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Discussione: Racconti Operativi

  1. #1
    Lo Zio L'avatar di scutum 2
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    Predefinito Racconti Operativi

    L'idea è questa: raccogliere qaunto più materiale possibile
    in materia di racconti, testimoniali, di fatti bellici.
    L'idea mi è venuta leggendo il racconto linkato da VON RIGHT:

    http://www.752ndtank.com/Cecina.html

    Un interessantissimo raconto di uno scontro urbano tra uno Sherman e un Tigre.
    Ovviamente la lingua dovrebbe essere o inglese o italiano, salvo traduzione.
    Io inizio a linkare questo:

    http://www.dalvolturnoacassino.it/asp/do c.asp?where=Lettura&id=064

    Mi auguro una pioggia di link!
    Saluti.
    Diego



  2. #2
    Lo Zio L'avatar di scutum 2
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    Predefinito Re: racconti operativi

    Mmm, il topic langue! E forza ragazzi, fate qualche ricercuccia...
    io aggiungo altro:

    http://www.ferreamole.it/contributi/vinc enzo_f/

    Forza!
    Saluti

  3. #3
    afrikakorps
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    Predefinito Re: racconti operativi

    Presente!

    Ecco qua un sito su Wittmann, il mitico comandante di panzer!
    Spero si possa postare, il sito non mi pare sia vietato, se c'è qualche riferimento che non va bene, ditemelo che lo tolgo.
    Posto qua per il famosissimo racconto sulla sua azione a Villers-Bocage!
    Buona lettura

  4. #4
    Lo Zio L'avatar di scutum 2
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    Predefinito Re: racconti operativi


  5. #5
    Lo Zio L'avatar di scutum 2
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    Predefinito Re: racconti operativi

    Vediamo di rivalizzare il topic; però... Datemi una mano, suvvia!
    Tratto dalla Rubrica online di "Aerei nella Storia".
    Mi è sembrato "calzante" anche perchè si ricollega ad altri argomenti tutt'ora in discussione nel topic sui mezzi della II g.m.
    Saluti

    “Occhi di gatto” è stato il nomignolo assai centrato che venne dato all’asso della caccia notturna della RAF John Cunningham, uno dei maggiori abbattitori di questa specialità poco conosciuta della caccia durante il secondo conflitto mondiale. Mentre le gesta dei cacciatori diurni furono ampiamente divulgate, un comprensibile velo di segretezza coprì quelle dei cacciatori notturni, sia presso gli alleati che in Germania, dove pure i cacciatori notturni raggiunsero vette eccelse di capacità e di numero di vittorie. Il fatto si spiega senza difficoltà se si tiene conto che le apparecchiature radar di intercettazione aeroportata costituivano all’epoca il "top" della tecnologia elettronica, e che nessuno dei contendenti desiderava far sapere agli avversari (e talvolta nemmeno agli alleati!) quale fosse il livello raggiunto dalle proprie apparecchiature.
    Inutile dire che i primi radar AI (Airborne Interception) avevano prestazioni modeste, erano assai poco affidabili, tendevano a surriscaldarsi e ad incendiarsi, mentre le loro indicazioni erano assai difficili da interpretare. Ma i tempi erano difficili per le Isole Britanniche, strette d’assedio da una potente armata aerea di bombardieri notturni, e si doveva fare di necessità virtù con il poco di cui si poteva disporre.
    Volare di notte, spesso in condizioni meteorologiche molto avverse, richiedeva agli uomini capacità peculiari. Cunningham e Rawnsley, che divenne il suo fidato "mago", militavano nella Royal Auxiliary Air Force da alcuni anni quando la loro domanda fu accolta. Inizialmente al 604° Sqn della Auxiliary, riequipaggiato con i Blenheim, furono assegnate solo missioni di scorta ai convogli navali, poi il gruppo fu trasferito a MiddleWallop ove gli equipaggi sarebbero stati addestrati nelle tecniche di caccia notturna, per l’epoca ultrasegrete. Comunque, all’atto pratico, i Blenheim si dimostrarono troppo lenti rispetto ai bombardieri nemici, e la situazione prese a migliorare solo nel settembre del 1940, quando al 604° furono assegnati i primi Beaufighter da caccia notturna; si trattava dei Beaufighter IF, dotati del radar A.I. Mk.IV, operante su lunghezza d’onda di 1,5 m, armati con 4 cannoni Hispano da 20 mm con 240 cpa e 6 mtg Browning cal. 7,7 mm con 1000 cpa. Sotto la spinta dei suoi due radiali Hercules da 1590 hp questo bestione raggiungeva una velocità massima di 519 km/h ed era perfettamente in grado di confrontarsi con qualsiasi avversario.
    Cunningham ottenne la sua prima vittoria il 20 novembre 1940, volando con l’operatore radar Phillipson. Guidato da terra, riuscì a raggiungere, dopo un lungo inseguimento, uno Ju.88, che abbattè al largo della costa meridionale inglese. Il 23 dicembre fu la volta di un He.111, seguito il 2 gennaio da un altro He.111. Per questi abbattimenti ricevette la DSC. Si deve dire però che molte altre occasioni vennero sprecate per varie ragioni, prevalentemente tecniche: il radar Mk.IV in realtà non fu mai una macchina affidabile, inoltre emetteva sia in avanti che all’indietro contemporaneamente, quindi l’operatore doveva essere un vero mago per capire se il bersaglio stava davanti o volava alle spalle del caccia. Per non parlare del "clutter" del suolo che, a quota medio-basse, tendeva ad accecare lo schermo.
    Il 12 gennaio 1941 Cunningham, che nel frattempo era stato messo in coppia con Rawnsley, si trovava già in volo di pattugliamento in quota quando pervenne la chiamata di allarme della GCI (Ground Controlled Interception) che li indirizzò verso un incursore in avvicinamento sulla Manica. Al pilota veniva data direzione e quota del bersaglio, nonchè la sua velocità presunta. Splendeva la luna e la notte era serena: uno scenario veramente adatto ad una battuta di caccia grossa. Rapidamente Cunningham raggiunse la costa meridionale, limite che non doveva valicare per motivi di segretezza connessi al radar. Dato che l’incursore volava a circa 10.000 piedi, Cunningham decise di raggiungere quota 11.500 per poter disporre di un utile vantaggio di quota da poter trasformare in velocità. Nel frattempo il GCI continuava ad informarlo dell’evolversi della situazione. Dopo alcune manovre finalmente il Beaufighter si trovò su rotta di intercettazione in coda all’avversario. Durante l’avvicinamento Rawnsley continuamente dava istruzioni al pilota tipo: "distanza 1,5 (miglia) in diminuzione… troppo alto, scendi di 200 (piedi) lentamente, sinistra 10; troppo, correggi a destra 5… 3 sotto… sali piano". Compito di Cunningham era, contemporaneamente, di pilotare, di interpretare correttamente le indicazioni del suo "Wizzard" e di scrutare nel buio al fine di scorgere la sagoma nera del nemico senza farsi scorgere a sua volta per non prendersi una raffica di mitraglia da parte del mitragliere nemico. Occorreva avvicinarsi di soppiatto, facendo meno rumore che fosse possibile: pertanto Cunningham mise i motori al minimo e scelse un rateo di discesa moderato che gli consentiva di perdere quota senza guadagnare velocità, onde non sorpassare inavvertitamente il nemico e divenire così da cacciatore, una facile preda. La distanza andava diminuendo rapidamente, nonostante la velocità fosse diminuita, e quando fosse scesa sotto le 200 yarde, Rawnsley lo avrebbe irrimediabilmente perduto. A quel punto Cunningham, che doveva avere davvero la vista di un felino, scorse una sagoma nera che cercava di confondersi contro il nero del cielo notturno. Cunningham si trovava più in basso, in posizione adatta; aumentò i giri dei motori manovrando le manette con cautela per evitare ritorni di fiamma, ridusse lentamente le distanze, collimò l’avversario con precisione, poi premette il pulsante di sparo e si scatenò l’inferno. Sembra incredibile quanto rumore facciano quattro cannoni da 20 mm quando vomitano insieme un torrente di fuoco sull’avversario. Per non parlare della fiamma accecante delle armi che facilmente può abbagliare il pilota. Nonostante tutto questo fracasso l’equipaggio del bombardiere nemico parve non accorgersi di nulla. Dopo pochi secondi di fuoco le armi tacquero quasi per incanto: si erano inceppate, difetto non molto raro all’epoca. Immediatamente Rawnsley si chinò per riarmarle e Cunningham riprese a sparare. Questa volta la sua azione ebbe come conseguenza una serie di esplosioni nel motore destro dell’Heinkel 111. Infine i mitraglieri nemici parvero risvegliarsi dal torpore e un fiotto di traccianti si indirizzò verso il Beaufighter. E Cunningham non poteva fare più nulla, dato che il sistema pneumatico di riarmo dei cannoni era definitivamente in avaria. In queste condizioni l’unica cosa da farsi era cercare scampo: una violenta virata picchiata e la rabbia di dover fare ritorno alla base con il carniere vuoto! Ma avrebbe potuto anche andare peggio!
    Marzo non portò nuove vittorie, ma aprile fu migliore: un He.111 cadde sotto i colpi delle sue armi il 3, seguito da un altro il 9 e da un terzo il 12, oltre ad un danneggiato, mentre il 15 furono ben tre gli incursori abbattuti nel corso di una sola, memorabile, missione. A questo punto Cunningham aveva raggiunto quota 10 abbattimenti e fu insignito del Distinguished Service Order (DSO), mentre Rawnsley ebbe la DSM. Addirittura in maggio riuscì ad abbattere un He.111 proprio sopra una stazione radar sita sulla costa meridionale, e proprio alla presenza di Re Giorgio V, in visita all’installazione. Per questo abbattimento ebbe i gradi di sottotenente e una Barra da aggiungere alla DSL. A fine agosto un altro abbattimento sul’Inghilterra centrale, poi le cose si misero male. Il fuoco di un secondo bombardiere, che il nostro asso aveva raggiunto sulla Manica, gli incendiò un motore e lo costrinse ad un rientro d’emergenza. Il famoso duo si rifece il 1° settembre abbattendo uno Ju.88 al largo della costa orientale britannica. Per la sua azione generosa e continuativa gli fu concessa la seconda Barra mentre Rawnsley ricevette la tanto sospirata DFC. Il 27 luglio 1942, giunto a quota 16, ricevette la Barra da apporre al suo DSO e fu nominato capo dei reparti di addestramento alla caccia notturna, tanto la sua esperienza veniva giudicata notevole.
    Dopo un semestre trascorso come istruttore, Cunningham ebbe il comando dell’85° Sqn operante con i nuovi Mosquito. Di nuovo in coppia con il fedele Rawnsley sperimentò il nuovo radar Mk.VII, adatto ad operare alle basse quote, ove si erano rifugiati gli incursori nemici, inoltre impiegò anche i Mosquito Mk.XV da alta quota, per poi dotarsi stabilmente dei Mosquito Mk.XII dotati dei radar A.I. Mk.VII.
    L’entrata in servizio del Mosquito fu un vero colpo di fortuna per la caccia notturna britannica, dato che al tempo stesso anche la Luftwaffe aveva drasticamente mutato il suo "modus operandi". Ai relativamente lenti bombardieri bimotori volanti a quote medio-basse erano stati sostituiti i velocissimi incursori Focke-Wulf 190 caricati di una sola bomba e di due serbatoi supplementari. Pur così carichi, erano ancora pi_ veloci e manovrieri dei Beaufighter, ma non certamente degli agilissimi Mosquito.
    Il 13 giugno il primo FW.190 cadde sotto il preciso tiro di Cunningham, seguito il 23 da un secondo, abbattuto sopra Dunkerque al termine di un lunghissimo inseguimento, e l’8 settembre da un terzo; lo stesso aereo di Cunningham fu coinvolto dall’esplosione dell’avversario e riuscì a stento a far ritorno alla base con un solo motore. Il vero segreto di queste vittorie però stava, oltre che nell’abilità del nostro duo, nel nuovo radar centimetrico A.I.Mk.X (l’americano SCR720 riprodotto su licenza), un’apparecchiatura assai avanzata, operante su lunghezza d’onda di soli 30 centimetri, con scansione a disco rotante e con settore di esplorazione verticale da –90° a + 90°, grazie all’antenna orientabile. Il Mk.X, che rimase in servizio per molti anni dopo la guerra, vantava una portata massima di 16 km, molto più dei precedenti radar A.I. Inoltre il Mosquito era direttamente collegato con tutti i radar dei vari centri GCI e non doveva pi_ dipendere direttamente dalle informazioni trasmessegli da un singolo operatore a terra.
    Il 2 gennaio 1944 Cunningham fu "vettorato" verso un nemico in rotta di scampo dopo l’attacco. Giunto a tiro dell’avversario Cunningham lo riconobbe per uno dei nuovissimi Me.410, incursori tanto veloci da risultare quasi imprendibili. L’inseguimento si protrasse sopra la Manica e fin sul suolo francese ove il pilota nemico, sentendosi al sicuro, commise il fatale errore di diminuire la velocità. E ciò bastò a "Occhi di gatto" che lo fulminò con soli 10 colpi di cannone. Alla fine del febbraio Cunningham terminò il suo secondo ciclo operativo con 19 vittorie e una seconda Barra da apporre al suo DSO, la decorazione americana Silver Medal nonchè la promozione a Colonnello.
    Terminato il conflitto, Cunningham fece ritorno al suo mestiere di sempre, come pilota collaudatore presso la De Havilland. Per questa ditta effettuò i collaudi del DH.108, del Comet, del DH.110 Sea Vixen, e dei succesivi Comet 2 e 3, con i quali portò a termine le prime trasvolate atlantiche su aerei a getto e il primo giro del globo con aerei a reazione. Divenuto Direttore Generale della Hawker-Siddley, procedette di persona al collaudo in volo del Trident nel 1962, poi si dedicò esclusivamente a questioni tecniche e amministrative.
    Cunningham non è stato solo un eccellente pilota da caccia, ma anche un valente tecnico e ha dato notevoli contributi allo sviluppo delle nuove tecniche e tattiche dell’intercettazione ognitempo; inoltre in guerra si dimostrò un comandante validissimo, e ciò è provato ampiamente dal livello d’eccellenza raggiunto dal gruppo posto al suo comando.

    Riquadro caccia notturni britannici
    Il primo vero caccia notturno inglese munito di radar fu il Blenheim Mk.IF che montava il radar A.I.Mk.III. Si trattava evidentemente di un modello sperimentale, che venne impiegato in mancanza di meglio soprattutto a scopi addestrativi e di calibrazione delle nuove apparecchiature. Nel corso del "blitz" notturno germanico dell’inverno 1940-1941 i Blenheim ottennero qualche vittoria, ma dimostrarono chiaramente di non essere adeguati alle necessità, soprattutto perchè non sufficientemente veloci.
    Fu nel corso delle incursioni notturne del "blitz" invernale che iniziarono ad essere distribuiti ai reparti i nuovi Beaufighter Mk.IF; ancora muniti del radar A.I.Mk.IV ereditato dai Blenheim, ma pesantemente armati (4 cannoni Hispano da 20 mm con 240 cpa + 6 mtg alari cal. 7,7 mm con 1000 cpa), erano potenziati da due radiali Hercules da 1590 hp, grazie ai quali potevano raggiungere una velocità massima di 516 km/h a 4500 m. Con questi aerei furono riequipaggiati gli Squadron N°25,29,68,141,153,219,256,600 e 604. La versione successiva fu la Mk.II, che differiva dalla precedente per i motori, due 12 cilindri raffreddati a liquido Rolls-Royce Merlin XX. Il Beaufighter Mk.II entrò in servizio nel luglio 1941 con gli Sqn N° 255, poi 307 ed infine, nel 1942, con il N° 96 e 125. La versione standard fu però la Mk.VIF, con cui furono equipaggiati, nel 1941–’42, 12 Sqn in patria e 6 nel Medio Oriente. Gli Sqn N°255 e 600 furono poi trasferiti in Africa del Nord dove ottennero brillanti risultati. Nel settore operativo CBI (Cina-Bimania-India) operarono su Beaufigher 4 Squadron. Il Beaufighter, pur essendo un’arma valida, non fu mai particolarmente amato dai suoi equipaggi, essendo di non facile pilotaggio, specialmente con un solo motore. La fuoriuscita in emergenza era assai rischiosa, durante il fuoco con i cannoni l’aereo vibrava in modo eccessivo e l’abitacolo veniva invaso dai fumi tossici delle armi; inoltre il primo tipo disponeva di cannoni con caricatori a tamburo la cui sostituzione in azione era molto difficoltosa. Pur con tutti questi difetti il Beaufighter svolse un lavoro eccellente.
    Quando si parla del Mosquito gli aggettivi iperbolici solitamente si sprecano. Il progetto di De Havilland fu certamente un aereo molto riuscito, anche se non certamente adatto ad essere riprodotto in grande serie a prezzi ragionevoli. Realizzato prevalentemente in legno stratificato e incollato, aveva il pregio (essenziale per quei tempi duri) di non richiedere preziose leghe leggere e mano d’opera altamente qualificata. Dato che la cellula si prestava egregiamente al montaggio del radar A.I. Mk.IV, non appena possibile fu realizzata la versione iniziale da caccia notturna, siglata NF MK.II, che fu poi riprodotta in 466 esemplari. Capace di raggiungere una velocità massima di 595 km/h, questa entrò in linea con lo Sqn N°23 nel maggio 1942, e poi con il N° 157 in agosto. La variante successiva fu la NF Mk.XII: ne furono realizzati in tutto 97 esemplari ottenuti convertendo dei Mk.II mediante l’installazione del più potente radar A.I. Mk.VIII e l’eliminazione delle quattro mtg cal. 7,7 mm nel muso. La conversione ebbe un discreto successo, tanto che ne furono prodotti altri 270 nuovi siglati NF Mk.XIII.
    Nel 1943 si rese disponibile il nuovo radar centimetrico statunitense SCR-720, riprodotto su licenza come A.I. Mk.X: con questa apparecchiatura vennero riequipaggiati circa 100 Mk.II risiglati NF Mk.XVII, cui si aggiunsero altri 230 NF Mk.XIX simili di nuova produzione, potenziati da due R-R Merlin 25 da 1635 hp. Con questi furono riequipaggiati 8 Sqn. La versione d’alta quota fu la NF Mk.XV che disponeva di un’ala di apertura maggiorata a 19,05 m, armamento ridotto a 4 mtg cal. 7,7 mm e motori Merlin 76/77 da 1710 hp; l’aereo poteva raggiungere quote di 13250 m e fu dato in dotazione allo Sqn N°85 che però non ebbe mai l’occasione di impiegarlo in azione. La versione definitiva del tempo di guerra fu la NF Mk.30 che entrò in linea nel luglio 1944 con lo Sqn N°219 e poi con altre 12 squadriglie. Montava vari tipi di motori delle serie 70 e anche la coppia 113/114 controrotanti che conferivano a questa versione una velocità massima di 655 km/h e una tangenza di 11.900 metri. Ne furono realizzati 526 esemplari.
    A giudizio unanime il Mosquito fu un "pilot’s aeroplane", dal pilotaggio piacevole, assai maneggevole e veloce, con un raggio d’azione di 2100 km che lo metteva in grado di effettuare sia lunghi pattugliamenti che di spingersi fin nel cuore della Germania per cacciare i caccia notturni avversari. Fra i suoi avversari diretti, solo l’eccellente Heinkel He.219 Uhu e il bireattore Messerschmitt Me.262B-la/Ul potevano stargli al pari e contrastarlo con successo. Ben 6 Sqn operarono con il N° 100 Group a scorta dei bombardieri.
    La fine del conflitto, che aveva ormai visto la decisa affermazione della propulsione a getto, non significò affatto la scomparsa del Mosquito, del quale furono realizzate parecchie altre versioni, fra cui la NF 36 da caccia notturna, realizzata in 266 esemplari (radar A.I. Mk.X e motori Merlin 113/114, velocità max. 682 km/h a 9000 m) e la NF 38 (radar britannico Mk.IX, motori Merlin 114A) prodotta in 50 esemplari per la Jugoslavia. La produzione terminò nel novembre 1950.



  6. #6
    afrikakorps
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    Predefinito Re: racconti operativi

    qua c'è qualcosa innanzitutto sul "mitico" cacciacarri Nashorn, poi più in fondo si trova la (breve) storia di Albert Ernst, l'unico asso conosciuto di questa tipologia di mezzi. Alcuni di voi lo conosceranno perchè in Combat Mission Barbarossa to Berlin c'è appunto una missione (Hornet's Nets) dove lui, con soli 6 Nashorn, deve fermare un'intera colonna corazzata russa, con tanto di T34 e KV... Da provare

  7. #7
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    Predefinito Re: racconti operativi

    Questa è davvero curiosa nella sua dramamticita...

    http://www.dodecaneso.org/MM23881.htm

    Cmq cercate di concentrarvi sui contenuti umani più che tecnici.
    Saluti

  8. #8
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    Predefinito Re: racconti operativi

    Parlando, sopra, di caccia notturna... Non sapevo che la R.A. avesse usato anche i Do 217!
    Tratto da "Analisi Difesa" numero di aprile, di S.F. Mucia.

    "Le notti insonni del leone"
    “Tu la notte non devi dormire”, ruggisce il leone del comando intercettori notturni della Regia Aeronautica. Un leone giallo in un cerchio rosso, mezzo dormiente e mezzo desto, che sembra uscire da un cartone animato. “Nec in somno quies”, ripete il motto che accompagna il distintivo del 41° Stormo, uno dei reparti italiani meno conosciuti della seconda guerra mondiale. Pochi, infatti, sono gli accenni ai sacrifici compiuti dai piloti e dagli specialisti della caccia notturna. E’ sufficiente però una vecchia fotografia con l’emblema del leone sulla fusoliera di un nero Do. 217, per far sì che i bimotori da caccia notturna tornino a far parlare di sé. La nascita del reparto di cacciatori notturni può essere fatto risalire idealmente al 18 febbraio 1942, quando fu decisa la trasformazione del 41° Stormo dalla specialità del bombardamento a quella di intercettori notturni. I primi tentativi nazionali di caccia notturna risalgono a quasi due anni prima, nell’ottobre del 1940 in Libia. Nelle notti chiare ed illuminate dalla luna, i caccia biplani CR-42 operarono con tattiche simili a quelle impiegate di giorno. Il primo gruppo organico di aerei destinati a questa specialità fu costituita in Sicilia nel 1941. Il salto di qualità, se così si può definire, fu compiuto a seguito dei pesanti bombardamenti che colpirono l’Italia alla fine del 1942. La regia Aeronautica non disponeva di bimotori idonei al compito di caccia notturni. L’unica via percorribile in tempi brevi, fu quella di acquisire dalla Germania velivoli Me.110 e Do.217. Nel gennaio 1942 una delegazione italiana capeggiata dal generale Biseo si recò in Germania per una visita conoscitiva alle installazioni ed ai mezzi della Luftwaffe. I tedeschi dopo aver consegnato solo tre Me.110C (MM. 964, 1804 e 135 dei dieci ordinati, finirono per cedere agli italiani una dozzina di Do.217, e non delle versioni più recenti. Se da un lato il velivolo si dimostrò un’ottima piattaforma di tiro, pesantemente armato, dall’altra il bimotore era poco manovrabile e richiedeva almeno 1.800 metri di pista per il decollo. In totale il 41° Stormo Intercettori Notturno ricevette undici Do. 217 e due Me.110. Prima della costituzione delle cellule di avvistamento radar e guida caccia, dotate di radar tedeschi Freya e Würzburg, la difesa contraerea era di solito allertata dai colleghi della Luftwaffe tutte le volte che una formazione avversaria sorvolava la Germania. Meridionale e proseguiva sulla Francia in direzione dell’Italia. I piloti e gli specialisti non nutrirono eccessiva fiducia negli apparati di radiolocalizzazione di bordo, soprattutto per la loro scarsa affidabilità ed efficienza. Gli equipaggi preferirono affidarsi ai guidacaccia a terra ed alle proprie capacità di volo notturno. Una volta che anche nel nostro paese furono disponibili apparati radar, le cellule di difesa aerea fornirono al piloti in volo il vettore radar, guidandoli fino ad un chilometro dall’incursore. Da quel momento l’intercettore doveva individuare a vista il bersaglio, collimarlo e colpirlo. Dai documenti ufficiali non risulta che alcun velivolo avversario sia stato abbattuto da un caccia della Regia Aeronautica con l’ausilio del radiolocalizzatore di bordo. Nel 1943 il Lichtenstein B.C., (Fu.G.202), chiamato “attaccapanni” dagli equipaggi italiani, fu il primo apparato ad essere montato a bordo dei bimotori tedeschi a cura dei tecnici della Telefunken. La frequenza di funzionamento era di 500 Mhz., la portata massima si aggirava intorno agli 8 chilometri, mentre quella minima era di 300 metri. Il suo nome era “Rate B.C.”. Il Lichtenstein non permise di conseguire alcun risultato, ma diverse furono le vittime dei cacciatori italiani. Nonostante mezzi inadatti ed insufficienti e l’assenza pressoché totale di un sistema radar integrato, i "leoni della notte" riuscirono a far sentire comunque il loro ruggito grazie soprattutto all'abilità dei piloti dal momento che, combattimenti a parte, anche un decollo o un atterraggio alla luce di una semplice fotoelettrica non erano manovre che tutti potevano effettuare con noncuranza. Il 60° Gruppo del 41° Stormo, comandato dal maggiore Mario Curvo, passò il 21 ottobre 1942 dall’aeroporto di Treviso, dove era presente il primi Nucleo Addestramento Intercettori, a Lonate Bozzolo, con la 235ª Squadriglia, al comando del capitano Aramis Ammannato. I Me.110 furono utilizzati esclusivamente per l’addestramento presso la 235ª. Alla data del 15 maggio 15 maggio 1943, presso lo Stormo, i bimotori Do.217 J-1 (senza radiolocalizzatore), erano sette, mentre quelli della versione J-2 (con radar Lichtenstein a bordo) erano otto. Alla 235ª Squadriglia furono assegnati inizialmente quattro velivoli (MM.1284, 1272, 1347 e 134, ma con il trasferimento della 233ª a Lagnasco i bimotori di quest’ultima andarono ad ingrossare le fila della precedente. Nelle operazioni notturne i piloti raggiungevano le zone di agguato, designate a terra da un radiofaro. Queste erano in genere circolari, con un raggio di 30-35 chilometri. Le quote di volo erano comprese tra i 3.000 ed i 5.000 piedi. Dopo il decollo i piloti si dirigevano verso di essa e li attendevano le istruzioni da terra trasmesse dal guidacaccia. Prima dell’introduzione dei radiofari, le zone erano contraddistinte da riferimenti a terra costituiti da fari di diverso colore. La strada del ritorno all’aeroporto era indicata dal radiofaro di avvicinamento e/o di atterraggio, presente in quasi tutti i nostri aeroporti. Questo mezzo, provvisto di un’antenna telescopica, disponeva di sei coppie di ruote posteriori e due anteriori per la marcia su terreni accidentati. L’interno era diviso in due parti: nella prima, insieme al posto di guida del veicolo, si trovava la stazione radiotrasmittente. Alle prime ore del 17 luglio 1943 e dopo l’ennesimo bombardamento di Milano una formazione di quadrimotori Lancaster della RAF riprendeva la via del ritorno mentre altri velivoli dirigevano sulle centrali elettriche di Cislago e Zizzola Ticino. L’attacco frontale alla formazione non era possibile. Non c’era nessun sistema integrato capace di dirigere i caccia notturni. L’attacco doveva essere portato in perfetto isolamento e con la scelta e dei bombardieri nemici in coda alla formazione, oppure di velivoli singoli diretti su uno specifico obiettivo. Due equipaggi di allarme si trovavano su un apposito veicolo di “attesa”, costituito da un pullman attrezzato con cuccette e saletta radiotelefono, mentre i velivoli erano allineati davanti all’hangar. Un primo equipaggio, detto di “prima muta”, era pronto a decollare entro due minuti dall’allarme. Il secondo (seconda muta) sarebbe intervenuto entro dieci minuti mentre un terzo equipaggio riposava nelle palazzine aeroportuali ed era attivabile entro trenta minuti. L’allarme dato dalla difesa contraerea, quando i bombardieri nemici erano ancora in volo sulle Alpi scattò alle 03.50. I motoristi corsero subito ai velivoli e misero in moto. Il pilota, con le eliche già in movimento effettuava i previsti controlli, nell’attesa che gli strumenti motore indicassero i parametri corretti, con particolare riferimento alla pressione dell’olio. Si assicurava che gli altri due membri dell’equipaggio fossero nel frattempo seduti e legati. Poi decollava tuffandosi nel buio. La tenue luce di una lampada a fondo pista guidava la corsa del velivolo. Il Do.217 J-1, nominativo radio Saetta 1, pilotato dal capitano Ammannato e con l’equipaggio formato dal sergente marconista Gino Russo e dal 1° aviere motorista Giovanni Tempo diresse il velivolo verso la zona di Cislago, a sud di Tradate, in attesa degli incursori. Dopo il decollo, il bimotore della 235ª Squadriglia, guidato da terra, avvistò un quadrimotore Stirling alla quota di 500 metri. Ammannato si posizionò in coda al bombardiere, ma non appena accennò ad aprire il fuoco con le sole mitragliatrici per una raffica di centraggio, il velivolo inglese con una repentina picchiata, sparì nel buio, nonostante il velivolo italiano tentasse di seguirlo. Volando ad una quota più bassa, dopo circa due minuti il pilota scorse un altro bombardiere , in volo sopra di lui, che si stagliava nel cielo scuro al chiarore della luna piena, anch’esso in volo a 500 metri di quota. Era un quadrimotore Lancaster. La prima raffica di centraggio fece perdere al capitano Ammannato il vantaggio della sorpresa, come nell’attacco precedente. L’equipaggio dei quadrimotore inglese, allarmato dalle traccianti, risponde al fuoco. Saetta 1 si disimpegnò con una scivolata d’ala per riposizionarsi immediatamente dal punto dal quale aveva aperto il fuoco e non farsi individuare. Il capitano Ammannato guadagnò quota e si riposizionò in coda al Lancaster. Sparò una seconda raffica e poi una terza con i quattro cannoncini da 20 millimetri e le quattro mitragliatrici da 7,9. Il bombardiere fu colpito. Uno dei motori di destra fu messo fuori uso, l’atro era in fiamme. Il quadrimotore iniziò a perdere quota , poi lentamente, puntò verso terra, precipitando lungo il greto del fiume Ticino, nei pressi di Vigevano. Le urla di gioia dell’equipaggio si confusero con il rombo dei motori del Do.217, lanciato all’inseguimento di altri incursori. La missione si concluse felicemente con l’atterraggio di Saetta 1 a Lonate Pozzolo, nel buio più assoluto. L’avvicinamento era strumentale, guidato prima dai dati forniti dai radiofari di Turbino e di Casorate Sempione e poi dal famoso carro “dovunque”, dotato di stazione radiotrasmittente. In finale, piccole lampadine da 24 volt, poste a bordo pista indirizzavano il velivolo a terra. L’ordine via radio era “venite a dormire”, ma il capitano Ammannato non contento si fece condurre in macchina verso il luogo dove l’avversario era precipitato. L’aereo, un Lancaster III, codice “EM-W2, matricola ED 692, pilotato dal pilot officer L.E. Stubbs, era spezzato in più parti. Il troncone più grande era quello di coda, dove il mitragliere, un inglese biondo di 21 anni era miracolosamente vivo. Nessuna speranza per gli altri membri dell’equipaggio. Il mitragliere britannico fu accompagnato al Palazzo Comunale di Vigevano dove, sottoposto ad interrogatorio, specificò di aver partecipato la notte precedente al bombardamento di Torino, ma si rifiutò di fornire altre informazioni circa le rotte seguite dai bombardieri notturni della RAF: Certo non si aspettava di essere abbattuto da caccia notturni italiani. Quella notte tutti i componenti della squadriglia festeggiarono la vittoria, ma niente champagne, solo anice fornito dalla Regia Aeronautica.


    Saluti.





  9. #9
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    Predefinito Re: racconti operativi

    Beccatevi questo "papiellone" che, per quanto lungo e molto tecnico (gli aspetti umani potete immaginarli), è davvero interessantissimo (a mio avviso, ovviamente).
    Gli isolati corsivi in parentesi sono miei, brevi e "istintivi" comenti.
    Certo che me lo state facendo tenere in piedi solo a me il topic...

    Di F. Cappellano, su Storia Militare di maggio 2000. relativo alle vicende del 120° Regg. art. mot. del Regio Esercito contro i T 34 Sovietici nel luglio 1942 a Sreafimovich, 30 e 31 luglio 1942.

    Dal diario del 120° Reggimento artiglieria motorizzato, Ucraina, 30 luglio 1942 (combattimenti che interessarono la batteria da 75/97/38 (denominazione italiana del cannone c.c. da 75/34 mod. 97/38 ceduto dai tedeschi agli italiani)
    "...Il mattino del 30 settembre si procedeva allo studio dello schieramento di 4 gruppi -I e II/120°; II/201° e LXII/30°- e della batteria c.c. 75/97/38 del 120° che dovevano prendere parte all' azione offensiva che doveva portare all' eliminazione della testa di ponte di Serafimovich- una pioggia insistente cominciò a cadere. Per tema che le piste dovessero divenire impraticabili, fu dato ordine ai gruppi di assumere mediatamente lo schieramento predisposto senza attendere il tardo pomeriggio, e così i gruppi erano appena arrivati nella loro zona di q. 210,1 -anzi il II/201° aveva ancora la 4° btr. in marcia- quando verso le 13,30 appariva all' improvviso la prima ondata di carri armati. Data la zona di schieramento: anfiteatro poco ondulato e la postazione dei vari gruppi, tutti presero parte con i loro cannoni alla lotta sferratasi contro i carri.
    “BATTERIA DA 75/97/38 del 120°”
    Giorno 30: La btr. era schierata un km. a Sud-ovest di q. 210,1 per sbarrare le provenienze ai carri eventualmente provenissero da Nord, da Ovest, da Est. Visibilità 180° su tutta la piana, eccetto un tratto di circa 20 metri in profondità per 100 metri in larghezza, a circa 200 metri dalla btr. causa leggero avvallamento. Circa mezz' ora dopo l' apparizione dei primi riprese a piovere e continuò con rovesci d' acqua sino alle ore 16 circa. Per la btr. Da 75/97/38 posso suddividere tutta l' azione svolta contro i carri in varie fasi:
    Prima fase: I carri apparvero all' improvviso verso le ore 13.30 bucando dal costone di q. 210,1 circa 1000 metri dalla batteria. Il tiro viene iniziato a circa 800 metri e vengono sparate 30 granate a caricamento cavo e 30 granate a scoppio con i seguenti risultati: carro armato medio T34 n.78 viene colpito sulla prua in basso immediatamente sotto il gancio destro di traino, il colpo ha immobilizzato immediatamente il carro. Carro armato leggero n. 315 è stato colpito sulla parte superiore a sinistra con granata a scoppio - venne visto incendiarsi ed allontanarsi per una ventina di metri - quivi si fermava bruciando. Altro carro armato leggero venne colpito sulla corazza frontale con granata a scoppio ed immediatamente si arrestò. Nulla si può dire sulla sorte degli equipaggi essendo l' attenzione degli artiglieri concentrata sugli altri carri che apparivano.
    Seconda fase: Tre carri armati intanto proseguivano: due spostati nettamente a sinistra; l' altro verso il centro della radura della zona dello schieramento. Su quest' ultimo si concentrò il tiro della btr. sparando a circa 300 metri di distanza n. 20 granate a carica cava. Risultati: - carro armato T34 n. 76: venne raggiunto da parecchi colpi; ma due soli hanno avuto effetto: uno sulla corazza frontale immediatamente a destra della mitragliatrice e l' altro lateralmente alla torretta -ambedue i fori sono di diametro molto piccolo non avendo le granate avuto effetto pieno causa la conformazione della corazzatura- Il carro rimase immobilizzato al secondo colpo utile. Esaminato in seguito questo carro presenta anche uno squarcio nella lamiera orizzontale di protezione dei cingoli (spessore circa 10 mm) mentre la lamiera verticale appare intatta. Non ritengo possa trattarsi di un colpo proveniente dall' esterno, essendo impossibile ad un proietto arrivare a contatto con tale lamiera orizzontale senza incontrare i cingoli: -questi infatti non sono stati colpiti da alcun proietto- ritengo piuttosto che una scheggia della corazza proiettata da uno dei due colpi messi a segno abbia provocato lo scoppio di un proietto del cannone da 76 mm del carro stesso-. Gli altri due carri intanto piegavano verso sinistra, scomparendo dietro un costone invano inseguiti dal tiro (circa 10 granate a caricamento cavo, distanza di tiro circa 600 m.)
    Terza fase: Dopo circa mezz' ora, improvvisamente, affioravano fra l' erba le torrette di due carri che avanzavano verso il centro della batteria -spostati a mano i pezzi di pochi metri per meglio sparare- vennero sparati alcuni colpi che non arrivarono a segno o, per lo meno, non ebbero risultati, ma che ottennero però di far deviare i carri, i quali a grande velocità si riportarono dietro il costone, scomparendo alla vista della btr. Ma poco dopo il primo di questi due carri (T34) ricompariva puntando direttamente sulla btr e facendo fuoco col cannone e con le mitragliatrici. La btr. aprì subito il fuoco e furono sparate circa 10 granate c.c., ma di queste una sola riuscì ad immobilizzarlo a circa 8 metri dal II pezzo -il colpo aveva preso in pieno il risalto della torretta sul lato del cannone ed otteneva il pieno effetto uccidendo tutto l' equipaggio-. Un secondo T34, n. 77, spostato sulla sinistra, avanzava dopo circa un quarto d' ora, dopo essersi occultato in un cespuglio. - Venivano sparate 8 granate a caricamento cavo, delle quali una colpiva in pieno la torretta sul fianco sinistro immobilizzando il carro l' effetto del colpo è stato pieno -la torretta veniva anche forata da un proietto da 75/32 della 4a btr. che avendo visto la minaccia dei carri armati, immediatamente si schierava sulla destra della btr. da 75/97/38. Detto colpo urtava sull' otturatore del cannone da 76 mm di cui era armato il carro, ma non scoppiava.
    Giorno 31: La btr. da 75/97/38 è in posizione nei pressi della strada che porta a q.197,4 - 180 nei pressi del laghetto. - Detta posizione fu presa di comune accordo fra il Ten. Guglielmi, Comandante la btr. 75/97/38 del 120° ed il Ten. Lohler, Comandante di due pezzi anticarro tedeschi in posizione sulla sinistra della strada. Distanza della btr. da 75/97/38 della strada circa 500 metri. Visibilità ottima. I carri appaiono improvvisamente lungo la strada verso le 13, procedendo alla massima velocità, a circa 600 metri dalla batteria. Vennero sparate circa 15 granate a c.c. delle quali una colpiva un carro del tipo T34 immobilizzandolo. Il colpo arrivava sulla torretta laterale. Poco dopo altri carri si presentavano e la sezione sparava 14 granate a c.c. e una ventina di granate a scoppio avendo ultimate le prime. Risultati: un carro T34 colpito alla torretta, si incendiava e si arrestava dopo una cinquantina di metri bruciando. Due carri leggeri colpiti con una granata a scoppio restavano immobilizzati. In questa azione il Ten Lohler con i suoi pezzi distruggeva un carro T34 e due leggeri. In definitiva la batteria da 75/97/38 del 120° nei giorni 30 e 31 luglio riusciva a distruggere o ad immobilizzare: giorno 30 - 4 carri T34, 2 leggeri; giorno 31 - 2 carri T34 e 2 leggeri. EFFETTO dei proietti. Granata a c.c.: deve colpire i punti vulnerabili del carro, altrimenti non dà l' effetto desiderato. Sui carri immobilizzati infatti sono state notate molte tracce di colpi di granata c.c. (nettamente riconoscibili per le tracce di fusione), che però non hanno avuto effetto causa la sagomatura delle corazzature. Nei colpi utili, il foro è provocato per fusione della corazza e si restringe verso l' interno, l' effetto distruttore è dovuto alla proiezione delle particelle fuse della corazza verso l' interno. Granata a scoppio: sui carri T34, nessun effetto. Si sono dimostrate efficaci contro carri leggeri."
    "II Gruppo da 75/27 del 120°”.
    Giorno 30 luglio: Il gruppo era schierato più avanti e a destra degli altri, nei pressi proprio della q. 210,1. La prima ondata di carri, ore 14 circa, capitava sulla 6a e 4a btr. così all' improvviso che ben tre pezzi della 6a e due della 4a venivano completamente schiacciati prima ancora che si potesse dirigere il tiro contro di essi. Ma ben presto tutti e quattro i carri armati di tipo leggero vennero distrutti dai pezzi del gruppo rimasti efficienti. Vennero adoperate granate da 75 mod.32 senza innesco. - I colpi efficaci sono stati quelli diretti sui
    fianchi dei carri e nei cingoli, a distanza inferiore ai 100 metri. Le granate hanno in tale punto perforato la corazza e sono scoppiate nell' interno squarciando la corazza stessa per un raggio di circa 20 cm, I colpi diretti contro la parte anteriore del carro non hanno avuto alcun effetto utile anche se sparati a soli 10 metri. Verso le ore 16 una seconda ondata composta di due carri egualmente del tipo leggero veniva fermata e distrutta, ma dopo che essi avevano messo fuori uso l' ultimo pezzo della 6a batteria e uno della 5a. Anche contro questi due carri furono sparate granate da 75 mod.32 senza innesco.
    Giorno 31: Il gruppo su sei pezzi (uno era stato rimesso in efficienza durante la notte) era in posizione nei pressi della strada a Nord della curva di livello di q. 160, quando verso le 13,30 vedeva sbucare dal costone antistante poco più di 150 metri, quattro carri (due del tipo T34 e due leggeri) che si precipitarono sui pezzi distruggendone 4 ed incendiando 6 autocarri e 7 trattori che erano poco lontano. - Gli unici pezzi efficienti spararono sino alla distanza di 10 metri e sia un carro T34 che due leggeri furono immobilizzati. Solo un T34 riusciva ad invertire la marcia. Anche in questa posizione furono sparate granate da 75 mod. 32 senza innesco."
    "I GRUPPO da 100/17 del 120°”
    Giorno 30-31: In tutti i due giorni i carri nemici non si sono avvicinati molto al gruppo rimanendo ad una distanza variabile fra i 700 e i 1000 metri. Il gruppo ha sparato adoperando granate mod.32 con innesco mod.10 e senza innesco
    "II GRUPPO da 75/32”
    Il gruppo è stato sottoposto all' attacco dei carri solo il giorno 30 e solo con due btr. giacché la 4a ancora in marcia si schierava al fianco della 10a. Il primo carro T34 compariva innanzi allo schieramento del gruppo con direzione Nord-est Sud-ovest e a grande velocità. Contro detto carro il gruppo non potè aprire il fuoco dato che le due btr, schierate avevano come direttrice di tiro Sud-ovest Nord-est. Intanto altri carri del tipo T34 e del tipo leggero apparivano e le due batterie cominciavano a far tuonare i loro cannoni. L' efficacia dei proietti perforanti da 75/32 si è dimostrata molto buona, in quanto le corazze dello spessore di circa 8 cm. sono state perforate nettamente. La distanza di tiro perchè i proietti siano efficaci non deve superare i 200/300 metri, distanza che permette di colpire i carri con la quasi totalità dei colpi. La maggiore vulnerabilità del carro si ha quando questo si presenta sul fianco e per la maggiore dimensione delle sagome e per il minore spessore delle corazzature. Minore effetto hanno i proietti nella parte anteriore del carro, sia per il maggiore spessore delle corazze che per la maggiore inclinazione, per cui si verificano dei solchi profondi tracciati nel metallo da proietti giunti con piccoli angoli di impatto, senza che però questi riescano a forare.
    LXII/30° da 105/32.
    Anche il LXII da 105/32 prese parte alla lotta contro i carri il solo giorno 30 luglio. La sua azione venne sussidiata da due obici (in effetti pochi sanno che anche il famoso 76 mm sovietico fu, in origine, non una arma AT ma, bensì, un pezzo di artiglieria campale… Insomma storia simile all88 mm tedesco…)da 76 mm di preda bellica sovietica. Proietti impiegati: Per il 105/32 granate mod.32 con spoletta e innesco I.O.40 carica 3a ; per il 76 russo granate originali che si suppone abbiano effetti perforanti. Risultati ottenuti: un carro T34 immobilizzato alla distanza di 400 metri da una granata da 105 scoppiata fra ruota e cingoli. Una ruota risulta deformata e il cingolo interrotto per una lunghezza di 30 cm. Il carro immobilizzato venne colpito successivamente nella parte superiore da altra granata da 105, ma senza alcun risultato apprezzabile. L' equipaggio, che saltò fuori dal carro venne catturato. Un secondo carro T34 veniva colpito alla distanza di circa 150 metri da un pezzo da 76 mm mentre, sfilando sul fianco, tentava di aggirare lo schieramento del gruppo. La granata penetrava attraverso la parte inferiore dello scafo e scoppiava all' interno, provocando l' annientamento dell' equipaggio. Osservo che in una situazione come quella del 30 luglio in cui ogni artigliere -indipendentemente dal calibro, maneggevolezza e proietti in dotazione - deve fare del suo meglio per lottare contro l' offesa corazzata, il cannone da 105/32 ha ottenuto un risultato positivo con il proietto che sembrava a priori il meno idoneo, e cioè la granata mod.32 munita di spoletta innesco I.O. 40. Gli scudi del 105/32 hanno resistito efficacemente alle raffiche delle mitragliatrici costituenti l' armamento secondario dei carri T34. A 500 metri le pallottole hanno appena scalfito l' acciaio degli scudi. Esprimo per il 105 il parere che il tiro con proietti non innescati previsti dalle norme emanate dall' Ispettorato di Artiglieria può essere conveniente contro carri armati leggeri; sempre che la velocità di traslazione del carro possa permettere alla bocca da fuoco il puntamento in direzione; contro carri armati di grande tonnellaggio la granata mod.32 disinnescata ha poche probabilità di vincere -per sfondamento- la spessa corazza della torretta e delle parti superiori. Conviene invece il tiro con proietti innescati, cercando di colpire la parte inferiore del carro per ottenere la rottura dei cingoli. -Un carro armato immobilizzato, qualunque ne sia il tonnellaggio e l'
    armamento si può considerare già vinto. Mitragliera da 20 mm: I proietti si sono dimostrati nulli contro i carri T34, poco efficaci contro i carri leggeri. -Infatti due carri leggeri riuscivano a schiacciare due pezzi da 20 mm nonostante i serventi continuassero a far fuoco fino a 10 metri.
    Per quanto ho riferito risulta:
    1) Ottimi pezzi c.c. si sono dimostrati i 75/97/38 impieganti granate c.c. e i 75/32 impieganti granate perforanti, Buoni i 75/27 impieganti granate mod.32 senza innesco. Degli altri pezzi da 100/17 e 105/32, poco maneggevoli, non si può pretendere molto. Poco efficienti i proietti c.c. della mitragliera da 20 mm.
    2) A distanza superiore ai 500 metri NESSUN PROIETTO DA’ VERO RENDIMENTO -distanza utile per i tiri contro carro da 50 a 300 metri.
    3) Cercare di poter colpire i carri non nella parte frontale, ma in quella laterale e possibilmente nei cingoli.
    4) Calma e nervi a posto nei serventi dei pezzi, solo così il cannone avrà sempre, come ha avuto in questa azione, la sicurezza di vincere sulle corazze. Nella zona di quota 197,4 - 180 vi sono molti carri T34 e leggeri in stato di poter essere recuperati e trasportati indietro per poter effettuare su di essi prove balistiche.
    Valutazioni dell' autore:
    Dallo svolgimento dell' azione di Serafimovich risalta lo scarso addestramento dei carristi russi, supplito però da una notevole aggressività e sprezzo del pericolo. Ogni singolo plotone carri operò a livello autonomo, senza un coordinamento a livello compagnia. L' azione slegata della formazione corazzata e la mancata alternanza di fuoco e di movimento tra le singole pedine del plotone fu determinata forse anche dall' assenza di apparati radio a bordo, almeno sui carri gregari. L' istruzione degli artiglieri italiani si rivelò invece adeguata: la batteria sa 75/34 seppe riconoscere a distanza la sagoma dei carri T34, rispetto a quella dei carri leggeri (bhè…), concentrando su di essi il tiro con granate a carica cava, riservando ai BT il munizionamento ordinario. Durante l' azione i pezzi vennero spostati a mano per prendere di fianco i carri nemici. Gli artiglieri del gruppo da 75/27 utilizzarono subito granate senza spoletta dal miglior effetto controcarro, come prescritto dalle norme. Nella mischia accesasi presso q. 210,1 gli artiglieri rimasero ai pezzi, sparando a bruciapelo sui carri. In questa occasione risultò, però, carente il servizio di vigilanza e di sicurezza, che favorì l' irruzione di sorpresa dei carri russi. L' ottimo rendimento in funzione controcarro delle artiglierie della 3a divisione celere non fu dovuto certo al caso, ma il frutto di un intenso addestramento volto alla tecnica di puntamento e tiro diretto contro bersagli mobili ed a vaste esperienze a fuoco contro sagome reali di carri russi catturati. Fin dal maggio 1942 la 3a divisione celere aveva fatto eseguire tiri sperimentali con armi della fanteria e artiglierie contro carri sovietici di preda bellica; l' esercitazione a fuoco, condotta insieme a reparti tedeschi, mirava soprattutto a verificare l' efficacia del munizionamento perforante ed ordinario contro le corazze laterali dello spessore di 15 mm di un carro BT da 14 tonn. rimasto impantanato nelle linee italiane durante la battaglia di Natale. Furono utilizzati: proiettili calibro 8 mm sparati da una mitragliatrice Fiat mod. 14-35, senza apprezzabili risultati; proietti perforanti -esplodenti da 20 mm della mitragliera contraerei Breda mod. 35, con perforazione netta della torretta e dello scafo a 150 m di distanza; proietti perforante da 47/32 a 150 m, con perforazione netta dello scafo e lesioni alla parete opposta; granate da 75/27 ordinarie e mod. 32 spolettate a 150 metri, con nessun effetto e senza spoletta, con effetto di sfondamento della corazza dello scafo; granate ordinarie da 100/17 spolettate a una distanza di 450 metri, con perforazione della torretta e dello scafo. Furono effettuati, inoltre, esperimenti con ordigni esplosivi da parte di una squadra di distruttori di carri ricorrendo a: 6 bombe a mano legate insieme e munite di impugnatura, con l' effetto di spezzare la cingolatura e sfondare la parte superiore della corazza di scafo all' altezza del vano motore; 2 bombe a mano legate insieme e collocate intorno alla bocca da fuoco del cannone, con il risultato di ovalizzare leggermente la canna; una bottiglia Molotov senza provocare incendi. Sulla base dei risultati ottenuti, il Comando Artiglieria della divisione Principe Amedeo Duca d' Aosta [di cui il 120° faceva parte] trasse degli ammaestramenti riassunti in una breve memoria sull' impiego delle artiglierie nel tiro controcarro. Vi si raccomandava di aprire il fuoco solo alle minori distanze a motivo della facilità di puntamento, dell'elevato valore della velocità residua del proietto sparato con la carica
    massima, della traiettoria tesa e dei minimi tempi di volo della granata In relazione alla velocità di traslazione del carro. Con i pezzi da 75 e 100 mm in dotazione la distanza massima di intervento non doveva essere superare i 500-600 m. Oltre tali valori le possibilità di colpire diminuivano sensibilmente e l' azione controcarro perdeva il fondamentale vantaggio della sorpresa. Il cannone doveva sparare alla celerità massima di tiro e molto importante era la ripartizione degli obiettivi tra i pezzi, affinché ogni cannone della batteria sapesse contro quale carro della formazione nemica dovesse rivolgere il tiro. Nella esecuzione del Fuoco controcarro, tra un carro in movimento in direzione frontale ed un altro in direzione obliqua, era preferibile sparare contro quest' ultimo, anche se non minacciava direttamente lo schieramento d' artiglieria, in considerazione della maggiore vulnerabilità della corazzatura laterale del carro. Da ciò la convenienza di predisporre l' incrocio dei fuochi fra i pezzi della batteria. Per ordine del Comando Artiglieria del XXXV° corpo d' armata (C.S.I.R.) i tiri di addestramento vennero ripetuti in data 3 giugno 1942 alla presenza del generale Mazzarini, comandante della 3a celere e del generale Dupont, comandante dell' artiglieria dello C.S.I.R. Le esercitazioni si svolsero sempre contro un carro BT fermo con corazzatura intatta, utilizzando un cannone da 75/27 mod.12 del reggimento artiglieria a cavallo, un pezzo controcarro di preda bellica russa da 45 mm ed un fucilone sovietico da 14,5 mm. A distanza di 300 mt sparando granate mod. 32 da 75/27 con spoletta mod. 10/40, con spoletta mod. 10 senza innesco e senza spoletta si ottennero sempre gravi danneggiamenti contro la corazza laterale del carro. A completamento di tali esperienze il comando del Corpo di Spedizione Italiano in Russia diramò a tutte le unità dipendenti delle norme circa i tiri controcarro. In attesa della distribuzione dei proietti perforanti da 75/27 si ordinava di impiegare contro i carri armati le granate mod.32 munite di spoletta ed innesco. Quantunque il proietto senza spoletta o senza innesco garantisse maggiori capacità di perforazione, era da ritenersi preferibile l' uso della granata spolettata ed innescata, dato che nel primo caso non si realizzava alcun effetto se non si colpiva in pieno il carro e si ottenevano scarsi effetti locali se non si colpivano parti vitali del mezzo. Molto si è discusso sull' impreparazione tecnica evidenziata dal Regio Esercito nell' affrontare l' Armata Rossa e le condizioni ambientali in terra di Russia. Un' analisi serena ed obiettiva, ricavata comparando le prestazioni di armamenti ed equipaggiamenti in dotazione agli eserciti italiano, russo e tedesco nel 1941 riesce a far giustizia di molti luoghi comuni e stempera giudizi quantomeno ingenerosi sul grado di operatività del C.S.I.R. Al momento dell' invasione tedesca, la massa dei carri armati russi era costituita da carri leggeri T26, carri veloci BT-5/7 e tankette T37 e T38. I T34 in servizio erano meno di 1000, mentre i carri pesanti KV 1/2 non superavano le 500 unità. I T26 ed i BT erano già stati affrontati e battuti in Spagna dal Corpo Truppe Volontarie; la loro protezione massima non superava i 25 mm che li metteva alla mercé dei cannoni italiani da accompagnamento e controcarro da 47/32 e 65/17. Anche le mitragliere Breda da 20/65, alle brevi distanze e sulle pareti laterali della corazza, potevano risultare letali ai carri russi. Il C.S.I.R. non subì attacchi di consistenti formazioni corazzate sovietiche fino all' estate del 1942. Le divisioni Principe Amedeo Duca d' Aosta P.A.D.A.), Torino e Pasubio, in previsione del loro invio in Russia, vennero rinforzate con numerosi cannoni da 47/32. Considerando anche il battaglione controcarro di corpo d' armata, ogni reggimento di fanteria italiano poteva disporre di una compagnia rinforzata di cannoni da 47/32, eguagliando la dotazione di armi controcarro di un reggimento di fanteria tedesco dell' epoca. Le informative sull' esistenza dei carri T34 e KV1 giunsero in Italia agli organi competenti solo verso la fine del '41. Così scrive il Capo di Stato Maggiore Generale Cavallero in data 27 dicembre 1941 allo Stato Maggiore del Regio Esercito: “Da recenti notizie risulta che il solo materiale di almeno 88 mm di calibro può avere ragione sui moderni carri pesanti russi. E' evidente che per il futuro dovremo orientarci, per l' azione contro i carri medi e pesanti, all' impiego del pezzo da 90/53” Le tanto vituperate divisioni autotrasportabili italiane godevano di un livello di motorizzazione superiore alla massa delle grandi unità tedesche che partecipavano all' operazione "Barbarossa", costituite da divisioni di fanteria appiedata con artiglierie e servizi a traino animale. L' esercito tedesco impiegò in Russia con buoni risultati l' unica divisione di cavalleria disponibile, mentre da parte russa si ricorse largamente dal 1941 al 1943 a corpi di cavalleria. Nessuna particolare impressione doveva quindi suscitare l' invio sul fronte orientale della 3a divisione celere con due reggimenti di cavalleria ed uno di artiglieria a cavallo. Nel 1941 la produzione di carri medi M 14/41 era appena sufficiente a ripianare le perdite delle divisioni corazzate e motorizzate impiegate in Libia. Nel corso della prima controffensiva italo-tedesca in Africa settentrionale dall' aprile 1941, l' "Ariete" disponeva ancora di battaglioni carri montati su L 3. Nella considerazione che i pezzi di artiglieria italiani a traino meccanico da 75/27 e 100/17 fossero materiali antiquati e di scarse prestazioni, ogni divisione di fanteria ricevette un battaglione mortai da 81 in rinforzo, portando la dotazione divisionale di tali armi a ben 72 pezzi. I due gruppi di cannoni da 75/46 mod. 34 erano quanto meglio si possedesse il Regio Esercito in fatto di artiglierie contraerei mobili di produzione nazionale. Per garantire la mobilità nel territorio russo caratterizzato da scarsa viabilità e numerosi corsi d' acqua, la componente del genio era rappresentata da 4 battaglioni tra artiglieri, pontieri e trasmissioni. Il C.S.I..R. ebbe, poi, un proprio corpo aereo della Regia Aeronautica composto da 83 velivoli da caccia e da ricognizione. Nel dicembre 1941, Messe, ritenuto il miglior generale italiano della seconda guerra mondiale, dopo l' esperienza di 5 mesi di guerra in Russia, chiese a Roma l' assegnazione di due ulteriori divisioni preferibilmente alpine, la trasformazione della divisione celere motorizzata ed il rimpiazzo dei quadrupedi andati perduti per la costruzione di un raggruppamento truppe a cavallo, che riteneva avrebbe potuto trovare proficuo impiego in quel particolare ambiente geografico. Anche senza considerare il progettato impiego delle divisioni alpine "Julia", "Tridentina" e Cuneense" nelle montagne del Caucaso, nell' esercito fin dal 1941 avevano operato con successo nelle pianure russe interi corpi d' armata di truppe da montagna. Ciascuna divisione alpina ebbe in rinforzo 2 compagnie cannoni da 47/32 ed una compagnia armi d' accompagnamento di battaglione dotata di mortai da 81 e 6 pezzi da 47/32. L' A.R.M.I.R. ricevette le migliori artiglierie d'armata, da campagna, e controcarro presenti in Italia. I 90 pezzi da 75/34 mod. 97/38 e da 75/32 mod.37, gli unici disponibili del regio esercito, erano in grado di avere ragione anche dei carri T34 come dimostrato a Serafimovich .I cannoni e gli obici pesanti da 149/28 di origine tedesca, da 149/40 e da 210/22 erano tra le migliori realizzazioni dell' 'epoca. Pur senza ricorrere agli ottimi cannoni da 88/55 e da 75/50 ceduti dai tedeschi ed impiegati in Africa settentrionale, i reparti contraerei furono rinforzati da altri 3 gruppi da 75 /46 muniti di centrali di tiro Gamma e Gala. Anche per le artiglierie divisionali fu fatto quanto era nelle possibilità, assegnando al 2° corpo d' armata 72 obici da 75/18 mod.35 e sostituendo i pezzi da100/17 con i cannoni da 105/28 con maggior gittata e migliore potere d' arresto controcarro. Prima della seconda battaglia del Don giunsero in Russia granate controcarrp E.P. per i calibri d' artiglieria divisionale da 75 e 100 mm. Il precipitare degli eventi nell' inverno 1942-43 impedì il prospettato invio all' 8va armata del 10° raggruppamento semoventi cingolati da 90/53, del 557° gruppo semoventi da 75/18 e di 3 gruppi di obici campali da 49/19.

    Saluti!

  10. #10
    afrikakorps
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    Predefinito Re: racconti operativi

    anf anf...
    appena finito di leggerlo... davvero molto interessante, una descrizione molto approfondita, però un sacco di volte confondevo i pezzi da 75

    P.S. cosa sai dirmi di quella rivista che menzioni all'inizio del post, Storia Militare?
    P.P.S. prometto che troverò qualcosa da postare

    Ciao!

  11. #11
    Lo Zio L'avatar di scutum 2
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    Predefinito Re: racconti operativi

    Mensile, copertina blu con foto centrale, la trovi in edicola. Ottimamente fatta, in particolare sotto aspetto tecnico, spazia senza limiti di tempo.
    Tra le mie "fonti" preferite. Neppure cara se consideri che è mensile.
    Saluti

  12. #12
    Lo Zio L'avatar di scutum 2
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    Predefinito Re: racconti operativi

    Ci riprovo...
    Un affascinantissimo racconto operativo realtivo a FRANCIS GABRESKI (e il mitico P 47, lo "Juggernaut" -divinità indù dotata di forza soprannaturale che tutto distrugge al suo passaggi, non lo sapevate eh?! - ).
    Chi non lo conosce può cercare la biografia (volutamente omessa qui) su interent.
    Il racconto non ricordo più dove l'ho pescato (...), ho solo la possibilità di citare l'autore, Rao Alessandro; non me ne si voglia...

    Durante la battaglia contro la Luftwaffe, l'Aviazione americana, il giorno 11 Dicembre 1943, annovera una delle missioni più difficoltose, per la decisa ed agguerrita reazione della caccia tedesca.
    L'operazione programmata, prevede un bombardamento sulla città di Emden (Olanda), con la scorta della caccia, alla quale partecipa il magg. Francis S.Gabreski, al comando del 61st Fighter Squadron.
    Si tratta quindi di volare dalla base di Halesworth, nell'Est dell'Inghilterra, verso oriente, entrare in contatto con circa 200 bombardieri pesanti B 17 "Flying Fortress" e B 24 "Liberator", continuare in una finta rotta, aggirare la città di Emden, per poi virare successivamente a forte velocità e dirigersi a Sud-Est verso l'obiettivo.
    Prende così il via, l'operazione contrassegnata con il numero progressivo 198.
    Sono circa le ore 11,00 A.M. del giorno 11 Dicembre 1944, quando Gabreski decolla con il suo "Thunderbolt" P 47, al comando d'altri quindici velivoli appartenente al 61st Fighter Squadron del 56th Fighter Group (8th Air Force).
    Tutto il gruppo inizia pertanto la missione, volando lentamente con direzione Est, ad una velocità di salita di 250 Km/h. Gabreski dall'abitacolo del suo caccia, ha un'ottima visibilità e scorge il mare del Nord, sovrastato da immensi strati di grigie e minacciose nuvole, già preannunciate dall'ufficiale meteorologo alcune ore prima del volo, nel rituale briefing a terra e accettate volentieri dai piloti, in quanto di copertura all'impresa.
    Il contatto con i bombardieri, avviene a metà percorso dalla base inglese di partenza, nel punto prestabilito a 8.000 metri di quota nel cielo olandese. Gabreski, capo formazione è individuato via radio dai suoi piloti con la denominazione codificata di "Keyworth Blue Leader".
    La tecnica preferita dai piloti americani, ma in genere da tutti, è sempre quella di guadagnare un'alta quota, per avere sempre un margine di vantaggio e di sicurezza nel caso di scontro con i velivoli nemici. I sedici "Thunderbolt", incontrano subito la prima difficoltà per l'attraversamento dello spesso strato di nuvole, che potrebbe far perdere ai piloti l'orientamento ed il collegamento dalla squadriglia. Tuttavia, dopo una salita fino a 3.000 metri di quota, i caccia forano il nebbione, si ricongiungono e affiancandosi l'uno all'altro, continuano il volo in gruppo serrato fino alla quota di 6.000 metri.
    Hanno gli occhi fissi, più che sugli strumenti di bordo, sull'aereo che li affianca, in modo da non perderlo di vista. Forti timori, sorgono anche dalla possibilità di improvvisi guasti al motore, che potrebbero condurre ad un ammaraggio forzato, con disastrose conseguenze provocate dalla temperatura dell'acqua di circa quattro gradi centigradi, oppure, nel migliore dei casi, lanciarsi col paracadute in zona occupata dal nemico con la certezza di rimanere prigioniero.
    La formazione vola sopra le nuvole, le quali danno ai piloti la sensazione di muoversi ancora più velocemente procedendo, senza sorprese, per circa 150 Km. sul Mare del Nord, in avvicinamento alla costa olandese.
    Gabreski ordina a tutta la squadriglia l'inserimento dei contatti elettrici, sia alle armi di bordo, sia alle cineprese, onde evitare sgradite sorprese per la formazione di ghiaccio alle alte quote.
    Nella cabina del P 47, i piloti sono accompagnati dal cupo rumore del potente motore stellare Pratt & Whitney con i suoi 2.300 HP di potenza e alla velocità di circa 400 Km/h. si dirigono verso il punto prestabilito a 7.000 metri, dove entrano finalmente in contatto visivo con i pesanti bombardieri B 17 e B 24.
    Questi ultimi, infatti, volano disposti nella classica formazione di Combat Box (scatola), di circa venticinque velivoli, per sviluppare il massimo volume di fuoco a protezione. D'un tratto svanisce la speranza delle nuvole, utili per coprirsi dai caccia tedeschi, decollati dalle sottostanti basi.
    Il cielo, contrariamente a quanto era stato previsto dal servizio meteorologico della base, si apre con tutto il suo splendore facendo apparire, ben visibili ad ore dodici, un nugolo di velivoli. Sono Messerschmitt 109, facilmente riconoscibili per la loro colorazione grigio cenere con le croci uncinate nere sulle ali, nonché l'inconfondibile muso affusolato sede del classico motore Daimler Benz 601.
    Gabreski ha un sussulto, si distoglie dalla spettacolare visione delle nuvole rosate dal riflesso solare e si prepara all'imminente scontro, consapevole, che potrebbe essere l'ultimo.
    Questo brutto pensiero, anche per un solo istante, comunemente, coglie tutti i piloti prima del combattimento.
    Un gran boato al disopra del pilota americano: due P 47 della squadriglia, entrano in collisione provocando una palla di fuoco. I due sfortunati piloti, finiscono le loro giovani vite fra una ammasso di rottami incandescenti; purtroppo, entrambi, non sono riusciti a lanciarsi.
    Adesso, la squadriglia è ridotta a quattordici velivoli e fra i piloti rimasti, testimoni della tragica fine dei loro compagni, va crescendo una certa ansia. Il cielo, intanto, è teatro di spettacolari duelli individuali fra americani e tedeschi.
    Molti P 47, di altre squadriglie, provenienti da tutte le direzioni, si aggiungono al carosello. Dietro le scie dei B 17 e dei B 24, seguono in gran numero, aerei tedeschi Me 110, Me 210, Ju 88, tutti armati opportunamente con tubi lanciarazzi per l'attacco ai grossi quadrimotori americani. A questo punto Gabreski si tuffa in una picchiata alla velocità di 500 Km/h. e si posiziona in coda a tre Me 110.
    Per l'abilità di Gabby, uno dei tre è già inquadrato nel suo collimatore K14, perciò il tiro delle otto mitragliatrici Browning da 12,7 mm. del P 47 si concentra nel punto giusto d'incontro con il Me 110. E' questa, la condizione nella quale ogni pilota da caccia vorrebbe trovarsi durante i combattimenti, trasformandosi in gatto contro topo.
    Ora, l'asso americano, passa decisamente all'azione, pigia il pulsante delle armi collocato nel dosso anteriore della cloche, una serie di traccianti misti a proiettili raggiungono il Me 110, il quale prendendo fuoco perde un'ala, ma un'ultima raffica ben centrata pone fine al Me 110.
    Gabreski, distingue due bianchi paracadute, aprirsi sotto di lui a poche centinaia di metri e contemporaneamente sfiora altri due Me 110, già colpiti dai compagni della squadriglia. Felicissimo della vittoria ottenuta in condizioni così difficili, Gabreski, con un rinnovato senso di fiducia, risale a circa 7.000 metri, alla ricerca della sua squadriglia diradatasi per il combattimento.
    Vola con l'ausilio dell'ingombrante maschera dell'ossigeno, sempre con il pericolo di cadere nella visione grigia o nera, che a questa quota, può verificarsi facilmente, specialmente con il crescere dei "g" a velocità elevate.
    Adesso però, quel senso d'ottimismo acquisito pochi istanti prima, cede repentinamente davanti ad una nuova difficoltà che gli si presenta, accorgendosi di essere improvvisamente rimasto solo.
    Programmata la rotta del ritorno, si dirige verso Sud, ma ad un certo punto un nuovo scenario si prepara per Gabreski. Scorge all'orizzonte una formazione non ancora identificata che si staglia nell'azzurro del cielo.
    Fiducioso che possa trattarsi di P 47, viste le loro somiglianti sagome dai musi piatti, si dirige verso il gruppo di aerei, nella speranza di continuare il viaggio in compagnia con più tranquillità. Giunto però a distanza ravvicinata, Gabreski, ha un tuffo nel cuore, perché scopre che si tratta di caccia tedeschi Focke Wulf 190, caratteristici anch'essi per i grandi motori stellari, simili ai P 47 americani. Ormai, l'unica speranza è solo quella di passare inosservato, sfuggendo dal loro campo visivo. Agendo sulla cloche, esegue infatti, una stretta virata in direzione Sud, opposta ai caccia germanici, allontanandosi il più presto possibile. Anche in quest'occasione, oltre alla sua abilità di provetto pilota, la buona sorte non lo abbandona.
    Riacquista la calma, analizza la posizione e lo stato del velivolo. Rileva subito, a causa del precedente combattimento, la scarsità del carburante rimasto e pertanto regola la manetta del gas al minimo, facendo entrare nei pistoni una miscela proporzionalmente ricca d'aria e minore benzina, continuando così il volo in economia.
    Quest'espediente, determina però, un surriscaldamento del motore causato dall'eccessiva volatilizzazione dell'olio, quindi, un'ulteriore ansia di Gabreski per il resto del volo. La posizione nella quale si trova, è al confine olandese. Per raggiungere il territorio inglese, deve attraversare in tutta la sua larghezza di 160 chilometri, il gelido Mare del Nord. L'impresa non è semplice, soprattutto per la scarsa quantità del carburante di soli 70 galloni (circa 265 litri), indicata dagli strumenti. Un veloce calcolo: considerando che il P 47 consuma, in condizioni normali, circa un gallone il minuto, rimane un'autonomia di un'ora e dieci.
    Volando sempre con molta attenzione, dopo pochi minuti, con una certa apprensione, scorge alla sua destra, un aereo. Il solito enigma dell'individuazione, spera si tratti di un P 38 "Lightning", ma è impossibile perché non ha le due travi di coda, di un P 47, non è possibile ugualmente, in quanto ha il muso ovale. Il dubbio è presto chiarito, perché lo sconosciuto si dirige decisamente sul caccia americano. Avvicinandosi velocemente, il velivolo mette in evidenza la sua livrea inconfondibile: ancora un Me 109.
    Gabreski mantiene una calma forzata, per non appannare quei riflessi messi tanto a dura prova dalla missione. Ancora una volta la sua attenzione si concentra sulla strumentazione di bordo, per avere il massimo rendimento dell'aereo. Gabreski, inizia una delicata manovra acrobatica di difesa, consapevole che il motore del suo P 47 non può sostenere alcun combattimento.
    Forse, sono i minuti più drammatici della missione 198, che l'asso americano sta vivendo in quel momento, distante solo quattordici giorni dal Natale di guerra 1944. Il tedesco, adesso, con una picchiata si mette in coda a Gabreski, il quale, a sua volta, azzarda un'improvvisa virata, eseguendo un dietro front che lo porta davanti al Me 109 in una frazione di secondo; i due caccia s'incrociano, in una figura acrobatica a specchio, ad una velocità sommata di 1.000 Km/h. Il P 47 si comporta magnificamente, in realtà è il caccia più robusto della Seconda Guerra Mondiale, la sua cellula non delude Gabreski, il quale deve ancora districarsi con diverse evoluzioni per annullare il vantaggio del tedesco. Tuttavia il P 47, attaccato nuovamente dal Me 109 è colpito da una granata, una scheggia penetra nella cabina, strappa la pedaliera e fortunatamente sfiora Gabreski, colpendo solo il tacco della sua scarpa.
    Il motore emette un suono diverso, probabilmente è stato colpito.
    In questa condizioni Gabreski subisce ancora tre attacchi. Risponde con diverse manovre elusive. Scende in picchiata ad una velocità che sfiora i 900 Km/h., sfruttando il maggior peso del P 47, circa sette tonnellate rispetto alle tre del Me 109. Allontanandosi così dal suo nemico, intravede la salvezza nelle bianche nuvole che si trovano al di sotto. Sono gli ultimi istanti, ma decisivi. A forte velocità, vi si tuffa dentro, richiama l'aereo accennando un mezzo looping, riguadagna quota e si toglie dal tiro del tedesco inseguitore. Lo perde definitivamente; ormai è salvo.
    Gabreski, si distende alcuni istanti con un profondo respiro e riprende la difficile situazione sotto controllo.
    Comprende che da solo non può fare granché e decide di chiedere aiuto ad una delle quattro stazioni radio d'ascolto sulla costa inglese, riservate ai piloti in difficoltà.
    Lancia il "Mayday" (soccorso), che è raccolto da un operatore, il quale dopo averlo localizzato, trasmette a Gabreski la sua esatta posizione, suggerendogli anche, la rotta per tornare alla base, attraverso il Mare del Nord. Una sferzata d'ottimismo invade nuovamente Gabreski, il quale si appresta al rientro. Ancora una volta si affida agli strumenti: climb (indicatore di salita e discesa), orizzonte artificiale (per l'assetto del velivolo).
    Nuovi inconvenienti: il carburante è ridotto a pochi galloni, la pressione dell'olio scende, probabilmente per una perdita del liquido a causa dei colpi ricevuti sul radiatore. Una condizione tecnica complessiva non certo sicura.
    Il "Mayday" comunque funziona, la rotta calcolata dall'operatore inglese è precisa e d'improvviso appare finalmente la costa inglese.
    Ancora pochi chilometri e questa volta Gabreski, si convince di avercela fatta. All'orizzonte, infatti, si profila la pista di Haleswort, riconoscibile dai fabbricati laterali, riferimenti di tanti atterraggi precedenti.
    Il P 47, sempre maestoso, con i flaps abbassati, scende dolcemente ad una velocità di 200 Km/h. Un ultimo dubbio sfiora il pilota, per l'uscita del carrello, che invece si apre normalmente senza problemi. L'aereo, come un grande uccello ferito, tocca terra e percorre tutta la pista, dove già sono confluiti i mezzi di soccorso. Ancora madido di sudore per la gravosa impresa, Gabreski si toglie il casco, si slaccia il paracadute si libera del battellino giallo di salvataggio (Mae West) e finalmente scende dall'aereo.
    E' salutato dagli uomini del campo, i quali costatano stupefatti i gravi danni subiti in combattimento dal velivolo.
    "Keyworth Blue Leader", ha così concluso, nonostante tutto, una delle missioni più impegnative della sua carriera di pilota da guerra che rimarrà indelebile nei suoi ricordi negli anni a venire. Appena a terra, com'egli racconta, rivolge un pensiero di ringraziamento all'ing. Alexander Kartveli, progettista di un caccia, così resistente, tanto da averlo riportato a casa. Poi, lo sfiora un'immagine della città d'Oil City, dove in quell'istante sono le ore 8,10 AM e gli abitanti, suoi concittadini, al riparo dalla guerra, si recano ai posti di lavoro, in una giornata come le altre. Due mondi molto distanti, completamente opposti l'uno dall'altro.
    Tuttavia, Francis S. Gabreski, conseguirà altre vittorie aeree nei prossimi mesi. Lo attende ancora una lunga carriera di pilota da caccia, fino al termine della Seconda Guerra Mondiale e, sei anni dopo, nella Guerra di Corea.



    Saluti.


  13. #13
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    Predefinito Re: racconti operativi

    Non è propriamente un "racconto operativo" ma...
    Non ho la più pallida idea della sua provenienza ma credo sia un brano tratto da qualche libro... L'ho trovato per pureo caso ma non proviene dalla rete altriemtni avrei almeno citato il sito).

    Le tattiche d'attacco inglesi presentavano sempre le stesse caratteristiche di estrema rigidità agli schemi studiati a tavolino, cioè prevedevano un iniziale forte tiro preparatorio d'artiglieria e poi, dopo l'allungamento del tiro, un'avanzata a ranghi serrati di formazioni molto consistenti di fanteria, precedute spesso da carri. I paracadutisti si opposero a questa tattica, sia rimanendo costantemente nelle proprie postazioni da combattimento non riparate durante il tiro di preparazione, per essere in grado di entrare immediatamente in azione al sopraggiungere delle truppe avversarie, sia aprendo il fuoco tutti contemporaneamente, alla minima distanza. Prima di far ciò, tuttavia, si lasciavano deliberatamente sopravanzare dal nemico, per sorprenderlo col fuoco incrociato delle armi automatiche sui fianchi e alle spalle. In tal modo essi riuscivano a creare lo scompiglio tra gli attaccanti che, sebbene nettamente superiori in uomini e armamenti, venivano messi nella terribile condizione psicologica di non sentirsi protetti alle spalle. Altra tattica apparentemente suicida, ma nella realtà ampiamente vincente, fu quella del "contrassalto preventivo", adottata per evitare lo scontro diretto all'arma bianca che avrebbe visto senz'altro prevalere il nemico. Quando gli attaccanti erano a poche decine di metri dalle postazioni italiane, i paracadutisti balzavano al contrattacco col lancio di bombe a mano, proprio nel momento in cui l'avversario era più vulnerabile. Approfittando poi della confusione creata dalla oro azione, riguadagnavano la posizione di partenza. In tal modo essi annullavano la forza d'impatto degli attaccanti, ne scompaginavano le fila ed influivano negativamente sul loro morale. Si spiega così come riuscirono ad avere sempre la meglio contro forze anche dieci volte superiori e senza subire apprezzabili perdite. Il contrassalto fu applicato anche negli scontri con i carri armati, utilizzando bottiglie incendiarie ed altri ordigni di fortuna che, se non erano in grado di bloccare totalmente l'avversario, riuscivano ugualmente a sorprenderlo e rallentarlo (anche i carristi inglesi subirono il negativo impatto psicologico di questi assalti, facendosi prendere dalla paura e dal disorientamento). Il vittorioso combattimento di Deir el Munassib del 30 settembre meritò alla Folgore la prima citazione sul bollettino di guerra italiano; la Divisione, in questa circostanza, riassumeva ufficialmente il proprio nome, abbandonando quello di copertura in quanto, con il suo eroico comportamento in battaglia, aveva già avuto modo di farsi ampiamente conoscere, e temere, dal nemico.

    Saluti.

  14. #14

  15. #15
    Lo Zio L'avatar di scutum 2
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    Predefinito Re: racconti operativi

    Acc. io speravo che fosse un "pezzo2 di qualcosa di molto più vasto e non disperavo di trovarlo uno di questi gg... Peccato...
    Cmq Grazie per la ricerca!
    Saluti

  16. #16
    La Borga
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    Predefinito Re: racconti operativi

    niente di che.
    bastano pochi secondi di google con un pezzo a cavallo di due frasi che contenga termini poco usati, come:

    "apprezzabili perdite. Il contrassalto"

    http://www.google.it/search?hl=it&q= %22apprezzabili+perdite.+Il+contrassalto %22&meta=

  17. #17
    Lo Zio L'avatar di scutum 2
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    Predefinito Re: racconti operativi

    L'ho scaricato (con il quadrupede, ssshhhh! ) in word per cui pensavo fosse un "taglio" di qualche brano lunghetto e che non provenisse da qualche sito internet.
    Cmq capita la tecnica di ricerca
    Saluti.

  18. #18
    Suprema Borga Imperiale L'avatar di Orologio
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    Predefinito Re: Racconti Operativi

    UP

  19. #19
    Lo Zio L'avatar di scutum 2
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    Predefinito Re: Racconti Operativi

    cerco di riesumare questo topic visto che a prescindere dai grandi avvenimenti storici raccontati in termini "complessivi" mi interessano, in particolar modo, le vicende tattiche che hanno caratterizzato i grandi scontri dei vari conflitti.
    Sperando che qualcuno raccolga nuovametne la "sfida" e posti qualcosa di "succulento"... Che ne dite, moderatori, di "topparlo" così non sprofonda?
    Saluti.

  20. #20
    Lo Zio L'avatar di Gary Gordon
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    Predefinito Re: Racconti Operativi

    io mi ricordo di una battaglia della Sassari in russia dove(se non sbaglio) con un controattacco a cavallo riuscirono a fare molti danni al nemico, però non mi ricordo dove l'ho letto...

  21. #21
    Il Nonno L'avatar di Gil-galad, Re degli Elfi
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    Predefinito Re: Racconti Operativi

    Penso che intendi l'ultima carica a cavallo della storia, ad opera del Savoia Cavalleria con bombe a mano contro i T-34 sovietici

  22. #22
    Lo Zio L'avatar di scutum 2
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    Predefinito Re: Racconti Operativi

    Ok, ma io vorrei che si riportassero, come già fatto, i resoconti dettagliati degli scontri...
    Saluti

  23. #23
    Nharre
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    Predefinito Re: Racconti Operativi

    ragazzi, non postate link a siti con i racconti...ma postate direttamente i racconti e basta...molti siti potrebbero essere contro il regolamento...

  24. #24
    Lo Zio L'avatar di Gary Gordon
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    Predefinito Re: Racconti Operativi

    Citazione Originariamente Scritto da Gil-galad, Re degli Elfi Visualizza Messaggio
    Penso che intendi l'ultima carica a cavallo della storia, ad opera del Savoia Cavalleria con bombe a mano contro i T-34 sovietici
    si quella, hai un link?

  25. #25
    Il Nonno L'avatar di Gil-galad, Re degli Elfi
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    Predefinito Re: Racconti Operativi

    no, solo un libro di Enzo Biagi che non trovo più

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