:bua:
Beh, in un certo senso è òa perfetta img della nostra stagione :chebotta:
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A me Cacarella non piace, e non credo valga i soldi che ci verrebbe a costare. :nono:
Per quanto mi riguarda metterei Amauri e Iaquinta titolari e con i soldi di Treseghe comprerei un attaccante giovane e promettente (posto che al posto di Secco ci fosse qualcuno che di calcio ne capisse...) da mettere in panca assieme a Del Piero per trasformarlo negli anni nella punta titolare. :sisi:
penso che non piaccia a nessuno.........
Articolo di L.Moggi
La Juve esce da Calciopoli Resto solo io a difenderla
Ora basta! Un celebre pensatore di qualche tempo fa sosteneva che niente più della pochezza dell’uomo può rendere l’idea dell’infinito. Concordo pienamente, dopo aver letto dell’estromissione della Juventus dal processo di Napoli, nel quale sono imputato per illeciti mai commessi, mentre sicuramente (non sono il solo a sostenerlo) ho garantito dodici anni di gloria e successi ad una società che ci fu affidata dagli Agnelli, nel nome di milioni di tifosi in Italia e nel mondo, garantendo ricavi e guadagni , senza mai spendere in incauti acquisti. Se la Juve continua ancora a vincere lo si deve ai giocatori lasciati dalla nostra gestione, anche nel settore giovanile (vedi Torneo di Viareggio).
Dopo l’ennesima apparizione processuale della società bianconera, apprendo addirittura che la nuova dirigenza sembrerebbe dichiararsi “vittima” di un mio presunto travalicamento di funzioni, come se fossi stato un dirigente che, invece del bene della squadra e della società, avesse abusato del suo potere per commettere atti, all’oscuro degli altri dirigenti sopra preposti.
L’ora della verità
Oltre che premettere l’assoluta infondatezza di questa ricostruzione, perché mai ho commesso atti contrari alla legge, vorrei far sapere all’attuale nuova dirigenza della Juventus (peraltro non mi sembra che l’avvocato Franzo Grande Stevens sia poi così nuovo dell’ambiente) che ogni mia decisione ed ogni mia iniziativa era operata con il pieno appoggio e in collaborazione con i dirigenti a me superiori in grado , e le mie scelte legittime hanno sempre garantito soltanto vittorie sportive e risparmi economici, mentre in altre realtà “altri” spendevano decine milioni di euro per vedere “noi” continuare a vincere.
Sono forte della mia innocenza e questo mi basta, unitamente all’affetto costante dei numerosi tifosi juventini che incontro quotidianamente e che si rendono perfettamente conto dell’ingiustizia che è stata perpetrata. Man mano che, a piccoli passi, si avvicina il momento della verità (quando cioè anche i più scettici dovranno arrendersi all’evidenza della mia completa innocenza) mi accorgo che registi, esecutori e protagonisti vari di questa vicenda cominciano a mostrare cenni di insofferenza, percepiscono il rischio di doversi confrontare con una realtà che li costringerebbe ad ammettere i loro errori.
È bene infine che si sappia che la tanto citata memoria difensiva della Juventus, che a leggere certa stampa (!) avrebbe visto la propria origine nello studio legale dell’avvocato Grande Stevens , è stata dichiarata inammissibile dal collegio giudicante: un po’ come la loro accusa nei miei confronti.
Il tradimento
La Juventus esce quindi dal processo, bontà degli avvocati costituiti tra cui ovviamente Trofino e Prioreschi, legali del sottoscritto: non c’è stata costituzione di parte civile e quindi, come sempre, sarò io a dover assumere l’onere di difendere non solo l’onestà del mio operato ma anche, indirettamente, la correttezza dei successi sportivi conquistati dalla Juventus.
Da quando è iniziato questo calvario, ho iniziato a raccogliere le prove di quanto fosse infondato ed ingiusto il tentativo, ordito nei miei confronti, di attribuirmi colpe e responsabilità che non ho: la società nella quale avevo creduto e per la quale mi ero impegnato professionalmente come mai prima nella mia vita, aveva deciso di voltarmi le spalle, tradendo il vincolo di fiducia che l’Avvocato prima ed il Dottore poi, mi avevano sempre costantemente rinnovato, con continui pubblici e privati attestati di stima, indelebili nella mia memoria.
In ogni processo infatti, statale o sportivo che fosse, la Juventus ha sempre rinunciato a combattere, senza nemmeno provare a rimuovere le tanto ingiuste e pretestuose accuse mosse, decidendo di accettare e patteggiare supinamente. Morale: retrocessione e revoca degli scudetti vinti con giocatori che, qualche mese dopo erano su sponde opposte a disputare, quali migliori del mondo, la finale di Berlino per il titolo mondiale!
(libero.it)
Vai Lucianone :rullezza:
Anche qui mi criticano quagliarella...super talento...26 anni...mah...
Tornando a quanto scrissi diverse pagine fa, è interessare notare come su Ebay vendano tutte le maglie di Buffon (sia nazionale che non) a partire dalla prima stagione al Parma, tranne che quella della Juventus della stagione 2002/03. :sisi:
Perché dire che Quagliarella non mi piace é anticostituzionale? :asd:
Quagliarella é un discreto giocatore che ha fatto l'annata della vita per cercare di vendersi da campione per poi ritornare ad essere un semplice discreto giocatore, esattamente come Boriello. Non é scarso e non é una pippa, ma non é quel giocatore che in prospettiva può prendere il posto di Treseghe.
Quagliarella è fortissimo e talentuosissimo...tralaltro è completo, perchè sa giocare da prima e seconda punta oltre che è un ottimo interprete del 4-3-3...cosa si vuole di più?...ripeto ha 26 anni poi.
secondo il mio parere quaglia non è così fortissimissimo come alcuni dicono.. poi se viene come riserva benvenga ;)
se avessi letto i miei articoli l'avresti saputo :no:
ne approffitto per ripostare quell'articolo :asd:
Perché Travaglio ce l'ha con Moggi
A tutti i tifosi juventini sarà capitato almeno una volta di leggere o di assistere in TV alle stilettate che Marco Travaglio ama riservare a Moggi e, più in generale, alla Juve umbertiana. Per i fans del giornalista, il solo fatto di essere uno dei suoi bersagli preferiti costituirebbe la prova della “colpevolezza” dell’ex DG.
Ma per tutti gli altri tifosi bianconeri, e cioè la maggior parte, resta probabilmente la curiosità di capire il perché di tanto accanimento.
L'ipotesi maliziosa è che Lucianone gli faccia vendere più libri. In realtà, probabilmente c’è sotto anche qualcosa di più personale. Una plausibile spiegazione la possiamo ricavare dal pamphlet uscito sotto pseudonimo nel 1998 per le edizioni Kaos, “Lucky Luciano”, che grazie a Farsopoli, dopo anni di muffa nei magazzini, ebbe l’occasione di venire aggiornato e ristampato. In particolare, mi riferisco al capitolo: “Totò, Peppino e Lucianone”, in cui l’anonimo (non molto anonimo) autore cerca di dimostrare il seguente assunto: “Qualunque giornalista rifiuti di baciare le sacre pantofole della Juve moggiana viene bistrattato e intimidito, talvolta impossibilitato a lavorare”.
Ci si aspetterebbe che a supporto di uno scenario così inquietante venissero portati casi di maltrattamento a detrattori di Lippi, di intimidazione a militanti anti-juventini, di vessazione mafiosa a giornalisti sportivi.
E invece la vicenda che ne sta alla base è solo una, e riguarda un personaggio che nel 2008 nessuno si immaginerebbe sia mai stato interessato alla cronaca sportiva. Immaginate un po’ chi: “Il primo cronista che entra nel mirino è Marco Travaglio, il quale ha osato pubblicare alcuni commenti critici sulla dirigenza juventina.”
E in che modo il boss Luciano gli avrebbe fatto pagare quei “commenti critici”? Teste di cavallo mozzate nel talamo? Bossoli di pallottola nella posta? Cacche sullo zerbino? No, “Il 13 settembre 1996 la Juventus decide che Travaglio, sebbene già autorizzato dall’Ussi, non debba più metter piede allo stadio.”
Non avendo letto i suoi pezzi dell’epoca, non ci è dato saperlo, ma se il tono è lo stesso usato dall’anonimo (non molto anonimo) autore del pamphlet in questione, e cioè nemmeno troppo sottilmente diffamatorio, è difficile biasimare chi ai tempi ebbe l’unico torto di perdere la pazienza.
Comunque, una volta che avesse pagato il biglietto, credo nessuno avrebbe avuto il potere di escludere Travaglio dagli spalti del Delle Alpi. Ma forse tale prospettiva non gli andò giù e, per usare un’espressione dell’anonimo (non molto anonimo) autore, l’escluso “mise nel mirino” la Juventus F. C. sporgendo querela nei confronti dell’AD juventino Antonio Giraudo. Il motivo? Sempre per usare un’espressione cara all’anonimo (non molto anonimo) autore, in breve, “per aver osato esprimere alcuni commenti critici su Travaglio” durante una cena con altri giornalisti. La querela, evidentemente pretestuosa, oltre che paradossale, venne archiviata. Travaglio ricorse e perse di nuovo, ma l’anonimo (non molto anonimo) autore riciclò i verbali della procura di Torino per imbastire il capitolo in questione.
Ora, a parte che non si capisce che c’entri “Lucky Luciano” con le chiacchiere conviviali di Giraudo. La cosa più triste è che a distanza di dieci anni il risultato è che la gente sia costretta ad assistere a spettacoli come quello del video seguente:
http://www.youtube.com/watch?v=y8a4gM6hiDo
Come potete vedere, mentre tenta di piazzare a una platea bolognese uno dei suoi libelli, Travaglio si dedica alla denigratoria caricatura del Direttore della Juventus umbertiana, dipinto come una sorta di tiranno totalitario novecentesco. La tecnica che usa è molto simile a quella dell’anonimo (non molto anonimo) autore di “Lucky Luciano”: senza alcun contraddittorio, ricorre a iperboli fumettistiche e a ridicoli capovolgimenti logici. Oppure, racconta semplicemente falsità.
Ecco alcune chicche:
Iperbole fumettistica 1
(22’’) "Quando Luciano Moggi comandava nel mondo del calcio".
Certo, i vari Berlusconi Silvio, Montezemolo Luca, Tronchetti Provera Marco, Moratti Massimo, Geronzi Cesare, Della Valle Diego erano letteralmente ai suoi piedi.
Capovolgimento logico 1
(55’’) "Moggi aveva capito il pericolo, per un potere illegale, della stampa libera".
Non solo l’illegalità delle azioni moggiane in questione non è stata ad oggi sancita da alcun tribunale ordinario, ma soprattutto, l’unico pericolo che in quel senso Moggi aveva dimostrato di temere era proprio quello di una stampa non realmente indipendente, nel senso di controllata da proprietari o “portavoce” di squadre concorrenti. Per anni la Juve è stata massacrata dalla stampa e da certa tivù, finché la farsa del 2006, tutta mediatica, l’ha spedita addirittura in B. E intanto, ad oggi, ribadisco, nessuno dei suoi dirigenti è stato condannato in via definitiva per alcun reato.
Iperbole fumettistica 2:
(1’03’) "Curava i giornalisti sportivi con un'attenzione spasmodica, si contavano 400 telefonate al giorno. Come si faccia mangiando, dormendo e andando al bagno, non si sa. La gran parte di queste telefonate erano rivolte a giornalisti."
Non solo quel numero non ha senso, se non come immagine iperbolica, ma anche il fatto che gran parte delle sue conversazioni telefoniche riguardasse giornalisti non ha alcun fondamento statistico.
Capovolgimento logico 2:
(01’48’’) "C’è una telefonata in cui Damascelli del Giornale di Berlusconi avverte Moggi che il collega Franco Ordine sta scrivendo un pezzo contro di lui data la rottura dei rapporti tra la Juventus ed il Milan".
Con un bizzarro capovolgimento logico, Travaglio dipinge come non libero non il giornalista del quotidiano di Berlusconi che, appena rotti i rapporti dei rossoneri con la Juve, si precipita a scrivere un articolo contro i bianconeri; no, il servo sarebbe Damascelli, che pur lavorando per Berlusconi si schiera dalla parte della Juve. Notare anche il tono maccartista con cui Travaglio dà dello “juventino” a Damascelli.
Falsità, stando ai fatti emersi:
(03’13’’) "Damascelli segue Bologna Fiorentina, 5-12-2004. De Santis della scuderia Moggi ammonisce tutti i giocatori diffidati del Bologna. La settimana dopo il Bologna giocherà con la difesa decimata dalla scelta scientifica di un arbitro."
Non solo “De Santis della scuderia Moggi” è un assioma mai dimostrato, tanto meno dalle intercettazioni (non esistono agli atti telefonate fra i due); non solo l’arbitro ha dichiarato che i suoi interlocutori telefonici ai tempi erano semmai ben altri; ma soprattutto la storia delle ammonizioni mirate è una bufala sia dal punto di vista statistico, sia secondo un’analisi corretta delle conversazioni telefoniche, sia, addirittura, per la ridicola “giustizia” sportiva del 2006. In particolare, l’intercettazione che Travaglio cita è addirittura scagionante, con Moggi che cade palesemente dalle nuvole e si dimostra disinteressato alla questione squalifiche. Senza contare che nemmeno Damascelli sembra sapere bene di cosa parla, poiché annuncia la squalifica di 3 giocatori, che poi, al riscontro dei fatti, sarebbero invece stati solo due (Gamberini non fu squalificato). E’ davvero impressionante la leggerezza con cui Travaglio usa espressioni come “campionato truccato” e “provvedimenti scientifici degli arbitri”, dando per scontati fatti mai provati e spacciando per realtà inconfutabili interpretazioni semplicemente aberranti.
Per chiudere in bellezza, si può sottolineare la comicità del passaggio (7’20’’) in cui Travaglio, dopo aver straparlato di “stampa libera”, messo di fronte al fatto che l’unico giornale che secondo il moderatore della serata in quel momento farebbe riscontrare un rilevante aumento di vendite è proprio quel Libero su cui scrive il “mostro” Moggi, non trova di meglio che attaccare i lettori della testata, e cioè gente colpevole solo di aver scelto LIBERAMENTE cosa leggere.
Una vittima di Moggi. Oggi
I lettori di lunga durata sanno come, sin dall'inizio della vicenda Calciopoli, il caso di Gianluca Paparesta ci abbia particolarmente interessato. Una lettura attenta degli atti, infatti, rivelava immediatamente la distanza tra il fischietto pugliese e la dirigenza bianconera: in nessun modo Paparesta poteva essere accusato di far parte dell'associazione a delinquere immaginata dai pubblici ministeri napoletani. La sua posizione, infatti, nonostante un'esposizione mediatica forte, sarebbe stata archiviata, un paio di anni dopo (sic), dalla Procura di Napoli.
Ora Paparesta è tornato, ed è una vittima. Dei poteri forti, è ovvio. Ha trovato qualche pulpito da cui parlare, prima da Piroso a La7, poi dalla Ventura su Rai2, e accusare chi lo ha fatto fuori e oggi gli impedisce di ritornare ad arbitrare, indirizzando la propria denuncia verso una telefonata, intercettata a Napoli, tra Antonello Valentini, attuale capo ufficio stampa della FIGC, e Luciano Moggi, in cui il primo paventava una sottomissione della giustizia sportiva ai dettami federali. Della sua questione se n'è occupato Oliviero Beha nel suo spazio al Tg3. Infine, roba di questi giorni, il giornalista de L'Espresso Gilioli.
La vicenda è nota. Ferma restando l'indignazione per una possibile subalternità della giustizia sportiva ai gruppi di potere in federazione, subalternità a noi apparsa particolarmente chiara non tanto nel periodo carrariano quanto durante il commissariamento di Guido Rossi, non ci si può indignare così a casaccio.
Paparesta dovrebbe infatti spiegare in che modo la giustizia sportiva ne stia bloccando il reintegro, dato che non sono state le decisioni giudiziarie a decretarne l'accantonamento. Paparesta tornò infatti ad arbitrare dopo Calciopoli, da cui uscì con una breve sospensione per omessa denuncia, ma fu nuovamente fermato dalla giustizia sportiva che lo sospese, non per una questione legata alla figura di Moggi, ma per il dossier Assobiodiesel, da lui fatto recapitare sulla scrivania di Gianni Letta, tramite Milan.
Successivamente, l'arbitro barese fu di nuovo sospeso dall'AIA ("non designato" secondo la definizione di Gussoni), in attesa di chiarire la questione delle cd schede svizzere, per cui patteggiò infine due mesi di inibizione. Innocente davanti alla giustizia ordinaria, Paparesta si aspettava, legittimamente, di essere reintegrato nel gruppo di fischietti di Collina, al termine dell'ulteriore sospensione. Non interpretabile in senso complottistico, visto il patteggiamento.
L'AIA però, mentre Paparesta stava a riposo, introdusse una modifica di regolamento per cui gli arbitri non in attività nell'ultimo anno, sarebbero stati dismessi dal proprio ruolo. Una regola apparsa all'arbitro pugliese, e per la verità anche a noi, appositamente contra personam. L'AIA, i vertici arbitrali, e non la giustizia sportiva, hanno sancito perciò l'allontanamento di Paparesta.
Certo Paparesta ha appellato la decisione. La camera arbitrale del CONI ha respinto il ricorso. Il TAR lo ha accolto, chiedendo una seconda pronuncia da parte dell'AIA. La FIGC ricorre al Consiglio di Stato, contro questa decisione. E, in termini legali, non ha tutti i torti, visto l'andamento della questione.
Secondo indiscrezioni giornalistiche, Paparesta si sentiva ancor più amareggiato, in quanto aveva ottenuto rassicurazioni da Gussoni e Collina, in merito al suo reintegro. Indiscrezioni che, durante una conferenza stampa, misero in grave imbarazzo i due, che optarono per il silenzio.
Diciamocelo: è uno strano perseguitato dalla giustizia sportiva, colui che patteggia. Paparesta lo sa, e farebbe meglio a guardare altrove.
Come farebbe meglio a guardare altrove Alessandro Gilioli, moralista a tutto campo, de L'Espresso. Con il prezioso ausilio del tasto ricerca di Acrobate Reader, il giornalista ha infatti digitato uno dopo l'altro i nomi degli arbitri in attività all'interno dei documenti della Procura di Napoli. Nel suo articolo fa le pulci a Dondarini (1) e Trefoloni, obiettivi tutto sommato facili, sostituendosi ai Pm nell'alludere a chissà quali sconce pratiche, e nell'inanellare prove a loro carico, di debole sostanza. Per fortuna, non glissa, come uso comune, su Rosetti. Ma nel dipingere il fosco quadro di mostri e vittime, si dimentica di spulciare proprio la vittima Paparesta. Non dimenticandosi però di Moggi. Che, questa l'allusione conclusiva dell'articolo, tramite i suoi amici presenti ad ogni livello nel mondo del calcio, starebbe dietro al niet sistemico verso Paparesta. Il quale, per altro, si è più volte martirizzato, sostenendo di pagare le sue denunce al sistema calcio, effettuate in sede giudiziaria.
Va bene così. Paparesta lo spulcio io.
In una telefonata tra Leonardo Meani, addetto agli arbitri del Milan, e l'attuale designatore Pierluigi Collina, il primo, con una buona dose di partigianeria e di luoghi comuni, attribuisce la designazione di De Santis per l'imminente partita della Juventus, ai buoni uffici della dirigenza juventina con i designatori. Però il Milan mica si fa prendere in giro. Dice Meani che se hanno designato un filo-juventino per la Juve, per non fare incazzare il Milan, anche a loro ne hanno mandato uno giusto. Collina si spatacca dalle risate e ripete divertito: "Mi è piaciuto il paragone!". L'arbitro, che funge da contraltare, è Paparesta.
In una telefonata tra l'ex dirigente viola Mencucci e l'ex vicepresidente della FIGC Innocenzo Mazzini, alla vigilia del match tra viola e rossoneri, il secondo confida al direttore sportivo che "quell'altri vogliono Paparesta".
Infine il famoso episodio di Reggio Calabria, deve essere visto per quello che è. La stampa ha voluto dipingere la vendetta di Moggi verso un reietto che non eseguiva gli ordini. Per questo Moggi è tanto arrabbiato. Mentre il ds toscano seguita a ripetere il telefono che "si è vista la volontà" di danneggiare la Juve e che "quello che c'è glielo deve dare". Moggi, insomma, ha la convinzione di essere stato scientemente danneggiato, non di avere assistito a un arbitraggio che doveva essere amico e invece non lo è stato, per correttezza dell'arbitro. Moggi non imputa come peccato a Paparesta l'essere stato corretto, e quindi imparziale anzichè amico, ma proprio l'essere stato scorretto. Niente di più chiaro.
E allora? E allora smettiamola con questo manicheismo.
Ladri e onesti, mostri e vittime.
Paparesta non è una verginella. Legittimamente, e noi lo sosteniamo, pensa di non avere fatto nulla di peggio di chi ancora oggi fischietta e occupa poltrone. Per questo vuole essere reintegrato. Ma non faccia la vittima.
Chi non lo vuole?
Il delirio di Gilioli sembra ingiustificato.
Io mi permetto di segnalare due opzioni: il designatore, già in costante imbarazzo per quella telefonata "milanista", non può permettersi, di fronte, non tanto all'opinione pubblica che sui fatti da me riportati ha sempre taciuto, ma agli elettori della Lega Calcio, di prendere posizione e imporsi per reintegrare un arbitro toccato da allusioni "milaniste". Seconda opzione, più ignorante, una squadra (o più squadre) di potere non vuole un arbitro considerato vicino a un altro potere, e sfrutta la sua influenza presso l'AIA. Perchè tutto parte dall'AIA. Altro che Valentini.
NOTE
(1) Scrive Gilioli: "Paolo Dondarini, che è stato rinviato a giudizio nel processo di Napoli con l’accusa di frode sportiva per aver avvantaggiato la Juventus (in una partita contro la Sampdoria)". Circostanza assolutamente falsa. Dondarini non è stato rinviato a giudizio per Sampdoria-Juventus, caso archiviato dalla Procura di Torino con la celeberrima formula a spiegare la motivazione: "nemmeno nell'ottica della peggiore cultura del sospetto."
CAMPI MINATI - Lo scaricabandiera
"Luciano Moggi ha agito travalicando le proprie mansioni, che non prevedevano contatti con gli arbitri e che non gli attribuivano i poteri di rappresentanza". Con questo principio la Juventus, in 34 pagine, ha riaffermato la propria estraneità alle attività illecite portate avanti dell'ex direttore generale bianconero davanti al tribunale di Napoli.
In attesa di avere ulteriori informazioni in merito, oggi voglio raccontare un'altra storia.
Un'altra storia, diversa da quella scritta dai giornalisti, dai giornalai e dalle veline. Un'altra storia che è la mia storia, una parabola, per la quale ho scelto di usare la prima persona, assumendomi ogni responsabilità di quanto state per leggere. Questa è la storia di due capitani: Giacinto Facchetti e Xavier Zanetti.
Da figlio di tifoso interista, ho assistito settimana scorsa alla celebrazione dell'attuale capitano dell'Inter, che con l'ultima partita disputata ha superato Giacinto Facchetti come numero di presenze in maglia nerazzurra.
"Javier Zanetti non è 'una' bandiera, ma 'la' bandiera dell'Inter. Sono onoratissimo di essere qui, in una giornata in cui ricordiamo il grande Giacinto e abbiamo con noi non una bandiera, ma la nostra bandiera, anche la mia personale, perché lui è stato il primo giocatore ad arrivare all'Inter quando sono diventato presidente". Questa la frase di Massimo Moratti, seduto accanto a Zanetti e al figlio di Facchetti, professione attore sconosciuto.
Da tifoso Juventino, ho assistito all'espressione sul volto di mio padre e mi è bastato per capire. Paragonare Facchetti a Zanetti è, nell'immaginario mio e di mio padre, come paragonare Scirea a Birindelli.
Nessuno dice che il secondo sia scarso, solo che se la storia si può riscrivere, i piedi e i ricordi no, non si possono cambiare.
Xavier Zanetti nasceva 37 anni fa, nell'anno in cui Facchetti e l'Inter disputavano la loro ultima finale di Coppa dei Campioni. Con la maglia dell'Argentina ha disputato 5 finali: Olimpiadi di Atlanta (secondo), Copa America 2004 (secondo), 2007 (secondo), Confederations Cup 1995 (secondo), 2005 (secondo). Con la maglia dell'Inter il nulla o quasi, prima dell'arrivo di Guido Rossi.
Riassumere i risultati ottenuti dal Facchetti calciatore impiegherebbe troppe righe.
Nell'entusiasmo, per altro giustificabile dalla necessità di riuscire, almeno una volta, a superare il passato, quarant'anni di carriera in nerazzurro sono stati cancellati, per onorare il presente glorioso di chi vede gli anni pre calciopoli come un'incubo, non tanto per lo spauracchio Moggi, quanto per lo scomodo paragone tra i risultati ottenuti rispetto a quelli del padre.
"Qualche mese fa ti chiedevo un po’ scherzando un po’ sul serio come mai non riuscivamo ad avere un arbitro amico, tanto da sentirci almeno una volta protetti, e tu, con uno sguardo fra il dolce e il severo, mi rispondesti che questa cosa non potevo chiedertela, non ne eri capace. Fantastico. Non ne era capace la tua grande dignità, non ne era capace la tua naturale onestà, la sportività intatta dal primo giorno che entrasti nell’Inter".
Così lo salutava Massimo Moratti nel giorno del suo funerale, dimenticandosi di tante cose, forse troppe. Dicendo anche tante cose, forse troppe.
Ognuno può legarsi a quello che crede, avere il suo ricordo personale. Ma quando si tratta di riscrivere la storia, si cerchi almeno un po' di rispetto.
Le bandiere si vedono quando le cose vanno male, non quando si viene fuori con frasi ad effetto per aizzare i tifosi. Le bandiere ci sono sempre e sempre mettono la faccia, anche nei momenti peggiori, e con calciopoli l'abbiamo visto.
Le bandiere non si scaricano con la frase riportata ad inizio articolo, tanto per dire.
Ho avuto la fortuna di conoscere gente come Scirea, Furino, Bettega, Del Piero, Boniperti: non mi serve ispirarmi ai valori di Facchetti. Spero che un giorno, chi a Torino invece fa ancora confusione, si ricordi che certe cose non si possono cambiare, che altre si devono cambiare, che la propria storia e i propri ricordi vanno difesi, così come i giocatori e i dirigenti che hanno fatto grande la Juventus. Altrimenti si fa la fine di quel Bergomi scaricato da Massimo Moratti, che guida la classifica delle presenze in maglia nerazzurra, ma che nessuno ha mai ricordato. Questa è roba da interisti, da bandiere da ammainare e sventolare a seconda dell'opportunità, una volta ogni 15 anni, magari con l'aiuto di Guido Rossi. Noi siamo la Juventus, e le nostre bandiere dobbiamo sempre tenerle alte. Altrimenti un giorno qualcuno paragonerà Cobolli Gigli a Boniperti, o Alessio Secco a Luciano Moggi, Poulsen a Nedved o Floccari a Trezeguet. Altrimenti ci si dimentica di rivendicare i propri scudetti e si cerca di scaricare la colpa su chi non c'è, ma in fondo è ancora nei cuori di chi ama la Juventus.
Il tempo passa, i ricordi no, la storia qualcuno può riuscire a riscriverla, ma gli uomini, quelli veri, vanno sempre rispettati.