Nelle ultime settimane si è sentito parlare molto dei Fratelli Musulmani e del ruolo politico che potrebbero ricoprire all’intero di un nuovo governo egiziano. Chi è stato dalla parte di Mubarak, in questi anni e in questi giorni, lo ha fatto soprattutto sostenendo che una soluzione democratica avrebbe aperto la strada all’estremismo dei Fratelli Musulmani, portando instabilità nell’intera regione. Il segretario di stato americano Hillary Clinton ha accolto favorevolmente il loro coinvolgimento nei colloqui, ma restano ancora molte perplessità sulla loro reale disponibilità di adesione a un programma politico realmente democratico, che rinunci ai precetti del fondamentalismo islamico. Per capire meglio da dove vengono questi dubbi è necessario ripercorrere la storia della Fratellanza e vedere di che si tratta.
La nascita
La Fratellanza Musulmana nasce nel marzo del 1928 con la riunione di un gruppo ristretto di persone a Ismaliya, vicino al Canale di Suez. A guidare il gruppo c’era un giovane precettore, un fervente religioso dall’eloquio eccezionale: Hassan al Banna. I suoi discorsi prendevano di mira la decadenza dei costumi della società egiziana e predicavano il ritorno alla purezza dell’antico Islam. L’Egitto in quegli anni era una monarchia semicoloniale sotto la protezione inglese. Le istituzioni erano praticamente inesistenti e la povertà assoluta. Hassan al Banna prometteva di modernizzare il paese e liberarlo dal controllo britannico. L’organizzazione crebbe velocemente fino a diventare un soggetto politico molto popolare, che sposò la causa delle classi in difficoltà e giocò un ruolo preminente nel movimento nazionalista egiziano. Il radicamento nella società fu favorito dalla rapida diffusione di centri di islamizzazione, che si occupavano anche di fornire assistenza economica ed educazione alle persone più disagiate.
La morte di Hassan al Banna e la repressione
Nel 1949 Hassan al Banna fu assassinato da alcuni agenti monarchici: la Fratellanza aveva raccolto intorno a sé decine di migliaia di sostenitori e il suo ruolo politico stava diventando una minaccia pericolosa per lo status quo. Tre anni dopo, in Egitto, un golpe militare rovesciò una monarchia ormai screditata: la Fratellanza pensò che potesse essere finalmente arrivato il momento per contribuire direttamente alla rinascita del paese. Il nuovo presidente Nasser inizialmente adottò un atteggiamento tollerante nei confronti dei Fratelli Musulmani, ma nel 1954 li considerò responsabili di un tentativo di omicidio a cui era scampato e iniziò ad arrestare, torturare e deportare i suoi membri. Per sopravvivere, la Fratellanza fece espatriare i suoi dirigenti più importanti. Alcuni si rifugiarono in Siria e Giordania, dove crearono delle branche della Fratellanza. Altri scapparono in Arabia Saudita, dove la Fratellanza è legale e tuttora protetta dalla monarchia.
La rete finanziaria
Da allora i Fratelli Musulmani hanno iniziato a diffondersi in tutti i paesi arabi costituendo una rete finanziaria molto potente, che via via ha acquistato un peso sempre più rilevante anche in Europa. Durante le indagini seguite agli attentati dell’11 settembre, gli inquirenti perquisirono molte abitazioni di dirigenti di al Taqwa, una banca islamica con sede a Lugano, sperando di risalire ai canali di finanziamento di al Qaida. Non ne trovarono, ma si imbatterono in un documento che descriveva la strategia finanziaria dei Fratelli Musulmani. Il testo conteneva una serie di note scritte a mano in arabo che descrivevano la rete messa in piedi in Europa dalla Fratellanza a partire dagli anni Settanta. Le attività europee erano iniziate nel 1977 con la fondazione della Banca islamica del Lussemburgo: soltanto sei anni più tardi la loro rete contava sette società finanziarie distribuite tra Lussemburgo, Danimarca, Londra, isole Cayman e Stati Uniti. Il capitale della struttura all’epoca ammontava a circa cento milioni di dollari.
“La conquista dell’Occidente”
Il giornalista Sylvan Besson, del quotidiano le Temps di Ginevra, riuscì ad avere accesso a quei documenti e pochi mesi dopo pubblicò un libro intitolato “La conquista dell’Occidente”, in cui raccontava quello che ne era emerso. L’esistenza di una rete finanziaria islamica diffusa capillarmente anche in Europa non era cosa nuova, ma nessun documento prima di allora aveva mai citato esplicitamente la Fratellanza Musulmana. Il testo della Strategia Finanziaria scoperto a Lugano invece riportava esattamente queste parole: «La base finanziaria offre uno spazio per portare le risorse umane della Confraternita in differenti domini economici e tecnici. Inoltre, sarà facile da adoperare come copertura, che potrà essere facilmente infiltrata per attività politiche». Lo scopo della struttura era assicurare l’espansione dell’ideologia politica dei Fratelli, cioè l’Islam più radicale, a livello internazionale: «Non siamo un partito, né un’organizzazione, né un gruppo, ma grazie a Dio siamo una scuola di pensiero in movimento, la nostra entità è come quella di un corpo gelatinoso che si estende in tutte le direzioni e che continuerà a crescere, e siamo convinti che il nostro campo d’azione è il mondo intero, che la nostra comunità è quella dell’Islam dappertutto nel mondo», scriveva nel 1995 uno dei dirigenti della Fratellanza, Youssef Nada, al governo saudita.
I Fratelli Musulmani e la politica
A partire dagli anni Cinquanta, con l’aumentare della struttura finanziaria della Fratellanza, aumenta anche la sua influenza politica. In quegli anni il leader e ideologo dei Fratelli Musulmani era Said Ramadan, genero del fondatore Hassan al Banna, fuggito in Svizzera dopo la repressione di Nasser. Anche lui dotato di grandi doti retoriche, fonda molti centri islamici in Europa: tra questi quello di Monaco in cui si formò anche Abdullah Azzam, che negli anni Ottanta sarà il mentore di Osama bin Laden. L’obiettivo dichiarato è sempre lo stesso: permettere alla civiltà islamica di riprendere il posto dominante che occupava nel mondo all’inizio del medio evo, durante il periodo d’oro dell’Islam. In quest’ottica, Israele è considerato il nemico principale da sconfiggere e non si attribuisce alcun valore ai negoziati di pace mediati dagli Stati Uniti: l’obiettivo è che sparisca. A questo scopo i Fratelli Musulmani invocano alla resistenza, compresa quella armata, e finanziano le attività di gruppi come Hamas e Hezbollah.
Il loro ruolo in Egitto
Negli ultimi anni, l’ala egiziana della Fratellanza ha detto di aver rinunciato alla violenza, in modo da allentare la morsa repressiva del regime di Mubarak, ma non ha rinunciato al sostegno ad Hamas né ha mai cambiato la sua linea anti-occidentale. Un parlamentare dei Fratelli musulmani, Rajab Hilal Hamida, ha detto nel 2006 che dal suo punto di vista Osama Bin Laden, al Zawahiri e al Zarqawi non sono terroristi: «Sostengo le loro attività, perché sono una spina nel fianco degli americani e dei sionisti. Chi uccide i cittadini musulmani non è un combattente di jihad né un terrorista, ma un assassino criminale». La nuova guida suprema della Fratellanza, Muhammed Badi, è molto conservatrice: è stata nominata un anno fa prevalendo su figure più moderate e più politiche come Muhammed Habib e Abu al Futuh. Che comunque a loro volta avevano stilato un programma politico estremamente radicale, che prevedeva l’istituzione di un consiglio che valutasse la conformità delle leggi alla sharia e l’istituzione di un organo di tutela religiosa ispirato a quello dell’ayatollah Khomeini in Iran. I dettami del programma stabilivano inoltre che donne e non-musulmani non potessero essere eletti alle cariche più importanti dello stato egiziano.
I Fratelli Musulmani e le proteste
Domenica scorsa i Fratelli Musulmani, che ufficialmente sono banditi dalla Costituzione egiziana e che finora sono riusciti a eleggere alcuni loro membri in Parlamento candidandosi all’interno di altre formazioni, hanno partecipato ai colloqui avviati dal vicepresidente egiziano Omar Suleiman con tutte le forze di opposizione. Hanno chiesto nuovamente le dimissioni di Hosni Mubarak e ribadito che non hanno intenzione di presentare un loro candidato alle prossime elezioni presidenziali. «Abbiamo bisogno di elezioni democratiche e di un presidente democraticamente eletto, questo è tutto quello per cui lottiamo», ha detto uno dei dirigenti secondo quanto riportato da Al Jazeera. Da una parte, va detto che i Fratelli Musulmani in Egitto sono più morbidi che altrove: sanno che gli Stati Uniti non vogliono che si ripeta quanto accaduto in Iran nel 1979 e sanno che in questa fase ogni loro dichiarazione o protagonismo rappresenta un argomento a favore della stabilità e del presidente Mubarak. Dall’altra parte il leader del movimento, Muhammed Badi, continua a sostenere che il jihad è un obbligo individuale per ogni musulmano e di certo non sembra intenzionato ad abbandonare la dottrina fondativa del movimento: la diffusione e l’affermazione di una lettura radicale ed estremista della religione islamica.