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Sono stati davvero difficili questi giorni per Silvio Berlusconi. E i prossimi, a dispetto delle dichiarazioni ottimistiche, non si annunciano migliori. La maggioranza trionfalmente uscita dalle elezioni del 13 maggio scorso ha subito molte delusioni e le fratture nella formazione del Governo non hanno tardato a manifestarsi.
Innanzitutto non c'è stata nessuna onda lunga. Ai ballottaggi nelle grandi città si sono imposti i candidati del Centrosinistra, più autorevoli e convincenti degli avversari. Questi ultimi sono apparsi convinti, o indotti ad esserlo, di poter contare solo sui manifesti che ritraevano il leader della Casa delle Libertà e non loro, soldatini di una battaglia che si è ritenuto dovesse avere un unico condottiero alla guida del regno, come dei feudi.
Già il 13 maggio, i partiti della coalizione che governerà l'Italia sono usciti dal voto tutti ridimensionati ad esclusione di Forza Italia, la formazione politica che ha espresso il nome del candidato Premier, del "condottiero", dell'uomo sul quale si è svolto un referendum più che un'elezione. E' vero. Si sono scontrate due Italie e ha vinto quella un po' facilona e insofferente alle regole. Un'Italia che non ha votato un programma ma "l'uomo della Provvidenza" Silvio Berlusconi, il quale ha, in tal modo, succhiato gran parte dei voti agli alleati. In particolare ad Alleanza Nazionale e ai cattolici del Biancofiore, ma anche alla Lega, a sua volta dissanguata dalle innumerevoli liste autonomiste sorte sulle ceneri del leghismo tornato alla corte di Arcore.
Finita la campagna elettorale, quei malumori sono logicamente tornati a galla. I partiti hanno fatto sentire la propria voce. Hanno rivendicato il proprio sacrificio alla causa. Forte di una maggioranza schiacciante alle due Camere, Berlusconi si è trovato comunque invischiato nelle sabbie mobili del "Cencelli". I nomi più innovativi annunciati in campagna elettorale sono piano piano scomparsi dal totoministri. In primis Luca Cordero di Montezemolo e Pietro Lunardi. Altri faticano a trovare posto, come Letizia Moratti che, alla Cultura, se la vede, nientepopodimeno che con Enrico La Loggia. Anche il buon Fisichella, una delle personalità istituzionalmente di spicco nel Polo, ha subito l'ennesimo smacco ma, dopo la "sfuriata", e tornato all'ovile in attesa di incarichi di ripiego. Ce l'ha fatta Renato Ruggiero, il passaporto per l'estero della Casa delle Libertà. In questo caso ai veti "politici" di Fini, Casini e Bossi, si sono contrapposte le pressioni di Agnelli, espressione di quel "salotto buono" della Confindustria che, nel 1994, non appoggiò Berlusconi, e del Presidente della Repubblica Ciampi. Si è persino fatto ricorso ad uno sponsor come l'ex Segretario di Stato Usa Kissinger.
Proprio quest'ultimo passaggio ha definitvamente mostrato come sia il Quirinale, che i tradizionali "poteri forti", stanno tentando di ingabbiare l'anima anarcoide della coalizione di Centrodestra, magari aprendo la strada per la crescita di un Partito Liberal-conservatore più inserito nel contesto europeo. Se vogliamo, l'elezione alla guida delle Camere di Marcello Pera e Pier Ferdinando Casini rientra anche in questa logica, oltre che in quella di sistemare degnamente due nomi che, per ragioni di "coalizione", erano stati esclusi da prestigiosi incarichi di Governo precedentemente promessi. Coerente a questa linea, per così dire, "imposta dall'alto", anche la difficile collocazione di Roberto Maroni. L'ex Presidente del Parlamento padano, inquisito per attentato all'unità della Nazione nonché per resistenza e oltraggio a Pubblico Ufficiale, non era ben visto da molti, sia come Presidente della Camera dei Deputati che come Ministro della Giustizia. Quest'ultimo incarico finirà probabilmente ad un altro leghista, Roberto Castelli, per altro ancor più ostile alla "patria" di Maroni ma certamente meno noto al grande pubblico che non legge un quotidiano da anni o considera le sole pagine di coronaca nera e di sport degne di un qualche interesse. Quanto basta a Bossi e Berlusconi per definire il candidato alla testa del dicastero di Via Arenula. Certo tra la Lega e il Polo qualcosa si è rotto, ammesso che qualcosa si fosse mai saldato. Ma questa volta Bossi non può far cadere nessuno, pur dimostrando di saper ancora provocare imbarazzo.
Il Quirinale sta per incaricare formalmente Berlusconi che dovrà, quindi, sistemare definitivamente tutte le pedine. Gli Interni sono contesi da Pisanu e Scajola, nemici giurati nel partito. Buttiglione reclama spazio dopo aver già perso il Ministero della Pubblica Istruzione per qualche dichiarazione che non ha fatto drizzare i capelli al solo Centrosinistra. Anche i colonnelli di An, La Russa e Gasparri, vogliono incarichi, dopo che il loro partito sembra aver pagato più di tutti la "politica del bilancino". Verranno confermati nel ramo economico Tremonti e Marzano ma sembra non troverà posto l'eterno "viso nuovo" Frattini. Gli ultimi giorni saranno davvero terribili per il Presidente del Consiglio "in pectore".
E' forse per questa ragione che il Cavaliere sembra aver nostalgia dell'atmosfera da campagna elettorale. Impegnato a trattare nelle oscure stanze della politica la composiizone del nuovo Governo, aveva lasciato spazio ad un clima di dialogo con l'opposizione. Tornato al microfono, davanti ai suoi parlamentari, ha indossato di nuovo gli abiti dell'anticomunista militante, convinto di aver salvato la democrazia e di non poter "abbassare la guardia". Così Berlusconi ha lanciato l'offensiva sulle tre Commissioni: Mitrokhin, Tangentopoli e Telekom Serbia. Una vera bomba sul dialogo parlamentare e su tutte le assicurazioni che l'allora candidato Ministro della Giustizia Pera aveva dato ai magistrati, prontamente tornati sul piede di guerra. Festeggiano i Socialisti di Bobo Craxi; tremano molti alleati del Cavaliere che non credono alla possibilità di una Commissione a senso unico contro i magistrati. Ostile l'Ulivo che reclama la formazione della Commissione Antimafia.
Berlusconi si toglie il vestito della domenica e cerca di dare una lustratina a quell'immagine messianica un po'offuscata da settimane di estenuanti trattative sulle poltrone. Non era infatti il Cavaliere il grande nemico del "teatrino della politica", il risolutore di tutti i conflitti e le rivalità? Si...ma solo il giorno della festa.