Citazione:
Ducati, ormai è evidente a tutti, vive una situazione sportiva schizofrenica, almeno per quanto riguarda la MotoGP. A fronte di un pilota che lotta (quasi) sempre per la vittoria, quello Stoner che sulla Desmosedici ha dato origine a uno di quelli che gli anglofoni definiscono “a marriage made in Heaven”, che noi prosaicamente traduciamo con un “Dio li fa e poi li accoppia”, tutti gli altri, con qualche sporadica e notevole eccezione, lottano per non chiudere la classifica.
Non è sempre stato così. Se escludiamo il 2004, anno in cui i ragazzi di Borgo Panigale hanno commesso qualche grossolano errore nella definizione della Desmosedici, la MotoGP Ducati, in versione 990, era una moto sicuramente strana e difficile da guidare, ma indubbiamente veloce e ben interpretata da Capirossi, Bayliss, Checa, e quando la sfiga non lo ha perseguitato, Gibernau. Da quando è 800, la Desmosedici ha proiettato nell’olimpo Stoner, ma per il resto si è fatta fama di moto trita piloti.
Ne sono usciti con ossa e/o reputazione rotta Capirossi (accusato di aver perso concentrazione e determinazione con la nascita del figlio) e Melandri (oggi riabilitato dopo gli exploit sulla Hayate). Hayden, Kallio e Canepa, se non altro, possono godere del beneficio del dubbio, sulla scorta dell’esperienza passata. A Borgo Panigale, come ha molto onestamente espresso l’ingegner Preziosi nelle interviste dopogara del Mugello, stanno rompendosi la testa per cercare di rendere più accessibile la Desmosedici. E non credo sia un caso che, proprio in questo periodo, sia in atto un balletto di soluzioni ciclistiche (al Mugello è stato ritirato fuori il telaio in alluminio, dopo che con quello in carbonio Stoner aveva vinto al debutto, in Qatar).
Solo che il sottoscritto, senza avere la presunzione di insegnare il mestiere ai ragazzi di Ducati Corse (a cui piacerà anche vedersi considerati come Davide contro il Golia giapponese, ma fanno parte di uno dei reparti corse più avanzati ed esperti del mondo) crede che il problema non stia lì. Seguite il ragionamento.
Come dicevamo prima, la Desmosedici GP6 era una moto veloce nelle mani di tutti. Solo nel 2007 è emerso il problema guidabilità. Problema all’inizio mascherato dai dubbi sollevati in merito al pilota. Nel 2008, nonostante il collaudatore Guareschi si sgolasse a forza di ripetere che la moto era ben lungi dall’essere perfetta, nessuno gli ha dato troppo credito, pensando che Stoner fosse il campione (che è) e che Melandri fosse un brocco casualmente arrivato al successo in GP.
E’ però abbastanza facile, con il senno di poi, identificare nel passaggio al nuovo regolamento il punto di svolta. Cos’è successo? Sulla carta poco o niente, nel senso che la nuova Desmosedici è rimasta fedele, anzi fedelissima, alla filosofia che Ducati ha sempre seguito in GP. Che, semplificando a livelli da cavernicolo, può riassumersi nel tirare fuori più cavalli possibile dal motore, e poi intervenire con l’elettronica per fare si che il motore in questione riuscisse a tagliare il traguardo con la benzina a disposizione. Ducati ha sperimentato soluzioni abbastanza estreme, poi evolute negli anni successivi, fin dal 2005: spegnere il motore a centro curva per limitare il consumo, tanto per dirne una. Sistema che Capirossi e Checa provarono, detestarono abbastanza apertamente, e forse causò pure qualche volo, visto che l’elettronica, allora, non era evoluta come adesso. Il problema è che il nuovo regolamento, con le sue fortissime restrizioni sul consumo, ha imposto una radicalizzazione dei metodi di cui sopra.
Le case giapponesi, Honda e Yamaha in testa, hanno seguito la strada opposta. Partire da motori guidabili – quindi, al contrario, con carburazioni “inutilmente” grasse a centro curva, dove il pilota riapre il gas – per poi andare alla ricerca di maggior potenza. Ottenendo, quindi, quella “connessione perfetta” fra acceleratore e ruota posteriore tanto ambita dai piloti. Quella connessione perfetta che facciamo molta fatica ad immaginarci sulla Desmosedici, che se (forse) non spegne più il motore a centro curva, sicuramente lo fa viaggiare magro al limite della detonazione, risparmiando in questo modo gocce di carburante che può poi spendere nel rettilineo successivo, ma che molto difficilmente offre grande comunicativa al pilota. Se avete presente l'effetto on-off delle prime sportive ad iniezione di qualche anno fa, elevatelo al quadrato e probabilmente non sarete molto lontani dalla realtà.
Quale filosofia si è rivelata vincente? Nel 2007, Ducati ha lasciato tutti – evidentemente – al palo, ma poi Honda e soprattutto Yamaha hanno recuperato lo svantaggio di cavalleria. E veniamo ad oggi, momento in cui i piloti delle giapponesi si attestano tutti su valori più o meno costanti, e alti, mentre in Ducati un pilota vince, e gli altri arrancano a fine classifica.
Quanto conti Stoner in tutto questo è evidente: l’australiano riesce a interpretare la gestione elettronica Ducati in maniera inavvicinabile dagli altri, giocando sull’intervento del traction control con una finezza assolutamente sconosciuta ai compagni di marca. Rendere la Desmosedici accessibile anche agli altri significa reinterpretarla in maniera “convenzionale”. Solo Preziosi e i suoi ragazzi possono sapere cosa comporterebbe una cosa del genere, ma è facile immaginarsi che si vada vicini ad una riprogettazione filosofica, quindi praticamente completa, del motore. Con il rischio di perdere competitività, perché, come diceva il buon Kenny Roberts, facendo le cose come Honda e Yamaha si perde, visto che loro quelle le sanno fare meglio.
Non vorrei mai essere nei panni di chi deve prendere le decisioni in Ducati Corse. A meno che la decisione in questione non fosse “cosa fare per tenere Stoner”. In quel caso, la risposta sarebbe facilissima. Tutto.
Concordate?