Nei prossimi mesi Google si quoterà in borsa: gli "analisti" (ooh) e gli "esperti" (ahhh) ci assicurano che questa operazione da 30 miliardi di dollari rilancerà la cosiddetta new economy (speriamo almeno che ce la propinino con un nome diverso...). In un'apparente onda di megalomania, i due fondatori del motore di ricerca più famoso e consultato del mondo si sono detti convinti che esso rappresenti (con le sue future espansioni, previste negli anni a venire) la nuova frontiera della conoscenza, il nuovo modo in cui l'uomo potrà apprendere nuove nozioni e concetti, e non soltanto rintracciare quelli già esistenti. Il sapere passerà attraverso la rete - tramite Google.
Sono perplesso, per due motivi: il primo sta nella pretesa di Google di assomigliare sempre più ad un'enciclopedia universale, cosa che può generare un grosso, immenso equivoco. Un'enciclopedia mette a disposizione informazioni e dati, raccolti espressamente con lo scopo di formare la conoscenza in maniera quanto più possibile obiettiva. Google - al contrario - mette a disposizione le informazioni presenti sulla rete, che non necessariamente hanno questa finalità. Con risultati diversi. Se - paradossalmente - tutti i siti in rete decidessero di scrivere che un anno dura 362 giorni, Google fallirebbe completamente l'obiettivo. Il secondo motivo di perplessità? Un po' vetero-cyberpunk, forse, ma sempre attuale, ossia la presenza di un "filtro" che passa al setaccio la conoscenza. E chi controlla i controllori?