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Risultati da 1 a 5 di 5

Discussione: Piccoli cavilli.

  1. #1
    -BORG-
    ospite

    Predefinito Piccoli cavilli.

    Se c'è una cosa che mi fà paura,è la burocrazia, perchè dietro tante regole si nascondono le magagne, e le incompetenze.

    "Questo matrimonio non s'ha da fare". Un cavillo e il momento per il fatidico "sì" fra una ragazza cilena e un giovane italiano sembra non arrivare mai. Lei, Paz Belen Cerda Rosas, 22 anni, non è italiana per questo e sposare il fidanzato sembra una missione impossibile. Anche se i documenti, secondo legali ed esperti in materia, sono a posto.

    Paz è in Italia con un visto di studio ed è in attesa di permesso di soggiorno. Fino a qui tutto bene. Dal momento che la sua presenza in Italia risulta regolare dovrebbe ricevere il nulla osta per convolare a nozze con Michele Metta, un ricercatore di 41 anni. Ma da più di un mese i due stanno combattendo con gli uffici dell'anagrafe di Roma per ottenere il documento.

    "Ci hanno detto varie volte all'anagrafe che non possiamo sposarci perché non ci sono le condizioni richieste, ma non è così - racconta Michele Metta - Eppure in Questura mi avevano spiegato che tutto è in regola per sposarci".

    La giovane Paz è in attesa di un permesso di soggiorno per studio e questo dovrebbe bastare per contrarre matrimonio in Italia, ma a ostacolare il suo sogno c'è una circolare interpretativa del decreto sulla sicurezza (Circolare 7 agosto 2009). "Parlando di matrimonio la circolare prende in considerazione solo chi è in attesa di permesso per lavoro o per motivi familiari. Secondo questa interpretazione solo in questi casi lo straniero si può sposare in Italia - spiega l'avvocato Salvatore Sacchile, esperto di Immigrazione - Ma la circolare è restrittiva. La legge prevede invece la regolarità del soggiorno dello straniero come titolo per sposarsi in Italia. Paz è in attesa di un permesso per studio e dunque può sposare il suo fidanzato".



    Anche Walter Citti, esperto dell'Asgi, l'associazione di studi giuridici sull'immigrazione, è convinto che la coppia possa convolare a nozze in Italia. "La circolare cita solo alcuni permessi di soggiorno, ma la legge (ndr il decreto sulla sicurezza legge 15 luglio 2009, n. 94) parla invece di un documento attestante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano come elemento valido per contrarre matrimonio - dice Walter Citti - I due giovani si possono sposare e possono anche impugnare l'atto in cui viene negato il nulla osta per il matrimonio".

    Un errore, un cavillo, una visione restrittiva della legge sarebbe dunque il principale nemico della coppia. Che a questo punto rischia anche di essere separata per sempre. "Siamo disperati - racconta Michele - Nel nostro municipio e all'Anagrafe non ci hanno dato speranze. Che cosa faremo se non arriva il nulla osta per il matrimonio? E se non arriva il permesso di soggiorno per studio? Queste pratiche burocratiche sono lente e il visto per studio di Paz scade a giungo. Dovrà ritornare in Cile. Eppure abbiamo contattato altri Comuni in Italia e ci hanno spiegato tutti che potevamo sposarci senza problemi".

    Vite strette fra carta e burocrazia. Le lunghe giornate passate a combattere con gli uffici dell'Anagrafe del Comune di Roma sembrano state inutili, ma "i promessi sposi" hanno deciso di continuare a combattere. "Impugneremo l'atto che non ci autorizza a sposarci. E poi abbiamo ancora una speranza. Dalla Questura ci è appena arrivato un permesso di soggiorno temporaneo. Ancora un documento, forse una carta inutile. Per noi è una speranza, forse ci potrà aiutare".
    FONTE
    E qui si migliora pure.

    REGGIO CALABRIA - Ci sarebbe un mero errore materiale alla base dell'equivoco sulla scarcerazione di tre presunti esponenti della cosca Cordì di Locri. Un errore di trascrizione, mal interpretato dal Tribunale della libertà di Reggio Calabria, che ha letto in maniera restrittiva un'ordinanza di custodia cautelare del Gip che, dal canto suo, aveva "correttamente valutato le richieste dei pm". Un pasticcio che ieri ha fatto temere che alcuni boss mafiosi fossero riusciti a sfuggire alle maglie del carcere per negligenza della magistratura. La storia ha inizio a settembre scorso, quando scatta l'operazione Shark della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria. Nel mirino degli inquirenti (Antonino Di Bernardo e Marco Colamonaci) una quindicina di persone accusate di usura, estorsione e altri reati. Scattano gli arresti, e nelle ordinanze di custodia cautelare firmate dal Gip Carlo Alberto Indellicati, accanto ai nomi di Domenico Cordì, Cosimo Ruggia e Domenico Panetta, restano scritti per errore i richiami all'aggravante mafiosa.

    Lo stesso Gip tuttavia spiega ampiamente nelle motivazioni dello stesso provvedimento d'arresto che "non ci sono gli estremi per contestare tra i reati oggetto dell'inchiesta quello di aver agito con modalità tipiche dei clan". Insomma se pure alcuni degli indagati potrebbero essere colpevoli di varie nefandezze, non ci sono le prove che, almeno in questo caso, si tratti di mafiosi.

    Così passati i sei mesi della custodia cautelare Eugenio Minniti, legale di Cordì, chiede al Tribunale della libertà la scarcerazione del proprio assistito. I giudici tuttavia rispondono picche, interpretando in maniera restrittiva il parere del Gip Indellicati. Alla luce di tale decisione e delle relative motivazioni, l'avvocato Minniti si rivolge alla Cassazione che in breve tempo gli dà ragione. Da qui la scelta di formulare una nuova istanza al Gip competente che nel frattempo era diventato il dottor Santo Melidona (Indellicati dopo il terremoto è stato distaccato in Abruzzo nel pool di magistrati che controllano gli appalti della ricostruzione), il quale leggendo le carte dà a sua volta soddisfazione al difensore di Cordì e rimette in libertà i tre. In buona sostanza, non essendo contestata l'aggravante mafiosa e non essendo ancora stata chiusa l'indagine, i termini della custodia cautelare preventiva sono sei e non dodici (tanti sono previsti per i mafiosi).



    A destare allarme la personalità dei personaggi che hanno riguadagnato, almeno per il momento, la libertà. Domenico Cordì, infatti, è il figlio di Cosimo Cordì, ucciso nel 1997 in un agguato nell'ambito della faida contro il clan Cataldo. Ruggia, secondo le risultanze investigative, è uno degli affiliati della cosca Cordì, mentre di Domenico Panetta si è parlato nel processo per l'omicidio del vicepresidente del Consiglio regionale della Calabria Francesco Fortugno, ucciso a Locri nel 2005. Insomma, noti ben noti alle forze dell'ordine, e per questo tenuti particolarmente sotto attenzione. Su quello che appare un malinteso è intervenuto direttamente il Gip Carlo Indellicati che ha spiegato come non ci sia stato alcun errore. "All'epoca dei fatti - spiega - rispetto ai reati oggetto dell'indagine avevo contestato il favoreggiamento semplice senza l'aggravante del metodo mafioso poiché, a mio parere, non sussistevano i gravi indizi di colpevolezza. Ecco perché i termini della loro custodia cautelare si sono ridotti da un anno a sei mesi".
    FONTE

  2. #2
    Vitor
    ospite

    Predefinito Riferimento: Piccoli cavilli.

    già so come andrà a finire questo topic.
    già lo so.

  3. #3
    Shogun Assoluto L'avatar di Necronomicon
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    03-04-02
    Messaggi
    31,051

    Predefinito Riferimento: Piccoli cavilli.

    22 anni.
    41 anni.



  4. #4
    Picard
    ospite

    Predefinito Riferimento: Piccoli cavilli.

    Un GIOVANE italiano. Ora si è giovani anche a 41 anni. A 20 si è poppanti.

  5. #5
    -BORG-
    ospite

    Predefinito Riferimento: Piccoli cavilli.

    Questioni di marketing...

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