Secondo me racconti e romanzi sono costituiti da tre parti: narrazione, che conduce la storia dal punto A al punto B e infine al punto Z; descrizione, che offre al lettore un'ambientazione con un sapore di realtà; e dialogo, che dà vita ai personaggi attraverso il parlato.
Vi chiederete dov'è la trama in tutto questo. La risposta, la mia in ogni caso, è: da nessuna parte. Non cercherò di convincervi che non ho mai tramato più di quanto tenterei di convincervi che non ho mai mentito, ma sono due cose che faccio il più raramente possibile. Diffido della trama per due ragioni: perché le nostre vite ne sono
in larga misura prive, anche prendendo tutte le più ragionevoli precauzioni e stilando i più accurati programmi; e perché credo che la costruzione di una trama e la spontaneità della creazione vera siano incompatibili. È meglio che su questo punto io cerchi di essere il più chiaro possibile, perché desidero che comprendiate che la mia profonda convinzione sulla creazione di storie è che fondamentalmente esse si costruiscono da sole. Il compito dello scrittore è trovare loro un posto in cui crescere (e poi trascriverle, naturalmente). Se riuscite a vedere le cose in questo modo (o almeno ci provate), lavoreremo bene insieme. Se d'altra parte concluderete che sono matto, pazienza. Non sarete i primi.
Quando nel corso di un'intervista per il New Yorker spiegai al mio interlocutore (Mark Singer) che credevo che le storie si potessero trovare, proprio come i reperti fossili, nel terreno, rispose che non mi credeva. Replicai che mi stava benissimo, fintantoché credesse che lo credevo io. E io ci credo. Le storie non sono magliette ouvenir o Game-Boy. Le storie sono reperti, frammenti di un mondo preesistente e
ignoto. Il compito dello scrittore è usare gli strumenti della sua cassetta degli attrezzi per disseppellire ciascuno di essi senza danneggiarli. Talvolta il fossile che recuperate è piccolo, una conchiglia. Talvolta è enorme, un Tyrannosaurus Rex con tutte le sue gigantesche costole e i denti digrignanti. Ma che sia un racconto di mezza pagina o un romanzone di mille, le tecniche di scavo restano fondamentalmente le stesse.
Per grandi che siano la vostra abilità e la vostra esperienza, sarà probabilmente impossibile estrarre dal terreno tutto il fossile ancora integro. Per danneggiarlo il meno possibile, meglio rinunciare alla pala a favore di utensili più delicati: un soffietto, una pinzetta, magari uno spazzolino da denti. La trama è un arnese assai più
grosso, è il piccone dello scrittore. Potrete liberare da un terreno duro un fossile con un piccone, non lo discuto, ma sapete meglio di me che il piccone spaccherà almeno tanto quanto riuscirà a dissotterrare. È rozzo, meccanico, anticreativo. Io credo che la trama sia l'ultima risorsa del buono scrittore e la prima scelta dello sciocco. La storia
che ne risulterà sarà probabilmente artificiosa e pesante.
Io mi affido molto di più all'intuizione e ho potuto farlo soprattutto perché tendenzialmente i miei libri si basano su una situazione più che su un meccanismo.
Alcune delle idee che hanno prodotto quei libri sono più complesse di altre, ma nella maggioranza hanno preso l'avvio dalla nuda semplicità di una vetrina di un grande magazzino o una composizione di statuine di cera. Ciò che desidero è collocare un gruppo di personaggi (forse una coppia; forse un individuo solo) in una certa situazione e vedere come si tolgono d'impaccio. Il mio compito non è aiutarvi a trovare una via d'uscita o manipolare la situazione per condurvi alla salvezza - per
questo c'è bisogno del rumoroso piccone della trama - bensì guardare che cosa succede e poi scriverlo. Prima c'è la situazione. I personaggi, sempre amorfi all'inizio, vengono dopo.
Con questi punti di riferimento ben chiari nella mente, comincio a raccontare. Spesso ho un'idea di quale sarà l'esito, ma non ho mai preteso che dei personaggi agissero a modo mio. Al contrario, voglio che facciano a modo loro. Ci sono casi in cui la soluzione è quella che ho visualizzato io. Più spesso tuttavia è qualcosa che non
m'aspettavo proprio. Per un romanziere di suspense, è il massimo. Io sono dopotutto non solo il creatore del romanzo, ma il suo primo lettore. E se non sono capace io di prevedere anche con molta approssimazione come diavolo andrà a finire, nonostante la mia esclusiva conoscenza degli avvenimenti, posso essere abbastanza sicuro di mantenere viva nel lettore l'ansia di voltare pagina. E comunque perché darsi pensiero del finale? Perché pretendere di tenere in pugno la situazione a tutti i costi?
Prima o poi ogni storia da qualche parte deve pur sfociare.