende con espressioni quali le prime è esattamente analogo a quel che s’intende con espressioni quali le ultime, hanno accettato la conseguenza che il mondo contiene quanto meno due tipi d’oggetti, e cioè particolari come Jones e Smith, e “universali” come la Mancanza di puntualità e la Virtù. Ma emergono subito delle assurdità. E’ chiaramente sciocco parlare di un universale che merita rimprovero. Non si può lodare o rimproverare un “universale” più di quanto si possa fare un buco sull’equatore.
Né dicendo “la mancanza di puntualità è riprovevole”, insinuiamo che la mancanza di puntualità dovrebbe vergognarsi di sé.
Quel che intendiamo è quel che è significato pure, ma espresso meglio da “Chiunque non è puntuale merita che gli altri lo rimproverino per la sua mancanza di puntualità”. Infatti sono le persone non puntuali, e non la mancanza di puntualità, che possono e dovrebbero essere rimproverate, visto che sono loro, e non quest’ultima, ad essere agenti morali. Ora nella nuova espressione “Chiunque non è puntuale merita rimprovero” i termini “mancanza di puntualità” sono scomparsi a favore dell’espressione predicativa “…non è puntuale”. Cosicché mentre nell’espressione originale, “mancanza di puntualità” sembrava denotare il soggetto, del quale si asseriva un attributo, ora risulta significare il possesso di un attributo. Ed effettivamente stiamo dicendo che chiunque possiede quell’attributo possiede l’altro. […]
La mia tesi è che è possibile analizzare in modo analogo tutte le asserzioni che sembrano essere “relative ad universali”, e che di conseguenza le parole generali non sono in realtà mai nomi di soggetti d’attributi. Perciò gli “universali” non sono soggetti nel modo in cui lo è il monte Everest, e perciò l’antico problema di che genere di oggetti essi siano p un problema fasullo. Infatti i nomi generali, aggettivi, ecc., non sono nomi propri, e non possiamo perciò parlare degli “oggetti” chiamati “uguaglianza”, “giustizia”, e “progresso”.
Le affermazioni platoniche ed anti-platoniche, quali “la eguaglianza è, o non è, un ente reale”, sono, di conseguenza, parimenti fuorvianti, e fuorvianti in due modi contemporaneamente; esse infatti sono asserzioni insieme quasi ontologiche e quasi platoniche.
(G.Ryle, Espressioni sistematicamente fuorvianti)
Per meglio comprendere uno dei leit-motiv della filosofia a cui faccio riferimento...
I metafisici non sono che dei musicisti senza capacità musicale. In compenso, possiedono una forte inclinazione a lavorare con strumenti teorici, combinando concetti e pensieri. Ma ecco che, in luogo di concretare questa inclinazione nell’ambito della scienza, da una parte, e di soddisfare separatamente il bisogno espressivo dell’arte, dall’altra, il metafisico confonde le due cose e crea un miscuglio che risulta tanto inefficiente per la conoscenza, quanto inadeguato per il sentimento.
(R.Carnap, Il superamento della metafisica mediante l’analisi logica del linguaggio)
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Alla base dei problemi della metafisica stanno dei fraintendimenti linguistici?