Garet ha scritto dom, 26 febbraio 2006 alle 20:55
Ash'84 ha scritto dom, 26 febbraio 2006 alle 12:12
Garet ha scritto sab, 25 febbraio 2006 alle 21:17
Ash'84 ha scritto sab, 25 febbraio 2006 alle 17:19
Garet ha scritto ven, 24 febbraio 2006 alle 20:57
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Prego?
Cos'é che ti scombussola?
La parte in grassetto.
Non capisco cosa c'entri il relativismo con il libro, perchè lo chiami nichilismo, e pure perchè lo consideri stolto.
Spero di non andare troppo fuori dal topico.
Il nichilismo si fonda sull'equazione essere=valore, e come tale ha senso soltanto se la realtà esterna é in rapporto di dipendenza dall'Io. Ma perchè é evidente che la realtà mi si presenta come qualcosa che non mi sono dato io, ma chi mi trovo davanti come appunto dato già presente, il nichilismo può solo darsi nel rapporto che si viene a creare quando l'io ha a che fare con la realtà. Ad esempio, io ho davanti a me una tazzina di caffé, con dentro il caffé che aspetta solo di essere bevuto. In questa situazione é evidente che esiste sia la tazzina di caffé sia l'io, ed entrambi sono indipendenti nella loro essenza. Ora, mi si presenta una scelta. In una situazione "normale" io berrei il caffé, e questa é una risposta cosidetta "ragionevole". Mettiamo che sei al bar con un tuo amico, e lui ordina il caffè, ma quando glielo portano lui osserva la tazzina e la scaglia contro un muro, é evidene che tu ti chiedi se c'é qualcosa che non và, poiché a prima impressione non sembrerebbe un comportamento ragionevole. Ecco, il nichilismo (nell'accezione cn il quale io l'ho usato) ti direbbe che andando in fondo alla questione, la scelta di bere il caffé piuttosto che gettarlo via si fonda esattamente sul
nulla. In altre parole, il nichilismo ti dice che non c'é nessun motivo perché tu dovessi bere il caffé piuttosto che scagliarlo via, e che il fatto che a te una cosa sembri più ragionevole dell'altra deriva esclusivamente dal fatto che sei immerso in un sistema di valori (dettati dall'abitudine, dall'esperienza, dai consigli di amici, dall'educazione) che ti lascia questa impressione.
Il valore che ha la risposta dell'io difronte alla realtà che gli si presenta é pari a zero, poiché in ultima istanza vige l'indifferenza piu totale per una scelta piuttosto che per l'altra, fondandosi entrambe sul indifferenza nella nullità del valore.
In campo etico e morale ciò si traduce nell'arbitrio più assoluto dell'io in termini di azioni buone o cattive: ciò che é buono é tale perché io decido che esso sia buono, e la stessa idea di bontà é tale perché io decido che bontà stia a significare quello che io voglio che significhi. L'io diventa sorgente assoluta di valori. In quanto tale, ogni sistema di valori non ha nessuna legittimità a prescindere dall'io che decida di utilizzarlo. PEr fare un esempio estremo (non me ne vogliate, é solo un esempio), se io violento e uccido una bambina di 5 anni, ciò é condannabile SOLO ed ESCLUSIVAMENTE perché io sono immerso in un sistema di valori convenzionale. Dal punto di vista del nichilista, non c'é in ultima istanza nessun motivo per il quale una cosa del genere sia sbagliata, e d'altronde non c'é alcun motivo perché non sia si debbano fare cose sbagliate, e d'altronde lo stesso concetto di giusto e sbagliato é una convenzione egologica.
Facile comprendere come applicato in questo campo il nichilismo porterebbe alla pura e semplice anarchia.
Veniamo ora al relativismo, che come tale nasce proprio come versione emendata e socialmente accettabile del nichilismo in campo etico e morale. In sostanza, il relativismo dice che nulla é giusto o sbagliato in senso assoluto, bensì giusto e sbagliato esistono nei confronti di una determinata azione solo relativamente all'autorità dal quale l'azione é sorta. Ad esempio, in un paese dove il cannibalismo é prassi comune da migliaia di anni, il relativista dirà, non si possono condannare i cannibali, poiché il loro mangiare un uomo é giusto in quanto segue l'autorità (in questo caso autorità data da un costume radicato). Obbligare un cannibale a non mangiare più carne umana sarebbe sbagliato, perché andrebbe contro la sua autorità (come sopra). Il nichilista direbbe: non ha senso parlare di giusto o sbagliato, e noi lo facciamo semplicemente perché siamo immersi in un sistema di valori fondato su un'autorita trascendentale (religiosa ad esempio), oppure alienante (da non intendere in senso dispregiativo, ad esempio il relativismo). Il nichilista continuerebbe dicendo: già il nostro classificare come giusta o sbagliata un azione é qualcosa che di per sé eccede i limiti della "legalità originale", che come abbiamo visto precedentemente é fondata sull'indifferenza dei valori nella nullità.
Spero che la differenza sia chiara, e perché parlo di relativismo come nichilismo stolto (il relativismo é il nichilismo che non ha il coraggio di affrontare la tragicità di non avere altra autorità che il sè nell'attimo).
Perché ne parlo in rapporto al libro?
Nella sua esaltazione della completa autonomia, nichilismo e relativismo si configurano come dottrine volte a conquistare per l'uomo un maggiore possesso della realtà (in base ad un semplice ragionamento: se capisco che ogni volta che ho a che fare con la realtà lo faccio in un determinato modo solo perchè sono immerso in un tal sistema di valori etc., é evidente che questa coscienza mi porterà a porter esprimere il più "liberamente" possibile la mia risposta alle provocazioni della realtà).
Provo a fare un altro esempio in tal senso: il relativismo dice Il mio corpo é mio e quindi me lo gestisco io. Nel momento in cui predica questo, il relativismo si prefigge un miglior possesso della realtà, costituita in questo caso dalla corporeità.
Il libro secondo me mostra benissimo come questa pretesa di possesso
personale affrancato da ogni autorità esterna, non ci lascia in mano in fin dei conti che con un "pugno di mosche". Conclusione tra l'altro coerento invece col nichilismo, che ti direbbe, "é vero, io ho in mano solo un pugno di mosche, ma se io decido che quel pugno di mosche vale più di una bella donna vogliosa, allora esso vale veramente di più" (ritorna il solito discorso di indifferenza del valore nel nulla). Se io faccio salva una determinata autorità sovrastrutturale (che non contempli l'istanza originale del nulla), e poi mi ritrovo con qualcosa che nella scala di valori di quella determinata autorità relativizzata(chessò, molto banalmente anche il mio dare importanza alla quotazione di mercato delle mosche) vale poco, allora rimango fregato, e questo secondo me emerge molto bene.
Finito, mi scuso per essermi dilungato (ho già tagliato via moltissimo), e spero di essere stato comprensibile.