Karat45 ha scritto gio, 17 aprile 2003 11:40
Samuel T. Coleridge:
<<In ogni imitazione devono coesistere due elementi e non solo coesistere, ma anche essere percepiti come coesistenti. Questi due elementi costitutivi sono somiglianza e dissomiglianza, o identità e differenza, e in tutte le autentiche creazioni artistiche deve esserci l'unione di questi elementi diversi>>
Questa simultanea percezione degli opposti (di derivazione kantiana) fa da sfondo alla definizione della finalità del teatro nell' <<imitare la realtà avendo sembianza di realtà>>, "sembianza" è parola chiave che comporta la partecipazione degli spettatori allo spettacolo teatrale nei termini ben più conosciuti di:
i drammi <<devono produrre una specie di temporanea fede a metà, che lo spettatore incoraggia in se stesso e sostiene e sostiene per mezzo di un volontario contributo personale>>.
Il paragone del dramma al sogno permette di comprendere meglio:
<<Nel sonno noi passiamo all’istante, con un improvviso sprofondamento, in questa sospensione della volontà e del suo relativo potere: mentre in un dramma interessante, letto o rappresentato, veniamo portati a questa condizione, nella misura in cui è necessaria o piacevole, gradualmente, dall’arte del poeta e degli attori; e con il consenso e l’aiuto effettivo della nostra stessa volontà. Noi scegliamo di essere ingannati>>.
Insomma abbiamo detto in termini più estesi e precisi, partendo sempre da parole di Coleridge <<la volontaria sospensione dell’incredulità>>.
Non ho buttato subito in campo la nota frase perché ormai viene usata a sproposito un po’ ovunque, senza un minimo di contestualizzazione. In effetti espressa da sola e non spiegata sembra più una frase da baci Perugina. Ovviamente non vi sto facendo una lezione di teatro e mi fermo qui ad esaminare il contesto in cui Coleridge vive e sviluppa la sua visione (se vi interessa vi dovete andare a cercare testi sull’opposizione fra teatro romantico e teatro classico di stampo francese).
Rapportiamo questi concetti ad un videogioco. Quand’è che un videogioco risulta più efficace? La risposta, a questo punto, appare scontata: quando ci consente senza remore la scelta di essere ingannati. Cioè quando la sua natura oscilla fra ciò che noi vogliamo sia rappresentato e ciò che, invece, sappiamo debba essere rappresentato. Mi spiego meglio.
Giocando ad Half Life debbo calarmi in un personaggio. Di questo personaggio sono portato ad accettarne la caratterizzazione nel momento in cui non vada a cozzare con alcuni canoni che lo riguardano e che mi riguardano. I canoni vengono dettati nel momento in cui il personaggio viene “chiuso” dalla rappresentazione. Ovvero, nel momento in cui il campo delle possibilità viene limitato. Detto in altri termini: Gordon Freeman è uno scienziato e vive in un mondo sì fantascientifico ma non fantastico. Cosa comporta questa delimitazione? L’ovvia conseguenza che se, ad esempio, il nostro eroe potesse volare in virtù di arti magiche non dichiarate nel background del gioco, noi giocatori inizieremmo a porre domande al gioco (in termini allegorici, astraete) che, se non trovassero risposta, porterebbero al ritorno dell’incredulità e ci porrebbero in modo critico verso il gioco. Considereremmo la cosa “assurda” secondo canoni non scritti che vogliono che in un determinato scenario determinati personaggi seguano delle regole e, nel caso non le seguissero, dovrebbero giustificare la cosa in un qualche modo così plausibile da non rompere il patto non scritto fra autore(i) e fruitore(i). Questi canoni, detto per inciso, non nascono certo per caso. Sono dettati dalla cultura vivente e mutano, anche se, a volte, di poco “con il mutare delle stagioni”. Ad esempio oggi consideriamo naturali certe commistioni fra fantasy e fantascienza ma, se avessimo azzardato una commistione simile già trent’anni fa, saremmo stati mal visti visto che, quello che avremmo prodotto, sarebbe stato contenuto in dei canoni ancora non digeriti e assimilati dalla cultura, non ufficiale, ma viva.