Obi-Fran Kenobi ha scritto ven, 16 aprile 2004 alle 15:25
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La Nuova Morte.
Capitolo 1. Uccisione.
"Suona" pensò Michael alle sette e quarantacinque di un orribile lunedì.
La notte precedente aveva messo l'ora legale. Brutta cosa perdere un'ora di sonno di lunedì.
D'altronde non avrebbe mai potuto andare a letto un'ora prima: la sua vita sociale lo stava ancora reclamando l'ultima volta che aveva guardato l'orologio, all'una di notte.
Ma se esiste una cosa più brutta di perdere un'ora di sonno di lunedì, forse quella è il suono della sveglia mentre stai ancora sognando.
Michael stava facendo un sogno molto nitido e profondo; correva senza sosta e a perdifiato in un ampia valle verde, con un cielo azzurrissimo e tante nuvole bianche e perfette, mentre il sole era quasi all'orizzonte. D'improvviso il sole era calato e una fredda notte senza stelle aveva sostituito senza preavviso il paesaggio da quadro in cui stava correndo mezzo secondo prima. E proprio mentre cominciava ad intravedere, in lontananza, una figura incappucciata che sembrava venirgli incontro, un grosso corvo -almeno credeva di ricordare che fosse un corvo- gli aveva sfiorato la testa gracchiando, con una voce stranamente metallica e artificiosa, molto simile a quella della sua sveglia. La sveglia. Maledetta sveglia.
"Per colpa tua devo andare a lavoro!"
Ma non capiva ancora bene quello che diceva. Michael pensò che essere strappati da una fase r.e.m. dal bieco rumore di una sveglia con molta probabilità è un'esperienza simile ad un'overdose, o ad un'ubriacatura con un mix quasi letale di alcolici. Ma non lo pensava con cognizione di causa, dato che non aveva mai provato nessuna di queste esperienze.
Si, sicuramente doversi alzare il lunedì mattina dopo l'ora legale per andare a lavoro mentre si sta ancora sognando è una delle cose più brutte che possano succedere ad una persona comune.
"urgh!"
Non c'era che dire: alzarsi dal letto, in quel momento, sembrava a Michael un'impresa degna di un qualche riconoscimento importante, sicuramente a livello mondiale. Aveva molto freddo, e quando si ricordò che questo era dovuto al fatto che non aveva acceso il riscaldamento la sera precedente non la prese molto bene. Le piccole rughe sulla fronte che gli si formavano quando si corrucciava iniziavano già a marcarsi definitivamente sulla sua giovane cute, così come gli angoli della bocca, troppo abituati ad incurvarsi verso il basso.
L'acqua era fredda, e i vestiti ghiacciati. Non aveva voglia di farsi il caffelatte, però il latte da solo era freddo e non aveva voglia di usare il microonde per riscaldarlo. Gli aveva giocato troppi scherzi quel microonde. Ok, per quanto l'aveva pagato si poteva dire che facesse il suo onesto lavoro, ma forse sarebbe stato il caso di spendere un pò di più, per una volta. Michael non era tirchio. Almeno, non era tirchio riguardo le cose che gli interessavano. Considerava il nutrirsi una cosa inevitabile, che andava fatta per forza, e che rubava tempo alle cose che uno ha veramente voglia di fare. per questo odiava il nutrirsi e, ovviamente, tutto quello che è legato ad esso, come un forno a microonde, ad esempio. Per questo quando era "costretto" a comprare qualcosa per la cucina, lo faceva controvoglia e finiva per risparmiare comprando dei completi rottami. Fatto sta che quel microonde gli aveva già bruciato diverse cene e una volta quasi stava per dare fuoco alla casa, quindi non gli rimaneva molto simpatico, e optò per un succo di frutta e pane e marmellata.
"Uh... Ho preso quelle pratiche? Si, sono in macchina."
Prese le fredde chiavi di casa e quelle della macchina e uscì nel freddo pianerottolo. Ma questo era niente rispetto al mordente gelo che lo aspettava fuori. La sua piccola auto scassata lo guardava con uno sguardo di dolore da sotto lo strato di fredda brina che la ricopriva. Quando inserì la chiave nella serratura Michael fu quasi convinto che anche lei avesse avuto un brivido di freddo.
Le mani tremanti nei guanti, accese il motore e tolse il freno a mano. Testò l'aria condizionata per vedere se... Già! Non aveva l'aria condizionata.
I denti gli battevano, così li strinse, così forte da pensare che gli sarebbe venuta un'emicrania, e partì.
Almeno, le pratiche erano effettivamente sul sedile del passeggero, e non avrebbe dovuto affrontare nuovamente il freddo esterno per tornare in casa a cercarle.
Il viaggio fu freddo e noioso finchè i suoi occhi semicoperti dalle palpebre ancora mezze addormentate non dovettero obbligatoriamente spalancarsi.
STUMP! cr-crrr!
Frenò.
Un'orribile nuvoletta di lunghe penne nere stava volteggiando intorno al lato destro del suo cofano. Inchiodò, e non si curò della lunga suonata di clacson dell'auto che aveva dietro, obbligata a inchiodare a sua volta. Invece, sfilò la cintura di sicurezza e uscì dalla macchina intimorito, con la mano guantata sulla bocca, a vedere cosa aveva fatto. La sua coscienza gli impose di fare il giro largo, forse per temporeggiare e raccogliere la forza mentale sufficiente a dominare la situazione, o forse per semplicissima e cinica suspance.
"Oh, no..." eh si...
"Oh, no, no..." e invece si.
Ma come si fa a mettere sotto un corvo?
"Ma come si fa a mettere sotto un corvo?! Stupido corvo, non potevi volare come fanno tutti gli uccelli di questo schifo di mondo?!" Sicuramente la giornata non era iniziata nel migliore dei modi.
"Che è successo? Ha bisogno di aiuto?" Un tizio grasso, forse un automobilista, si era fermato per dare una mano. O forse per soddisfare la sua curiosità.
"No, io... Il corvo..." e si grattava la testa, e poi si portava le mani alla bocca, e poi nei capelli, e poi si grattava la gamba, ma non gli prudeva così si portava le mani alla bocca.
"Oh... Caspita, ma come si fa ad investire un corvo?! Ah ah ah!" rise "Via non ne faccia un dramma, era solo un uccello!" aggiunse, visto il comportamento nervoso di Michael, e soprattutto le sue lacrime silenziose.
Lacrime silenziose? Ma stava piangendo?! Perchè?! Michael nemmeno si era accorto di stare piangendo. Non riusciva a spiegarselo, non ce n'era motivo... Almeno, non secondo il modo in cui era sempre vissuto! Non era certo un animalista, o un altro maniaco delle difese degli animali... In fondo di corvi ce ne sono tanti, e gli uccelli si mangiano cotti in forno... Perchè diavolo stava piangendo davanti il corpo esanime di quell'animale?!
"Si, ma... Un uccello. Ha ragione. Beh, grazie dell'interessamento!". Si voltò senza guardarlo e rientrò in macchina.
"Prego..." disse il tizio grasso, con tono vaporoso, e pensando che sembrava proprio un pazzo, quello lì.
Michael per poco non ebbe un conato di vomito quando, ripartendo, schiacciò il corpo del corvo, le cui ossa emisero un rumore piuttosto grottesco e raccapricciante.
Ed era pure in ritardo.
Capitolo 2. Hai un'aria strana.
"Stai bene, si?"
"Si, Annie, grazie. E' solo che... Io ho... Beh, mi è successa una cosa strana."
"Mh. Quanto strana? Più strana di quella volta che pensavi di essere diventato cieco?"
"Spiritosa. Ma niente, è una sciocchezza..."
"E dai, su. Guarda che non avere almeno una persona con cui poter parlare liberamente in ufficio fa male alla salute!" Annie era molto simpatica e carina. Adesso gli stava porgendo un bicchierino di plastica pieno di cioccolata calda.
"Uff... dai, perchè insisti?" il fastidio di Michael cresceva di secondo in secondo.
"Ah beh, se non vuoi parlare non sei mica obbligato eh." come solo le donne intelligenti sanno fare, Annie risultò effettivamente convincente, con quel tono tra l'offeso e il malizioso. Michael raccolse la sfida verbale.
"Oooh dai! Come sei drastica... Niente, è una sciocchezza, ho investito un corvo." Michael cercò di dare il tono più piatto che potè all'ultima frase.
"Un corvo?" Annie si sforzò molto per non dare a vedere che la cosa la divertiva, e ottenne il risultato opposto. Michael sbuffò.
"Si un corvo, va bene? Tanto adesso dirai..."
"Ma come si fa ad investire un corvo?!" dissero all'unisono.
Annie cominciò a ridere forte, ma poi vide che Michael aveva un'aria davvero strana.
"Ehi! Senti, ma era solo un corvo... Perchè te la prendi così? Ci sei rimasto molto male?"
"Non so, è strano... Non dovrei sentirmi in colpa?" Conosceva la risposta che avrebbe ricevuto. Non solo. Conosceva anche la risposta che avrebbe dato lui! Ma era assurda, troppo assurda. La accantonò in un angolo lontano della sua mente.
"In colpa? Per un uccello?" Se Michael avesse scommesso con qualcuno, avrebbe vinto.
"Eh eh... No, certo. Però io ho..." ma voleva davvero dire ad Annie che aveva pianto per un corvo? Il telefono dell'ufficio di Annie lo salvò.
"Ops, mi squilla il telefono! Mi finisci di raccontare più tardi!" il sorriso di Annie era senz'altro radioso. Lo faceva stare bene.
"Ehi, stai bene, Michael?"
"Si, George..."
"Uh, che faccia, che ti sei fatto ieri sera? Ah ah ah!"
"Niente, ho solo molto sonno..."
"Mamma che faccia, Michael!"
"Eh, ho dormito molto male stanotte, non farci caso..."
Rientrò a casa, ed era convinto che quella fosse stata la giornata più brutta e faticosa della sua vita. Quando si tolse il giubbotto, i guanti e la sciarpa, ancora si sentiva un cadavere. Il riscaldamento entrò in funzione e la giornata cominciava a diventare quasi un ricordo lontano. Si mise sul divano ed accese la televisione: tsè, in fondo era stata una giornata come tante altre. Finito di cenare, aveva già dimenticato tutto. Quando però, una volta a letto, entrò a pieno regime nel mondo dei sogni e si ricordò del corvo, non si sentì poi così rilassato.
"Uh, è già ora di alzarsi? Ma non è suonata la sveglia..." erano le tre.
"Sete..." erano le cinque.
"Devo andare in bagno." erano le sette e un quarto.
Alle sette e quaranta cominciò la sua ultima fase r.e.m.
Correva senza sosta e a perdifiato in un ampia valle verde, con un cielo azzurrissimo e tante nuvole bianche e perfette, mentre il sole era quasi all'orizzonte. D'improvviso il sole era calato e una fredda notte senza stelle aveva sostituito senza preavviso il paesaggio da quadro in cui stava correndo mezzo secondo prima. E proprio mentre cominciava ad intravedere, in lontananza, una figura incappucciata che sembrava venirgli incontro, sentì un miagolìo stridulo alle sue spalle. Si girò e un grosso gatto bianco si avventò come volando sulla sua faccia. Il miagolìo stridulo assomigliava tremendamente al suono della sveglia.
"No, no NO! ANCORA!!!" pensò che forse se qualcuno gli avesse potuto strappare l'anima avrebbe provato una sensazione più piacevole, rispetto a quella che provava in quel momento. Decisamente la sveglia che rompeva i suoi sogni per lui era come una spada che gli trafiggeva i polmoni.
Un gatto. Il giorno precedente aveva sognato un corvo, e poi ne aveva investito uno. Allora oggi avrebbe investito un grosso gatto bianco? Gli piacevano i gatti. Meglio, diciamo che gli erano indifferenti. Ma amava i cuccioli. Ecco, i gattini erano una delle poche cose che trasformavano il suo broncio in una risata sincera. Lo facevano veramente stare bene, così piccoli e delicati, con le piccole unghie e i dentini, e quel miagolìo ancora da maturare, molto più vicino al pigolìo di un pulcino. Sua mamma ne aveva molti, nella casa in campagna. Ma sua mamma adesso non c'era più, e nemmeno la casa dov'era nato e cresciuto. Uscì di casa pensieroso e preoccupato.
Si avvicinò al punto in cui il giorno prima aveva investito il corvo. Ancora una volta, si comportò come non si sarebbe mai aspettato. Tremava, ed era in un incredibile stato di agitazione e angoscia. Ma arrivato a quel punto maledetto, non vide gatti. Nè bianchi nè neri, nè grandi nè piccoli. Non c'era più traccia neppure del corvo.
"Come va stamattina?" Annie, il volto radioso, il sorriso dolce...
"Meglio, grazie, Annie." mentì spudoratamente. La sua faccia parlava più sinceramente della sua lingua.
"Certo. Sai che mi sono appena licenziata perchè non mi trovo bene a lavorare con te?"
"Ah, davvero?" Michael dimostrò ampiamente che la sua attenzione si trovava a livelli molto bassi. Annie se ne era accorta, ovviamente, ma per poco non si offese, sentendo quella risposta. Decise di prendere Michael per le spalle e scuoterlo come un albero.
"Ehi!!! Sveglia!!! Michael!!! Sono Annie, pronto?!"
"Oh, scusami, anche stanotte ho dormito poco e male. Cosa hai detto?" si grattava nervosamente il naso.
"Niente, niente. Senti, fai qualcosa, vai a letto prima, prenditi un sonnifero leggero... Valeriana! Ecco, prendi delle pastigliette di valeriana, rimedio naturale, e ti distende i nervi, che ne dici?"
"Valeriana hai detto? Ok, proverò..." Ma il suo tono era troppo spento perchè Annie potesse credergli veramente. Ma lei decise di non insistere e tornò alla sua postazione.
Decisamente Michael odiava la pausa pranzo. Era troppo breve per poter tornare a casa a mangiare, o andare a un bar o un ristorante; ma era anche troppo lunga da sopportare. I suoi antipatici colleghi parlavano di facezie e cose frivole, oppure di lavoro. E lui odiava entrambe le cose. Eh già: odiava il suo lavoro. Non è una bella cosa, soprattutto quando si è coscienti del fatto di non sapere fare altro, e che trovare un altro tipo di lavoro non sarebbe stata una cosa veloce ed indolore, e soprattutto non avrebbe garantito che si sarebbe trovato meglio. Eppure, cosa aveva da lamentarsi? Il salario era buono... in ogni caso nella media, e bene o male nel suo ufficio nessuno lo disturbava mai. Eppure... Eppure c'era qualcosa di celato; una malinconia oppressiva ma invisibile, nella sua tangibilità. Forse quello di cui Michael aveva davvero bisogno era semplicemente una finestra, nel suo grigio e freddo ufficio male illuminato. Così anche quella pausa pranzo, nonostante i pensieri che gli correvano in testa giocando a nascondino, nonostante i chiacchiericci di sottofondo di persone inutili, nonostante lo schifoso tramezzino molliccio comprato nel distributore, finì.
Uscendo da lavoro investì un gatto.
Bianco, ovviamente. Ma non era grande come quello del sogno: era un cucciolo. Eh, come poteva lui, povero umano medio, con una velocità di riflessi quasi annullata dalla fatica mentale della giornata lavorativa, con un'auto da nemmeno tremila euro con le gomme quasi finite e i freni poco buoni, evitare un giovane gattino che corre giocando in mezzo ad una strada stretta uscendo da un cespuglio posto sul ciglio della strada?
Fu solo un attimo, talmente veloce che nemmeno se ne accorse. Talmente veloce che passò avanti, perchè non si rendeva ancora conto che poteva appena aver ucciso un gattino. Ma quando realizzò il fatto, l'ignobile specchietto retrovisore non lasciava spazio a dubbi: il riflesso della strada che si trovava dietro di lui mostrava il corpo disteso di un gatto bianco in mezzo alla strada.
C'erano migliaia di spiegazioni per palesare la sua innocenza. Qualsiasi tribunale dell'Universo, qualsiasi possibile razza aliena capace di pensare non lo avrebbe ritenuto responsabile. Non c'era giudice che l'avrebbe condannato, tranne se stesso.
Urlò. Urlò forte, e un neonato che stava dormendo si svegliò, a dieci chilometri di distanza, ma forse fu solo una coincidenza.
Poi Michael prese il cellullare.
"No-no-non può! Non è mica morto, come può essere morto? Però sicuramente è rimasto ferito. Eh si, è ferito per forza, l'ho steso con la macchina! Quindi a-a-adesso chiamo il pronto intervento per gli animali, ce l'ho il numero, ce l'ho..." La rubrica del cellulare non gli era mai sembrata così male ordinata. Non riusciva a trovare quello che cercava. Ma davvero aveva il numero del pronto intervento per gli animali? E perchè? Da quando, poi? L'aveva cercato dopo aver investito... Cosa aveva investito il giorno prima? All'agitazione si aggiunse altra agitazione, data dal fatto che non ricordava nulla con precisione di quello che era successo il giorno prima. Ma era sicuramente la nevrosi del momento, pensò.
"P-p-pronto? Aiuto! Ho investito un gatto. Un gattino, è un cucciolo. Cosa... Voi potete... Cosa devo fare?"
"Signore! Pronto?! Si calmi e mi ascolti! Il gattino è ancora vivo?"
"E' vivo?"
"Non lo so! Deve controllarlo lei!"
"Già! O-o-ora controllo, aspetti in linea, per favore."
Fu obbligato a farlo. Dovette uscire a vedere cosa aveva fatto. Un passo, due...
"Uuuh... Uuuh..." singhiozzava.
La verità era sempre più vicina. Ed era troppo rossa per i suoi gusti. Il gatto era bianco, doveva essere bianca anche la verità. Invece era rossa. Proprio, molto rossa.
Il piccolo collo spezzato, piegato all'indietro, in modo innaturale.
La lingua, rosa e piccola, fuori dalla bocca. I dentini rotti, prima ancora di poterli usare per difendersi dagli animali cattivi.
Un occhio chiuso. L'altro invece fuori dell'orbita. Michael poteva vedere il nervo ottico.
Gli cadde il cellulare, e poi cadde lui. In ginocchio, a piangere come un bambino, la faccia nelle mani. Stavolta lo stava facendo molto rumorosamente.
"Pronto? Signore! E' ancora in linea?"
Quanto passò? Guardò l'orologio, ma non indicava il passare dei secoli. Quando si alzò Annie era davanti a lui, che lo aiutava ad alzarsi.
"Dai, asciugati quelle lacrime." Annie glie le stava asciugando lei, quelle lacrime. Con un fazzolettino. Gli accarezzava i capelli.
"Annie... Cosa mi succede?" singhiozzava ancora, ma si faceva capire. Si sentiva un bambino.
"Cosa vuoi che ti succeda? Dormi poco e sei distratto... Poteva capitare a tutti!"
"Ma è capitato a ME. E due giorni di fila! Cosa investirò domani? Un cane? O magari un cavallo? Forse sarà una persona! E poi... mi sento disperato quando succede. Non te l'ho detto, ma anche ieri ho pianto..."
"Senti, prenditi un pò di ferie... Una settimana, che te ne pare? Ci penso io alle tue pratiche, quanto lavoro sarà mai? Stai a casa, ti rilassi, esci con qualche amico... e dormi abbondantemente! Quando tornerai non investirai più nessuno, vedrai." lo baciò sulla guancia, e Michael trasalì. Si guardarono negli occhi, e Annie vide un uomo-bambino, così sensibile e fragile, bisognoso di protezione e affetto. Michael invece non potè che ricevere conferma della bellezza di Annie... Ma lui le piaceva? Forse...
Capitolo 3. Una settimana di ferie?
Michael stava facendo un sogno molto nitido e profondo; correva senza sosta e a perdifiato in un ampia valle verde, con un cielo azzurrissimo e tante nuvole bianche e perfette, mentre il sole era quasi all'orizzonte. D'improvviso il sole era calato e una fredda notte senza stelle aveva sostituito senza preavviso il paesaggio da quadro in cui stava correndo mezzo secondo prima. E proprio mentre cominciava ad intravedere, in lontananza, una figura incappucciata che sembrava venirgli incontro, sentì una voce chiamarlo, da sinistra. Era il suo amico Max.
"Ciao Max!"
"Ciao Michael! Che succede?"
"Non so, però questo cambiamento repentino del tempo non mi piace!"
"Ma dai, è normalissimo in questa zona! Non vedi com' è bello?"
"Normale? Ma non succede da nessun parte del Mondo!!! E poi lo vedi quel tipo con il cappuccio? Cosa vuole?" Si girò verso la figura incappucciata per indicarla, ma non c'era più.
"Quale tipo?"
"Strano, lì c'era..." Si voltò verso Max, e Max aveva la faccia imputridita di uno zombie, i verdi pezzetti di carne attaccati al teschio, le orbite vuote e buie.
Si svegliò di soprassalto, scosso, madito di sudore, il respiro affannoso. Erano le undici di mattina.
Si alzò e chiamò Annie. Lei e Michael si conoscevano dalle scuole medie; periodo quello in cui Annie aveva una cotta per lui, anche se non si fece mai avanti. Michael invece era ancora troppo piccolo per accorgersene, o troppo stupido, forse. In ogni caso non ci fu mai niente di più che amicizia tra di loro. Finite le medie andarono in due scuole superiori differenti, sebbene con lo stesso indirizzo, e si persero di vista. Si incontrarono solo un anno dopo il diploma, quando Michael finì il suo anno "di riflessione", come lo aveva chiamato lui (in realtà si traduceva in nullafacenza assoluta a casa dei genitori), e trovò lavoro nella ditta in cui lavorava anche adesso. La ditta dove lavorava anche Annie. Come se i sei anni non fossero mai passati, il rapporto che aveva con lei rifiorì istantaneamente. Michael spesso pensava che se non ci fosse stata lei, si sarebbe licenziato dopo pochi mesi, e probabilmente nemmeno avrebbe cercato altri lavori. Si sarebbe abbandonato all'apatia.
I genitori di Michael erano morti in un incidente d'auto subito dopo la sua assunzione, e Michael si vide costretto a crescere di punto in bianco. Arrivò a quel famoso momento in cui si capisce chi sono le persone che ti vogliono veramente bene, che ti sono veramente amiche. Non la sua ragazza, che lo lasciò qualche mese dopo, non riuscendo a sopportare la sua depressione. Non la maggior parte dei suoi amici, che lo lasciarono a se stesso, parlando male di lui quando non c'era. Non i parenti, ma questo già lo sapeva. La sua famiglia aveva cattivi rapporti con i parenti, per antichi dissapori, per quello che ne sapeva. Insomma, quando il mondo gli crollò addosso Michael si trovò sorpreso nel constatare che poteva veramente contare solo su due persone: Max ed Annie. Max era un amico della scuola superiore, sempre attivo e spigliato, riusciva ad essere allegro in qualsiasi situazione. Grazie a queste due persone Michael ritrovò pian piano la voglia di vivere e di lottare. Vendette le proprietà dei genitori, ricevute in eredità, e andò a vivere in un appartamento, da solo. Con molti arranchi, riuscì a mantenere il lavoro. Quando non riusciva a finire le pratiche in tempo, era Annie che ci pensava. Quando era da solo a casa, e la depressione lo prendeva, e non si faceva trovare, Max ed Annie lo trovavano lo stesso, e gli stavano vicini.
Decisamente, se era ancora lì, era grazie a loro.
Ma Michael era comunque cambiato radicalmente e profondamente. Col tempo aveva sviluppato la ghiandola del cinismo, e non trovava più nulla che lo emozionasse davvero. Si identificava nei personaggi dei film noir, disillusi della vita, sarcastici e pungenti, che non si meravigliavano mai di nulla. E lasciava che la vita e il tempo gli scorressero semplicemente addosso.
"Pronto? Michael? Come va? Vedo che hai dormito un pò di più almeno oggi!" rispose Annie al telefono.
"S-si, ho dormito abbastanza. Annie, devo dirti una cosa, mi sento in ansia..."
"Adesso non posso, c'è il direttore che passa di qui ogni cinque minuti, ci sono dei clienti importanti. Ti passo a trovare dopo cena, che ne dici?"
"Dopo cena? Si, va bene. A stasera allora."
"Ok, ciao! Goditi le ferie!"
"Grazie, Annie." Ma lo disse dopo aver sentito Annie riagganciare.
Fu una giornata all'insegna della noia. In televisione non c'era niente degno della sua attenzione. Provò a leggere qualcosa, ma gli frullavano troppi pensieri in testa. Quando si accorse di stare leggendo la stessa riga per la tredicesima volta, lanciò "La metaformosi, di Franz Kafka" lontano e decise di fare un giro nei suoi pensieri.
Cosa era successo il giorno prima? Qualcosa di brutto... ma cosa? Non se lo ricordava affatto. Si ricordava di aver avuto una specie di "sogno rivelatore". Non credeva affatto a quelle cose, tutte baggianate, secondo lui. Eppure, eppure... Si ricordava una cosa analoga anche del giorno precedente. Aveva ucciso qualcuno? Ma com'era possibile che non ricordasse?
Quello che sentiva quando ripensava ai due giorni precedenti era solo un'opprimente sensazione di dolore e tristezza, un sentimento così forte da lacerargli il petto. E poi c'era stato quell'incubo, con Max. Sarebbe successo qualcosa a Max? Avrebbe fatto LUI qualcosa a Max?
Gli tornò in mente quella strana sensazione che aveva provato quando aveva chiesto ad Annie se si sarebbe dovuto sentire in colpa per quello che aveva fatto, qualsiasi cosa avesse fatto. L'aveva nascosta in un angolo lontano della mente, era inconcepibile, ma ripensandoci adesso... Gli sembrava così naturale... Non era senso di colpa, era senso del dovere. Si sentiva in DOVERE di fare quello che aveva fatto. Questo pensiero lo scosse.
Dopo cena arrivò Annie. Si sentiva teso all'inverosimile, e Annie, naturalmente, se ne accorse.
"Uff. Mi sa che nemmeno le ferie ti abbiano aiutato, eh?" aveva un tono sconsolato.
"Annie, siediti. Scusa se ti aggredisco, ma ho assolutamente bisogno di sapere delle cose." Annie lo guardò con uno sguardo incuriosito. Inarcò le sopracciglia senza volere.
"Cosa è successo ieri? Cosa ho fatto? E l'altro ieri?"
"Oh, è questo... Mi dispiace Michael, so che ci stai male, ma non dovresti fartene una colpa, in fondo può succedere a chiunque!" Annie era diventata di nuovo la madre, ma stavolta Michael non aveva intezione di fare il bambino.
"Ok, bene, non ti preoccupare, mi è passata, ma COSA di preciso ho fatto? Per cosa dovrei sentirmi in colpa?" La faccia di Annie si fece interrogativa. Era la faccia di uno che sta cercando di dire una cosa che ha sulla punta della lingua.
"Beh... uh. Dunque, hai fatto... Accidenti, sai che non me lo ricordo?" rise "Dev'essere veramente una cosa irrilevante, non ti pare?"
"Io credo che non sia irrilevante AFFATTO. Mi sento davvero strano, Annie, e non riesco a ricordare di preciso cosa ho fatto in questi ultimi due giorni. So che è stato qualcosa di brutto, ma non posso focalizzare l'accaduto. E poi ricordo dei brutti sogni..." fece una pausa. Odiava dover dire quella parola. Soprattutto davanti ad Annie. "...premonitori." Annie sembrò divertita.
"Oh, mi sa che la cosa è più grave di quanto sembri, se proprio tu mi vieni a dire di aver fatto dei sogni premonitori su qualcosa! E su cosa, di preciso?"
"NON LO SO!" Michael si accorse di essersi scaldato eccessivamente. "Scusami. Il fatto è che sono sicuro di aver sognato qualcosa riguardo questi fatti che non riesco a ricordare. Ma se è veramente così, sono piuttosto agitato, perchè stanotte HO SOGNATO MAX!"
"Max?"
"Max." Annie non era più divertita. La faccia di Michael era davvero seria. Era sempre seria, veramente, ma in quel momento lo era particolarmente.
"E... Ricordi altri particolari del sogno?"
"E' tutto il giorno che provo a ricostruire. Ci sono io che cammino in un parco, o un giardino... Forse è una vallata, ma non importa. E' tutto sereno e pacifico, e ad un certo punto tutto si fa buio. C'è un uomo -cioè, non so se è un uomo- c'è una persona incappucciata, che cammina verso di me, lentamente. Non mi fa paura, so che non devo temerlo, ma mi sento inquieto. E poi arriva Max, così, dal nulla. Io gli indico la persona incappucciata, che però è scomparsa e a Max succede qualcosa di brutto... Forse è morto, non so, però mi parla ancora, con la faccia di un cadavere."
Ci fu un lungo silenzio.
"Io... Non so che dirti."
"In effetti non lo saprei nemmeno io, se fossi nei tuoi panni."
"Capita a tutti di fare brutti sogni. E poi secondo l'interpretazione dei sogni, la Morte rappresenta un passaggio, un cambio di stato... Dei cambiamenti nella vita, in generale, un nuovo modo di porti nei confronti di qualcosa o qualcuno. Potrebbe essere, no?"
"Si, potrebbe." Annie vide che Michael non era affatto convinto.
"Ascolta, non prendere troppo sul serio questa faccenda... Certo, è strano che non ricordi quello che è successo ieri e l'altro ieri ma..."
"Ma nemmeno TU lo ricordi!"
"Ma dai, sono stanca, ho dovuto lavorare un sacco oggi, con il titolare che passava di continuo davanti al mio ufficio e tutti quei clienti!" sorrise, ma Michael non ricambiò il sorriso. La sua faccia era sempre tesa.
"Esci stanotte?" chiese lei, nello sforzo di cambiare discorso.
"N-no."
"Perchè?"
"Non ho... Uhm, voglia."
"Perchè non chiami Max?"
"Perchè ho paura." Aveva paura? Aveva davvero paura?
"Giusto. Si, si." Lo stava palesemente prendendo in giro.
"Senti, lo chiamerò domani, va bene? Stanotte dormo, e domani e lo chiamo e andiamo a fare qualcosa insieme, ti sta bene?"
"Mh. Un buon affare." Sorrise, si alzò e lo baciò sulla fronte. Avrebbe voluto dargliene altri... Ma per Michael lei era solo un'amica, e... "Che sciocca." pensò.
"Adesso vado, sono molto stanca." Michael la guardò andare verso l'ingresso.
"Grazie, Annie." ma lo disse quando la porta si chiuse e Annie era già nel corridoio, dietro di essa.
Capitolo 4. Una telefonata.
Drin! Drin! Drin!
"Pronto?" disse Max alla cornetta. Attese invano una risposta.
"Pronto?!" disse, alzando il volume. Sentiva dall'altro capo della cornetta un lieve fruscìo. Pensò ai soliti scherzi dei ragazzini.
"Eh eh eh, dai ragazzi, non dite niente? Che scherzo sarebbe? Il silenzio non fa ridere, vi pare?" e lo pensava veramente. Quanti scherzi al telefono aveva fatto con i suoi amici, al tempo delle medie!
Il fruscìo si fece più forte. Max non riusciva a riagganciare. Poteva e doveva farlo, ma la sua mente si stava decisamente rifiutando di eseguire l'ordine di riagganciare la cornetta.
D'un tratto Max sentì una cosa che non aveva mai sentito. Una voce -almeno poteva immaginare che fosse una voce- profonda e cupa, lentissima. Poteva quasi sentire quanto fosse densa e pastosa, in quello strano gorgogliare di suoni mai sentiti, di sillabe impronunciabili, che sembravano appartenere ad una lingua aliena. Quello che più allibiva Max, però, era la maestosità con cui quei suoni venivano pronunciati. Quella strana voce esplicava chiaramente l'antichità della sua origine, la sua possanza immortale, che sembrava esistere da quando il tempo cominciò ad esistere. Max era ammaliato, completamente rapito da quelle sequenze vocali indecifrabili, eppure così chiare nella sua testa... Era un messaggio.
"La mia ora..." aprì la bocca, in un misto di sorpresa e ammirazione, quando si accorse che il respiro gli stava venendo meno, e sentiva il suo cuore pulsare intensamente dentro la gabbia toracica, con un'insistenza che non aveva mai provato, con una forza tale da spaccargli il torace per uscirne a saltelli. Ma non ne uscì: solo, si contrasse per l'ultima volta, in uno spasmo mortale, per poi squarciarsi a metà.
"Mi spiace, signora" disse il dottore del pronto intervento, giunto con la squadra dell'ambulanza a casa di Max. La mamma di Max era andata a portargli i vestiti che aveva lavato per lui e l'aveva trovato lì, per terra, senza vita. I soccorsi non servirono, era passato troppo tempo dalla morte. Portarono via il corpo.
Michael intanto stava facendo un sogno molto nitido e profondo; correva senza sosta e a perdifiato in un ampia valle verde, con un cielo azzurrissimo e tante nuvole bianche e perfette, mentre il sole era quasi all'orizzonte. D'improvviso il sole era calato e una fredda notte senza stelle aveva sostituito senza preavviso il paesaggio da quadro in cui stava correndo mezzo secondo prima. Poi intravide una figura incappucciata che gli si avvicinava, sempre di più, lentamente. Si fermò a pochi metri da lui e parlò. Michael non riusciva a vedere la sua faccia, ma sentiva la voce, e la capiva; ma capiva anche che non stava parlando nessuna lingua che lui avesse mai sentito parlare in vita sua... Eppure la capiva.
"E' iniziata." disse la figura incappucciata, con cadenza lenta e tono tranquillo. Michael le chiese che cosa fosse iniziata.
"La sostituzione. Finalmente."
"Non capisco."
"La cosa non mi meraviglia."
"Voglio dire, puoi spiegarmi meglio? Essere più esaustivo?"
"Non necessito che tu capisca, adesso." la voce della figura non aveva alcun tono, sembrava non avere alcuna intenzione nei confronti di Michael. Tuttavia lui non si sentiva assolutamente a suo agio, nonostante fosse il SUO sogno. Si sforzò di pensare subconsciamente che quello era il SUO sogno. Il suo sogno, il suo sogno, il suo sogno.
"Vattene!" urlò alla figura.
"Posso andarmene, se vuoi. Ma non puoi evitare di incontrarmi. E questo, se lo vuoi sapere, non è nemmeno il tuo sogno."
"Che vuoi dire? Aspetta!" si rese conto di quanto ridicola fosse la sua contraddizione, ma chi poteva deriderlo, in un un suo sogno? In ogni caso, la figura aveva deciso per lui, e se ne era andata. Rimasto senza parole, in quello scenario freddo e buio, Michael si voltò, d'istinto, per andare verso... Beh, per andare da qualche parte nel suo sogno. E davanti a lui c'era Annie. Apriva la bocca, e ogni volta che lo faceva sentiva il rumore di una porta che viene percossa.
Stavano bussando alla porta. Si tolse gli sfilacciamenti dei sogni rimastigli negli occhi con i pugni chiusi e si alzò, con grande sforzo fisico e mentale. Quando aprì la porta e vide Annie con gli occhi arrossati e pieni di lacrime, non fece in tempo ad aprire la bocca in segno di stupore che se la ritrovò tra le braccia, urlante e singhiozzante.
"E' morto, Michael! E' morto!" Michael non sapeva come comportarsi. Il suo istinto non gli diceva nulla, ma riuscì a pensare che probabilmente era la situazione in cui lui doveva abbracciarla dolcemente e consolarla, così ci provo, in modo molto impacciato.
"Sssh, calma, non piangere. Cosa è successo? Chi è morto?" Ma Annie non riusciva parlare bene, emetteva solo respiri affannati e singhiozzi. Michael non l'aveva mai vista così. Chiuse la porta e la diresse sul divano, a sedere. Aspettò che si calmasse il tanto che bastava per farla parlare e poi le richiese di spiegargli cosa fosse mai successo.
"Max. Max è morto, Michael". Fu evidentemente uno sforzo immane per lei concludere quella frase senza piangere, così si rifece una volta terminata, ributtandosi tra le braccia di Michael. Michael, per canto suo, era rimasto come paralizzato. Si sentiva più freddo di una lastra di ghiaccio, sia fuori che dentro.
"Lo so." disse. Ma non lo fece apposta, gli uscì naturalmente dalla bocca.
"La mamma di Max ha telefonato anche a te?" chiese sorpresa Annie. Cosa avrebbe dovuto risponderle? "No, ne ero sicuro perchè ho sognato che moriva"? Così mentì.
"Si, ha chiamato anche me." I minuti scorrevano, con pacata calma, come se non valesse la pena che il tempo passasse. E pian piano, Annie si calmò.
"Michael..."
"Si, Annie?"
"Posso dormire da te stanotte?"
Come stava Michael? Non lo sapeva affatto. Se lo stava chiedendo da circa quattro ore, insonne, sul divano, con Annie addormetata sulla sua spalla. Erano rimasti lì, dopo lo sfogo di Annie, e poi lei si era addormentata.
Lui la guardava, ma stava pensando a Max. Non stava male! Non stava male affatto! Ma perchè? Era la persona più importante della sua vita! Colui che insieme ad Annie era riuscito a tirarlo fuori da un baratro esistenziale buio e senza fine, senza via di scampo! Era il suo amico Max! E lui non l'aveva ancora pianto. Quelli non erano nemmeno i pensieri più brutti che gli stavano circolando in testa... Stava scandagliando la mente alla ricerca di un bocchettone artificiale da cui stavano uscendo frasi come "E' stato un bene" "Doveva accadere" "Non c'è nulla di sbagliato". Lui ascoltava quei pensieri scorrergli dentro, e non se li spiegava. Aveva un male in testa, evidentemente... schizofrenia o una di quelle cose là, e tuttavia non riusciva ad esserne spaventato. Si stava abituando a quelle sensazioni, che aveva da due o tre giorni, da quando, cioè, aveva compiuto quegli atti orribili di cui non aveva memoria. Ma erano poi così orribili, in fondo? Quelle sensazioni, continuava a dirsi, avrebbero spezzato la ragione di chiunque, avrebbero reso matto un qualsiasi, maledetto, comune mortale, e lui era lì, tranquillo e beato, con la notizia della morte della persona più importante della sua vita, e tutto quello che riusciva a fare era starsene seduto sul divano, con la sua bella amica Annie tra le braccia.
Già, la sua bella amica Annie. Bella, amica Annie, con quelle labbra sottili, come disegnate sul candore della sua pelle. Avrebbe analizzato ogni centimetro del corpo di Annie, aveva deciso. Partì dai piedi, lentamente, per poi risalire lungo i fianchi tondeggianti, fino al ventre, fino al seno, e poi il collo, così sottile e liscio, il mento, la bocca, il naso... Si accorse che Annie lo stava guardando. Era sveglia, e lui non l'aveva mai vista con quello sguardo. Era uno sguardo che aveva un significato solo, e anche un imbranato come lui non poteva non capirlo, così si baciarono.
"Non dovresti fare così." disse la figura incappucciata. Michael ormai capiva benissimo dove voleva andare a parare.
"Parli di Annie, giusto? Perchè non dovrei?"
"Non dovresti fare così con nessuno. Ti sarà controproducente. La sostituzione potrebbe essere più dolorosa."
"Non ti capisco. Smettila di parlare per enigmi, e potrò risponderti a tono!"
"Mi capisci eccome. Mi hai capito dal primo momento. Hai sempre saputo, e sempre taciuto. Ma non posso biasimarti, poichè io feci lo stesso."
Stava ancora sognando, ma Michael si sentiva lucidissimo, come non si era mai sentito in sogno. Si ritrovò a pensare con disarmante facilità che quello non era affatto un sogno fatto sulla Terra, ma semplicemente un luogo etereo sospeso tra diverse dimensioni, dove lui e quella strana figura incappucciata si stavano dando appuntamento ormai da quattro giorni.
Ma quello che più lasciava sconvolto Michael, era il fatto che quella figura umanoide parlava come se conoscesse esattamente gli anfratti più reconditi dei suoi pensieri; e non era telepatia: era proprio come se egli stesso formulasse le frasi della figura incappucciata.
Capitolo 5. Omicidio.
Michael e Annie si svegliarono nello stesso momento e si guardarono intensamente. Non c'erano parole da dire, non c'erano azioni da fare: il momento si esplicava da sè, in un linguaggio di sguardi intensi e profondi. Era una situzione satura da molto tempo, ma ora il blocco era stato tolto, e Annie si sentiva felicissima. Michael invece si sentiva solo insicuro, riguardo le emozioni che provava. Gli ultimi giorni l'avevano sconvolto al di là di ogni possibile concezione, e si trovava in uno stato confusionale abbastanza forte da non riuscire a distinguere l'amore dall'indifferenza. Annie ruppe il silenzio:
"Ti amo Michael... Ti ho sempre amato."
Era la prova che Michael aspettava. Una cosa del genere avrebbe dovuto smuoverlo... Invece, niente. Si ritrovò ad arrancare tra i suoi pensieri, mentre cercava qualcosa da dire per non rovinare la felicità di Annie... "Anch'io"? No, sarebbe stato troppo compromettente... "Grazie"? Ma si poteva dire "grazie" in risposta ad una dichiarazione d'amore? L'aveva sentito in un film, ma non ricordava se era una commedia demenziale o un film drammatico. Forse la cosa migliore sarebbe stata non dire niente... Anzi no, avrebbe sorriso! Ecco, si, avrebbe sorriso!
Michael sorrise e sembrò funzionare: Annie ricambiò il sorriso e non disse niente. Rimasero ancora un pò abbracciati, nel letto, poi si alzarono e si rivestirono.
"Annie è tardissimo, non vai a lavoro?" chiese Michael, dopo aver visto l'orologio.
"No, penso che mi darò malata... Voglio stare con te per tutta la settimana!" sorrise e baciò di nuovo Michael. Era un buona notizia? O una pessima notizia? Michael non riusciva a decidersi.
"Andiamo a fare un giro al parco? E' una bellissima giornata!" propose Annie. Michael accettò, nella sua perpetua indecisione, e uscirono.
Passarono una giornata piacevole, al tiepido sole che cominciava a manifestare la sua presenza proprio in quei giorni. Girarono tutto il parco tre volte, fermandosi sulle panchine davanti al lago, comprando delle ciambelle calde, dando da mangiare ai piccioni e alle colombe, ai cigni e alle papere.
Parlarono molto, di tutto e di tutti, avevano tante cose da dirsi, che non si sarebbero potute dire tra amici, ma solo tra amanti, e scoprirono entrambi lati di loro stessi che non avevano mai conosciuto. Per la prima volta negli ultimi quattro giorni Michael riuscì a non pensare ad altro che ad Annie, e distese finalmente i nervi. Almeno, finchè non rientrarono in casa, e la voce gli parlò.
Un baritono stonato, ecco cosa poteva rappresentare bene il suono di quella voce. Un profondo boato dal suono ancestrale, che stava suonando proprio dentro la sua testa... e pericolosamente vicino ai timpani, a quanto sembrava.
"Ora-tocca-a lei."
BANG. Sembrava proprio un colpo di pistola, anzi: tre colpi di pistola, uno per ogni parola che la voce aveva scandito, con un'irreprensibile precisione. Poteva essere intesa in mille modi, quella frase. Era talmente ambigua da non avere alcun significato, ma non per Michael... Lui sapeva esattamente cosa significasse. E allora si chiese se non sapesse già da prima ciò che doveva fare... Se non lo sapesse semplicemente da sempre. Non trovò risposta.
"Certo che fa caldo... Non hai caldo?" disse ad Annie.
"Caldo? Addirittura? Va bene che è uscito il sole, ma non ti sembra di esagerare?" rispose lei sorridendo. Michael sbirciò di soppiatto le sue mani: stavano tremando, ma non sentiva freddo, ne caldo. Non sentiva assolutamente niente: passione, amore, compassione, tristezza: niente. Solo una cosa, una cosa che non era riuscito a spiegarsi nei giorni precedenti, che aveva accantonato nei meandri della sua testa, che fino a quel momento si era rifiutato di accettare: senso del dovere. Aprì le braccia dentro di se, e accettò il suo Destino, e in quell'istante Michael cessò di esistere.
"Vieni qua in terrazza, c'è l'aria fresca e un vento leggero..." Annie aprì la porta-finestra che dava sulla terrazza e invitò gestualmente Michael a raggiungerla per coccolarla. Lui si avvicinò a lei, lentamente, come se i piedi gli pesassero almeno cento volte di più, ma non era un peso morale che stava bloccando il suo cammino, era semplicemente la calma di chi ha tutto il tempo che desidera per fare ciò che deve, il passo di chi vive nell'eternità.
"E sia." dichiarò Michael. La possanza nella sua voce lo meravigliò.
"Come?" chiese Annie.
"Niente." rispose lui.
Annie poggiava la schiena sul basso davanzale, e aveva le braccia aperte ad accogliere il suo nuovo amore, e il sorriso sulle labbra, pronte per baciarlo. Michael entrò lentamente nella terrazza, aprì le braccia verso Annie e la tenne forte a sè, così calda nella frescura che il vento portava. Strinse la presa, sempre di più.
"Michael?" Annie era divertita dalla presa che diventava sempre più forte, ma si aspettava il suo rilascio a breve, anche.
Michael strinse di più.
"Sei mia." disse, con voce tombale. Il divertimento di Annie finì.
"Michael? Con che voce parli? Mi fai paura... Mi fai male! Michael smettila di stringere così forte!!!" stava cominciando a spaventarsi, ma non lo era ancora abbastanza. Lui la sollevò da terra.
"Michael cosa fai? MICHAEL HO PAURA, SMETTILA!"
Il suo corpo sul davanzale, il suo corpo nel vuoto, il suo corpo che precipita, in una caduta senza fine, verso l'oscurità.
Michael fissò Annie cadere, senza provare emozione alcuna. Una lacrima gli cadde dagli occhi nel vuoto, una lacrima con volontà propria, che portava nel baratro, insieme ad Annie, tutta l'umanità che gli era rimasta.
Michael si voltò e vide la figura incappucciata. Era la prima volta che la vedeva al di fuori dei sogni, e gli fece una strana impressione, inserita in quel contesto. Non disse niente, e lui nemmeno, ma la figura alzò le mani e abbassò il cappuccio. Michael non rimase assolutamente sorpreso nel vedere la sua faccia: una faccia comune, di un tizio comune.
"Accetti?" disse il tizio comune.
"Non posso che farlo." rispose in tono spento Michael.
"Ovviamente."
Michael si mise a sedere sul davanzale, alzò lo sguardo al cielo, e si lasciò cadere all'indietro. Ogni metro che copriva nella sua caduta nel vuoto, era un ricordo che svaniva: il suo sesto compleanno, la prima bicicletta, la fidanzatina delle elementari, il primo giorno di medie, Annie. L'esame delle medie, l'entrata alle superiori, i nuovi amici, Max, il diploma, i suoi genitori, la casa, il lavoro, Annie.
Come bolle di sapone argentee li vedeva volare via con lentezza e delicatezza, in quella caduta che sembrava non avere fine, che lo stava conducendo non alla morte, ma verso un nuovo orizzonte che era obbligato a scoprire. Riatterrò in piedi, come volando, accanto al corpo senza vita di Annie, circondato da decine di persone dagli sguardi preoccupati e spaventati, mentre il suono delle sirene si avvicinava.
Chi era quella ragazza stesa per terra? Michael ricordava solo grande dolore e sofferenza.
Capitolo 6. Domande e risposte.
"Chi sei?"
"Perchè me lo chiedi?"
"Per scrupolo."
"Capisco. Rimasugli di mortalità. Io sono la Fine."
"La Morte?"
"Nella tua cultura potrei essere chiamato così, ma in realtà il significato del termine è inteso in modo altamente ambiguo e impreciso, nel tuo Mondo. Io sono semplicemente ciò che si trova all'altro capo della corda chiamata Vita, che è cominciata con l'Inizio."
"Tu... Uccidi le... Uhm." Il cervello di Michael stava provando un sforzo micidiale. E' difficilissimo parlare di cose che non si possono assolutamente comprendere. "Tu prendi le anime... Uccidendo le persone?"
"Che orribile definizione grossolana! Io concludo ciò che qualcun'altro ha iniziato. Sono solo parte di un percorso."
"Di un ciclo?"
"Non uso le parole a caso, ho detto 'percorso'. Nemmeno a me è dato sapere come funzionano queste cose e dire che si tratta di un ciclo sarebbe troppo avventato da parte mia." Michael fece una faccia offesa.
"Oh, questo mi distrugge. Non sei depositaria della Verità?" Michael marcò l'ultima parola, per far capire al suo interlocutere che l'aveva pronunciata con la lettera maiuscola.
"La Verità, dici? Cosa mai ti fa pensare che ce ne sia una sola? In cinquecento anni non ho mai visto nel tuo Mondo ne nel mio qualcosa di Assoluto. Direi che il Tutto viene creato grazie alla sovrapposizione e al complemento di molte Verità."
"Non capisco."
"Non me ne stupisco, ma capirai con la pratica."
"Vivi da cinquecento anni?"
"'Vivo' non è la parola corretta. Esisto da cinquecento anni... più o meno. Ero un mortale come te, in origine."
"E io devo... prendere il tuo posto. Devi morir..." si interruppe. Aveva imparato qualcosa da quella conversazione. "devi cessare di esistere?"
"Potrò riposarmi, si. Il mio compito deve passare a te, tramite la Sostituzione. La tua vita sarà prolungata di circa cinque volte, e non invecchierai mai."
"Io non so niente di questo... Ehr... Lavoro."
"Non c'è bisogno di sapere niente, ma solo di sentire. Ci sono Forze che governano il Tutto, e anche io non sono che un piccolo meccanismo microscopico, come lo sarai tu. Hai già sperimentato come funziona. Saprai sempre cosa fare, dove e quando."
"Il 'come' non è importante?"
"No."
"Com'è possibile?"
"Ricorda sempre che non sei tu ad uccidere. Non sei tu che compi un omicidio. Tu porti solamente la Fine. Un mortale può rimanere colpito in una sparatoria, avere un infarto o suicidarsi. Queste sono tutte cause di morte. Tu NON SEI causa di morte. Porti solamente la Fine." Michael era contratto in uno sforzo mentale enorme.
"Immagina un giradischi." questo era facile.
"Ok, un giradischi."
"Quando il disco è finito, continua ugualmente a girare a vuoto, no?"
"Si."
"Tu sei la persona che preme l'interruttore per farlo smettere di girare. Ma il disco è già finito di per sè." Michael si illuminò.
"Penso di aver capito, ma ho un'altra domanda... La gente non mi vede? Sono invisibile?"
"Non sei invisibile. Sei diventato un'Entità... un'elemento, come è elemento l'aria che i mortali respirano, come lo è l'acqua che bevono e la terra che calpestano."
"Ma io posso vedere la terra..."
"Ma non puoi vedere che vive e respira; che mangia e uccide, anche. Come mortale, sei cosciente della sua esistenza, ma cosa ne sai, in fondo? Ne puoi conoscere la composizione chimica, puoi prevederne gli spostamenti, se studi per tutta la tua esistenza... Ma sai giustificare la sua Entità? E' come conoscere il significato di Infinito: non puoi nemmeno immaginarlo, perchè la tua mente non è adatta a farlo... I mortali devono vivere confinati nel loro confortevole mondo. Ognuno deve stare al posto proprio."
"Nessuno saprà mai niente?"
"Negazioni così importanti non si possono assolutamente pronunciare. Come ti ho detto, nemmeno io posso sapere cosa accadrà. Ma per ora, il fatto che tu possa concludere il percorso esistenziale di una persona non ha assolutamente riflessi nel mondo mortale. Tu non esisti affatto, si può dire, nel mondo mortale. Tra l'altro, chiunque abbia contatti con te, non ricorderà niente di quello che fai o hai fatto, a loro o ad altre creature." Michael decise di lasciare le sue personali elucubrazioni per dopo. Ora aveva troppe domande da fare, e decise di farlo senza riprendere più fiato di quanto gli servisse per formulare la domanda successiva.
"Non ricordo niente. Niente di specifico, intendo..."
"So cosa intendi."
"Niente immagini, facce, o luoghi... solo sensazioni."
"E' l'unica agevolazione che ci è stata concessa. Non ricordiamo i volti delle persone su cui poniamo la nostra spada, ne il nostro passato, ne niente che possa turbarci dal nostro compito. Ma, ahimè, nemmeno le Forze che ci governano sanno toglierci le nostre emozioni."
"Possiamo solo... ricordare il dolore?"
"Teoricamente potremmo ricordare anche la gioia... Ma che gioia reca il nostro compito?"
"Non lo so, che gioie reca il nostro compito?"
"Non reca gioie, il nostro compito." Michael aveva capito che era una domanda retorica, ma non poteva dare niente per scontato. Forse la Morte l'aveva capito, e per questo non si arrabbiò.
"Quindi le emozioni umane sono qualcosa di così potente da trascendere la grandezza delle Forze che governano il Tutto?"
"Così pare."
"E dicevi di non conoscere la Verità!"
"Come ti ho detto, queste sono solo DELLE Verità. Ma è normale che a te bastino, arrivato solamente a questo punto."
"Che vuoi dire?"
"Voglio dire che nel corso dell'Eternità avrai modo di rimpiangere di non poter sapere altro."
"Ma alla fine anche io cesserò di esistere? Perchè parli di eternità?"
"Così come non conosci il significato di Infinito, non puoi conoscere quello di Eternità. L'Eternità può essere anche un solo minuto, talvolta."
"Forse riesco a capire."
"Non abbastanza, credimi."
Ci fu, per la prima volta dopo la lunga e serrata discussione, un attimo di silenzio. Michael stava riordinando i pensieri, ma non poteva assolutamente riuscirci, era qualcosa al di là della sua portata. Si sentiva la gola secca. La Morte stava ascoltando tutto quello che diceva, anche all'interno della sua testa.
"Non puoi avere la gola secca. E' una cosa che dipende dal tuo pensiero."
Michael si sforzò di pensare di non avere sete... Anzi, rimosse dal suo cervello lo stesso concetto di sete, e quello di acqua. La gola non gli sembrò più secca. Non gli sembrò più e basta, decise poi. Era pronto per altre domande.
"Come posso essere in più posti nello stesso momento?"
"L'Ubiquità è il secondo potere che ci è concesso, oltre a quello di porre Fine alle cose viventi. Esplora la tua mente e riuscirai a capirlo."
Michael chiuse istintivamente gli occhi, e si mise a fissare il buio dell'interno delle sue palpebre. Si meravigliò molto quando, riaprendoli, si trovava di nuovo nel Mondo a lui familiare (ormai non più molto, in verità), con le mani intorno al collo di un giovane ragazzo. Il ragazzo si accasciò a terra, senza fiato, e tutta la gente che gli era intorno gli corse intorno strillando e gemendo. Michael si rese conto delle parole della Morte: nessuno poteva vederlo, nessuno poteva rendersi conto della sua Entità. Non era logicamente possibile per un mortale essere cosciente della sua presenza.
Sentì come un pizzicore dentro il cervello, si concentrò su di esso e si sentì come risucchiato e poi espulso attraverso uno stretto passaggio. Era da un'altra parte, e stava "ponendo fine" ad un'altra esistenza. Ancora non riusciva a dire che quello non era un omicidio. Cominciò ad apprezzare la concessione delle Forze superiori: non ricordava affatto la vita che aveva terminato solo pochi istanti prima, così come non ricordava di avere investito un corvo lunedì, di aver schiacciato un gattino martedì, di avere avuto una conversazione senza senso con quello che ricordava come un vecchio amico e di averlo ucciso con la sua sola voce, ne di avere, infine, ucciso Annie.
Volle semplicemente trovarsi su una comoda sedia: lo pensò ed avvenne. La voce della Morte era adesso alle sue spalle.
"Comodo, ti pare? Puoi prenderti una pausa quando vuoi, almeno."
"Non posso farcela."
"In realtà, sei l'unico che può farcela. Non nascono molte persone con la mente adatta a reggere questo peso. Il compito della Fine può essere eseguito solo da una mente razionale ma aperta al punto di riuscire a comprendere l'irrazionale, talmente disillusa da riuscire ad immaginare sempre un livello di esistenza superiore a quello in cui si trova al momento, e deve essere stata forgiata da più esperienza possibile, nel minor tempo possibile. Unione degli opposti."
"Unione degli opposti..." ripetè la frase come fosse una litanìa.
"Devi essere il vertice che unisce tutti i punti, Michael."
"Michael?"
"Era così che ti chiamavi."
"Che ne sarà di te?"
"Io non sarò più." La Morte prese la mano di Michael, e la pose all'altezza del suo cuore. Ci fu uno scambio di sguardi fuggente, e quella che era stata l'Entità della Fine fino all'istante precedente, divenne solo una ventata piena di polvere grigia, polvere che penetrò negli occhi di Michael, nel suo naso, nella sua bocca, nelle orecchie e tra i capelli, sulla pelle e tra le unghie. La assorbì come fosse un'aspirapolvere, una spugna asciutta buttata in una piscina. L'assimilazione era completa, la Sostituzione terminata.
Capitolo 7. La nuova Morte.
Così cominciò. Ciò che Michael era, ora non era più. Tutto quello che aveva fatto, vissuto, provato, sperimentato era sparito. Ricordi belli e ricordi brutti, momenti che gli avevano cambiato la vita, che glie l'avevano distrutta e poi ricostruita, per poi distruggergliela di nuovo... Tutto spazzato via. Se avesse ancora potuto provare sensazioni ed emozioni umane, Michael si sarebbe sentito vuoto, ma libero. Libero dalle sofferenze e dai rimpianti, dai sensi di colpa, dai moti di disgusto, dall'odio e dall'amore, dal pianto e dall'indifferenza, dalla rabbia e dal rancore.
Stava facendo degli esperimenti con i suoi nuovi poteri. L'ubiquità era senz'altro quello che preferiva, perchè gli consentiva di fare tutto quello che doveva e contemporaneamente tutto quello che voleva. Era come vivere infinite esistenze, tutte contemporaneamente, ma riuscire lo stesso a tenere il controllo di ognuna. Il tempo non passava, per il semplicissimo motivo che era già passato e al contempo doveva ancora essere creato. Michael si trovava in varie dimensioni in cui niente di quello che conosceva aveva senso. Pian piano le parole della vecchia Morte risultavano più chiare e semplici, pian piano riusciva ad abbracciare il significato di Eternità ed Infinito.
E nel frattempo faceva il suo lavoro, staccando teste in violenti incidenti automobilistici, squartando corpi di perfetti sconosciuti, dirigendo mani di assassini più o meno casuali; e mano a mano che diventava sempre più bravo nel suo compito, cominciava a distaccarsi dal concetto di "valore della vita". Purtroppo però, pur non ricordandosi assolutamente niente dei suoi lavori, provava una soffocante sofferenza, ogni volta che pensava a loro. E questa secondo lui era una punizione, per il compito che doveva sbrigare. Pensava spesso alla comicità del fatto che le misconosciute e astratte Forze che regolano il Tutto dessero una punizione a colui che doveva svolgere un compito che gli avevano assegnato loro stessi.
Uccise un certo Lorenzo, e al contempo si trovò al cinema a vedere "Il Settimo Sigillo", al momento della sua pubblicazione.
Contemporaneamente era perso nei suoi pensieri sdraiato su un divano di una casa che non conosceva, aspettando che la sua vittima rientrasse ed accendesse la luce, per far esplodere la casa che Michael si era premurato di riempire di gas.
Andò in Francia per uccidere Angelo, in Spagna a strappare la vita di Maximilian e poi a Londra a terminare l'esistenza terrena di Luke. In Germania doveva invece far brillare una bomba in un supermercato al momento giusto, e aveva diverso lavoro da sbrigare in Medio Oriente.
Così il tempo, nella sua relatività, passava, anche per Michael. Si rendeva conto sempre di più di quale lavoro dovesse mai fare e cominciò a spiegarsi alcuni toni tristi che aveva colto nella voce della Morte passata. La solitudine lo portò velocemente a parlare con se stesso.
"Se esiste l'orrore, io sono l'orrore." quasi mai riusciva a pensare a qualcosa di allegro.
"Se esiste la sofferenza, io sono la sofferenza. Vedo vite scivolarmi tra le dita, e di loro ricordo solo il pianto. Mi è stato dato potere ma insieme alla condanna. Se esiste la tristezza, io sono la tristezza.
Per me nulla è più giusto ne sbagliato, opero secondo mia volontà, eppure non ho volontà se non quella che mi è stata concessa da altri. Se esiste la schiavitù, io sono la schiavitù. Non provo dolore per le persone e ne più le amo o le ricordo. Per questo, se esiste l'indifferenza, io sono l'indifferenza.
Sono ciò che non voglio, e ciò che ho sempre desiderato essere. Provo rabbia, ma solo perchè la ricordo dalla mia vita mortale."
Lo tormentava, tra tutte le spiegazioni che la precedente Morte gli aveva dato, una particolare frase: "le emozioni umane sono qualcosa di così potente da trascendere la grandezza delle Forze che governano il Tutto". Non era giusto questo. Esistere solo per soffrire... Esistere per soffrire... Eppure era sicuro di ricordare che era esattamente quello che pensava di stare facendo quando era un mortale! Ma quale disilluso? Ma quale duro dalle mille esperienze? Era stato ingannato, di nuovo. In vita era stato portato a credere che non valesse la pena di vivere, ed ora era stato portato a credere che valesse la pena porre fine alle esistenze mortali! Era di nuovo un burattino, di nuovo nelle mani di qualcosa di più grande e potente. Sentì le emozioni rientrargli nelle vene, il sangue a fiotti riscaldarsi dalla rabbia e dall'agitazione, e allo stesso tempo, sentì i blocchi che le Forze Superiori gli avevano dato cercare di calmare quelle emozioni potenti.
"Le emozioni umane sono qualcosa di così potente da trascendere la grandezza delle Forze che governano il Tutto." Click, click, click! Scattavano le rotelle e gli ingranaggi nel cervello di Michael, mentre si sforzava a ricomporre i pezzi di un quadro che era stato più volte distrutto e ricomposto, cercando di mostrare un'immagine diversa da quella che era in origine.
"Gggh..." Stava sanguinando dal naso, e il calore gli scaldava la faccia. Sentiva gli occhi uscirgli dalle orbite, le dita intirizzirsi in una stretta convulsa, infliggendogli ferite sui palmi delle mani.
"Ora io..." ora lui ricordava, stava ricordando. Aveva associato delle facce alle emozioni, dei nomi alle facce, dei ricordi ai nomi.
"IO... MI... CHIAMO..."
Il cielo tremò, in quella dimensione di cui in fondo lui nulla sapeva, e sembrò mettersi in tremenda agitazione e ribollire, tra rigurgiti di tuoni e boati lontani, mentre l'Universo si richiudeva su se stesso, inorridito per quello che stava per succedere.
Nel buio, una faccia: Annie.
"IO MI CHIAMO MICHAEL!!!" sembrò a Michael di essersi strappato delle pesanti catene di ferro con le sue sole mani mortali, mentre la stretta bloccante delle Forze che inibivano i suoi ricordi si dipanava velocemente, come lembi di vestiti di seta strappati, che svolazzano via intimiditi e impauriti, insicuri del Futuro che verrà.
Tutta la vita, la sua lunga, interminabile vita, secondo per secondo, gli passò davanti agli occhi. Si accorse di quanto futili erano stati alcuni suoi comportamenti, di quanto inutili fossero tutte le regole e le costrizioni che erano applicate all'Universo. Lo vide. Vide l'Universo nella sua totalità, e comprese tutte le risposte di tutte le domande, mentre il suo corpo si disfaceva, accartocciandosi come un sacco di tela svuotato, incapace di tenere ancora dentro di sè l'Entità di Michael, che cresceva esponenzialmente mentre assorbiva infinite quantità di informazioni. Ora capiva cosa volesse dire Eterno e Infinito, ora non aveva più dubbi ne paure, aveva i suoi ricordi e le sue emozioni, e insieme alle sue, quelle di tutto ciò che vive. Incontrò il corvo nero, che si posò sulla sua spalla, ed incontrò il gattino bianco, che fece le fusa ai suoi piedi. Vide Max venirgli incontro salutandolo, e infine, potè abbracciare di nuovo Annie, e baciarla per l'ultima volta.
"Mi hai salvato. Molte volte." le disse, ma lei non poteva sentirlo.
Michael aveva il Tutto nelle sue mani.
Come sibilanti fantasmi, le altre Forze Superiori cominciarono a ronzargli intorno, cercando di ingurgitare la sua essenza. Ma Michael ora comprendeva anche le loro Entità: fece un gesto ed esse si dilatarono fino a scomparire. Adesso era solo, di nuovo... Ma stavolta era una solitudine assoluta, completa. C'era lui e lui solo, assolutamente nessun'altro, nel Tutto. Ancora una volta, non era poi cambiato granchè, ma almeno non era più un burattino, non era sotto la volontà di nessuno. Ora lui era ciò che non si può superare.
Volse lo sguardo verso la Terra.
"Che ognuno viva la propria esistenza come gli è consentito." disse, e svanì, lasciando la Terra ed i suoi abitanti a vagare nel Tutto, finchè il Tutto se ne fosse stancato.