Una delle cose che mi manda in bestia quando si parla di dati di ascolto delle trasmissioni televisive è che lo share viene riportato sul dato nazionale, un universo di 55.695.000 individui. Un programma con il 30% di share dovrebbe quindi essere visto da quasi diciassette milioni di persone. Plausibile, no? Come se esistere equivalesse all'avere il televisore acceso (o viceversa, che è molto peggio).
Questi dati determinano la distribuzione della pubblicità (ergo, dei soldi) sulla base del peso delle emittenti e dei programmi, senza tenere conto di radio, cinema, internet, o semplicemente del fatto che la gente può far altro che guardare la tv.
Gli americani, che sui dati d'ascolto hanno costruito una cultura, hanno avviato il "progetto Apollo" (pdf), portato avanti da Nielsen e Arbitron, che tramite un aggeggio chiamato PPM (Portable People Meter - da portare con sè tutto il giorno) registra la fruizione non solo della televisione, ma di molti altri media, determinando auspicabilmente una ridistribuzione dei pesi (l'importanza di un media rispetto ad un altro) e di conseguenza delle risorse pubblicitarie ed economiche.
Pur ampliandone la portata, i limiti sono gli stessi dell'auditel: un campione ristretto di persone che l'utilizzano, la presenza di media non "certificati" e che non vengono quindi monitorati.
Ne esce peraltro rafforzato l'odioso concetto che non esistiamo se non come "fruitori" di qualcosa, ma a questo temo che dovremo rassegnarci...