Quello dello spam è un problema che sta assumendo sempre più le dimensioni di una catastrofe. Non passa giorno senza che qualche autorevole quotidiano (online e non) dedichi pagine e pagine a raccontare dei danni che la posta non desiderata reca alla collettività. E non si vede, all'orizzonte, una soluzione davvero valida.
Si fa strada sempre più l'idea che il problema vada affrontato alla radice, ossia nella struttura della posta elettronica, vecchia ormai di trent'anni. Ma allora, chi ci pensava a queste cose? Tra le tante ipotesi discusse in questo periodo c'è quella di cambiare radicalmente il protocollo SMTP, quello che si occupa dell'invio dei messaggi, e che non fa nessun controllo sull'identità del mittente; un eccesso di fiducia che stiamo pagando caro.
C'è persino chi, e rabbrividisco al pensiero di una simile soluzione, propone di far pagare le email inviate, esattamente come si pagano i francobolli per le missive tradizionali e le telefonate. Quello economico, del resto, è l'unico deterrente che impedisce agli spammer di utilizzare la posta tradizionale, e che ha "arginato" - anche se solo parzialmente - il fenomeno del telemarketing.
Il problema è che qualsiasi soluzione proposta, da quelle blande a quelle più radicali, ci costringerà in ogni caso a rinunciare a qualcosa, a perdere parte del "bello" della posta elettronica in favore di un maggiore riservatezza e sicurezza, oltretutto senza la garanzia che lo spam sparirà definitivamente. Ogni proposta diventa un rincorrere gli spammer, non un fronteggiarli apertamente. E' brutto dirlo, ma l'impressione è che gli spammer vincano, anche se perdono.