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  1. #1
    Agente K
    ospite

    Predefinito Il gioco da tavolo più complicato del mondo

    Un post trovato su un forum di giochi da tavolo, a sua volta copiato e incollato da un articolo pubblicato non so dove e non so quando.

    Una lettura un po lunghetta ma decisamente interessante nella prima parte, ed entusiasmante nella seconda. DOpo averlo letto mi sono messo in cerca del gioco in questione, dovrei aver trovato uno che lo possiede ancora incellophanato (dal 1978 ) e lo vende a 250 dollari.

    Per fare una partita ora mi mancano solo 9 amici e 1200 ore di tempo...

    Spoiler:
    Il gioco da tavolo più complicato del mondo
    di Andrea Angiolino

    Ci si potrebbe chiedere, nei brevi momenti d'ozio fra una partita e l'altra, quale sia il gioco da tavolo più complicato del mondo. Proviamo a rispondere...
    Sulla categoria di appartenenza non c'è dubbio: la massima complessità, nei cosiddetti "giochi in scatola", è stata raggiunta dai cosiddetti "boardgame". Occorre innanzi tutto precisare che, nella seconda metà del secolo scorso, tra gli appassionati italiani dei giochi di simulazione si è affermato un uso non del tutto appropriato del termine: in inglese esso significa "gioco da tavoliere", derivando infatti da board (che indica tavole, scacchiere e tabelloni) e da game (che significa "gioco"). Da noi molti intendono per "boardgame" ogni simulazione che preveda mappe e pedine tra i propri materiali: ciò per distinguerle tali simulazioni dai wargame tridimensionali, che utilizzano modellini e soldatini, e più di recente anche dai giochi di simulazione per personal computer.
    Sono giochi di simulazione quelli che hanno un'ambientazione forte e regole che mirano a riprodurne i meccanismi nel modo più fedele possibile. Sim City è per esempio un gioco di simulazione per computer in cui le decisioni degli abitanti di una città in costruzione su dove andare a vivere o quando trasferirsi vengono gestiti dalla macchina in maniera realistica. Fra il 1960 e il 1980, prima del prevalere dei giochi per computer, tra i giochi da tavolo erano molto popolari quelli di simulazione bellica: su mappe suddivise solitamente in esagoni i giocatori ricostruivano in grande dettaglio famose battaglie e guerre della nostra storia, gestendo regolamenti anche assai sofisticati. Non mancavano episodi ipotetici, o ispirati in maniera più o meno diretta ai più famosi romanzi fantasy e di fantascienza. Molto popolari anche le simulazioni sportive ed economico-finanziarie.
    Tra i boardgame, i più complicati sono senza dubbio quelli prodotti dalla la Simulations Publications Inc., meglio nota come S.P.I.: è stata questa azienda statunitense a lanciare la categoria dei "giochi-monstre", con mappe enormi, migliaia di pedine e regolamenti minuziosissimi. Il gioco ta tavolo più complesso mai pubblicato è uno di essi: The Campaign for North Africa, di Richard Berg, che la S.P.I. ha commercializzato nel 1978 in un massiccio scatolone del formato che gli americani chiamano "fustino di detersivo".
    Come mirabilmente sintetizza il titolo, questo gioco ripropone l'intera campagna del Nord Africa dal 1940 al 1943. Le regole dettagliano ogni aspetto della guerra dell'epoca: a sottolinearne il realismo, la pubblicità del gioco evidenzia che le unità italiane consumano più acqua di ogni altra in quanto le truppe del Regio Esercito solevano cuocere spaghetti per il rancio. Le cinque mappe da affiancare, per una lunghezza di oltre due metri e mezzo, coprono tutto il Nord Africa con esagoni che simulano 8 chilometri di terreno ciascuno. Vi si muovono sopra 1.800 pedine: ciascuna rappresenta un'unità i cui uomini e mezzi sono conteggiati uno per uno.
    Esistono giochi con mappe più vaste e pedine più numerose: War in Europe, pubblicato dallo stesso editore nel 1976, ricostruisce tutta la seconda guerra mondiale in Europa con 3600 pedine (4080 nella riedizione della Decision Games) e 9 mappe affiancate da 56 x 86 centimetri l'una. Altri titoli ancora hanno regole più complicate: per esempio Air War, gioco di duelli fra aerei a reazione in cui ciascuna delle poche pedine è un jet che si muove in uno spazio da immaginarsi tridimensionale utilizzando sofisticatissimi strumenti elettronici e micidiali sistemi d'arma. Ma nel complesso, per il mix tra tutti questi fattori, The Campaign for North Africa rimane il gioco da tavolo più impegnativo. Una partita completa prevede cento turni, ciascuno dei quali diviso in tre fasi. L'editore consiglia di giocare in due squadre da cinque persone, ognuna composta da un Comandante in Capo, un Comandante della Logistica, un Comandante delle Retrovie, un Comandante del Fronte e un Comandante Aereo. In dieci, il gioco completo durerebbe 1200 ore: anche se pare che nessuno, nemmeno l'autore e gli altri 20 collaudatori ufficiali, abbia mai completato una partita. Non mancano scenari ridotti: il più breve, composto da una sola fase di gioco delle 300 previste, riproduce la battaglia di El Alamein e richiede 10 ore più il tempo di preparazione.
    Già dal 1976, mentre i collaudatori mettevano a punto questo gioco mostruoso, Steve Wozniak, Steve Jobs e Ron Wayne ponevano artigianalmente in commercio il computer Apple I gettando le basi per il boom dei personal e degli home computer. Le macchine sono in grado di gestire giochi ben più complessi di The Campaign for North Africa, senza alcun obbligo per i partecipanti di studiare volumi eccessivi di regole: ciò ha prevenuto ulteriori sviluppi di simulazioni da tavolo come questa, soprannominate "giochi dell'ergastolano", e rende il titolo in questione un record mai più eguagliato.
    The Campaign for North Africa è un gioco di cui si parla molto, ma nessuno racconta di averlo mai giocato. In ogni conventicola di appassionati c'è al massimo una persona con il fegato di affermare che suo cugino gli ha detto che un suo amico una volta lo ha fatto. Ebbene, se a dirvelo è il cugino di un mio amico credetegli: io l'ho giocato. Lo scenario breve di El Alamein, ovviamente, ma l'ho completato fino alla fine.
    Nell'aprile del 1980 era nata a Roma l'associazione culturale Little Wars. Il nome si ispirava all'omonimo libro di H.G. Welles, un manuale di regole per la guerra da pavimento con soldatini, da lui sviluppato con Jerome K. Jerome e pubblicato nel 1903: ciò a sintetizzre lo spirito al tempo stesso giocoso e simulativo che ci animava. Producevamo l'omonima fanzine e giocavamo simulazioni di ogni genere: wargame tridimensionali, boardgame a mappa esagonata e giochi di ruolo. Ci coprivamo di gloria e non solo in tornei locali e nazionali, ma al di là delle occasione agonistiche ci divertivamo a provavare ogni cosa che ci capitasse a tiro.
    L'Associazione Italiana Giochi Intelligenti, o A.I.G.I., organizzava a ogni inizio estate un torneo di boardgame in un prestigioso circolo dell'Acqua Acetosa. Io e l'amico Gregory Alegi partecipavamo ogni anno ottenendo piazzamenti dignitosi. Nel giugno 1981, finite le partite, ci intrattenemmo a parlare con gli arbitri ufficiali, di qualche anno più grandi di noi: due appassionati che in seguito avrebbero anche pubblicato alcuni giochi di simulazione presso un noto editore marchigiano. Con una certa enfasi, i nostri interlocutori liquidarono in blocco come risibili giochini i titoli di entrambe le ditte che lo scarso tempo a disposizione costringeva a utilizzare in torneo: i pur pregevolissimi Sniper, Anzio, Starship Trooper, Wooden Ship & Iron Men e via dicendo. Noi concordammo educatamente, da uomini di mondo. Inoltre, ai tempi il mondo del boardgame si divideva in fautori della S.P.I. e seguaci dell'Avalon Hill, che come verdiani e wagneriani si scontravano in battibecchi senza fine. Noi quattro, invece, ci trovammo tutti dallo stesso lato: S.P.I. senza alcuna esitazione. Appurato ciò, con piglio degno dei fratelli Pastzor i due ci lanciarono sornioni una sfida a The Campaign for North Africa. Ne andava dell'onore: accettammo senza esitazioni. Loro avrebbero tenuto le truppe alleate, noi l'Asse. Ogni squadra avrebbe arruolato un terzo componente e ci saremmo visti di lì a pochi giorni in un appartamento a Prati: insomma, avremmo pure giocato fuori casa.
    Gregory aveva una copia del gioco, anche se nessuno di noi poteva dire di conoscerlo: il giorno prima della sfida ci vedemmo a casa di Aldo Ferrari, il terzo componente del nostro Alto Comando, per studiare l'immane regolamente. Non avevamo ancora raggiunto l'università, frequentando noi ancora i banchi del liceo, ma pregustammo cosa significa giungere alla vigilia di un massiccio esame senza aver mai aperto libro. Ancora ricordo il sollievo con cui giungemmo al sessantesimo e ultimo capitolo delle regole: riguardava la sola pedina che rappresenta il generale Erwin Rommel ed era suddiviso in tre sottocapitoli che si applicavano alernativamente a seconda che il giocatore tedesco decidesse che per quel segmento di gioco la famosa Volpe del Deserto andasse in giro con il suo semicingolato, si muovesse a bordo del proprio apparecchio Fieseler Fi.156 "Storch" o se ne restasse all'Alto Comando.
    Il giorno dopo uscimmo dalle rispettive case nel primissimo pomeriggio, avvertendo che forse non saremmo tornati per cena, e ci recammo al luogo dell'epica sfida. Fummo accolti dall'agguerrito trio dei nostri avversari che, non so se per metterci a nostro agio o per intimidirci, ci mostrarono innanzi tutto un'immane collezione di boardgame. In una veranda, un tavolo da ping-pong era occupato da una partita già iniziata a Wellington's Victory, un altro colosso S.P.I. dedicato a Waterloo e dintorni. Finalmente giungemmo al tavolone già apparecchiato per lo scenario El Alamein - The Last Chance e dopo rapidi convenevoli iniziammo la partita. Avremmo ripercorso gli eventi del giugno di 39 anni prima, quando la Volpe del Deserto si era giocata la sua ultima opportunità di conquistare l'Egitto arrivando a meno di 100 chilometri dal Nilo. Il nostro scopo, definito "alquanto improbabile" dallo stesso fascicolo di regole, era entrare con almeno un'unità in uno degli esagoni rappresentanti la città di Alessandria: e in effetti era un compito tutt'altro che facile, con eserciti di tutto il mondo a presidiare l'unica buona strada lungo la costa e il vasto deserto più a sud.
    L'attacco fu immane. Andammo giù a testa bassa, cercando di sfruttare esagono per esagono ogni situazione a noi favorevole, ogni punto debole dello schieramento nemico, ogni zona di terreno che ci recasse un vantaggio anche minimo. I nostri avversari reagirono con altrettanta determinazione, svuotando le retrovie di ogni uomo per gettare tutte le loro risorse nella mischia. Il tutto in un gioco dove a ogni movimento di pedina occorreva dire quali degli uomini e mezzi da essa rappresentata stavano più avanti e quali più dietro, all'interno dello stesso pezzettino di cartone. Se un'unità si arrendeva, l'avversario doveva distaccare dai suoi battaglioni un uomo ogni dieci prigionieri per scortarli in luogo sicuro e organizzare un campo di prigionia.
    Noi non conoscevamo quel gioco, ma avevamo studiato i classici. Dalla vittoria di Annibale a Canne in poi. Nei tornei di wargame tridimensionale disprezzavamo gli eserciti in piombo minuziosamente dipinti dai nostri avversari e ci presentavamo con armate egizie in plastica Atlantic dal colorito rosa salmone: in tali occasioni, le ali di carretti lanciate ad aggirare i fianchi avversari erano un elemento quasi scontato ma che si rivelava vincente nell'accerchiare il nemico e tagliargli la ritirata, trasformando piccoli cedimenti in autentiche disfatte. Anche quel giorno, mentre il fronte si infiammava, provammo a fare qualcosina del genere. Le truppe del Commonwealth appoggiavano il fianco nord al Mediterraneo, impedendo ogni aggiramento. Il fianco sud era invece adiacente alla terrificante depressione di El Qattara: 18.000 chilometri quadrati di suolo arido e paludi salatissime, a 133 metri sotto il livello del mare. Una porzione di Sahara decisamente ostile all'uomo, e non soltanto a lui: traversarla a piedi era follia, e i micidiali panzer tedeschi erano scarsi e tutti impegnati nel cuore del fronte. Decidemmo comunque per una piccola manovra aggirante, tanto per non rinunciare, e l'affidammo a un'unità formata da una manciata di carri medi Fiat-Ansaldo M 13/40 e da un po' di carri leggeri L3, meglio noti come "scatole di sardine", "barattoli", "carrette" o financo "casse da morto", per motivi lampanti già a chiunque ne veda una foto. Gli italici mezzi si addentrarono faticosamente nella depressione, sfidando il terreno accidentatissimo: a ogni esagono dovevamo consultare laboriose tabelle per sapere quanti carri di ciascun modello si guastavano a causa delle asperità, e poi per determinare quanti di essi presentavano guasti riparabili e quanti irreparabili. Un vero stillicidio. Il nemico rese più penosa l'avanzata lanciando sull'unità, più che colpi di cannone e mortaio, una fitta granugola di frizzi, lazzi e cachinni. In un incongruo rovesciamento delle parti, fummo noi a mantenere un dignitoso aplomb che oserei definire britannico.
    Giocammo per ore, consumando interi reggimenti. Le truppe di entrambi i lati divenivano sempre più esigue, ma si era ancora lontani da una svolta decidiva della battaglia. Anche quel povero battaglione carri del Regio Esercito si assottigliava tra i cristalli di sale, ma testardo continuava per la propria strada lasciandosi dietro una scia di rottami, mentre tutto il resto dell'esercito combatteva strenuamente più a nord. Quando alla fine i carri svoltarono verso settentrione, sbucando dietro al nemico, con stupore e ulteriore ilarità di quest'ultimo non provarono nemmeno ad attaccarlo alle spalle: si diressero invece verso le sponde del Nilo. Lungo il fiume correva infatti una bella strada, larga e ben tenuta. I nostri carri leggeri, scarsissimamente corazzati e armati di sole mitragliatrici, erano frutto di dottrine militari del tutto inadatte al conflitto mondiale: ma avevano almeno il pregio della celerità, superando i 40 chilometri all'ora. Siamo un popolo di sportivi: forse le nostre truppe volevano provare finalmente l'ebrezza della velocità, dopo tanto penare a passo d'uomo.
    L'attenzione dei nostri avversari era tutta più a nord, dove centellinavano gli uomini per tappare ogni buco del fronte e cercavano occasioni per feroci contrattacchi di logoramento. Ma a metà del loro turno, non senza un pizzico di perfidia, li interrompemmo. "E' inutile, abbiamo vinto", dichiarammo con voce pacata.
    I tre ci osservarono divertiti e increduli. Ricordammo loro il paragrafo delle condizioni di vittoria indicando i nostri carri lungo il fiume: "Vedete? Il prossimo turno entrano ad Alessandria. Non avete nessuno che possa fermarli." La sicumera del Quartier Generale nemico svanì di colpo per lasciar luogo a sguardi incupiti. In un silenzio spettrale i tre scrutarono, controllarono, contarono. Era vero: la violenza e la puntigliosità del nostro attacco sul fronte principale aveva assorbito ogni risorsa del Commonwealth, e i punti di movimento delle nostre truppe meccanizzate erano più che sufficienti per risalire indisturbati quella lunga sfilza di esagoni di strada. La situazione era per loro irrimediabile: l'Asse sarebbe trionfalmente entrata nella capitale egiziana e i membri di quello che era uno dei più potenti eserciti del mondo avrebbero risalito in disordine e senza speranza le dune che avevano disceso con orgogliosa sicurezza. Beffa delle beffe, l'ingresso nell'ambita città non spettava ai micidiali carri del Deutsche Afrika Korps, ma a quelli più modesti che venivano sfornati dalla Ansaldo di Genova utilizzando organi meccanici della Fabbrica Italiana Automobili Torino: la stessa delle nostre future utilitarie. All'improvviso, l'amico arruolato dai due nostri sfidanti divenne paonazzo e cominciò a urlare che non era possibile, mettendo a voce stentorea le potenze divine innanzi alle loro responsabilità e dedicando loro aggettivi irripetibili. Gli altri due lo presero per le braccia e lo portarono in un'altra stanza, invitandolo ripetutamente a calmarsi. Noi restammo a bordo tavolo, a guardarci in un imbarazzato silenzio, fino a quando i generali alleati tornarono e con grande signorilità ammisero la sconfitta. Per esternare la nostra gioia attendemmo di aver sceso almeno metà dello scalone di quel lussuoso palazzo.
    Ho comprato una copia di The Campaign for North Africa a un'asta su Internet. Per lo stesso prezzo avrei potuto ottenere almeno una ventina di simulazioni più piccole della stessa ditta, che avrei certo giocato più volte. Non credo invece che giocherò mai più al mostro di Richard Berg: se non forse tra qualche decennio, se il Cielo vorrà regalare a me e a qualche amico una serena pensione e se magari qualcun altro avrà nel frattempo realizzato appositi software che si occupino di tutta la contabilità logistica richiesta dal gioco. Ma poiché quello stesso Cielo mi ha risparmiato di combattere in un autentico conflitto, grazie a quella scatola avrò qualcosa da mostrare ai nipoti tediandoli a morte con le mie memorie di guerra. Sia pure di carta.

  2. #2
    Shogun Assoluto L'avatar di golem101
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    Dopo aver giocato parte della campagna Market-Garden ad ASL, 1200 ore per un teatro di guerra come il Nord Africa sono anche pochine.

  3. #3
    Moderatore rigattiere L'avatar di Iron Mew
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    Il gioco da tavolo più complicato del mondo, spiegato dall'articolo più TL;DR del mondo.

  4. #4
    Agente K
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    Citazione Originariamente Scritto da golem101 Visualizza Messaggio
    Dopo aver giocato parte della campagna Market-Garden ad ASL, 1200 ore per un teatro di guerra come il Nord Africa sono anche pochine.


    Eh, ma ASL mica include nelle regole: "che le unità italiane consumano più acqua di ogni altra in quanto le truppe del Regio Esercito solevano cuocere spaghetti per il rancio" + e anche

    Il gioco da tavolo più complicato del mondo, spiegato dall'articolo più TL;DR del mondo.
    Eh, son due righe, manco avessi dovuto leggere i 66 capitoli del regolamento (c'è un passaggio in cui cita l'ultimo di questi capitoli, a sua volta suddiviso i 3 sotto-capitoli a seconda che i giocatori decidano che la pedina di Rommel si trovi nel suo semicingolato, nel suo aereo o al comando )

  5. #5
    Il Nonno L'avatar di Gil-galad, Re degli Elfi
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    E dire che i miei amici si arrabbiano quando le nostre partite a Conan durano oltre l'una di notte...

  6. #6
    Il Fantasma
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    http://images.boardgamegeek.com/images/pic15866.jpg

    Elamadonna.

    War in Europe sembra caruccio. Una sorta di Risiko per sadomasochisti
    Ultima modifica di Alter; 07-01-10 alle 12:16:12

  7. #7
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    io ho problemi a far cominciare una partita FutuRisiko perchè solo i preparativi e lettura delle regole (2 paginette) passa troppo tempo...non si va oltre a qualche partita a UNO

  8. #8
    Chiwaz
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    Esiste ancora il forum dei giochi da tavolo?

  9. #9
    Moderatore rigattiere L'avatar di Iron Mew
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    Uno e Tabù, e via andare. Per me è troppo complicato persino Trivial, dopo un po' mi addormento.

  10. #10
    Moderatore pentaxiano L'avatar di Enriko!!
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    beh tabu è piuttosto divertente, fra quelli semplici veloci è divertenti mi piace molto anche pictionary

  11. #11
    Moderatore rigattiere L'avatar di Iron Mew
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    A capodanno si son messi a giocare a lupus in tabula. Noia

  12. #12

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    bell'articolo, anche a me piacerebbe provare qualche monster game sulla WWII prima o poi (tipo ASL o A World at War).

  13. #13
    Il Nonno L'avatar di Gil-galad, Re degli Elfi
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    Citazione Originariamente Scritto da Violet sky Visualizza Messaggio
    A capodanno si son messi a giocare a lupus in tabula. Noia
    Come ti capisco. Un mio amico aveva preteso di provarci con 20+ persone assieme alla sua festa di compleanno. Fortunatamente ho potuto sfuggire alla retata perché dovevo riaccompagnare la mia ragazza a casa.

  14. #14
    maxx
    ospite

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    Letta buona parte del primo post...giocare con un polpettone del genere è divertente?

  15. #15

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    Io già trovo ad un livello adeguato Axis and Allies e Diplomacy, questo mi sembra eccessivo, anche se una partita così di prova ce la farei.

  16. #16
    Shogun Assoluto L'avatar di Mr Yod
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    Citazione Originariamente Scritto da Violet sky Visualizza Messaggio
    Il gioco da tavolo più complicato del mondo, spiegato dall'articolo più TL;DR del mondo.


    Citazione Originariamente Scritto da Agente K Visualizza Messaggio
    Eh, son due righe, manco avessi dovuto leggere i 66 capitoli del regolamento
    quindi le 1200 ore di tempo sono per leggere solo il manuale, giusto?

  17. #17
    Lo Zio
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    i miei preferiti degli ultimi tempi sono Smallworld, semplice, rapido, divertente e sempre vario, Shogun che è vecchiotto ma l'abbiamo rispolverato e come gioco "alla Risiko" spacca, e il lungo e un po' complicato gioco di Starcraft, veramente carino però. Anche Agricola e Carcassonne sono molto carini, presto proveremo Arkham Horror.
    Ultimamente partitona a Civilication (advanced) per la modica durata di 11 ore di gioco.

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