Broken Dream ha scritto mar, 21 giugno 2005 alle 23:22
Ecco la recensione di Metallus.it
"A volte un glorioso passato, oltre ad essere motivo di grande soddisfazione personale, può essere un pesante fardello con il quale confrontarsi continuamente…soprattutto perdendo nella quasi totalità dei casi la partita! Nell’annus mirabilis 1989 i Dream Theater divennero insieme a Fates Warning, Queensrÿche (e preceduti solo dai maestri Rush) i fautori del cosiddetto movimento prog metal che univa le raffinatezze di certo prog anni ’70 con l’urgenza espressiva dell’heavy e che viveva in quegli anni forse l’apice del suo sviluppo artistico. Cenno storico utile e da imprimersi bene nella mente durante l’analisi del presente CD perché oggi (purtroppo) la band del Long Island sembra aver esaurito le scorte d’inventiva e qualità musicale vivendo questa nuova fase della propria carriera in modo strascicato e poco convinto.
Riteniamo che se ‘Octavarium’ fosse stato pubblicato da una band qualunque saremmo qui a parlare di ottimo heavy rock moderno dalle influenze eterogenee…ma dobbiamo comunque tener presente chi è (stato) il protagonista di questa recensione! L’album parte attorcigliandosi di nuovo alle sonorità degli ultimi due album da studio, chiudendo tramite ‘The Root Of All Evil’ la trilogia iniziata con ‘The Glass Prison’ e proseguita da ‘This Dying Soul’; le pulsioni da novelli Metallica sono ancora presenti e sinceramente rappresentano una preoccupante immobilità stilistica che non muove un passo “in avanti” ormai da qualche anno (anche ‘Panic Attack’ è ricollegabile a questo discorso anche se esecutivamente più veloce ed in linea col materiale di ‘Scenes From A Memory’). Si prosegue ancora peggio con ‘The Answer Lies Within’, novella ‘Hollow Years’ e di una piattezza disarmante, dove neanche un quartetto d’archi riesce a portare alcun miglioramento; stesso discorso per ‘Sacrificed Sons’, anch’essa sdolcinata e malinconica (liricamente tratta il disastro del World Trade Center) per poi tramutarsi in un perfetto collage di stralci di ‘Six Degrees Of Inner Turbulence’. Le cose migliorano provvisoriamente con ‘These Walls’ (traccia migliore del lotto) grazie al rientro in pianta stabile della melodia (ci voleva tanto?) e di un refrain ben memorizzabile. I Dream Theater tentano nella traccia successiva (‘I Walk Beside You’) addirittura un attacco informale alle classifiche, presentando un pezzo dalla esplicita vena U2 (quelli delle ultime produzioni); la già citata ‘Panic Attack’ cambia decisamente faccia a metà corso con l’entrata prepotente di un’influenza finora distante dal background degli americani: i Muse (molto probabile la presenza in studio di registrazione di una copia di ‘Absolution’), influenza stilistica che va ad inframmezzarsi tra gli assoli di Rudess e Petrucci (quello sentito sul recente album solista ci era sembrato decisamente più ispirato e non ingabbiato in strutture ormai troppo ripetitive) di un Portnoy pressoché irriconoscibile e di un Myung leggermente più presente a livello di produzione.
Ancora più Muse la successiva ‘Never Enough’: riff identico a ‘Stockholm Syndrome’, stessi effetti tastieristici, linea vocale di LaBrie simile nella strofa e nell’apertura del ritornello allo stile di Matthew Bellamy; se la precedente strizzata d’occhio alla proposta dei Tool era stata sufficientemente metabolizzata e riproposta a piccole dosi, in questo caso ci si avvicina ad un pericoloso scenario da copia/incolla che tramuta automaticamente dei capofila (che hanno sempre avuto numerosi detrattori ma la cui importanza ci sembra innegabile) in semplici “riproduttori” di idee altrui. In chiusura, come da classica tradizione prog (alla quale difficilmente i Dream Theater di oggi possono essere ascritti) ecco giungere una lunga suite, la title track, che come facilmente intuibile vive di momenti assai diversificati :
incipit psichedelico (più Pink Floyd di loro stessi), prog rock di scuola Genesis/Marillion, tipiche e già sentite progressioni strumentali, orchestral ending!…il tutto mescolato in una macedonia insapore per la quale il termine più appropriato parrebbe proprio essere “innocua” (sia a livello dimostrativo che di mere emozioni).
A volte un glorioso passato…
Alberto Capettini
Voto 5,5
Ma questa recensione l'ho fatta io?