Tratto da: A. Danielou, Miti e Dèi dell'India. Rizzoli, 2002
Nel nostro tempo il monoteismo è stato spesso rappresentato come un concetto religioso e filosofico più elevato del politeismo. Sentiamo parlare di Dio, vediamo persone che pregano Dio, che lo cercano, molto + frequentemente che non persone che parlano di Dèi, pregano un Dio particolare oppure riconoscono l'esistenza di diverse incarnazioni divine. Ciononostante, se osserviamo con maggiore attenzione il fatto religioso nella sua realtà oggettiva, notiamo facilmente che tutti i monoteisti adorano aspetti molto particolareggiati del loro Dio e non un essere senza forma, causale, non manifesto. L'uomo in genere prova un senso di affinità, sente una rispondenza immediata per l'aspetto formale, che manca inevitabilmente al concetto astratto. Tuttavia, un'energia causale, onnipresente, sorgente e origine di ogni cosa e aspetto del mondo non può essere espressa in una forma specifica. Per sua stessa natura, sta alla base di tutte le forme concepibili e inconcepibili. siamo in grado di arrivare al divino unicamente tramite le sue manifestazioni e quindi per noi esistono tanti Dèi quanti sono gli aspetti del creato.
Gli Dèi e l'universo sono i due aspetti (le energie coscienti e le forme inconsce) di una molteplicità eterna ed infinita.
Nelle religioni politeistiche, ogni individuo si sceglie un Dio preferito e di solito non si rivolge ad altri Dèi finantoché adora il suo Dio, colui al quale si sente + vicino, la cui immagine risveglia in lui più risonanze e gli permette una concentrazione più facile. Sa però che esistono altri Dèi. L'induista che adora l'immanente (Vishnu), il distruttore (Rudra), l'energia causale (Sahkti), il Sole (Surya), il fuoco (Agni) o il fallo fonte di vita (Shiva), è sempre pronto ad ammettere l'equivalenza di queste diverse divinità, concepite come manifestazioni di forze distinte che emergono dall'Immensità inconoscibile ed indeterminata. Sa che questo essere o non-essere ultimo è per sempre al di fuori della sua portata, oltre l'esistenza, e che è impossibile adorarlo o pregarlo. D'altra parte capisce che nell'ordine della molteplicità divina gli Dèi degli altri uomini sono aspetti del Dio o degli Dèi che egli stesso adora. É fondamentalmente tollerante e ammette che qualsiasi fomra di conoscenza o di credenza è potenzialmente valida. Dal punto di vista induista il proselitismo o la persecuzione di altre religioni, per quanto strane possano sembrare le credenze e i riti, non costituiscono mai un comportamento accettabile.
Partendo da quella vasta e solida base che è la molteplicità della manifestazione, il politeista si può elevare a poco a poco verso la meta mai raggiunta del non-dualismo e verso l'illusione di una identificazione finale con l'Essere assoluto. Ad ogni grado della sua elevazione scopre uno stato di maggiore o minore molteplicità, secondo il proprio livello di sviluppo e si evolve iniziando dalle pratiche esteriori del rito e della morale verso gli aspetti più astratti della conoscenza e della non-azione. Tali aspetti sono rappresentati concretamente con diversi gruppi di simboli statici, gli Dèi, e di simboli attivi, i riti. L'adepto, nella misura in cui procede sul cammino che lo porta alla liberazione, sceglie per ogni stadio Dèi e riti che sono appropriati al suo sviluppo e che sono alla sua portata.
Durante il pellegrinaggio della vita, il politeista si reca da un tempio all'altro, pratica differenti rituali, differenti modi di vita, differenti metodi di sviluppo interiore. Resta costantemente cosciente della coesistenza di una moltitudine di vie che portano al divino, ciascuna adatta ad individui la cui evoluzione è diversa.
É molto più difficile, per la persona che si trova imprigionata in un sistema monoteistico, stabilire una gerarchia di atteggiamenti verso il divino durante gli svariati momenti della sua crescita spirituale. Gli è quasi impossibile non confondere i piani e i metodi, perchè la verità relativa si presenta nelle successive tappe sempre con volto mutato, molto spesso è persino contraddittorio. Tuttavia, la totale comprensione della natura di ogni singolo grado è essenziale se lo si vuole superare.
Dato che il monoteista non può vedere in modo chiaro, fianco a fianco, i diversi stadi del suo sviluppo passato e futuro, illustrati da diversi simboli, diversi Dèi, diversi culti, diversi comportamenti religiosi, ogni suo tentativo per superare i limiti dei dogmi e delle leggi del sistema in cui si trova immerso tende a fargli perdere l'equlibrio. A causa di questo equilibrio precario,
nei sistemi monoteistici vi è un margine molto limitato tra proselitismo e irreligione, poco spazio per la tolleranza, poco rispetto per i modi di pensare, di culto, di condotta, che si discostano dalla "norma". Il monoteismo generalmente confonde i piani religiosi e morali, le osservanze convenzionali e l'avanzamento interiore. Mescola fede e propaganda, emozione mistica e progresso spirituale.
L'uomo che si trova ad un grado di sviluppo differente da quello per cui è stato elaborato un sistema monoteista non ha altra alternativa che non abbandonarlo, se non si vuole degradare; ma ciò può portarlo a lasciare la religione e talora anche ogni ricerca spirituale, oppure a fabbricarsi un sistema che non gli apre nessuna via nuova, se non ha contatti con altri contesti religiosi.
I monoteismi sono sempre legati ad una cultura, ad una civiltà. Non è grazie alle loro dottrine, ma nonostante queste ultime che la persona dotata può raggiungere una vera realizzazione spirituale. Vedremo che il monoteismo è la proiezione dell'individualità umana nella sfera cosmica, è la creazione di un Dio ad immagine dell'uomo. In pratica, per tale ragione i monoteisti concepiscono sempre la divinità come entità antropomorfa che condivide le abitudini e i pregiudizi degli uomini, raccomanda i loro costumi e agisce secondo i loro ideali.
Così la religione diventa per ogni popolo un mezzo per glorificare la propria cultura e razza, per diffondere ed imporre la loro influenza. I fedeli sono il popolo eletto che segue la via di Dio, come se potesse esistere una via che non porta a Dio. Dunque, non dobbiamo sorprenderci se vediamo tutte le religioni monoteistiche combattere per imporre i propri Dèi e distruggere quelli degli altri, come se Dio non fosse uno, come vanno proclamando. Di conseguenza,
il monoteismo è sempre, di fatto, l'esaltazione del Dio preferito che si erge contro tutti gli altri aspetti del divino, contro tutti gli altri Dèi che devono essere consdierati falsi e pericolosi. Ma
la nozione stessa di un falso Dio è evidentemente fallace. Se esiste una divinità onnipotente ed onnipresente, in che modo potrebbero esistere falsi Dèi ? In quale maniera potremmo adorare qualcosa che non sia la divinità ? Qualsiasi forma noi cerchiamo di adorare, questa nostra adorazione può andare solo a essa che è il tutto.
"Anche coloro che, devoti ad altri Dèi, sacrificano loro pieni di fede, sacrificano in realtà a me solo, o Arjuna, in un modo diverso dalla norma (Bhagavadgita IX,23).
Dunque, il monoteismo appare come l'opposto stesso del non-dualismo, che potrebbe essere anche denominato non-monismo e che porta alla nozione di una divinità onnipresente, cioè dal punto di vista delle nostre percezioni, inifinitamente multipla.