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  1. #1
    Emack
    ospite

    Predefinito [ARS] Backup 09/09/2006 <-- il ritorno di ABS inside!!

    Come ben sapete, tra pochi giorni i thread con post più vecchi di tre mesi subiranno la cancellazione.
    Utilizzerò dunque questo topic come una sorta di raccoglitore di documenti e di interventi che hanno generato poche reply ma che sono di sicuro interesse per consultazioni future.

    EDIT: ecco fatto... spero di aver limitato i danni dell'apocaFUD, attraverso questo topic e i vari up.

  2. #2
    Emack
    ospite

    Predefinito Re: Backup 09/09/2006

    dal topic "Save Our Souls", datato 22 maggio 2004
    the_lamb ha scritto sab, 22 maggio 2004 alle 12:42
    Da sempre (e aggiungerei, in quanto pippone calmoroso) trovo che il sistema di salvataggi sia una componente fondamentale del gameplay. Faccio un esempio.

    Possiedo i primi due Oddworld per Playstation, il secondo dei quali comprato un mesetto fa e iniziato da poco. Ebbene, all'epoca trovai il primo episodio molto intrigante per gameplay e originalità di soluzioni, ma allo stesso tempo il sistema dei salvataggi (automatico in punti prestabiliti) rendeva il tutto indicibilmente frustrante - anche perché, chi l'ha provato lo sa, era un gioco che concedeva pochissimi errori.
    Ebbene, il secondo è più difficile fin da subito, dà bacchettate ancora più sonore alla minima imprecisione. Ma la possibilità di salvare in qualsiasi punto, di fare un quicksave nella RAM e di suddividere il gioco in microsezioni che si possono ricominciare a piacimento (nel caso un Mudokon muoia), ha fatto sì che mi prendesse molto meglio. Laddove il primo era da staccare l'intonaco delle pareti a morsi, il secondo è una sfida continua e sempre esaltante. Ribadisco, nonostante sia un bel po' più bastardo.

    Un altro ottimo sistema è quello di PoP - i classici savepoint, ma posti con una frequenza soddisfacente.

    Insomma, che rilevanza ha per voi il sistema dei salvataggi? Alcuni sistemi sono in assoluto meglio di altri?
    Karat45 ha scritto lun, 24 maggio 2004 alle 13:48
    del gioco fa parte anche il sistema d'installazione, per essere precisi e non vedo perché non considerare il quicksave come qualcosa di "esterno" visto che è decisamente "interno" al gameplay. il quicksave è un momento in cui si abbandona l'azione per premere un tasto che non ha apparentemente influenza sul gioco. e allora, se non ha influenza come molti vorrebbero far credere, perché ne stiamo dibattendo? nel momento in cui , stando alle dichiarazioni di alcuni qui dentro, il quicksave cambia il modo di giocare allora diventa immediatamente elemento di gameplay (altrimenti non influenzerebbe in nulla l'esperienza di gioco, ovvio).
    secondo me i sistemi di salvataggio andrebbero studiati per essere "pelle" del gioco stesso, essere cioè naturali al tipo di prodotto di cui si sta usufruendo. comunque il quicksave non mi da fastidio visto che la libertà di scegliere rimane (mentre mi viene negata con i save point) anche se, ammetto, che il premere quel dannato tastino possa diventare una specie di droga, soprattutto nei momenti più difficili di una partita.

  3. #3
    Emack
    ospite

    Predefinito Re: Backup 09/09/2006

    dal topic "Articolo Interessante", datato 11 giugno 2004

    Karat45 ha scritto ven, 11 giugno 2004 alle 20:26
    I GIOCATORI AUTOMATICI

    L'interattività non può essere di per sè una garanzia che l'utente fruisca in maniera "attiva" un oggetto mediale. Una maggiore immersività può determinare un controllo più forte e pervasivo sull'individuo. Alcune considerazioni su 3.2.1 Baila e i videogames basati sugli automatismi.


    Accendendo quel vetusto ma ancora molto popolare elettrodomestico che è la televisione può capitare di imbattersi in una singolare trasmissione chiamata 3.2.1.Baila. Essa non è che una fedele trasposizione di una tipologia di coin-op molto diffusa nelle sale giochi dell'estremo oriente. In estrema sintesi, due concorrenti devono "ballare" seguendo lo stesso ritmo e le stesse indicazioni che appaiono su uno schermo di fronte a loro. Le piattaforme sulle quali sono posti i concorrenti sono formate da quattro grossi tasti da premere con i piedi secondo la precisa sequenza imposta dalla macchina. La mancata o errata pressione causa la penalità o la squalificazione.
    Visivamente il programma è prepotentemente grottesco, pare che la normale situazione di gioco sia invertita: un totemico schermo che pilota attraverso degli enormi joypad le sue piccole estensioni umane.
    I concorrenti entrano volontariamente in un sistema di premi e penitenze stabilito a priori e decidono di misurare la loro abilità di ubbidienza ad una sequenza di ordini. Non è niente di più che un test di riflessi dove la funzione della macchina è semplicemente quella di misurare obbiettivamente l'esattezza della performance. La spinta alla competizione è principalmente al di fuori del campo di interazione tra uomo e macchina e va cercata nel desiderio di esposizione mediatica o, nel caso della versione coin-op, nell'esibizionismo all'interno della comunità della sala giochi.
    Il presentatore Papi ha spiegato in un'intervista che il programma "nasce dall'esigenza di uscire dagli studi e di incontrare la gente. Il computer decide chi ha ballato meglio e sarà il primo programma interattivo Mediaset perché ci sarà la possibilità da casa di seguire le indicazioni per poter ballare insieme ai concorrenti".
    E' interessante notare cosa significhi la parola interattività nell'ideologia televisiva, la possibilità di avere anche da casa un comportamento "attivo" (nel senso di non sedentario) senza poter influire sui flussi di informazione che rimangono ineluttabilmente unidirezionali. Probabilmente secondo Papi anche il tifoso di calcio che davanti al teleschermo inveisce contro l'arbitro e la casalinga che rimprovera il protagonista della telenovela preferita stanno interagendo con la trasmissione.
    E' abbastanza ovvio che i padroni delle televisioni fantastichino un pubblico che balla meccanicamente seguendo i loro comandi. Ma potrebbe però rimanere un dubbio: non sarà che tutti i videogames, in fondo, ci costringono a rispondere a stimoli visivi e sonori in una maniera predefinita? Non siamo forse sempre "giocati" da un algoritmo deciso da altri come i burattini umani che vediamo in 3.2.1.Baila?
    Per rispondere a questa domanda può essere utile un diagramma che descrive l'interazione fra uomo e macchina in un videogame ad un solo giocatore (altri diagrammi di questo tipo possono essere trovati su antifactory).





    Il giocatore riceve uno stimolo, lo interpreta facendosi un'idea dello stato del gioco e risponde dando degli input alla macchina che vengono elaborati e ritrasmessi al giocatore attraverso un feedback che in genere è visivo o sonoro.
    L'elemento che rende possibile l'esperienza ludica è la differenza tra lo stato di gioco reale, cioè quello determinato dalla macchina e la percezione che il giocatore ne ha. Se il giocatore interpreta male il feedback si farà un'idea sbagliata della situazione e molto probabilmente effettuerà delle scelte sbagliate ovvero darà degli input che non favoriranno il raggiungimento dello scopo prefissato.
    Se si usa questa chiave di lettura non ci sono differenze qualitative fra un gioco autoritario come 3.2.1.Baila e un gioco libertario come Sim City, quello che cambia sono il grado di complessità delle regole e la velocità di gioco, cioè il tempo consentito alla persona per prendere delle decisioni. Un gioco più complesso produrrà un feedback più articolato che richiederà maggiore tempo per essere interpretato. Nel caso di giochi riflessivi come Sim City l'abilità del giocatore non consiste nell'effettuare rapidamente delle scelte quanto piuttosto nell'elaborare l'enorme quantità di variabili che la macchina produce. Per questo motivo la velocità di gioco è una variabile che può essere liberamente modificata.
    3.2.1.Baila è al contrario il grado zero del videogame: il feedback visivo è univoco e richiede uno sforzo interpretativo pressochè nullo, le regole che determinano lo stato si limitano ad una logica binaria, input giusto / input sbagliato assolutamente chiusa. Dopo l'errore del giocatore non si viene mai a creare una situazione di squilibrio rimediabile (come avviene quando si posiziona male un pezzo del tetris) o di equilibrio inaspettato (come quando si scopre una zona segreta perdendosi in un livello di Quake). La velocità di gioco si spinge quindi al limite del riflesso nervoso e la competizione si sposta solo sul piano dell'affermazione motoria.
    Appare quindi abbastanza chiaro che l'interattività, ovvero la capacità del ricevitore di controllare entro certi limiti un messaggio non-lineare, non sia di per sè una garanzia che l'utente fruisca in maniera "attiva" un oggetto mediale. Una maggiore immersività può determinare un controllo più forte e pervasivo sull'individuo.
    Se si intendono veicolare dei contenuti attraverso i videogiochi occorre controllare e limitare gli automatismi che in maniera più o meno estrema vengono richiesti in tutti i giochi d'azione. Si possono per esempio adottare degli accorgimenti che rallentino il ritmo di gioco e che costringano il giocatore a riflettere sulle conseguenze delle proprie azioni come nel caso di September 12th dove il lancio ripetuto dei missili è fortemente limitato.
    In alternativa si può creare un sistema di feedback ambiguo e complesso che anche se male interpetato possa condurre a situazioni impreviste anzichè ad un'inevitabile penalità. In un certo senso il meccanismo di GTA III, nella sua assenza di obbiettivi fissi e nell'estrema libertà di gioco, può essere un passo in questa direzione.


    Qui potete trovare l'originale:

    http://www.molleindustria.it/pivot/entry .php?id=21#body
    Emack ha scritto ven, 11 giugno 2004 alle 20:47
    Quote:
    Ma potrebbe però rimanere un dubbio: non sarà che tutti i videogames, in fondo, ci costringono a rispondere a stimoli visivi e sonori in una maniera predefinita? Non siamo forse sempre "giocati" da un algoritmo deciso da altri come i burattini umani che vediamo in 3.2.1.Baila?
    Come asserisce l'autore del testo, bisogna andare per gradi.
    Baila rasenta l'estremo inferiore che scinde l'insieme della passività con quello dell'interattività.

    Però nel saggio proposto non esiste una classificazione per genere dell'interattività e del gameplay. Le etichette sono sì fastidiose, ma purtroppo estremamente indicative e quasi necessarie. Anche in ambito di design.

  4. #4
    Emack
    ospite

    Predefinito Re: Backup 09/09/2006

    dal topic "Enter Computer Mode And Type Obscenities"

    Andrew B. Spencer ha scritto mar, 22 giugno 2004 alle 19:04
    Parliamoci chiaro, venivo dalla delusione di "Empire!", pompato da British Telecom come il seguito di Elite, ma che assomigliava in realtà a una versione di Asteroids senza limiti certi. Tau Ceti, invece, offriva spazi probabilmente meno estesi -chi può saperlo, quando le pianure elettroniche si susseguono invariate per interi pomeriggi?- sicuramente estremi e solitari. Apprezzo particolarmente l'immersione in quei mondi notturni densi d'atmosfera che non sarei mai stato in grado di concepire, perché troppo estranei. Tau Ceti produceva distese basilari poco rumorose, linee luminose, stendeva tappeti eleganti verso ombre sconosciute. Presentava strutture essenziali/originali, forme aliene inconfondibili, quasi sgradevoli. Territori malfrequentati, raramente abitati da avversari scorbutici, glaciali e imprendibili. Immediatamente poco propensi al dialogo. Le astronavi arroccate in città frastagliate, apparentemente inespugnabili. Il mezzo procedeva centrale, viaggiava, sollevandosi appena dal suolo grazie alla pressione del tasto H. Saettava anche a velocità considerevoli. Sparava in aria [minacciose missilate], attivava gli infrarossi. Tramite una mappa, poteva spostarsi da una città all'altra, ottenendo un'accoglienza ora festosa ora assolutamente trascurabile [anonima, urtava, a furia di penosi tentativi]. L'impatto cieco e siderale con una struttura: un unico, magistrale effetto sonoro, solido e gigantesco, immerso in secoli di silenzio. Rendeva l'esperienza credibile, devastante. Corsa traumatica per sfuggire ai colpi distanti, tracce colorate, scie vivide le persecuzioni invisibili che rischiarano il cielo più estraneo che vorrei rifiutare. La violenza più gelida e sbrigativa che possa essere descritta nello spazio. Eppure tutto ciò è realizzato con una linea orizzontale infinita e una palla violacea, mezzi spartani che consentono a un disadattato, che non conoscerò, di immettermi senza tante discussioni nel suo mondo esclusivo. Nonostante i successivi dispiegamenti di mezzi, nessuno riuscirà più a replicarlo, resterò affezionato a quell'illusione duratura.


    TAU CETI (CRL Group 1985)
    by Pete Cook
    Spectrum, Amstrad CPC, C64, Atari ST, PC

  5. #5
    Emack
    ospite

    Predefinito Re: Backup 09/09/2006

    dal topic "Oltre il Controller"

    Ph@ntom ha scritto mer, 23 giugno 2004 alle 22:33
    Gioco in questo periodo al remake di Metal Gear Solid sul Gamecube. Niente da dire sul gioco in sè, qualcosa ho invece su alcuni particolari degni d'attenzione.
    Chi sa del gioco avrà di sicuro fatto la conoscenza di Psycho Mantis. Ebbene, dal nome si capirà che il suo potere risiede nella telepatia, telecinesi, tutto quanto che ha a che fare con tele, insomma.
    Nel curioso scontro che ho avuto con tale personaggio questi mi invitava a posare il controller su una superficie piana in modo da mostrarmi i suoi poteri. Fatto. Qualche secondo e la manopola inizia a muoversi sulla scrivania: niente di che, effetto della vibrazione. Ancora più singolare il modo di battere il ceffo. Data la capacità di predizione (del futuro) su qualsiasi delle mie azioni (e relativo fallimento di pugni o colpi d'arma) mi viene suggerrito dal Colonnello Campbell (via codec, un particolare sistema di comunicazione) di spostare la presa del controller su un altro slot. E da lì la vittoria previo annullamento delle capacità psichiche di Psycho.
    Ho altri esempi, non collegati a questo particolare scontro: sono catturato e relegato in una cella dopo una tortura particolarmente pesante. Il medico, sempre via codec, mi invita a poggiare il controller sul braccio. Accetto già sapendo che tipo di massaggio riceverò.

    Strana interazione tra reale e virtuale che va oltre il canonico modo di smanettare col joystick. Che dite?

  6. #6
    Emack
    ospite

    Predefinito Re: Backup 09/09/2006

    dal topic "Cultura&Videogiochi"

    Ph@ntom ha scritto ven, 14 maggio 2004 alle 18:51
    La "cultura" del titolo non vuole dare adito alle questioni già trattate in parte in questa sede su eventuali veicolazioni culturali del medium videoludico. Volente o nolente, già si disse, il videogioco *è* cultura, porta cultura. Una peculiarità imprenscindibile dall'oggetto in questione, appunto. No, il discorso che volevo fare non verte su quanto scritto sopra.
    La "cultura" di cui sopra si riferisce a quella, diciamo, ufficiale. Letteratura, arte, se vogliamo anche il cinema.

    Giocavo un po' di tempo fa al Fallout II opportunamente tradotto per i poco avezzi all'albionico, in cui mi ritrovavo.
    Ecco, il cimitero nei pressi di New Reno (chi ha giocato avrà presente) fu particolare. Ogni tomba presentava epitaffi tratti dall'"Antologia di Spoon River" del Lee Masters. Non ho saputo poi se la stessa trovata si trovasse anche nell'originale (probabilmente sì).
    Un'idea che ho trovato piacevole.

    Era un esempio, uno stupido esempio, per porvi una semplicissima domanda:

    E' auspicabile una commistione? E questa eventualità potrà mai servire al videogioco? In che modo?
    Emack ha scritto sab, 15 maggio 2004 alle 00:23
    memex ha scritto ven, 14 maggio 2004 alle 19:56
    per fallout 2 non mi ricordo, giocato troppo tempo fa.

    io non credo che possa "servire" solo se influenza il GP.

    in fondo è servito anche quello che hai citato tu, che col game play centrava poco.
    Non sono concorde. Per un paio di motivi.

    1) I videogames sono un genere differente dal teatro, dalla letteratura, dal cinema, dalla musica. Si esprimono mediante linguaggi propri.
    A tal proposito, posto un pezzo di intervista apparso su gpi. Ho rivolto alcune domande a Mark Barrett.
    Quote:

    In che modo la narratività è in grado di fornire un'esperienza di gioco eccellente?

    Le storie generano emotività. Quando giochi a scacchi ti puoi preoccupare in maniera razionale delle conseguenze di ogni tua mossa, e provi le emozioni della vittoria o della sconfitta, ma tu non proietti le tue stesse emozioni "nella vita" del re.

    Molto di quello che accade quando giochiamo al computer capita sullo schermo, mentre le emozioni albeggiano nelle nostre menti. Bisogna fare in modo che gli utenti giochino quanto più è possibile nelle loro teste, perché è lì che sussiste il vero divertimento.

    Hai menzionato la famosa locuzione di Coleridge "sospensione volontaria di incredulità". Nell'intrattenimento interattivo, com'è possibile fare in modo di generarla?

    E' molto, molto difficile. Il problema più grande sta nel fatto che pochi la contemplano tra i propri obiettivi, durante il design. L'avversità maggiormente grave consiste nell'uccisione dell'utente durante il gioco: ogni volta che si deve ricaricare un salvataggio, la sospensione volontaria d'incredulità viene demolita.

    Secondo Toby Gard, i videogames poggiano fortemente sui seguenti tre elementi: gameplay, personaggi ed ambientazione. Sei d'accordo?

    Penso vi sia un mucchio di modi per analizzare queste cose. Non mi trovo in disaccordo, però credo dovrei pensarci su un bel po' di tempo per capire se abbia ragione o meno.

    Su gamasutra.com, Randy Littlejohn si augura una svolta drammatica nella narrazione dei videogiochi, concentrandosi su elementi di storia non lineari, su una profonda caratterizzazione, e sui principi del teatro. Considerazioni?

    Penso di aver letto di lui, ma non ricordo alcuni particolari. Non sono molto interessato nella trasposizione delle strutture teatrali nelle opere interattive: ci abbiamo provato già, fallendo miseramente. In realtà, necessitiamo di "blocchi nucleari" di "teatro interattivo", ma siamo ancora lontani dal pensare in questi termini.
    2) Se non è parte integrante del gameplay, una citazione rimarrà una mera citazione. Farà spremere le meningi solo a chi è in grado di coglierla, e a nessun'altro.
    Karat45 ha scritto lun, 17 maggio 2004 alle 00:15
    La cultura nei videogiochi non credo possa essere una serie di citazioni più o meno colte disseminate qua e là. queste possono anche fare piacere e possono solleticare il gusto dei più colti. ma non è certo questa la strada da seguire... così si ottiene poco o nulla a livello di gameplay se non una qualche alterazione dell'atmosfera percepibile (in fondo lo Spoon River su quelle lapidi qualcosa in termini di gioco la cambia).
    In Memoriam tenta un approccio più "colto" e originale. enigmi complicati per chi non ha alcune basi culturali necessarie. questi vengono però risolti gradualmente grazie agli aiuti che arrivano all'utente via mail. interessante ma frustrante in alcuni casi. soprattutto quando la struttura di gioco è come quella di In Memoriam piena di giochetti che sembrano usciti da un sito internet.
    Emack parla di Alice di American McGee. e forse indica la strada da seguire. ma chi la seguirà? nonostante il gioco abbia riscosso un ottimo successo commerciale e di critica la EA non ha voluto più produrre al buon McGee il suo Oz e il nostro è finito alla Enlight a fare non si sa bene cosa. probabilmente la EA farà uscire il gioco insieme al film (la cui sceneggiatura è stata scritta da McGee stesso) ma le domande che sorgono da questa operazione sono molto. In primo luogo quanto l'originale videogioco subirà l'influenza del film? insomma, quanto diverrà un gioco tratto da un film più che un film tratto da un gioco come doveva essere in origine? altro problema di carattere più generale: la buona idea nasce, cresce, si sviluppa e viene fermata perché si cerca un modo per lucrarci in modo "consueto", inseguendo, cioè, le vie canoniche di realizzazione e diffusione... una sterzata in negativo che impone una riflessione molto mirata che nessuno è sembrato disposto a fare. dove siamo noi utenti in questi casi? la responsabilità non è anche nostra in più di un senso?

    ultima indicazione che potrà sembrare poco attinente ma che, invece, credo che sia piuttosto interessante.
    quest'anno la "cultura" dei videogiochi (scusate l'espressione infelice) ha parlato al GDC dove sono state mostrate molte novità e sono state proposte molte iniziative interessanti (di cui il buon Emack ci ha tenuti informati). all'E3, tranne il DS e la PSP, non è stato presentato e proposto nulla di veramente interessante. ma tutti hanno parlato del secondo e nessuno del primo... insomma, come la tiriamo fuori la cultura se quello che generalmente inseguiamo è "l'ombra che cammina"?

  7. #7
    Emack
    ospite

    Predefinito Re: Backup 09/09/2006

    dal topic "Avventure Grafiche", datato 04 marzo 2004


    Karat45 ha scritto lun, 08 marzo 2004 alle 23:29
    Posto di seguito buona parte di una mia recensione di Salammbò, avventura grafica della Microids uscità quasi un anno fa. in questa tento di creare un concetto di avventura grafica che vada oltre il semplice "raccontare una storia":

    Le avventure grafiche sono un genere considerato commercialmente morto o, comunque, poco redditizio. Ebbero il loro boom all’epoca delle prime schede grafiche a 256 colori. Le limitate possibilità delle macchine dell’epoca, l’impossibilità di sviluppare motori tridimensionali complessi come quelli di oggi, la mancanza di concorrenza dal punto di vista “grafico” degli altri generi, rendeva le avventure non solo divertenti da giocare ma anche il banco di prova per i computer “pompati” dell’epoca pre - Pentium. Poi arrivarono le texture, i poligoni sempre più complessi, le schede accelleratrici che portarono alla decadenza di un genere che non riusciva più a stupire nessuno. Sul piano tecnologico il confronto era perso e, si sa, vendono soprattutto quei giochi che riescono ad esaltare le prestazioni dei moderni computer (altrimenti non si spiegherebbe il successo di FPS tutti uguali e di RTS sempre tutti uguali). I generi di riferimento per il mercato sono cambiati rapidamente, le avventure sono diventate un genere di nicchia e, con l’avvento di Myst, sono mutate radicalmente nei loro contenuti.
    Così sono nati dei luoghi comuni piuttosto abusati intorno a queste. I romantici le vedono come il veicolo privilegiato per narrare storie rispetto agli altri generi; attribuiscono alla storia il valore fondamentale del genere e passano le nottate rimembrando le vecchie avventure Lucas.
    Esiste un genere di romanzo, che ha come padre fondatore Edgar Allan Poe e i suoi “Delitti della Rue Morgue”, in cui il lettore segue passo per passo la ricostruzione di un delitto e in cui l’autore s’impegna (implicitamente) a non nascondere al lettore nessun indizio utile per la risoluzione del caso. È il “romanzo – problema” di derivazione positivista che si configura come uno “scontro” fra lettore e autore in cui “vince chi perde”. L’autore è sì tenuto a non nascondere indizi vitali ma è anche suo dovere disseminare il racconto di false piste, di vicoli ciechi, di inganni vari che portino il ragionamento del lettore “altrove” rispetto alla vera soluzione del caso. Alla fine il lettore deve poter compiere lo stesso percorso che compie chi indaga all’interno del romanzo, qualunque tipo di personaggio esso sia.
    Le avventure grafiche si sono configurate nello stesso modo. All’interno del gioco nessun indizio vitale deve essere celato al “risolutore” che deve riuscire a “ricostruire” il puzzle che l’autore ha pensato a fare a pezzi per lui. Abbiamo, quindi, anche qui uno scontro fra autore e “lettore” in cui lo scopo finale non è tanto seguire una storia ma ricostruire il problema. Ovviamente anche qui ci saranno false piste, possibilità che non portano da nessuna parte o strade che daranno risultati differenti da quelli “aspettati” dal giocatore.
    Buona parte delle avventure grafiche recenti, e questa “Salammbò” non fa eccezione, si è, invece, concentrata sul racconto, proponendo scenari esotici e affascinanti, chiedendo a scrittori e illustratori affermati di dare una veste “intellettuale” al genere. Da questa operazione pochi sono i giochi che sono riusciti a sollevarsi dalla soglia della mediocrità. I commenti sono sempre gli stessi e unanimi: belli gli scenari, bella la storia ma noiosa l’avventura. Il fulcro di questi giochi non è l’aspetto esteriore ma il problema (diviso in una sottoserie di problemi) che pongono al giocatore. Non a caso alcune delle più belle avventure grafiche uscite recentemente non sono vendute ma regalate come freeware; parlo di titoli misconosciuti apprezzati solo dagli appassionati come “Out of Order”, “Pleuburgh” (di cui si è parlato in una puntata di DarkSide), “Ozzie” ecc. per non parlare dei rifacimenti di vecchi giochi. Insomma, pare che il genere riviva nella sua vera essenza solo grazie al lavoro degli appassionati di tutto il mondo.
    La trattazione di cui sopra non è inutile per parlare del titolo in esame in questa recensione. Serve, invece, per inquadrarne i difetti principali.
    La storia che fa da sfondo alle vostre peregrinazioni è una storia d’amore e di vendetta: fuggiti dalle prigioni di cartagine venite incaricati dalla sacerdotessa Salammbò di portare una statua al capo dei mercenari, che stazionano fuori le mura, come segno del suo amore. Da questo incarico nasceranno intrighi politici e intrecci amorosi tali da scatenare una guerra imprevista. Tutto grazie al vostro agire in cerca di rivalsa contro la città che vi aveva imprigionato.
    In effetti, la storia che fa da sfondo a questo gioco, è molto bella e affascinante (in fondo l’ha scritta Flaubert) e, fino a che non arriverete alla fine, rimarrete piacevolmente attaccati al titolo cercando di mandare avanti la narrazione. Oltretutto lo stile grafico è molto particolare. Barocco all’inverosimile con locazioni traboccanti di dettagli. Una Cartagine riletta in modo tetro, con personaggi più vicini a mostri che ad esseri umani. Scenari oscuri e desolati, colori lividi quasi da post olocausto. Insomma, un lavoro degno di un illustratore professionista. Aggiungeteci anche una colonna sonora bella e adeguata, formata da pezzi classici che sottolineano l’azione e contribuiscono a creare tensione e il capolavoro dovrebbe essere fatto.
    Ma c’è qualcosa che non và. E questo qualcosa lo si avverte sin da subito. Gli enigmi sono di una semplicità e di una linearità disarmante. Non c’è nessuna vera sfida nell’andare avanti nel gioco. Ogni cosa è al suo posto, ogni oggetto è facilmente relazionabile con l’utilizzo che ne verrà fatto. Nulla, insomma, che tenga impegnato un avventuriero medio, per più di qualche minuto. A volte è solo questione di riesplorare alcune aree in cui la situazione è cambiata senza che voi siate intervenuti in nulla (magari avete risolto un enigma che ha fatto cambiare la situazione, ma nulla che, direttamente, vi avesse suggerito questa possibilità). Oltretutto, le aree in cui sono presenti i diversi enigmi, sono piuttosto piccole così da lasciare ben poche possibilità al giocatore che troverà spesso in modo quasi automatico la risoluzione degli enigmi. Mettiamoci anche che gli oggetti raccoglibili e utilizzabili sono veramente pochini e converrete con me che la sfida per il giocatore diventa praticamente nulla. Dimenticatevi, quindi, le vaste aree da esplorare come accadeva nei Monkey Island o in un’altra delle avventure old style che tanto vengono rimpiante. Ogni oggetto trova il suo utilizzo a poca distanza da dove è stato trovato (se non nella locazione stessa) tranne alcune eccezioni.
    Per supplire alla facilità degli enigmi sono stati aggiunti alcuni sottogiochi che, però, ben poco aggiungono allo svolgimento del gioco: ad esempio vi troverete a dover colpire dei maiali che corrono con un arco; dovrete centrare con degli elmi uno scudo che oscilla e, nelle fasi finali del gioco, dovrete partecipare ad una specie di gioco strategico che consiste, semplicemente, nel posizionare quattro armate in modo tale che abbiano la meglio sulle armate avversarie, senza alcun vostro intervento durante la battaglia e senza troppe possibilità, visto che le posizioni sono già determinate e, voi, dovrete solo scegliere se posizionare in un determinato punto una truppa piuttosto che un’altra.
    Gli unici enigmi che danno qualche problema (ma veramente pochi) sono quelli di natura meccanica (ormai immancabili in ogni gioco di questo genere). Purtroppo considero questi enigmi un male più che un bene visto che, spesso, sono disarticolati dal resto del gioco e sembrano messi a forza all’interno della storia per allungare un po’ il tempo in cui la fine arriverà inevitabile. In effetti non è che sia il massimo della vita trovarsi a fare il gioco delle coppie o il dover ricostruire la storia narrata da una canzone; si rimane bloccati non tanto perché non si è ancora capito che fare, ma per il semplice fatto che non si riesce o ci vuole tempo per farlo. Comunque, in “Salammbò”, questo tipo di enigmi sono piuttosto amalgamati con il resto del gioco (anche se mi chiedo come facessero prima a progettare giochi che duravano settimane senza inserire alcun enigma di questo tipo) e non danno troppo fastidio.
    Purtroppo il finale arriverà presto, come dicevo sopra. Troppo presto. Ho finito il gioco nel giro di un giorno e mezzo, bloccandomi solo in un’occasione (bloccandomi è una parola grossa) e giocando senza troppa continuità. Immagino che degli avventurieri meno esperti di me impiegheranno qualche giorno in più a finire questo titolo (e quelli più esperti qualche ora in meno) che, effettivamente, non offre alcuna sfida se non a giocatori alle prime armi.
    Ma spendiamo due parole sul lato grafico che ho tralasciato senza troppa pietà e che illustrerò molto velocemente. Come dicevo sopra, la grafica del gioco è caratterizzata da uno stile molto particolare (e fin qui ci siamo), purtroppo il motore grafico usato per muovere il tutto (che mi sembra essere quello usato nelle vecchie avventure Cryo), in cui ci si muove di 360° all’interno di immagini bidimensionali, sfoca enormemente i dettagli creando un effetto “flou” spesso sgradevole che abbassa notevolmente la nitidezza della grafica. Insomma, scordatevi la grafica ultradettagliata di un Syberia; qui sembra che qualche burlone abbia applicato il filtro “sfoca” (chi conosce un po’ il foto ritocco sa di cosa parlo), a tutto il gioco.
    Andrew B. Spencer ha scritto sab, 13 marzo 2004 alle 17:23
    Punta/clicca è l'interfaccia. Se il problema è solo quello...
    Va benissimo anche cambiare interfaccia e mettere il treddì e la visiuale in soggettiva, ma solo per reale esigenza, non ha senso farlo per moda o per esigenze di mercato (abbiamo visto i risultati... Simon 3D, Monkey 4... insomma, è innegabile che, almeno per certe cose, il 2D è ancora meglio e che l'interfaccia vecchio stile, per quanto antica, è più evoluta di quella usata in Monkey 4...)
    Non mi si venga a dire che l'inserimento delle sequenze action alla Tomb Raider "rappresenta il futuro o l'evoluzione", per favore .

    Poi sembra quasi che raccontare una storia sia diventato obbligatorio o l'aspetto principale non solo delle avventure, che ovviamente in qualche modo devono farlo, ma di qualsiasi videogioco (al punto che le recensioni bastonano pesantemente gli strategici a turni che non le raccontano sufficientemente bene )... Se è così, beh, francamente preferisco lasciare perdere i videogiochi e dedicarmi a Balzac o Dostoevskij, che le raccontavano decisamente meglio.
    Infilare statistiche dovunque inoltre è il progresso? Mah, a meno di non essere fissati con gli RPG (io non lo sono assolutamente, per esempio) ho i miei dubbi.

  8. #8
    Emack
    ospite

    Predefinito Re: Backup 09/09/2006

    dal topic "Ghost Master"
    Obi-Fran Kenobi ha scritto ven, 24 ottobre 2003 alle 09:43
    Giorno 1
    NON CI CREDO!
    Hanno fatto un gioco sui fantasmi! Il mio sogno da bambino! Lo vado a comprare!

    Giorno 2
    Cariiina la grafica di presentazione! E senti che musica! Vediamo come hanno strutturato il gioco... Breve presentazione... AHAHAHAH! Molto divertente! Introduzione alla missione... bene, devo far scappare dalla paura queste persone bwahahahahah mi sento già un Dio malvagio! Schermata di selezione dei fantasmi... uhm, non conosco i loro poteri, forse è meglio che schiacci il tasto "fantasmi consigliati"... Ottimo: partiamo!
    Caspita veramente gradevole visivamente, e le musiche rimangono molto suggestive, menù semplice e lineare... vediamo che succede se metto questo fantasma qui... uhm, non posso... Ah! Lo posso legare solo agli elementi elettrici! Questo televisore farà al caso mio ihihihih! Vediamo che poteri gli posso far fare... Bellissima la tempesta elettrica! Ah, costa troppo plasma, allora partiamo con qualcosa di più semplice: Luci interrotte e scintille!
    AHAHAHAH! A quel mortale si sono drizzati i capelli in testa, sta tremando! E il plasma è salito! Ora posso legare questo fantasma emozionale al tappeto... Facciamogli lanciare la paura! WOW! Ne ho fatto scappare uno! UAHAHAHAHHAH Sono il Ghost Master sovrano! Caspita quanto plasma! Ora posso alzare i poteri di tutti i miei fantasmi ed evocarne qualcun'altro! Massimo potere a tutti!!! AHAHAHAHHA! Guarda come corrono! Uno è svenuto! Che soddisfazione vedere le crocette bianche sull'icona dei mortali! Sono fuggiti tutti, ho vinto!

    Giorno 3
    Bene, con il plasma d'oro che ho vinto ieri posso acquistare qualche nuovo potere per i miei fantasmi, ottimo!
    Nuova missione... Devo liberare un fantasma incatenato... uhm, e come posso fare? Che dice? Devo distruggere il macchinario a cui è legato? Caspita... proviamo così: lego il fantasma elettrico alla radio sulla mensola soprastante il macchinario e scateno una tempesta elettrica... Funziona, gli sto procurando danno! Tra poco il macchinario si romperà! Ecco! Alèè ho liberato il fantasma! Adesso posso usarlo per spaventare i mortali! Bwahahahahahha sono il migliore!

    Giorno 4
    La missione di ieri era diventata un pò ripetitiva alla fine, speriamo meglio nella prossima. Caspita, devo infestare un ospedale intero! Sarà dura, i dottori sono uomini di scienza, hanno convinzioni molto forti per fargli credere all'esistenza dei fantasmi. Dovrò darmi da fare! Uhm, dalla panoramica vedo che ci sono un paio di bambini... Forse è l'ora di provare il fantasma che si lega ai bambini che ho liberato nella missione di ieri ihihihih...
    Ok, si parte: mettiamo subito Boo con poteri medi nell'atrio... metto anche il Ragno fantasma nella sala d'attesa... una Legione di insetti fa sempre il suo porco effetto... infatti! Ho già più di 200 unità di plasma, sò troppo forte!
    Proviamo questo fantasma sul bambino, allora. Perfetto, è legato, mettiamogli queste belle manifestazioni: Sangue, Sangue che Gocciola e Sangue a Fiotti, e vediamo che succede. Ordiniamogli però di farle solo in presenza di mortali, sennò è tutto plasma sprecato!
    Il bambino è entrato nella stanza dei pazienti... Oh... oh... oh mio dio! OH MIO DIO! STA RIEMPIENDO LA STANZA DI SANGUE!!! Sono svenute tre infermiere, e il primario sta correndo come un pazzo in preda al terrore! 600 UNITA' DI PLASMA?!?!?! UAHAHAHAHAHAHA NON MI FERMA NESSUNO!!!

    Giorno 5
    Ehi, ho quasi finito il gioco, ma ieri non sono riuscito a liberare uno dei fantasmi imprigionati... Inoltre non sono riuscito a far scappare un paio di infermiere! Non mi piace, rigioco lo schema! Alè! Il tempo per un Ghost Master non esiste! Rieccomi nell'ospedale! Su questo letto dove è morto un tizio tra gli spasmi ci lego questo fantasma violento e gli faccio fare la simpatica manifestazione "Impazzito di paura", almeno rendo folle qualche mortale, che frutta molti più punti del normale terrore... Ihihihih, rimbocchiamoci le maniche! Ci sono un sacco di dottori da spaventare...

  9. #9
    Emack
    ospite

    Predefinito Re: Backup 09/09/2006

    da "I dieci concept più alla moda in materia di game design"

    Emack ha scritto gio, 26 agosto 2004 alle 01:42
    da http://blogs.guardian.co.uk/games/archiv es/game_culture/2004/08/the_ten_trendies t_concepts_in_game_design.html

    The ten trendiest concepts in game design


    Like every other entertainment sector, the videogame industry is prone to sudden fads and fashions that seem to spring out of nowhere, take the scene by storm, and then disappear only to be replaced by more advanced technologies, or better ideas, or something really silly.

    With this in mind, I’ve carefully surveyed the current industry and come up with ten concepts that no game design studio can afford to overlook. Feel free to add your own. Or take issue with mine.

    1. Normal mapping
    This powerful graphics technique is all the rage at the moment – although only the Xbox and high-end PC graphics cards are really up to the job. A ‘normal map’ is like a holographic texture map that contains 3D information that is only revealed by the reflection of light on the surface. When you place a normal map onto a simple shape, the end result is an object that looks much more detailed than it actually is. Games like Doom 3, Far Cry and Chronicles of Riddick make impressive use of the technique.

    2. Sandbox gameplay
    Sandbox is the new ‘non-linear’ - a favourite buzzword for open-ended game design. The analogy, of course, refers to a sandpit in a kids playground where you can do whatever you like (as long as it involves a bucket and spade presumably). The key example of sandbox gameplay is Grand Theft Auto, which provides complete freedom of exploration between the structured missions. Since the success of Vice City, everyone is trying open-ended gameplay. As a result, the dole office is full of unemployed end-of-level bosses.

    3. Crime
    The biggest trend in gaming at the moment, mainly due to the success of GTA. We’ve had hired assassins (Hitman), cockney gangsters (The Getaway) snuff movie murder (Manhunt) and the Mafia (erm, Mafia), and we’ll soon see robbery (Acclaim’s The Last Job) and another LA gang thriller (25 To Life from Eidos). Boardrooms across the globe are right now trying to work out the next big crime concept. Unfortunately, all that’s left are pick-pocketing, jay-walking and indecent exposure.

    4. Street Racing
    All the big driving genres – arcade, rally, F1 – have been done to death, so developers, already fascinated by crime and edgy urban themes, have turned to street racing: the popular culture of taking your Mum's Citroen Saxo, sticking a massive spoiler on it and then annoying tax-payers by racing around the one way system at three in the morning. Several current games enable players to buy a piece of junk and then "mod" it so that it becomes… a piece of junk with lowered suspension and bucket seats. Most popular at the moment are Need for Speed Underground and Midnight Club 2 by Rockstar. New kids on the block include the very in-depth Juiced and Street Racing Syndicate from Namco.

    5. Mass battles
    Once, shoot-em’-ups were about the lone crusader taking on swarms of enemies, the odds stacked against him like spent cartridges. Now, Battlefield 1942, State of Emergency and Call of Duty have popularised the concept of en masse team fighting. It’s not just you anymore, it’s you and a whole AI army willing to leg it directly into the line of fire while you cower at the back with a sniper rifle. As for multiplayer gaming, forget 16 player deathmatches, think 64 player team battles taking place over hundreds of acres of land. Men of Valor and Star Wars: Battlefront are the latest to sign up.

    6. Physics
    The huge processing power of today’s high spec PCs and games consoles means that developers are able to explore realistic physics in more depth and detail than ever before. Take racing games like Burnout 3, for example: each vehicle has dozens of deformation points where damage is shown on the chassis in the event of a crash. This damage is relative to the exact impact point and the force of impact. You also get actual chassis parts flying across the road – and of course, the trajectory of each piece is calculated in real-time.

    Another trendy concept is rag doll physics, an attempt to simulate the flexibility of human body movement, again in real-time. The most obvious use is in shooters like Splinter Cell 3. When an enemy is hit by a bullet, they stagger backwards, their arms flail and legs buckle, and the effect is localised depending on the exact point of impact. Bodies will also react to environments, rolling down stairs rather than lying awkwardly in mid-air. EA’s boxing sim Fight Night 2004 also uses rag doll physics to create realistic reactions to punches.

    The most respected physics engine at the moment is published by US company Havok. The website provides a handy guide to current game physics if you want to learn more. Which I’m sure you do.

    7. Bloom lighting
    Blooming is a technique that simulates the corona, or blur, that surrounds bright light sources like street lamps or polished metal. It’s achieve by effectively taking a snapshot of all the lights in one frame of the videogame image, and then downsampling until the image loses much of its information, before laying the bloom image back over the original lighting. Got that? Doom3, Halo and Burnout all make noticeable use of the technique.

    8. Dynamic soundtracks
    A musical soundtrack that actually reacts to the onscreen action, altering in intensity when the player comes into danger, rather than merely tinkling along in the background. Splinter Cell 3: Chaos Theory, Metroid Prime and even Ashen on the N-Gage employ this technique. It’s slightly more imaginative then merely filling the disc with licensed songs – although that’s very popular at the moment too (see much of EA’s current output especially Burnout 3, and, of course, GTA Vice City).

    9. Historical accuracy
    Once the preserve of sad PC strategy titles, history has become a major videogame theme. It is conceivable that a generation of gamers knows more about the Second World War from playing Battlefield 1942, than they ever learned at school. EA’s first-person shooter takes in key flashpoints like Operation Market Garden and El Alamein, while PC shooter Brothers in Arms is based around a true story, following the initial days of the invasion of Normandy. Other titles such as Medal of Honor, Call of Duty and Codename: Panzers take in other major battles. The Vietnam War and Desert Storm have since come in for similar treatment.

    10. Party gaming
    Since the launch of the PlayStation in 1994, Sony Computer Entertainment has been leading the charge to re-brand gaming as a legitimate element of youth culture alongside pop music, movies and getting pregnant. This process began with Wipeout, the 1995 futuristic racer loaded with licensed tunes by the likes of the Chemical Brothers. Later, the cute cartoon music title Pa Rappa the Rappa went further by attracting a genuinely unisex mainstream audience. Things are more sophisticated now with dancing games like Dance UK and Sony’s EyeToy titles becoming party favourites among teenagers who might play no other form of videogame.

    Now SingStar and soon to be released hip-hop karaoke sim Get On Da Mic, encourage participants to sing as well as dance, projecting their images onto the TV screen. Toying ever-so-gently with our sick, celebrity-obsessed minds, these social games are going to become more and more important over the next few years as the industry courts a wider audience. Eventually, the strands of mainstream interactive entertainment will merge. Combine the EyeToy camera peripheral with a broadband connection and you have the biggest talent show imaginable. Or a million Big Brother shows happening online simultaneously. You can decide for yourself which is the most nightmarish.
    Posted by Keith Stuart at 02:21 PM

  10. #10
    Emack
    ospite

    Predefinito Re: Backup 09/09/2006

    dal topic "Realtà aumentata"

    Karat45 ha scritto dom, 25 luglio 2004 alle 21:41
    Base di partenza scientifica
    In molte applicazioni di tele-imaging e di accesso ad archivi multimediali si manifesta l' esigenza di trattare le immagini non più come un unico segnale 2D ma piuttosto come una collezione di più segnali identificati da partizioni visivamente significative per omogeneità' di colore, tessitura, movimento etc. In altre parole, si richiede di descrivere una immagine a livello degli oggetti che la compongono. A tal riguardo, ad un livello di descrizione superiore si collocano applicazioni di "realtà aumentata", cioè applicazioni in cui al segnale di immagine 2D in senso tradizionale vengono associate altre informazioni o attributi riferibili anche alla collocazione spaziale tridimensionale degli oggetti rappresentati nelle immagini. Ci si riferisce ad applicazioni di telecontrollo , teleconferenza , telelavoro, telepresenza , etc. Si pone il problema della duplice rappresentazione delle immagini e delle scene: quella orientata alla fruizione visiva e quella orientata alla macchina, che hanno esigenze diverse. Infatti, le rappresentazioni orientate alla visione sono soggette a criteri ben noti, strettamente correlati alle capacità percettive dei primi stadi del sistema di visione umano, e ricondotti principalmente nella consuetudine tecnica odierna a parametri di fedeltà di rappresentazione in domini spazio-frequenza. Viceversa, le operazioni di riconoscimento, classificazione, indicizzazione delle immagini, e in generale tutte le operazioni che riguardano i contenuti delle immagini accedono ad un livello descrittivo di tipo sintattico e talora semantico. Non è possibile in questo caso cercare strette analogie con i meccanismi di rappresentazione impiegati nei livelli superiori di astrazione del sistema visivo umano, su cui si hanno attualmente conoscenze troppo limitate. Cionondimeno, occorre definire qualche tipo di rappresentazione strutturale che permetta di effettuare operazioni di analisi e sintesi di scene sulla base dei contenuti, almeno nelle forme più semplici. Generalmente, nelle applicazioni di archiviazione e di accesso ad archivi le due rappresentazioni (visuale e strutturale) sono trattate separatamente. Nelle applicazioni di telepresenza e di "realtà aumentata" i due tipi di informazione si fondono. E' richiesto infatti spesso di collocare e visualizzare oggetti sintetici in scene naturali o, viceversa, oggetti naturali in scene sintetiche. In tale quadro, sembra interessante analizzare rapporti tra le due rappresentazioni per definire un quadro organico di integrazione. Si propone dunque di condurre un programma orientato allo studio di tecniche di rappresentazione visuale e strutturale, finalizzate ad applicazioni di analisi (es. classificazione, riconoscimento) e di sintesi (es., realtà composita).

  11. #11
    Emack
    ospite

    Predefinito Re: Backup 09/09/2006

    dal topic "Game Over", datato 17 agosto 2004
    Andrew B. Spencer ha scritto gio, 26 agosto 2004 alle 03:13
    Emack ha scritto gio, 26 agosto 2004 alle 01:46

    poi?
    (attenzione a citare i nipponici: hanno uno stile particolare; già mgs2 non dovrebbe essere preso in considerazione alla luce della "cinematograficità" del titolo ammessa dallo stesso kojima)
    Non sono d'accordo a non prenderlo in considerazione...
    Non è certo il solo titolo con ambizioni cinematografiche o letterarie, tutt'altro, diciamo che MGS2 porta all'estremo una "moda" diffusa da tempo... Queste quintalate di testo, filmati ecc. (spesso di livello discutibile, non parlo di realizzazione tecnica, ovviamente) che ci propinano in continuazione e che faticano a fondersi armoniosamente con il gioco vero e proprio, sono orpelli.

    Non c'è bisogno che mi spieghi la storia di Giovanna D'Arco tra una missione e l'altra di Age of empires 2... Appiccicare estratti di un manuale di Storia a un comune RTS non rende certo il videogioco più profondo o più "alto".

    E' ovvio che si tratta di un tentativo (penoso e grossolano, a mio avviso) dei game designer di dare "dignità" al videogioco. E il brutto è che gli utenti spesso e volentieri "abboccano", finiscono per "crederci" anche loro.


    Comunque, i nipponici "sboroni" di adesso sono gli stessi che in passato ci hanno dato fior di coin-op "minimalisti", 100% giocabilità e niente "contorno"...



    Altri orpelli: la fisica in molti giochi attuali spesso del tutto avulsa al gioco (sembra che ci sia solo per poter dire "Hei! Guarda come sono fico, ho la fisica!") OK, è bello poter spostare realisticamente un barile, ma se tutto finisce lì...


    Poi citerei lo schema di gioco di tanti RPG e MMORPG, che prevede azioni monotone e ripetitive per un numero di ore assurdo allo scopo di accumulare esperienza o "oggettini fichi". Tra parentesi, è per questo che considero la longevità un male più che un bene: perché la durata di questi titoli assai longevi è quasi sempre allungata con questi espedienti.

    A voi il vino piace berlo così com'è o diluito nell'acqua?






    PS Qualcosa di simile lo si trova anche in altri giochi: "raccogli tutti e 500 i pezzi del catetere d'oro del bisnonno per vedere il filmatino extra" (divertentissimo...) o "sblocca tutte le macchine" (a che pro se spesso non si notano nemmeno grandi differenze guidandole?) o "sblocca tutti i circuiti" (!!! non avrò mai il tempo di imparare a divertirmi con 150 circuiti! Dammene 10 stupendi, al livello di SPA, invece... Questa dovrebbe essere la SFIDA per un level designer... Invece quasi sempre è la QUANTITA' a impressionare lo stolto acquirente, e a prevalere sulla qualità e sul "lavoro di cesello").

  12. #12
    Emack
    ospite

    Predefinito Re: Backup 09/09/2006

    dal topic "Quando uomini e dragoni facevano ancora merenda insieme"
    Andrew B. Spencer ha scritto mer, 13 ottobre 2004 alle 09:02
    Tre seriosi giovani, Eliwood, Lynn e il rozzo Lord Hector, si ritrovano un giorno imprigionati in una magica cartuccia, errepigisticamente accomunati dal sacro sforzo di accoppare il cattivo più. La leggenda narra inoltre degli uomini e dei dragoni, che prima convivevano in pace, poi i casini. Fire Emblem (che titolo del cazzo) fa parte di una serie che deve aver venduto un'esagerazione di copie in Giappone sullo SNES, senza venir mai tradotta, nell'evidente timore che il resto del globo si dimostrasse impreparato. I busti dei personaggi, ora, si lasciano andare a discorsi (melo)drammatici anche in inglese sullo scenario retroilluminato, e il tutto impressiona positivamente il passante, grazie allo stile manga dai tratti fieri e solenni, e agli effetti speciali poveri ma di sicuro impatto messi a punto nei laboratori segreti della Intelligent Systems, laddove ogni giorno si suda nel tentativo di perfezionare la formula della droga a turni. Questi giapponesi sanno narrare, enfatizzando le pause e i silenzi. Utilizzano sapientemente il commento musicale, dosando, a volte interrompendo le gloriose musichette quando i personaggi non sembrano essere dell'umore adatto. E poi rallentano le sequenze animate, giocano con i contrasti, fanno lampeggiare ad arte il cursore creando un'atmosfera misteriosa. Inseriscono quel tocco di profumata poesia primaverile, se occorre. Ma il giuoco com'è? Sul campo di battaglia vengono schierate le nostre pedine e quelle, visibilmente contrariate, nelle mani del nostro avversario, che ha mille e uno motivi per affettarci. Il sentiero è disseminato di personaggi pipponi pronti a uscire dai villaggi turistici, ad abbandonare gli affetti tradizionali per sposare senza riserve la nostra causa, sbandierando ai quattro venti i più incredibili, folkloristici e futili motivi. Questi uomini, donne, cavalieri cresceranno insieme a noi, missione dopo missione, sgranocchiando un po' alla volta le pedine avversarie o avvalendosi dell'oggetto giusto (al momento giusto, direi). Oppure -assai più probabile- creperanno malamente, inaspettatamente, sotto i colpi vibrati da un avversario sconosciuto che non si accontenta più di ammazzare, ma che si accanisce, che infierisce sul pippone dimenticato, o anche solo lasciato leggermente scoperto, creando un vuoto incolmabile nel videogiocatore, il quale preferirà mille volte ripetere la missione piuttosto che tradire la fiducia in lui (mal)riposta. Non potete immaginare quanto faccia incazzare vedere il paladino sul quale avevamo sputato sangue perire di colpo, ingiustamente, per mano del primo bulletto immaginario e male armato fuoriuscito dal buco del culo della CPU. Il nemico dissemina le sue pedine ora sapientemente, sfruttando ogni debolezza, ogni zona ombrosa e male illuminata, ora praticamente a casaccio, facendo affidamento più che altro sull'ammasso ignorante di truppe spiegate, sull'inizialmente scarsa conoscenza umana del territorio e degli eventi, e, come in Advance Wars, perfino sugli aiuti meteorologici. Alcuni incappucciati s'incuneano in modo realmente maligno e imprevedibile tra le pieghe della difesa, mentre i ladri che agiscono nelle sezioni più tetre vanno fermati alla svelta, sempre che si abbia voglia di dare in pasto a Merlinus e al suo carretto scalcinato ancora altra paccottaglia, da smistare con calma tra una fase e l'altra di manifestazioni furibonde (e a volte un po' sguaiate) di potere.

    Fire Emblem
    Intelligent Systems 2003
    Gameboy Advance

  13. #13
    Emack
    ospite

    Predefinito Re: Backup 09/09/2006

    dal topic "Rigiocabilità"

    Andrew B. Spencer ha scritto lun, 17 gennaio 2005 alle 12:12
    Spesso viene tenuta in grande considerazione dai vari spacciatori, come segno di grande spessore, ecc. Ma è davvero così importante? Non sarà mica un po' sopravvalutata?

    Voglio dire, quando finisco un gioco, sentendomi un semidio, avverto DAVVERO l'esigenza di rigiocarmelo daccapo, trascorrendo altre XXX ore nel tentativo magari di sbloccare quel filmatino del cactus, considerato fondamentale per via degli increBBili retroscena che rivela, o di fare degli esperimenti, per vedere cosa sarebbe successo se al momento X avessi fatto la scelta Y... oppure preferisco passare ad altro (considerata anche la mole di arretrati che si accumulano)?

    Se è il giocone della mia vita o se ha un gameplay molto particolare, può pure essere, altrimenti... Magari in un beat'em up posso provare ad andare fino in fondo con tre/quattro personaggi, questo sì, certo, maaaaa...

    L'unico titolo che ho finito che al quale mi ostino a rigiocare regolarmente è l'arcaico Fire Quest, ma, a parte che è il mio personale "gioco più" , le partitelle sono agili e si esauriscono credo in un quarto d'ora o già di lì. Ma nel caso di un serioso, cerebralmente impegnativo RPG che magari richiede dozzine di ore?
    Il massimo sforzo che posso fare, se un gioco ha più finali, è quello di vedermeli tutti (solo se l'operazione non è troppo lunga o complicata, altrimenti, chissenefud...)


    Insomma, visto che creare un videogioco che sia il meno lineare possibile (che invogli, quindi, a rigiocarlo) dovrebbe essere più difficile che partorirne uno molto lineare, alla fine quanto è utile al fruitore questo ulteriore, si presume ciclopico, sforzo? Sarebbe forse meglio che gli sviluppatori concentrassero gli sforzi su di un'"opera" che verrà effettivamente giocata e goduta da tutti interamente, invece di creare una miriade di alternative -che magari molti giocatori non vedranno mai- nel tentativo di dare una sensazione di "libertà"?
    Ghost_FS ha scritto dom, 06 febbraio 2005 alle 13:35
    Non è proprio indispensabile.

    Però se un gioco è sufficientemente complesso da poermettere approcci completamente diversi di gameplay e scelte morali allora e come fare 2 giochi diversi e si è un ottima cosa.

    Ma preferisco una trama lineare con numerosi extra e quest secondarie opzionali fatta bene ad un multifinale buttato su. Un esempio di pessimo multifinale è Deusex invisible war. Arrivi ad un passo dalla fine salvi e nel giro di 45 minuti ti puoi vedere tutti e 7 i finali indipendentemente da come ti sei comportato per tutto il gioco... forzato all inverosimile. Meglio evitare a questo punto.

    Il multi finale ha senso se fatto come in KOTOR in cui potevi scegliere e interpretare due strade realmente diverse lungo tutto il gioco. Le quest erano abbastanza differenti da rendere relamente godibile 2 volte il gioco (light e dark side).

    Ma ho apprezzato anche quello di Bloodlines... da qualche scelta alla fine ben gestita con un dialogo complesso... ma non peso che lo rifarei da capo con un vampiro diverso, permette soltanto di scegliere il proprio destino seza dare reale rigiocabilità.

    Simpatica anche la soluzione di Fallout2 finale componibile in cui tutte le quest che hai fatto i tutto il gioco influiscono sul finale composto dalla storia di come vanno a finire tutti i eprsonaggi e le città che hai visitato. Quello si che era rigiocabile.

  14. #14
    Emack
    ospite

    Predefinito Re: Backup 09/09/2006

    dal topic "Spore - GD Incompresi", datato 15 marzo 2005

    *Vazkor* ha scritto ven, 18 marzo 2005 alle 15:56
    No no, discutiamone :
    Populous dovrebbe essere indicato non tanto come capostipite dei god game quanto l'inventore del "simulatore di bulldozer" visto che metà del tempo di gioco consisteva nello spianare terreno per i nostri fedeli ... cioè io sono una divinità onnipotente e quale è la mia prima preoccupazione? Fornire loro terreno PIATTO su cui edificare

    Semplicemente demenziale ... lo trovo come tutti i giochi Bullfrog di una noia MORTALE e, soprattutto, non richiede alcun tipo di abilità per essere portato a termine, a parte la pazienza!

    Questo ai miei occhi affossa totalmente un gioco, l'esempio lampante può essere Sim City : la modalità sandbox è presente, ok, posso divertirmi a distruggere le città con Godzilla, ok, ma provate a portarlo a termine ... non è per niente facile.

    Non ho alcuna antipatia personale contro Bullfrog ed il suo figliol prodigo, è un fatto però che Peter pensi prima a costruire un motore oppure una ambientazione di gioco accattivante e poi cerchi in qualche modo di abbozzargli attorno un gioco dalle meccaniche spesso cervellotiche e decisamente POCO divertenti : l'esempio di Black & White è lampante, lui voleva questa specie di Populous con degli animaloni che giravano per i livelli ma il modo in cui tutto questo si è concretizzato è decisamente discutibile.

    Lapalissiano tra l'altro il trait d'union fra questo titolo e Fable, la possibilità di personalizzare il proprio "pet" ed arricchirlo con tatuaggi li avvicina in maniera evidente, in entrambi i casi però si è scordato totalmente che queste NON SONO caratteristiche attorno alle quali puoi costruire un gameplay decente, Fable ne è la dimostrazione.

    Con Magic Carpet hanno fatto la stessa identica cosa ( rivedere le dichiarazioni degli sviluppatori nelle preview grazie, "abbiamo questo fantastico motore grafico con un tizio su un tappeto volante, ora vedremo come renderlo divertente" ) ma fortunatamente gli è scappato fuori un gioco con i fiocchi ... non sempre funziona però, anzi, è stata una pura casualità.

    Ripeto, non me ne viene in tasca nulla, se considero mediocri questi titoli è perchè li ho giocati ( anzi, quando tutti ti urlano in un orecchio che è un capolavoro magari gli concedi una seconda e una terza chance che non concederesti ad un gioco misconosciuto ) e li trovati estremamente noiosi e poco divertenti.

    Vedere anche in Sala Giochi come ho stroncato Ghost Master ( anche qui in Ars Ludica, fra l'altro ) che infatti è la copia sputata di Dungeon Keeper, forse anche peggiore ...

  15. #15
    Emack
    ospite

    Predefinito Re: Backup 09/09/2006

    dal topic "Game Design Challenge"

    Hatsu ha scritto dom, 20 febbraio 2005 alle 19:07
    Ciao a tutti,

    vi propongo questo interessantissimo articolo relativo al Game Design Challenge 2004.

    Game Design Challenge:
    Wright vs. Spector vs. Koster

    Three iconic game designers tackle gaming's toughest problem: a Love Story.

    It was one part Iron Chef, one part Gong Show. It was the GDC 2004 Game Designer's Challenge, where three famous game gurus were pitted against one another to tackle one of the thorniest of game design problems: creating a love story. Although the audience picked a winner, for the most part it was a cooperative exercise and a bit of a thought experiment.

    The three 'contestants' were Will Wright from Maxis (creator of The Sims and SimCity), Warren Spector from Ion Storm (visionary behind Deus Ex and Thief), and Raph Koster the Creative Director of Sony Online Entertainment (who was instrumental in creating Ultima Online and Star Wars Galaxies.) Each had been given the assignment a couple of months ago, and now had ten minutes to present their rough game idea to the crowd. Any constraints about budget and marketability were removed, but interestingly enough the products the designers came up with were fairly marketable and could be created by today's technology. The objective of the panel wasn't so much to see who could come out with the better game, so much as it was to understand (in panel host Eric Zimmerman's words) "how it is that game designers begin to grapple with conceptual problems."

    Who won? How'd they do it? Read on to find out!


    Warren Spector: The Academic

    Spector had a very different approach than the others. He isn't what he called a "blank page" game designer -- he usually synthesizes ideas from others into something new. And when it came to love stories, he had nothing to draw experience from: Games have been dismal at even beginning to tackle the subject of romance.

    Instead, he hit the books, doing probably more research than the other two designers combined. His approach to designing a game is very mental: "I pretty much sit alone in a room and think until blood comes out of my forehead," he confessed. Later he sheepishly admitted: "I have trouble thinking of anything that doesn't have guns in it."

    But he insisted on not taking the easy way out by making the game multiplayer, instead trying to figure out how to make players "feel something akin to love to a virtual character." He asked himself: How could he make the players experience the stages of love? The physiology of love? The courtship rituals?


    What he found were more obstacles than solutions. For one thing, while you can force players to respond to game challenges, you can never make them feel. For another, love is different for every individual -- detecting what would make a player feel that impossible-to-define emotion is itself impossible. And finally the biggest obstacle is that players would know it isn't real.

    At length, Spector raised the white flag. The technology of today isn't up to snuff to create what he wanted and it won't be in the near future. "Our characters are bad and our interactions worse," he declared. He concluded that without better characters and better conversation systems, a love story that actually makes a player feel love for a digital character is nearly impossible.

    The others took very different approaches.

    Raph Koster: The Matchmaker

    Despite being the visionary behind two of the most popular multiplayer games of all time, Koster started off by admitting that he felt out of his league. His answer? To cheat! His solution to the problem was less of a game and more of an interactive story with a live audience, but despite his disclaimers it sounded like a fun project.

    Koster's game was a "Romance Novel Generator," which he says instead of true love focuses on "a small piece of love that has more to do with money." Romance novels are perfect for computer games. They're formulaic (hell, they even have a main loop), the character arcs are simple, and the characters are archetypes. Having the storylines generated by a computer would be easy.

    He envisioned a multiplayer game where people would meet up in a lobby, then decide to start the romance novel together. They'd pick a length and decide how many chapters and how many main characters there would be. They'd all choose roles (the "stalwart friend" or the "rich father") and the computer would assign each person a character flaw (dependant? greedy? social snob?). Everyone would get a character arc and an initial starting point. The ending is pretty much predetermined, but how the characters get there would depend on how they acted out each chapter. For each chapter players would be given a scene, and then some multiple choice for their actions, as well as the ability to chat their own dialogue. Will she pull away and cover her face with a fan? Will she kiss him passionately? Will she say no, but lean in demurely, bosom heaving? It's up to the players!

    Nothing is more mass-market than romance novels!

    Even better, the game is a spectator sport. Everyone not in the game would be in the chat channels, commenting on the action. ("Kiss her! Kiss her!") "It's a party game rather than an interactive narrative," Koster admits. He even thought about how it would be marketed. No standard game store shelf, here: he'd angle to have it placed on CDs on the back of romance novels, with famous author tie-ins and multiple settings. There would be nearly limitless potential for tie-in products. ("What, endless expansion packs? How crass!" Will Wright joked.) Of course, in the end, boy and girl get together and live happily ever after. "Except one of the endings is that you die from consumption," Koster explained. His game design proved to be a popular one with the audience. Lastly, Sims creator Will Wright stepped up to the plate.


    Will Wright: The Experimenter.

    "I'm not a fan of the sappy love story," Wright admitted, showing a slide of the movie poster for Titanic with a big thumbs down on it. "But throw in nuclear submarines or extraterrestrials and I'm there..." he continued, showing a slide of the movie Abyss. His favorite romance stories have some sort of huge backdrop: they're war romances, like Casablanca.

    Wright went through his thought process, about how he decided to do a multiplayer game, something that would happen in real-time, something that would use profiles of real people to match them up with one another. Making a game where real people would have to get together in a crazy backdrop struck a chord with him. "That's the most surreal to me," he said, always eager to experiment with wild ideas.

    To that end he created a war-time romance game that he called a "First-Person Kisser." His FPK would be played entirely within another game -- in this case, his game would take place within a multiplayer game like Battlefield 1942. War is raging! Soldiers are fighting for goals! They've got tanks and airplanes, bombs are falling, jeeps are crashing! In this chaotic background, groups of unarmed civilians try to meet one another in a world gone mad. To the soldiers, they're just collateral damage. Hence the name of his game:

    "Collateral Romance."

    Wright drew a diagram of a two-axis graph. On the one axis were the soldiers, fighting each other for control of the map. On the other were the civilians, with their own agenda. He said he'd leave the middle "undefined," allowing the players themselves to figure out what would happen if the soldiers and the civilians crossed paths. Would the soldiers help them? Shoot them on sight? Ask them to spy? Wright left that up in the air as a psychological experiment.

    Here's how it would work: a man and a woman, chosen by the computer for having similar interests and romantic possibilities, would start on opposite ends of a raging battlefield. They'd have to arrange for a place to meet and they'd try to get there without being killed, scurrying between shelled-out buildings and staying away from the tanks and bombs. When they made it? A big reunion scene! Then, the newly united couple would be given another goal to reach together, somewhere else on the map. Would they go straight there? Would they just hide in a building and chat to each other? Would they get together with other civilians? Would they ask the soldiers for help? Would the man nobly sacrifice himself so that the woman could make it? It's all up in the air! "I want to leave the goal structure of the game open-ended," Wright said.

    Wright's presentation had the audience in hysterics, owing in part to his simple little clip-art lovers running around on top of screenshots of Battlefield 1942. After all three designers had spoken, audience applause granted first prize (a dozen fake roses) to Will Wright. I doubt we'll see Collateral Romance on store shelves soon, but it was almost as fun as a thought experiment as it would be as a game. More importantly, it was cool to see all three designers tackle the same problem from radically different angles.


  16. #16
    Emack
    ospite

    Predefinito Re: Backup 09/09/2006

    dal topic "Longevità uccisa dalla modernità?"

    Orologio ha scritto lun, 06 giugno 2005 alle 12:20
    No, non voglio discutere del classico fatto, che giochi graficamente piu' avanzati, richiedono livelli sempre piu' complessi da costruire e quindi piu' sono "architettonicamente" dettagliati e piu tempo ci vuole per farli e di conseguenza i giochi moderni tendono ad essere piu' corti.

    Sto parlando del fatto che grazie ad internet, appena ci si blocca in un punto, e' difficile non guardare la soluzione, che nella quasi totalita' dei casi e' reperibile in pochi secondi.

    Una volta le soluzioni potevano essere reperite solo tramite le riviste del settore, con la conseguenza che si rimaneva bloccati per giorni se non settimane in alcuni punti. (e spesso le soluzioni non si trovavano)

    Ricordo ancora il primo Alone in the Dark, la soddisfazione di capire che nell'abero finale bisognava lanciargli addosso la lanterna per bruciarlo...oppure il riuscire a finire il primo Myst senza alcun aiuto (dopo mesi di tentativi e scervellamento)
    Spesso non erano propri e veri enigmi a bloccarti, ma semplicemente la sbadataggine. In Flashback sono rimasto bloccato per giorni in un bar situato sulla Terra, solo perche' non mi ero accorto che potevo arrampicarmi su dei lampadari...per non parlare di "Another World" dove non bisognava uccidere una guardia, ma aspettare che ti tirasse una granata in modo da creare un buco nel pavimento...

    I casi che mi ricordo sono tantissimi, giorni se non settimane bloccato in punti di un videogioco...e la soddisfazione enorme quando si scopriva la soluzione.

    Ora ci si spazientisce subito, ed e' difficile non guardare la soluizione, quando si sa che tramite internet e' a portata di mano nel giro di pochi secondi.
    Joe Slap ha scritto lun, 06 giugno 2005 alle 13:05
    Eh sì che oggi i giochi sono anche più facili di quelli da te descritti.. Comunque è vero, bisogna affidarsi alla forza d'animo del videogiocatore, non si deve cadere in tentazione.. Io riesco ancora a resistere però ammetto che qualche volta ho sbirciato, non sforzandomi più di tanto (in giochi a cui tengo poco, però)..

    Una volta era bello potersi scambiare aiuti con i compagni a scuola, a volte c'era chi banfava o chi trasformava la soluzione di un enigma tramite il passa parola arrivando a te in modo sbagliato.. O ancora i ritagli di riviste da portarsi dietro o le fotocopie! Eh sì, una volta era tutto diverso, anche sotto questo aspetto..

    Ricordo che quando uscì la soluzione di Monkey Island 3 su TGM, strappai brutalmente le pagine e le buttai..
    Skuth ha scritto mar, 05 luglio 2005 alle 18:59
    i giochi sono piu` corti e piu` facili, quelli piu` difficili intimoriscono i potenziali acquirenti. infatti ninja gaiden e devil may cry 3 hanno venduto, ma se fossero stati piu` abbordabili dal giocatore medio di oggi imho avrebbero venduto di piu`. molti miei amici si scaricano il trainer ancora prima di installare il gioco (e non scherzo. per es ho prestato baldur`s gate 2 ad un amico, per fargli capire che RTCW NON e` il miglior gioco su pc, facendogli provare qualcosa di diverso(torment era troppo..), ed il giorno dopo mi ha raccontato entusiasta di come faceva morire gli avversari con un semplice click di mouse ). i programmatori inoltre ricevono pressioni per portare a termine la realizzazione di titoli, sempre piu` complessi graficamente, nello stesso arco di tempo in cui un titolo veniva realizzato anni addietro. si sacrifica quindi la profondita` in favore dell`aspetto estetico, quello che serve a far sbalordire il "casual gamer"(non fraintendete, non sono ossessionato da tale figura, ma e` ricorrente, ovviamente, quando si parla di mercato di videogiochi) a casa dell`amico o davanti la vetrina.
    StM ha scritto sab, 09 luglio 2005 alle 11:09
    Mi è venuta voglia di rigiocare a Little Big Adventure (già che ho trovato il secondo, ho rispolverato anche il primo)... proprio un gioco di altri tempi. Il salvataggio è fatto automaticamente, ed è un gioco molto ostico fin dall'inizio. Per uscire dal manicomio senza aiuti si finisce per rifare la strada diverse volte (perché ti riacchiappano). Tra l'altro ho applicato una patch che elimina l'effetto facciata quando correndo si finiva contro un muro, perché era frustrante all'inverosimile.

    Di per sé, in effetti, è un gioco relativamente breve. Diventa lungo se non sai come andare avanti, come dovrebbe essere. Però è ostico, e io la prima volta che lo giocai cedetti alla tentazione di leggere la soluzione. Mi giustifico con i limiti tecnici: l'area visualizzata tremendamente ridotta, ad esempio, per cui devi percorrere tutta la mappa palmo a palmo (incrociando allegramente soldati e cloni che ti sparano addosso).

    Vabbe', dai, lo ammetto: a me interessa la sfida solo per certe cose. Sfide del tipo "prova e riprova e trovi l'UNICA strada per andare avanti" non mi allettano.

  17. #17
    Emack
    ospite

    Predefinito Re: Backup 09/09/2006

    dal topic "DS vs. PSP: gerarchizzazione dei videogiocatori?", datato 19 giugno 2005

    gangio ha scritto mer, 22 giugno 2005 alle 01:33
    the_lamb ha scritto mar, 21 giugno 2005 alle 00:51
    gangio ha scritto lun, 20 giugno 2005 alle 23:56
    mio papà mi ha detto che se faccio il bravo mi regala la pleid station per il mio compleanno
    Non spammare o ti meno col pennino.
    non è spam, è sintesi!

    ecco la versione espansa:

    per effetto del protarsi dell'adolescenza sino ad età un tempo impensabili, ben oltre i trenta, abbiamo un'intera generazione di hardcore gamer che di hardcore ha solo la voglia e non il tempo
    personaggi metropolitani, ben vestiti e ben remunerati, cool, come si dice all'accademia dei gergofili, vivono ancora coi genitori, ma hanno cameretta con accesso separato per fare i lori porci comodi ed una vera e propria passione per la tecnologia in genere, quindi anche per console e consolette varie
    ne consegue che il mercato tende ad espandersi sia in verticale che in orizzontale, trascinando con sé la proliferazione di periferiche integrate che col videoludo niente avrebbero a che fare
    niente di nuovo
    l'integrazione e la fusione degli stili e delle tendenze va di pari passo con il meltin-pot metaculturale cui stiamo assistendo a tutti i livelli, gerarchizzati e non
    non poteva che essere così
    ma la domanda è: chi vincerà questa battaglia? meglio l'abbondanza o la semplicità? open o easy?
    io credo che fenomeni come i-pod non siano sdonagabili dalla massa informe della casualità e dell'irrazionalità, almeno non così facilmente come taluni vorrebbero farci credere attraverso dissuasivi e preventivi bombardamenti iper&hyper pubblicitari
    alla fine credo conterà la perseveranza (ovvero la quantità di danaro passivizzabile prima di vedere l'utile, di certo, in questo caso, unito al dilettevole)
    ed ecco spiegato, o meglio, dispiegato, il termine "pleid"
    questo termine sintetizza, infatti, quella fase di attesa in cui si sta a guardare cosa fanno gli altri, cercando l'ispirazione, come si fa comodamente seduti all'ombra di un tiglio, in un bel parco cittadino, su di una "copertina" a motivi lineari sapientemente perpendicolarizzati

    the_lamb ha scritto mer, 22 giugno 2005 alle 12:50
    Questo potrebbe condurre al paradosso che la vera console "hardcore" è DS e non PSP!! e il bello è che è plausibile!

    Ma parliamo anche delle concezioni del software; sono affatto diverse. Mi spiego.
    Dovendo far fronte al problema (se di problema si tratta) che la maggior parte dei giocatori "sbocconcella" i giochi e non li porta mai a termine, le due filosofie si distinguono anche per il modo in cui vi cercano di ovviarvi: la PSP prosegue la nuova moda del corto & facile (o comunque accessibile, suppongo che Wipeout facile non sia) e quindi "altamente finibile", il DS nella sua innovazione sembra in realtà recuperare una tradizione antica del gioco per giocare, che cioè una vera fine non la vede nemmeno - concezione che mi manca, se m'è concesso.

    Ora, questa distinzione è parallela a quella tra hardcore e casual, o trasversale? O è la definitiva affermazione dell'inesistenza di queste due categorie di giocatori?
    Emack ha scritto sab, 25 giugno 2005 alle 20:31
    Skuth ha scritto sab, 25 giugno 2005 alle 18:18
    e allora avresti messo un harddisk? lo sai quanto di piu` sarebbe venuto a costare? tralaltro l`uso del memory stick ha anche i suoi pregi.
    Un hard disk è di gran lunga più economico rispetto ad un supporto di memoria flash. Diciamo che sarebbe stato impossibile conciliare le dimensioni di un disco rigido (anche se portatile: guardate quello dell'iPod, è comunque gigantesco) con le necessità di design tipiche di un handheld.
    E poi c'è da mettere in conto l'affidabilità: un HD ha componenti in movimento, un lettore di memorie flash no.
    Quote:
    ehm, non ho capito: non va bene che i film si vedano in quel formato? li avresti preferiti in mpeg 2 non compressi? in wmv?
    Per quanto riguarda un decoder DivX, ricordo che c'era qualcosa in giro...
    Quote:
    ehm, scusate, da quando nintendo ha come target l`hardcore gamer? cosa mi sono perso? su ds, visto che e` intopic, io ho visto uscire quasi esclusivamente scacciapensieri da 5 minuti, non proprio l`attrattiva per un videogiocatore navigato che cerca esperienze intense.
    L'hai detto: esperienze intense. E di solito, in questo genere di esperienze, l'intensità è inversamente proporzionale al tempo impiegato.

    Comunque neanche io sono concorde con l'indicare gli "hardcore gamers" come l'utenza cui si rivolge il DS: secondo i topoi attualmente vigenti, suddetta categoria di videogiocatori è contraddistinta da: a) spiccata emancipazione dinanzi alle interfacce di gioco; b) estesa esperienza videoludica; c) tanto tempo a disposizione.
    La non convenzionalità dei gameplay proposti dai titoli per DoubleScreen mina i punti a) e b), effetti di un periodo di pratica più o meno lungo determinati dal punto c).

    In definitiva, dinanzi al DS sono tutti casual gamer, e, per tale ragione, tutti possono fruirne: oggi ho sorpreso mia madre giocare con l'apparecchio in esposizione da ELDO.
    NEO-GEO ha scritto mar, 05 luglio 2005 alle 11:00
    Secondo me tutte queste difficolta nel attribuire le categorie Hardcore e casual a queste console, sono dovute al fatto che gia di per se sono categorie difficili da definire.

    La cosa che mi stona di più, è il fatto di volere imporre su console di tipo portatile, gli stessi giochi di quelle del tipo fisso.Il "gioco portatile" dovrebbe avere una filosofia, e un concepimento diverso da quello fisso.Il DS ci richiama al tipo di gioco veloce immediato e praticamente infinito, come poteva essere lo "scassa quindici" un centinaio di anni fa, mentre la PsP non è altro che una "portatilizzazione"(scusate il termine) di quello che la PSx e la PS2 sono sempre state. Ora è presto per vedere dove porteranno queste due filosofie di gioco. Se da una parte abbiamo una multimedialità ostentata, e promesse di ottenere le stesse emozioni "casalinghe" fuori casa (PSP) dall'altra abbiamo l'esperimento di rimanipolazione del antico concetto base del gioco, nel tentatvo di ottenere qualcosa di nuovo(DS).
    Ora sappiamo definire e categorizzare le personalità che faranno una scelta del genere?
    Di solito ritengo "casual gamer" un tipico utente PSx, quindi penso che la PSP si avvicini di più a questo tipo di giocatore.
    Mentre il DS lo vedo più a meta strada, cio è: da una parte puo interessare il casuale, perchè i giochini semplici e immediati sono alla portata di tutti; dall'altra ha le potenzialità per tirare fuori nuove tipologie di gioco che interesserbbero alcuni (non tutti) i giocatori Hard.

  18. #18
    Emack
    ospite

    Predefinito Re: Backup 09/09/2006

    dal topic "Videte"

    StM ha scritto ven, 15 luglio 2005 alle 00:27
    Mi vengono le idee e poi mi rendo conto che non ho le competenze per svilupparle

    Non sono un esperto di fumetti, d'arte, di grafica digitale... di niente. Spero che qualcuno tra voi lo sia

    Lo stile, l'estetica nei videogiochi. Dal design degli ambienti e dei personaggi, fino al texturing e alla scelta dei colori.

    Mi vengono in mente due titoli le cui motivazioni di stile sono probabilmente evidenti per tutti: Little Big Adventure e Grim Fandango. Due esempi di volontà di usare la terza dimensione, facendo delle limitazioni hardware dei punti di forza.

    I personaggi in Little Big Adventure erano degli accrocchi di solidi molto elementari, e senza texture. L'accelerazione 3D hardware non esisteva ancora, e il gioco doveva girare su un 486. I fondali erano (direi ) prerenderizzati, in forma isometrica, e il look globale, per via dei colori pastello (con 256 colori non si poteva andare molto oltre), risultava alquanto "giocoso". Paradossalmente, in Little Big Adventure 2, che ha introdotto la telecamera mobile negli esterni, l'effetto visivo è peggiore, perché si avverte lo stacco tra la "perfezione" isometrica dello scenario 2D e la povertà del poco texturizzato e poligonalmente semplice scenario 3D.

    LBA, a mio modesto parere, fa la sua porca figura ancora oggi (mi limito a parlare dell'estetica). Non riuscirei a immaginarlo diverso, e se mi diceste che qualcuno sta preparando un LBA3 fotorealistico sarei molto scettico sul risultato finale.

    Sullo stile di Grim Fandango si è parlato abbastanza, direi, magari non è il caso di ribadire

    (la demo di Monkey Island 4 mi ha esteticamente -e non solo- depresso, e non ho mai comprato il gioco)



    La prima volta che ho visto Shadowman sono rimasto colpito. Era la prima volta che vedevo una grafica del genere, e soprattutto dei movimenti di camera (negli intermezzi) del genere. Chi fa grafica 3D impara tra le prime cose che la modellazione e le texture sono importantissime, ma quello che da realismo (o credibilità, o fascino) al tutto sono la luce, le ombre e i materiali. Non so identificare quando c'è stata la deriva, nel mondo dei videogiochi, dell'attenzione dei designer dal modeling all'estetica in senso più ampio... probabilmente lo spartiacque è stata una qualche scheda video con qualche effetto particolare, o una release delle DirectX... se voi ne sapete di più, dite, che il topic è anche (soprattutto ) vostro.

    Mi sembra di stare dicendo qualche cretinata, ma questo è il bello di un forum, finché non posti non ti possono interrompere



    Non riesco a formulare un concetto che ho in canna sui modelli dei personaggi... mi sa che per ora posto. Se qualcuno, intanto, mi indica un "how-to tell if a character is a manga character or not"...

  19. #19
    Emack
    ospite

    Predefinito Re: Backup 09/09/2006

    dal topic "i grandi designer"

    Karat45 ha scritto gio, 22 settembre 2005 alle 11:15
    http://www.multiplayer.it/articolo.php?i d=18174

    iniziano prendere spunto dal mondo del freeware? pare di sì e pare anche che, come al solito, messo il loro nome su un concept altrui, l'autore originale scompaia fagocitato dalla fama del nome più noto. Ero indeciso se aprire questo topic qui o in Ars Ludica... ma visto il gioco di cui si parla questo mi sembra il forum più adatto.
    Emack ha scritto gio, 22 settembre 2005 alle 11:41
    Il link corretto è: http://www.multiplayer.it/articolo.php?i d=18174

    Per il resto, credo che quella della "contaminatio" sia una pratica piuttosto diffusa negli ambiti dello sviluppo di videogiochi: prima, per cercare stili ed "effetti" interessanti, si dragava a fondo la demoscene; oggi, che il mercato si è evoluto, si sonda l'universo del freeware.
    Del resto, anche Ernest Adams denuncia la situazione dell'industria odierna: non si investe adeguatamente sul design. Ergo, si cercano soluzioni in realtà che "possono permetterselo", come università e, appunto, freeware.

  20. #20
    Emack
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    Predefinito Re: Backup 09/09/2006

    dal topic "non gioco più"

    gangio ha scritto mer, 31 agosto 2005 alle 23:25
    Lo strano case del Dottor B.H. Markuse

    Fiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii......boom! Piomba sulla scrivania ancora illibata lo scatolone che contiene il case. Cosa? Il case, mamma, è quella scatola che contiene le componenti del personal computer. Componenti? Sì...scatole che contengono scatole, che contengono scatole, che contengono altre scatole, che contengono nuove scatole, all’infinito. Tre milioni per una matrioska? Non preoccuparti, con la rateizzazione non ce ne accorgeremo nemmeno. E poi mi serve per studiare, devo fare la tesi. Seehhh....dopo due nanosecondi, arriva di straforo il primo gioco masterizzato: Screamer 2. Musica techno a palla, scelta del tracciato, schermo diviso in due, scelta delle auto, attento, quella a trazione posteriore è più veloce ma anche più difficile da controllare, ecco, questa curva la devi prendere così, cercando la corda in modo aggressivo e lasciando scorrere la macchina verso l’esterno, è qui che si fa la differenza. Dal tramonto all’alba e dall’alba al tramonto. In breve, la macchina dentro cui corrono altre macchine diventa ciò che è: una droga potentissima. Al mattino, ti alzi insolitamente presto, con la scusa che dovresti studiare e, mentre il fratello minore è ancora a scuola, ti alleni in modalità sfida contro il tempo. Nel pomeriggio, dividi lo schermo. La sera, dopo cena, non puoi resistere a farti un giretto. La notte, continui a ripercorrere i tracciati, agitandoti nel sonno. Poi, dopo un po’, arriva la nausea, seguita da una fase di distacco e di rifiuto. Tuttavia, non dura molto e si arriva ad una sorta d’equilibrio assuefatto nel giro di una settimana, finché non si è sviscerato il gioco in ogni minimo dettaglio, sino all’ultima, minutissima matrioska, non a caso un differenziale nell’ordine dei micron. La prima conseguenza di tanto impegno profuso, e di tanto tempo impiegato, è che quel gioco sarà impresso per sempre nella mente del videogiocatore, marchiato a fuoco con sfrigolio di neuroni che si liquefanno ed evaporano, liberandosi nell’aria attraverso la ventola di raffreddamento situata nella parte posteriore del corpo-macchina. Seconda conseguenza: prima o poi lo reinstallerai. Preso dalla nostalgia e dalla noia per i nuovi, ma insulsi giochi allegati alla tua rivista preferita, andrai a ricercare quel vecchio compact disc con la speranza che il lettore ottico sappia riprodurre le stesse sensazioni di un tempo. Funziona quasi sempre, ma il segnale proveniente dal passato tende a degradarsi piuttosto velocemente, abbandonando il videogiocatore in una valle di processori orribilmente mutilati (privati del “core”, ovvero “scorati”). Terza conseguenza: cercherai dei surrogati. Potranno passare anche mesi o addirittura anni, ma, prima o poi, la tentazione si farà viva e difficilmente potrai resisterle. Quarta conseguenza: butterai un sacco di soldi per acquistare giochi ingiocabili, frustranti, irritanti, indigeribili poiché indirigibili. Di solito, tali giochi sono caratterizzati da un periodo di permanenza su hard-disk inferiore al tempo necessario alla loro installazione. Quinta conseguenza: nel giorno più nebbioso dell’anno, salirai su di una montagna desolata ed incredibilmente irta e, giunto in cima, stremato, in ginocchio, ti chiederai, con le lacrime agli occhi ed una mano protesa nel vuoto, quali terribili peccati debbano aver commesso i tuoi antenati perché tu debba soffrirne così tanto nel tentativo di espiarli. Sesta conseguenza: farai il penoso tentativo d’abbandonare la rassicurante e collaudata zona budget per il selvaggio e periglioso territorio denominato “hic sunt smanettones”. Farai gli upgrade del caso, cambierai tutto meno il case e, non prima d’aver scagliato diversi suini contro i muri della tua cameretta, otterrai il computer superpalestrato per l’ultimo videogioco ultrarealistico. Ma la delusione è dietro ogni poligono, spesso le aspettative si rivelano del tutto inopportune. Settima conseguenza: prima o poi ti comprerai una consolle. Da mettere sul mobile del salotto, magari per ascoltarci un po’ di musica o vederci un film, e smetterai finalmente di pretendere l’impossibile da una scatola, cranica o casistica che sia. Abbasserai incredibilmente le tue aspettative, smetterai di mitizzare la tua infanzia e di cercare di riprodurla all’infinito, ti cercherai un lavoro serio, metterai la giacca e la cravatta, diventerai quello che si dice “un uomo fatto e compiuto”. Non importa se abiterai ancora coi genitori, di questi tempi, gli affitti... Ottava ed ultima conseguenza: non sarai mai più felice come quando giocavi a Screamer2.
    Che fare, quindi? È possibile sfuggire a questa spirale infernale? Perché, anche se evidentemente parodiata per necessità d’intrattenimento, tale successione di eventi ha certamente punti di contatto con l’esperienza videoludica del videogiocatore medio-standard. Allora? La morale è sempre quella: esiste una relazione bilanciabile tra dipendenza e felicità. Banalità delle banalità, stechiometria esistenziale, chimica organica applicata all’inorganica, informatica psicanalitica ed elettrotecnica sentimentale, dove sono le differenze che ci avevano promesso? Perdute o mai esistite, ironia della sorte, non fa alcuna differenza. L’unica via sembra essere quella d’aggrapparsi alle propaggini del Caso da cui un tempo ci siamo staccati come se fossimo frutti maturi: le esperienze regresse infinite. Ma va bene anche solo Esperienza. Cosa c’insegna Costei? In una realtà fatta di sfumature sovrapponibili a piacere come in una libreria finlandese (peraltro molto simile ad un quadro svedese), Essa c’insegna che sarebbe buona norma trovare i coefficienti del caso prima di strafogarsi e sviluppare, di conseguenza, e non a caso, intolleranze croniche verso quelle sostanze necessarie per raggiungere l’equilibrio tra i due piatti della bilancia. Tra queste, a noi ci piace vi sia il silicio.
    StM ha scritto mer, 31 agosto 2005 alle 23:55
    Biutiful.

    Io ho i periodi di vuoto assoluto e i periodi in cui gioco svariate ore al giorno. Gioco cose di un po' tutte le annate, a seconda della voglia del momento, ma centellinando come un assaggiatore (eppure finendo, prima o poi, tutto il bicchiere). Per scegliere bene, ricorro alla memoria delle recensioni lette sulla mia Rivista Preferita, giacché non ho più voglia di installare demo da 300MB l'una. Nel procacciamento, mi affido all'occhio clinico da edicola o da scaffali dei media store, alla ricerca di occasioni (cioè: quel gioco a cui avrei sempre voluto giocare, al prezzo che avrei sempre voluto pagare).

    Quando parlo di videogiochi, va sottolineato, io non considero mai (ormai non più) giochi di corse, sport, e tutto ciò la cui durata delle partite è quantizzata (esempio: gioco di calcio, la durata di una giocata è multiplo della durata di una partita).
    Andrew B. Spencer ha scritto gio, 01 settembre 2005 alle 02:01
    Io Screamer 2 (con tutta probabilità il punto più alto mai toccato da un videogioco italiano, Zaccaria a parte, forse) lo divorai, ma non mi procura grosse sensazioni retronostalgiche, e comunque quando ho sviscerato un titolo tendo a non riprenderlo mai più, preferendo esplorare titoli magari anche antichi che mi erano sfuggiti. La posizione di StM nei confronti dei titoli sportivi è un po' estrema, sebbene trovi estremamente noioso giocarli contro il computer (con un secondo giocatore -ovviamente vero e malmenabile- sono, al contrario l'apoteosi). Di positivo hanno il fatto che consentono partite piuttosto agili "da casual gamer" e non sono necessari enormi sacrifici, in termini di volontà e tempo, quindi ritengo siano ottimi per i giocatori di terza età, quantomeno per mantenere viva la fiammella.
    Tornando alla questione principale (che poi se ho capito bene è il solito topic "sono fatto vecchio e non mi diverto più con i videogiochi" , sebbene l'argomento sia esposto con inusitata eleganza), penso che mettere su prole possa essere una tappa fondamentale per rimettersi un po' in carreggiata con i giochini elettronici (i marmocchi a un certo punto -abbastanza presto, direi- esigeranno la loro copia di GTA XVI...)
    zago ha scritto lun, 12 settembre 2005 alle 19:02
    Bello screamer2!! Pensandoci bene, i giochi che più mi attivano l'irrefrenabile senzazione di nostalgia, sono rintracciabili nell'insieme dei VG che cadono in queste tre categorie:
    -I primi videogiochi giocati
    -I primi videogiochi 3D giocati (fattore tanto determinante, al tempo, che è come se avessi avuto un secondo "primo videogioco")
    -Videogiochi in SplitScreen.

    I giochi più "lontani" e remoti, i 'primi' sugli altri, sono quelli che in assoluto vengono maggiormente "rimpianti", probabilmente perchè al fattore "tempo" fondono anche il fattore novità, e stupore. inoltre spesso si situano in un periodo identificabile come infanzia o adolescenza, periodo che porta con se sensazioni per lo più positive, prima di tutte la "libertà" (di tempo).

    I giochi in SplitScreen, o comunque giocati contro altri umani vicini (parenti, amici, etc..) (niente a che vedere con il multyplayer online), come può essere il fratello, regalano senzazioni più profonde, oltre che per tutti gli ovvi motivi di socializzazione e "blablabla", creano una sfida maggiore, e quindi un divertimento maggiore, piuttosto che una "piatta" partita allo stesso gioco in singleplayer.

    Agganciandomi al genere di gioco "corse d'auto" chiudere contro il gardrail l'altra auto, con tuo fratello che ti impreca in tutte le lingue, è qualcosa che difficilmente una modalità "singleplayer" può dare: non puoi condividere il divertimento con nessuno: fare la stessa operazione contro un'auto controllata dalla CPU è ben diverso...
    il single si tramuta presto in una sfida contro se stesso: limare tutte le curve fino a superare il record che fino ad un'istante prima era considerato impossibile da battere;
    il gioco si trasforma presto in un loop infinito di "restart race"... senza nessuno stimolo, se non quello appunto di superare la ghostcar, e il divertimento arriva solo in quel caso ( e dura anche poco)......
    ... certo... in mancanza d'altro sono situazioni che rimangono comunque nella memoria e vanno a finire nell'insieme dei giochi da nostalgia.


    fino ad'ora ho sempre alternato tempi in cui ho potuto davvero divertirmi con un videogioco, ed altri in cui del videogioco risucivo solo a vedere l'aspetto tecnico, tanto piatto era..

    ammetto che ultimamnete i due tempi si alternano sempre meno frequentemente, e per superare la zona grigia, spesso faccio ricorso proprio al retrogaming nostalgico... solo che in poco tempo mi ritrovo allo stesso punto di quando l'avevo lasciato anni addietro, e per gli stessi motivi, lo lascio nuovamente; e non è solo questione del tempo a disposizione, o della possibilità o meno di rubare tempo al fratello per fare una partitina... è proprio perchè il gioco, per quanto bello, per quanto legato alla memoria, ormai è stato spremuto fino all'osso, e difficilmente produce nuovi motivi di divertimento.

    Perchè al 90% dei casi, chi ha giocato prima ad HL1, HL2 piace di meno, e viceversa chi ha giocato prima ad HL2, non riesce a capire cosa ci sia di speciale in HL1?
    (questo accade in qualsiasi cosa... basti a pensare che so... ai telefilm "multiserie"):

    In sintesi, fissato un punto di partenza, quel che viene prima è "vecchio" e poco degno di attenzione, e quel che viene dopo è sempre più "piatto" e poco stimolante.
    Forse il trucco sta nell'andare a cercare dei nuovi "punti di partenza" piuttosto che cercare qulcosa di "nuovo" o qualcosa di "stimolante", il resto viene da se...
    e cercare nuovi punti di partenza signifa sopratutto non avere paraocchi, pregiudizi, verso un gioco o un genere, ed avere un minimo di sbattimento per cercare e installare il titolo in questione: non è detto che vada in buca al primo colpo, però se si comincia ad evitare di installare questo o quell'altro gioco, per forza non ci si diverte più come una volta ..

  21. #21
    Emack
    ospite

    Predefinito Re: Backup 09/09/2006

    dal topic "Intervista a Nolan Bushnell"

    Andrew B. Spencer ha scritto ven, 28 ottobre 2005 alle 12:10
    http://www.wired.com/wired/archive/13.10 /bushnell.html

    Grazie a chi l'ha postata su usenet . Mi è venuta in mente pensando a quello che si diceva riguardo al videogioco come mezzo per socializzare, "accorciare le distanze", quindi un po' più "umano" e non alienante.

  22. #22
    Emack
    ospite

    Predefinito Re: Backup 09/09/2006

    dal topic "Dubbia Moralità
    Andrew B. Spencer ha scritto dom, 27 novembre 2005 alle 13:58
    Mi sembra che se ne sia accennato, ma senza il "cerca" tutto è più improbabile.
    Ricordate dei titoli, a parte quelli mulinosi, nei quali il giocatore è posto di fronte a scelte morali, capaci di influenzare il proseguimento del gioco, un modo anche per cercare di dare maggiore profondità, di arricchire l'esperienza giocosa, per darle significato?
    Ritenete che questo aspetto possa essere implementato meglio, che possa arrivare davvero a incidere significativamente sul gameplay?
    Per quanto riguarda Moulineaux (visto che ultimamente le critiche al suo indirizzo si sprecano, contribuiamo un po' anche noi) e la sua famosa lotta tra il bene e il male, ecc. non trovate che si tratti di un'etica spesso un po'... come dire? banalotta? che lascia il tempo che trova? ("Hai aiutato la vecchina? BEEEEEEENE! Hai scalciato la gallina? MAAAAAAALE!" (cit.))
    Emack ha scritto dom, 27 novembre 2005 alle 14:09
    Beh, l'etica nei videogames è banale perché ragionando per stereotipi si ottiene un modello comportamentale lineare e quindi implementabile con facilità. I videogiochi che propongono una scelta, invece, poggiano su un modello ancora più lineare perché non è stata fatta sufficiente ricerca in merito. Chi è che investe massicciamente su questo? Molyneux, e poi?
    I videogiochi funzionano per dicotomie: il bene che si oppone al male (o viceversa), due fazioni in lotta tra loro (in San Andreas ci sono miriadi di gang, ma a contendersi il territorio sono solo i Ballas e quelli di Groove Street; sin dai tempi di C&C si può scegliere tra GDI - gli occidentali - e i NOD - i filosovietici), e via discorrendo.

    Esistono però delle eccezioni, che forse c'entrano solo marginalmente col topic: Civilization offre un ampio ventaglio di scelte attitudinali (attraverso la scelta di una civiltà) che investono anche parzialmente la morale del videogiocatore. Qui, sicuramente, le cose sono più elaborate del solito, ma forse lo si deve solo all'impegno di Sid Meier, piuttosto che ad una tendenza generale dell'industria.
    StM ha scritto dom, 27 novembre 2005 alle 19:34
    Il primo Black & White non mi era piaciuto molto. L'avevo giocato come divinità buona, e il mio animaletto era venuto su come "totally evil", cosa che non era nelle mie intenzioni - quando mi accorgevo che aveva mangiato qualche abitante era troppo tardi, in genere arrivavo a redarguirlo giusto in tempo per fargli fare un attimo prima qualcosa di positivo, quindi raddoppiando il danno

    Nel caso dei giochi di Molyneux, il bene e il male sono convenzionali (ed è l'unico difetto che ho trovato a Fable, perlomeno leggendone la recensione). E soprattutto, metafisici - non è, come nel mondo reale, l'opinione che ha di voi la gente, a contare, ma quello che effettivamente fate. "Dio vi vede". (ok, per chi è credente conta anche quello che effettivamente fate, era per dire che finché non ci lasciate le piume non fa differenza)


    In Ultima IX essere buoni ripagava con un po' di mana in più, se non ricordo male. Essere cattivi (cioè non portare a compimento -irrilevanti- sotto-quest) non credo ripagasse per nulla.

    In Morrowind lo scambio è tra reputazione e oggetti in vostro possesso (ad esempio, se recuperate un oggetto rubato, potete restituirlo sperando di aumentare la reputazione -che può servire ad essere più convincente- o tenervelo). Roba banale, quindi, ma in fondo verosimile. (ah, be', in alcuni casi potreste avere da uccidere qualcuno e avere la scelta se farlo davvero o no... in genere avete la possibilità di ottenere le stesse cose in entrambi i casi)

  23. #23
    Emack
    ospite

    Predefinito Re: Backup 09/09/2006

    dal topic "l'estetica dei videogiochi"

    Emack ha scritto sab, 17 dicembre 2005 alle 11:45
    Qui potete trovare un'interessantissima disamina degli stili grafici che stanno pian piano maturando nei videogiochi. Non ci si muove esclusivamente verso il fotorealismo, ma, come titoli di blasone (almeno a livello di critica) ci insegnano, si cerca una personalizzazione convincente in grado di distinguere stilisticamente il proprio titolo (ricordate l'uso del Cel Shading?).

    L'autore dell'articolo sostiene l'importanza di un maggiore sviluppo dell'estetica videoludica con considerazioni inerenti i legami col gameplay (perché si cerca il fotorealismo? perché si vuole rendere l'esperienza plausibile attraverso ciò che si vede).

    Inoltre c'è un'interessante tabella, basata su un'opera di Scott McCloud (e potete vedere l'originale qui):



    Come si può facilissimamente notare, perseguire un certo stile vuol dire creare solo un certo genere di videogiochi.

  24. #24
    Andrew B. Spencer
    ospite

    Predefinito Re: Backup 09/09/2006

    Salve. Ecco a voi un file (che ri-upperò periodicamente: segnalate, segnalate) contenente quella parte di Ars Ludica che sta per essere pappata dall'ApocaFU'.


    Niubboistruzioni per lo scaricamento:

    1) Cliccare fiduciosi su questo link http://rapidshare.de/files/32607438/ARS_ LUDICA_backup_settembrino__2006_.rar.htm l

    2) Colonnina Free, in basso a destra: cliccare su "FREE"

    3) Assumere caffeina in quantità, e/o scaccolarsi in libertà

    4) Digitare il codice antilamer, semi-illeggibile, nell'apposita, coloratissima finestrella


    Il file (per ora) pesa, ahimé, 69 mega.


    EDIT: è stato rinvenuto un reperto archeologico con thread risalenti agli esordi di Ars Ludica (che, per inciso, compie tre anni a Ottobre ).

    Attualmente (23 Settembre) sono disponibili quattro archivi - annate dal 2003 al 2006 - rispettivamente da 14, 54, 25 e 8 mega, questo nella "versione fat", mentre per quanto riguarda quella "snella", html-only, ve la cavate con circa 4 mega complessivi). Consiglio di scaricare/consultare in ogni caso la "versione cicciona", se potete, dato che risulta assai più leggibile.

    Ars Ludica (il forum), Archivi 2003-2006



    Se non volete scaricare tutto, è possibile anche consultare online i singoli topic cliccando sul link qui sopra.




    Spoiler:

    NB: Le discussioni sono state preservate con l'ipertecnologico metodo "Salva pagina...", usufruendo di vari browser, in periodi diversi (buona parte del lavoro - per la gioia dei più nostalgici - risale al 2004, effettuato credo dopo un mini-ApocaFU', nel terrore).

    Se non doveste trovare subito il vostro topic del cuore, setacciate meglio: potrebbe avere un nome un po' diverso.

    Per via della meccanicità e dell'impulsività con le quali è stato confezionato il tutto, ci sarà sicuramente qualche ripetizione, qualche banner e qualche topic di spam francamente evitabile: me ne scuso fin d'ora, e prometto di leggere un intero saggio del Bittanti per farmi perdonare.

    Visto che il file è già grandicello, il nutrito thread-manifesto ("Coleridge e i videogiochi") non è stato inserito, come del resto tutti quelli che non dovrebbero perire.

    Magari un dì cercherò di realizzare una versione più "Dottoressa Tirone Approved" (magari solo testo?) per modem a manovella, per i passanti in cerca di pornazzi a buon mercato, e per chi (giustamente) non se la sente di sciropparsi sessantanovemega fatti anche di sign, faccine e strunza'.
    Ultima modifica di Andrew B. Spencer; 23-09-06 alle 22:01:43 Motivo: Aggiornamento URL e situazione

  25. #25
    Emack
    ospite

    Predefinito Re: Backup 09/09/2006 <-- il ritorno di ABS inside!!!

    ABS

    dal topic "World Games (Epyx): le Olimpiadi digitali del folklore"

    NEO-GEO ha scritto mer, 22 febbraio 2006 alle 18:36
    Non ho ancora capito se lo faccio per farmi bello o per sapere se scrivo castronerie, in ogni caso, ho un altro pensiero da proporvi.

    Olimpiadi digitali del Folklore

    Saga Epyx IV: World Games

    Ultimo"episodio" della saga sportiva multievento della epyx, mette in scena gli sport più singolari e tipici dei paesi sparsi nel modo. Il folklore diventa digitale. Non che la manifestazione dele culture dei costumi e dei modi di vita dei singoli paesi. Sollevamento pesi (russia), Slalom Gigante (francia), Salto dei barili su pattini(Germania), gara di tuffi da una scoliera (Stati Uniti California), Gara di equlibrio sul tronco (Canada), Lancio del tronco (Scozia), Rodeo (Stati uniti Texaxs), e in fine Sumo (giappone).
    Il feeling è quello del viaggio in aereo, molto simile a quello di street fighter 2 quando si iniza a viaggiare per il mondo per incontrare gli avversari con cui battersi. Viaggi in paesi da scoprire quindi, dove la vita oltre lo schermo viene potenziata e diventa descrizione del reale. La fiera in Scozia ne è esempio emblematico. Sembra di essere straniero nella fiera di paese che prova a cimentarsi in uno sport che non gli appartiene, dove il rischio è quello di fare una fine miserabile (ma comica) ed essere deriso da tutti.
    L'insieme di questo gioco sembra un turismo sportivo virtuale, cosa che lo rende praticamente unico nel panorama della storia dei videogiochi una, vera perla a mio parere, tanto che si meriterebbe una analisi per ogni singolo sport!


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