Quote:
"Nella nostra nuova strada c'erano molti bambini più o meno nostri coetanei, fra cui un ragazzino e sua sorella il cui cognome era Potter. Mi era sempre piaciuto il loro cognome, a differenza del mio, "Rowling" (la cui prima sillaba si pronuncia "rou" e non "rau"), che si prestava a sgradevoli giochi di parole, come "Rowling stone" e molti altri. Comunque, il fratello è già apparso più volte sulla stampa, sostenendo di "essere" Harry; sua madre ha anche detto ai giornalisti che io e lui ci vestivamo da maghi. Niente di tutto questo è vero. Del ragazzino in questione ricordo solo che aveva un “chopper”, il tipo di bicicletta che tutti desideravano negli anni '70, e che una volta tirò una pietra a Di, per cui io lo picchiai forte sulla testa con una spada di plastica (solo io avevo il diritto di tirare oggetti a Di!).
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Al termine dell'università lavorai a Londra. Il mio lavoro più duraturo fu con Amnesty International, l'organizzazione che lotta in tutto il mondo contro gli abusi dei diritti umani. Nel 1990, però, io e quello che allora era il mio ragazzo decidemmo di andare a vivere a Manchester. Dopo un fine settimana alla ricerca di un appartamento, mentre tornavo a Londra da sola su un treno affollato, l'idea di Harry Potter mi invase con prepotenza la mente.
Avevo scritto quasi in continuazione fin da quando avevo sei anni, ma nessuna idea mi aveva mai entusiasmato tanto. Con mia grandissima frustrazione, non avevo con me una penna funzionante ed ero troppo timida per chiederne una in prestito a un estraneo. Ora credo che forse sia stato meglio così, perché non potei fare altro che stare seduta a pensare per quattro lunghe ore (il treno era in ritardo). Tutti i particolari mi ribollirono in testa e quel ragazzino magro, con i capelli neri e gli occhiali, che non sapeva di essere un mago, divenne sempre più reale nella mia mente. Credo che forse, se avessi dovuto rallentare le idee per metterle su carta, ne avrei persa qualcuna (anche se a volte mi chiedo, oziosamente, quanto di tutto quello che immaginai su quel treno avessi già dimenticato quando finalmente potei mettere mano alla penna).
La sera stessa iniziai a scrivere "La pietra filosofale", anche se quelle prime pagine non somigliavano minimamente alla versione finale. Mi trasferii a Manchester portando con me il manoscritto sempre più voluminoso, che stava crescendo in molte strane direzioni, e che comprendeva idee per il resto della carriera scolastica di Harry a Hogwarts, non solo per il suo primo anno. Poi, il 30 dicembre 1990, accadde qualcosa che cambiò per sempre il mio mondo e quello di Harry: la morte di mia madre.
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Nove mesi dopo, con un disperato bisogno di allontanarmi un po', partii per il Portogallo, dove una scuola di lingue mi aveva assunta per insegnare inglese. Portai con me il manoscritto di Harry Potter, nella speranza che il mio nuovo orario di lavoro (insegnavo al pomeriggio e alla sera) fosse favorevole alla crescita del mio romanzo, che era cambiato parecchio dalla morte di mia madre. I sentimenti di Harry verso i suoi defunti genitori erano diventati molto più profondi e molto più reali. Nel corso delle mie prime settimane in Portogallo scrissi “Lo specchio delle brame”, il mio capitolo preferito di “La pietra filosofale”.
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Volevo ricominciare a insegnare e sapevo che, se non avessi terminato in fretta il libro, forse non lo avrei mai finito. Sapevo che l'insegnamento a tempo pieno, con la correzione dei compiti e la preparazione delle lezioni, per non parlare di una bambina piccola di cui occuparmi da sola, non mi avrebbero lasciato un attimo libero. Quindi, mi misi a lavorare freneticamente, decisa a terminare il libro e a tentarne la pubblicazione. Ogni volta che Jessica si addormentava nel suo passeggino, mi precipitavo al bar più vicino e scrivevo come una pazza. Scrivevo quasi tutte le sere. Poi dovetti dattiloscriverlo tutto. Qualche volta odiavo quel libro, pur continuando ad amarlo.
Finalmente era pronto. Misi i primi tre capitoli in una bella cartellina di plastica e li inviai a un agente letterario; tornarono così velocemente che deve avermeli rispediti il giorno stesso del loro arrivo. Ma il secondo agente a cui li mandai mi rispose chiedendomi di vedere il resto del manoscritto. Quella fu senza dubbio la lettera più bella di tutta la mia vita, ed era composta di due sole frasi.
Ci volle un anno perché il mio nuovo agente, Christopher, trovasse un editore. Fu rifiutato da molte case editrici. Finalmente, nell'agosto del 1996, Christopher mi telefonò e mi disse che Bloomsbury aveva "fatto un'offerta". Non potevo credere alle mie orecchie. "Vuoi dire che sarà pubblicato?", gli chiesi piuttosto stupidamente. "Sarà davvero pubblicato?" Dopo aver riappeso, iniziai a urlare e a saltare di gioia, mentre Jessica, che stava facendo merenda nel suo seggiolone, sembrava proprio spaventata.
Probabilmente il seguito della storia già lo conoscete."