L’atteso momento è arrivato. E, come sempre,
Lost ci lascia con il fiato sospeso… Fino alla prossima stagione
È come nei videogiochi: passi ore, magari giorni a superare tutti i livelli e poi arrivi al Mostro Finale e lo elimini in un battibaleno. Fine. E ci rimani malissimo: tutta questa fatica per
cosa?
Ecco: la morte di
Jacob a prima vista sembrava così. Lo abbiamo visto sulla spiaggia, nella prima parte de
L’incidente - il finale della quinta stagione di
Lost - mentre osservava quella che poteva ragionevolmente essere la Roccia Nera (quindi molto, molto tempo fa…). Lo abbiamo visto incontrare i nostri
losties,
toccarli per “segnarli” in qualche modo. Lo abbiamo visto scegliere di salvare Locke e lo abbiamo visto complice della morte di Nadia.
Per quel che ne sappiamo, Jacob esiste da sempre. Per quel che ne sapevamo, Jacob era
l’isola. Era. È bastata la rabbia di Ben ad eliminarlo, con un fendente che cercava vendetta per quarant’anni di mutuo servizio sull’isola.
Benjamin Linus, il manovratore, è stato
manovrato. Da chi? Non certo da
John Locke, visto che il corpo dentro la cassa era il suo. E allora da chi? Non sembrano esserci molte alternative:
dall’uomo in nero di cui non conosciamo nemmeno il nome. Quello che abbiamo conosciuto sulla spiaggia insieme a Jacob. Il misterioso uomo in nero che ha “liquidato” Jacob come se niente fosse. Ma a ben guardare, non è stato come eliminare troppo facilmente il Mostro Finale. Perché Jacob
riconosce subito il suo avversario. Lo
sa, che quello non è John Locke.
Sa che il suo rivale ha “trovato il modo”, finalmente, e sa che Ben è stato istruito per ucciderlo. Ma non prova nemmeno a difendersi: azzarda un poco convinto tentativo di offrire a Ben una scelta e poi, al momento di pronunciare le parole che potrebbero salvargli la vita, si limita a tacere. E negli occhi ha quell’espressione… Un misto di rassegnazione e tristezza. L’espressione di chi sta andando incontro al proprio
destino, per quanto spiacevole, e sa che non c’è modo di porvi rimedio. La stessa espressione che ha
Juliet poco prima di precipitare nel vuoto, mentre urla a Sawyer che lo ama. Fortunatamente, in
Lost poco importa chi vive e chi muore: sappiamo che la morte di un personaggio non rappresenta necessariamente la sua uscita di scena. Ottimo, perché in caso contrario non avrei mai potuto perdonare gli autori per aver ucciso Juliet, uno dei miei personaggi preferiti.
Ad ogni modo, questo quinto finale di stagione è stato il finale degli sguardi, dei dubbi, delle
rese dei conti. Jack e Kate. Juliet e Sawyer. Jack e Sawyer. Jacob e il suo misterioso nemico. Jacob e Ben. Ben e Locke. Radzinsky e Chang… La scazzottata fra Jack e Sawyer, covata per cinque lunghi anni (per
noi: molti di più, per loro…) ha confermato che anche per quei ciniconi degli autori di
Lost la ragione che sta dietro a tutto è l’
amore. Per amore Jack decide di
credere, come Locke, e di agire. Per amore, per Kate. Così come Juliet appoggia Jack e la sua missione per amore di Sawyer. Lo ama, e pensa che lui la ami, ma questo non significa che siano
destinati a stare insieme, giusto?
Amore e destino. Tutto torna.
L’amore e il destino sono due punti fermi in questa serie dalla quale ti aspetteresti tutto fuorché… amore e destino, appunto. Ma solo perché questi due argomenti vengono “mascherati” dal soprannaturale, dai viaggi nel tempo, dall’azione e dal mistero, non vuol dire che non siano sempre presenti nella mente di chi ci racconta la storia di
Lost. Amore e destino sono alla base di ogni scelta, di ogni azione, di ogni punto di svolta. Insieme al meccanismo degli
opposti, come per la contrapposizione fra bianco e nero (esplicitata dalla prima scena dell’episodio, con Jacob e il misterioso uomo sulla spiaggia, e dai titoli di coda: nero su bianco, per una volta. Tanto per chiarirci ancora una volta che vale tutto e il contrario di tutto?), fra bene e male, fra scienza e fede.
Lost gioca sugli opposti che si attraggono ma, ahimé,
non possono convivere. Come Kate e Jack, o Kate e Sawyer. E tutto ruota attorno ai contrasti per un semplice motivo: dimostrarci che c’è sempre un
punto di vista alternativo.
Il fatto che migliaia di persone trascorrano ore ad elaborare teorie su
Lost è la prova che tutto può essere interpretato in diversi modi. Con la prossima stagione sapremo la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità. Ma per ora ci limitiamo a macinare ipotesi, perché il bello di
Lost è proprio questo. Non importa se le ipotesi e le sensazioni siano giuste o sbagliate. Alla fine ciò che conta è solo la volontà di condividere emozioni – scaturite, rullo di tamburi, da una “cosina” vista in tv.
Io condivido le mie emozioni con voi che mi leggete, ogni giorno, parlando di
Lost e di tutte le altre serie in onda sulle reti FOX. Vi ringrazio di condividere le vostre, di emozioni, tramite i commenti e vi do appuntamento all’anno prossimo, con la sesta – ed ultima – stagione di
Lost, ancora una volta su FOX. Nel frattempo, anche se avrò bisogno di un po’ di tempo per elaborare a dovere questo finale di stagione, dovrò farmene una ragione. Perché, che mi piaccia o no, ci vorrà del tempo prima di sapere
chi sta arrivando…
CURIOSITÀ
Alla domanda di Ilana “Cosa giace all’ombra della statua”, Richard risponde in latino: “Ille qui nos omnes servabit”, ovvero: colui che ci salverà tutti.
Il libro che Jacob legge sulla panchina vicino a dove Locke sta per precipitare è un’antologia di racconti postumi della scrittrice statunitense
Flannery O’Connor, pubblicata per la prima volta nel 1965 ed intitolata
“Everything That Rises Must Converge”.
Nel flashback che ci racconta il breve incontro fra Jack e Jacob assistiamo al momento in cui Jack “concede cinque secondi alla paura” in sala operatoria, come aveva raccontato a Kate all’inizio della loro avventura. Scopriamo però che l’idea di contare fino a 5 per far passare il terrore era venuta a Christian Shephard.