1-Introduzione
Una delle figure più rappresentative del Giappone antico è quella del samurai.
Questi uomini, fedeli fino alla morte al loro padrone (che fosse un daimyô 大名 o lo shôgun 将軍 stesso) e alle regole del bushidô 武士道 , la via del guerriero, sono stati simbolo di potere, potenza fisica, (spesso) cultura e soprattutto fedeltà, fino alla loro definitiva caduta quando, nell’agosto del 1876, con un editto del nuovo governo Meiji , vennero liquidati perché ormai ritenuti obsoleti per la nuova società che si andava creando.
Nonostante il loro declino, l’immagine del guerriero risoluto e pronto alla morte in qualsiasi momento, pronto anche a sacrificarsi e a suicidarsi per la perdita dell’onore o per un singolo ordine del suo padrone, è rimasta determinante fino ai giorni nostri e tuttora caratterizza la civiltà giapponese e l’immagine che di lei ha il mondo intero.
Ma non tutti i samurai avevano questa connotazione; vi erano anche i samurai senza padrone, chiamati rônin 浪人 , che vagavano per il Giappone o in cerca di vendetta (spesso per il loro padrone assassinato) o in cerca di soldi (quando avevano dimenticato il senso dell’onore), vi erano gli shugyôsha 修行者 , uomini dediti alle arti marziali, spesso molto forti, che, facendo una vita ascetica e girando per il Giappone alla ricerca di avversari sempre più forti con cui provare e affinare le loro tecniche, cercavano perennemente qualche potente signore che li notasse e li prendesse sotto la sua ala protettiva; infine, c’era Miyamoto Musashi il quale, nonostante fosse figlio di un noto e potente samurai, Hirata Munisai, decise di seguire la via della spada a modo suo, senza legarsi alla sua famiglia, girovagando per il Giappone non alla ricerca di un potente daimyô che lo mettesse tra le sue schiere ma alla ricerca della vera forza che, per lui, dalla via della spada si diramava in tutte le altre vie che la vita gli aveva messo dinanzi.
Ed è proprio la figura di questo particolare e affascinante personaggio, vissuto in Giappone nella prima metà del 1600, periodo di grandi cambiamenti, che sarà l’argomento di questa tesi.
Miyamoto Musashi (nato Miyamoto Bennosuke ma conosciuto anche come Shinmen Takezo) nacque nel 1584 nel villaggio di Miyamoto nella provincia di Harima, figlio di un famoso samurai dell’epoca, Hirata Munisai.
Hirata Munisai era al servizio, come vassallo di rango superiore, del clan Shinmen 新免 (di cui poté usare il cognome, come si vede anche in uno dei vari nomi di Musashi), famiglia molto potente della provincia di Mimasaka e discendente di Fujiwara Kamatari, Sposando Omasa, la figlia di Shinmen Munesada, il quarto signore della famiglia Shinmen, Munisai divenne una piccola potenza e ottenne un piccolo feudo.
Munisai era anche istruttore di arti marziali del clan Shinmen e in quanto tale era maestro nell’uso della katana刀 (con un suo stile a doppia spada), dei jitte 十手 nel Jūjutsu柔術 e nell’uso delle armature.
Musashi nacque come figlio delle seconde nozze di Munisai con Yoshiko, una donna di Harima, dalla quale divorziò, per poi sposarsi con una donna che non fu mai accettata da Musashi, il quale iniziò per questo motivo ad avere pesanti diverbi con il padre, cosa che lo spinse a fare frequenti viaggi verso casa della madre ad Harima, venendo poi affidato alle cure e all’educazione del monaco buddista Dorinbo (suo zio), che lo iniziò alla dottrina buddista che avrebbe segnato la sua vita adulta.
Da qui iniziò la via che avrebbe portato Musashi verso la leggenda.
2-La Via della Spada
Una mattina del 1596, uno shugysôha assetato di fama e alla ricerca di visibilità di nome Arima Kihei, arrivato poche ore prima nel villaggio di Hirafuku nella provincia di Banshu(ad Harima), piantò nel suolo un cartello che, con vistose scritte dorate, invitava chiunque a confrontarsi con lui in una sfida di abilità.
Nel pomeriggio, al ritorno da una lezione di calligrafia presa dallo zio Dorinbo, Miyamoto Bennosuke notò il cartello e, forse per sbruffonagine o forse per reale fiducia nelle sue capacità, scrisse in lettere rosse “Miyamoto Bennosuke, residente allo Shoren-in, ti sfiderà domani”.
Letto l’affronto, Kihei non credette ai suoi occhi e mandò i suoi adepti alla residenza scritta sul cartello per avere spiegazioni e scuse.
Arrivati alla casa, gli scolari di Arima vennero accolti dal prete Dorinbo che, compresa la situazione, impallidì e chiese umilmente scusa, sottolineando che a scrivere l’affronto era stato solo un ragazzino di 13 anni che sicuramente non l’aveva scritto con la vera intenzione di una sfida ma solo per scherzo.
Informato di ciò, Kihei comprese i sentimenti del prete e gli mandò un messaggio avvertendolo che, nonostante egli comprendesse la situazione, pretendeva comunque delle scuse ufficiali per ripulire il suo onore, sporcato da uno stupido bambino dispettoso.
E così, la mattina dopo, Kihei aspettò nel luogo dell’incontro il giovane Bennosuke sperando che la situazione si risolvesse in fretta e senza problemi, in quanto lui non aveva certo tempo da perdere con i capricci di un moccioso.
Intanto, una discreta folla si radunò attorno al luogo dell’incontro, desiderosa di vedere cosa avrebbe combinato quel guastafeste di Bennosuke, gia famoso nel villaggio per la sua irruenza.
Non passò molto che all’orizzonte si iniziarono a intravedere Dorinbo e Bennosuke, ma, cosa che nessuno si aspettava, Bennosuke portava con sé una lancia di bamboo.
Arrivato vicino al samurai errante, Bennosuke, invece di inchinarsi per chiedere scusa, iniziò a caricare e sferzò un colpo contro Kihei che, essendo un esperto spadaccino, lo schivò sfoderò la spada e si mise in posizione.
Dopo un paio di scambi, Bennosuke mollò la lancia e si buttò con tutto il corpo addosso a Kihei che cadde rovinosamente dando al ragazzino il tempo di riprendere in mano la lancia e colpirlo a morte.
Il piantagrane tredicenne del villaggio aveva così ucciso un esperto spadaccino senza troppa fatica; Miyamoto Musashi aveva ucciso il suo primo nemico e aveva vinto il primo dei suoi oltre 60 scontri.
La via della spada, già decisa dal sangue che scorreva nelle sue vene, aveva iniziato ad essere percorsa.
Nei tre anni antecedenti all’incontro, Musashi aveva studiato insieme allo zio pittura, calligrafia, confucianesimo e buddismo per poi andare a vivere a Miyamoto dalla sorella maggiore Ogin.
Nel 1599 lasciò tutti i suoi averi familiari al marito della sorella e partì con un amico verso le colline della regione; ma, mentre l’amico avrebbe abbandonato ben presto l’idea di Musashi di seguire la strada dello shugyôsha (che in verità non avrebbe mai seguito veramente), egli, prendendo infine il nome con cui sarebbe diventato noto nella storia, proseguì il suo viaggio verso la leggenda.
Negli anni successivi, a parte uno scontro nella primavera del 1599 con uno spadaccino di nome Akiyama, volto naturalmente a favore di Musashi , non vi furono avvenimenti rilevanti; ma in quegli anni il Giappone stava cambiando e il nostro spadaccino errante avrebbe partecipato attivamente all’evento cruciale che da li a poco si sarebbe svolto.
Nel 1598 Toyotomi Hideyoshi , che era succeduto nella guida del paese a Oda Nobunaga , riunificatore del Giappone morto nel 1582 a causa forse di un tumore al cervello, versava in gravi condizioni.
Prima di morire, nominò 5 tairô 大老 per governare il paese finché suo figlio Hideyori avesse raggiunto la maggiore età.
Tra questi 5 ministri, vi era Tokugawa Ieyasu , che bramava di impadronirsi del potere sul Giappone.
A questo punto il Giappone si spaccò in due, alcuni appoggiavano Toyotomi Hideyoshi (la potenza occidentale) altri caldeggiavano Tokugawa Ieyasu (la potenza orientale), la cui forza andava pian piano aumentando.
Molte battaglie si susseguirono nei mesi del 1600 ma quella principale, che decise il destino del Giappone per i successivi 250 anni, fu quella svoltasi a Sekigahara .
Quale migliore occasione di una battaglia cruciale ci poteva essere per uno spadaccino assetato di combattimento come Musashi (che aveva già partecipato a luglio all’attacco del castello Fushimi e ad agosto alla difesa del castello di Gifu).
Tenendo fede al clan da cui proveniva, Musashi si diresse verso Sekigahara e si unì al clan Shinmen sotto il comando di Ukita Hideie , uno dei favoriti di Hideyoshi e uno dei 5 tairô da lui scelti.
La battaglia fu terribile e tutte le fonti dicono che Musashi, nonostante la sua età, lottò con incredibile valore e vigore, distinguendosi sul campo ma, nonostante ciò, le truppe di Hideyoshi persero lo scontro e poco dopo, l’intera guerra.
Tokugawa Ieyasu aveva ormai in pugno il Giappone e ciò segnò il destino di tutti coloro che combatterono per il lato avversario: Ukita fu condannato a morte, ma la sua pena fu commutata in un esilio permanente, gli altri comandanti invece, non furono tanto fortunati, molti persero i loro feudi e molti le loro vite.
Anche i soldati semplici (o di rango inferiore) portarono e passarono di generazione in generazione il marchio degli sconfitti e, nei primi tempi, furono costretti a nascondersi per sfuggire alle truppe nemiche in cerca di superstiti.
Anche Musashi, facendo parte della fazione perdente, dovette passare alcuni anni mantenendo un basso profilo, senza farsi troppo notare o dare nell’occhio.
Nel frattempo, Munisai, suo padre, per motivi sconosciuti, aveva dato le dimissioni dal clan Shinmen e si era alleato con Kuroda Yoshikata, un generale dei Tokogawa, passando a combattere, quindi, al loro fianco.
Dopo la battaglia conobbe un importante vassallo della famiglia Hosokawa , Nagaoka Sado no Kami Okinaga di cui divenne istruttore di arti marziali; questa amicizia avrebbe giocato un ruolo fondamentale nella vita di Musashi.
Musashi, senza dare nell’occhio, si spostò per il Giappone affinando le sue tecniche di spada, sicuramente sfidando qualche shugyôsha (visti i 60 incontri da lui dichiarati).
La sua abilità continuava a migliorare nonostante non ci fosse nessuno che gli insegnasse particolari tecniche o mosse, nessuno tranne se stesso e l’esperienza sul campo; istinto e pratica, due cose che avrebbero contraddistinto Musashi e di cui lui stesso, più avanti nella vita, avrebbe sottolineato l’importanza.
Continuando sulla strada della spada, rigorosamente sempre di legno e raramente vera, nel 1604, a 21 anni, arrivò a Kyôto, dove un altro importantissimo capitolo della sua vita stava per essere scritto.