Non so se qualcuno di voi ha mai letto il libro di Ray Bradbury intitolato "farenheit 451", io lo sto leggendo in questi giorni e nella società decadente del libro ho trovato forti analogie con la nostra. Ciò mi rattrista e spaventa un po'. Tanto per cominciare ho chiamato il topic farenheit 131 perchè quella è la temperatura a cui i produttori di CD o DVD sconsigliano di esporre i loro prodotti per evitare di dannerggiarli (55°). Il 451 del libro è la temperatura a cui brucia la carta.
Per chi non l'avesse mai letto e non avendo nulla di meglio da fare vuole apprestarsi a leggere quanto ho da dire riassumo brevemente gli aspetti salienti della società del futuro in farehneit 451:

Il mondo che viene descritto nel libro è un mondo frenetico, dove non si ha tempo per pensare a dove i potenti vogliono proprio questo, cioè evitare che la gente possa avere il tempo di pensare. A tale proposito i libri sono stati banditi ed esiste una squadra di incendiari che si reca nelle case dei sovversivi, possessori di libri, per bruciarli. Ad un certo punto del libro viene spiegato come il mondo si è evoluto fino a diventare così. Questa è la prima cosa che mi ha colpito e mi ha fatto notare delle analogie con il nostro mondo e in particolare l'evoluzione del mondo dei videogiochi.
Secondo l'autore la società si è evoluta così perchè la vita è diventata sempre più frenetica, il tempo da dedicare alla letture è, con il tempo, diminuito e non esiteva più nessuno che voleva più dedicarsi alla lettura di qualcosa per ore. Questo fenomeno ha fatto sì che gli autori cominciassero a scrivere cose sempre più scadenti e brevi (non che breve significhi scadente). Finchè ad un certo punto il poco interesse e il desiderio dei potenti di uniformare le persone rendendole solo una massa informe senza cervello ha portato addirittura alla soppressione dei libri stessi (è meglio un intrattenimento tipo talk show per lobotomizzare le persone). Tutto ciò mi fa venire in mente l'attuale mercato dei videogiochi. Proprio sul numero di TGM di luglio SS nell'editoriale parla di questo, del fatto che i videogiochi sono diventati sempre più corti perchè la gente non ci vuole dedicare troppo tempo e perchè è più conveniente dedicarsi al mass market piuttosto che ad una ristretta cerchia di appassionati.
Vorrei porre l'attenzione su alcune parole di SS in tale editoriale: lui dice che non si è limitato a giocare a Shadowman ma l'ha vissuto. Questo è un antico spirito del giocatore di videogiochi che io ancora cerco di conservare, nonostante mi trovo a fronteggiare la mole di videogiochi che ormai mi si riversa a casa anche senza volerlo. Un tempo, mi ricordo, compravo cira 5 videogiochi all'anno e me li gustavo per bene. Oggi, per carità, non posso lamentarmi del fatto dell'eseitenza delle versioni budget e dei giochi che ormai ti allegano anche ai pacchi di carta igienica, ma tutto ciò mi porta a fare una scorpacciata di vari giochi senza potemene gustare nessuno, o meglio, la voglia di gustarseli c'è ancora ma c'è anche la voglia di provare il nuovo gioco che hai trovato allegato alla tua fedele carta igienica. Talvolta quando in un gioco si arriva ad un momento in cui perde un po' di mordente si decide di abbandonarlo in favore di un'altro. A questo punto vorrei far notare un'altra analogia con il libro: ad un certo punto un incendiario si chiede quanto tempo ci può aver impiegato un uomo a scrivere un libro che lui in pochi secondi con l'aiuto del cherosene riduce in cenere. Ridurre i giochi in cenere in pochi secondi è quello che la società vuole che facciamo. Già di per sè i giochi sono corti in più la smania di finirli perchè poi non si avrà più tempo di giocarlo per un po' di giorni o perchè bisogna giocare con un'altro ci fa dedicare a videogiochi sviluppati in anni di lavoro solo una manciata di ore, perdendo tutte le sfumature che i programmatori hanno voluto dare al gioco, rendendo inutili molte ore di lavoro e tutto ciò secondo me non rende giustizia al lavoro svolto e agli anni di sviluppo impiegati nella realizzazione del videogioco in questione.
Passiamo all'ultima analagia che ho notato: nel libro una ragazza veniva ritenuta strana a scoula perchè non si interessava al come si doverreso fare certe cose, ma al perchè si dovessero fare. Nella società descritta sul libro veniva considerato troppo stupido chiedersi il perchè delle cose, viene considerata una forma di pensiero non tollerata. A questo punto mi veiene da pensarea quanto ha scritto Adso da Melk in una delle ultime pagine dello stesso numero di TGM di luglio. Adso scrive che lui gioca a wow senza minimamente interessarsi a quello che fa. Non gli passa neanche per l'anticamera del cervello l'idea di leggere quanto gli viene detto quando gli viene assegnata una quest. Si vanta del fatto che in una delle patch i programmatori della Blizzard hanno tolto la parte in cui il briefing di una missione veniva fatto attraverso una pergamena su cui veniva scritto cosa fare. Lui dice che si limita a cercare il nome della missione su internet e vede con chi parlare, che oggettei prendere ecc. Per lui il perchè non è importante. La gente non gioca per divertirsi, per vivere un'esperianza diversa da quella di tutti i giorni, per mettersi alla prova con qualche enigma. No, fa solo parte della massa. Al giorno d'oggi bisogna giocare a wow e tutti lo fanno. Molti suppongo che ignorino anche cosa sia warcraft. Secondo me molti non sanno neanche cosa sia wow stesso. Stanno lì per ore come tutti, senza un perchè. Senza godersi minimamente la storia o l'atmosfera. Io penso che sono molto pochi quelli che si sono soffermati su qualche particolare del mondo o hanno "perso del tempo".
Quando io ho giocato con Fable mi sono divertito tantissimo perchè non mi sono limitato a fare tutte le missioni una dopo l'altra finendo il gioco in 3 giorni (forse ce l'avrei fatta pure in 2). Quando ho giocato a Fable io vivevo nel mondo di Fable. Ho perso un sacco di tempo andando a giocare d'azzardo nelle taverne e ad ubriacarmi con i soldi vinti insieme ad altre "persone". Mi rendo conto che sembra stupido. Andare in un bar con gli amici e bersi un bicchiere di birra è molto meglio che andare in una taverna di un mondo immaginario a ubriacarsi con birre insieme ad esseri lobotomizzati. Ovviamente ho fatto queso solo per un po' di tempo. Però ho sempre trovato qualcosa da fare nel mondo di Fable tra una missione e l'altra. Insomma, quando ho finito il gioco mi sentivo soddisfatto. Mi era durato una decina di giorni, magari non tutti consecutivi, e mi ha fatto divertire. Io penso che divertire sia il motivo principale per cui sono stati inventati i videogiochi e questo dal mio punto di vista svolgeva alla grande il suo dovere. Ogni volta che penso a qualche MMORPG mi viene in mente come potrebbe essere bella l'esperienza di gioco se tutte le persona le pensassero così, se tutte le persone decidessero di giocare per divertirsi senza preoccuparsi troppo per non aver trovato un oggetto potentissimo o altro; se le persone capissero il significato di "gioco di ruolo". Mi perdoni il buon Adso da Melk per quanto ho detto, ma purtroppo siamo due persone molto diverse e vediamo il mondo dei videogiochi da angolazioni diametralmente opposte. In pratica da quando ha iniziato a scrivere su TGM dal numero 200 mi sono trovato ad essere d'accordo con quanto diceva al massimo un paio di volte. Sono comunque contento che su una rivista come TGM ci sia spazio per entrambe le visioni. In pratcia quanto detto da SS nell'editoriale è contrastante con quanto detto su Adso! Sono diversi punti di vista dello stesso problema. Io mi schiero con fierezza dalla parte dei sentimentali, dei romantici che ancora vogliono vivere l'esperianza di giocare divertendosi e mettendosi alla prova con enigmi. Dalla parte di quelli che vogliono vivere un videogioco come un'esperienza. L'unica cosa che mi rattrista è vedere che quelli come me sono in estinzione.