Citazione:
A sud dell'Equatore, tra la Nuova Guinea e le isole Salomone, le Trobriand sono un paradiso sconosciuto di palme, sabbie bianche e limpidi fondali. Dove regna una sfrenata libertà sessuale. Non per gli stranieri
di Robert Douglas
Foto di Peter Essick
Foto ag.Aurora/G.Neri
Maupiti è nato a Kitava, nel cuore del Pacifico che è già mari del Sud, l'isola delle Trobriand con gli ancoraggi considerati più sicuri e con i marinai più esperti: la leggenda, ma anche la pratica di tutti i giorni, racconta che i bambini che nascono qui riescono a governare una barca prima ancora di camminare. Un gran bel posto, tra palme e sabbia bianca, fondali limpidi e sgargianti di colori, un rifugio dove nascondersi per scappare definitivamente dal logorio della vita moderna. È qui che negli anni Venti decise di ritirarsi un avventuriero australiano chiamato Ring Cam, che aprì una piantagione e visse sull'isola come un ras incontrastato, circondato da uno sterminato harem di fanciulle locali, come concedeva, e in parte concede ancora, quest'isola che fa parte di un arcipelago con straordinarie concezioni in materia di libertà sessuale. Una sessantina di anni più tardi, Maupiti ha deciso di affrontare la vita in modo diverso: ha abbandonato il suo villaggio, deciso a rompere con la tradizione, e se ne è andato a studiare a Port Moresby, la capitale di Papua Nuova Guinea. Anni di impegno, una laurea in economia e poi è iniziata la faticosa trafila per cercare un lavoro. Ed è stato a questo punto che un'altra conversione ha colpito Maupiti. "Port Moresby non è esattamente una bella città", racconta, "e a un tratto mi sono ritrovato con un interrogativo che mi ronzava in testa e al quale non riuscivo a dare una risposta sensata. Vedevo intorno a me, e li vedevo pure in televisione, tanti giovani che si affannavano a lavorare per guadagnare più denaro possibile. Ma la verità era che con i soldi loro cercavano di avere a pagamento quello che io avevo a casa mia gratis: sole, mare, tranquillità. Ho lasciato la casa, smesso di cercare lavoro e sono tornato alle mie isole". Dove adesso vive in pace. Con le sue nozioni di economia collabora all'organizzazione di una piccola azienda che a Muwa essicca i cocomeri di mare, una specie di cugini delle stelle marine. Hanno forma sgraziata, ma sono molto apprezzati dalla gastronomia cinese. Vengono prelevati dall'acqua da abili nuotatori che possono catturarne anche seicento al giorno, immergendosi dalle sette di mattina fino alle cinque di sera, poi vengono bolliti e lasciati essiccare al sole. Sul mercato locale costano cinque dollari al chilo, prezzo che si moltiplica per infinite volte sulle tavole di Hong Kong e Singapore, dove ogni cocomero può costare anche 50 dollari. Maupiti consiglia, suggerisce, razionalizza. Ma non si lascia travolgere dalle ansie di successo. "Perché dovrei ammazzarmi di lavoro? Per comprare una fuoriserie? Una bella macchina è di scarsa utilità da queste parti. E con i soldi cosa potrei fare? Pagarmi una vacanza in un'isola tropicale del tutto simile a quella in cui vivo?". Meraviglie della scienza e della tecnica e lusinghe della società dei consumi non servono molto in queste isole dove fin da giovani, e soprattutto da adolescenti, si scopre una magica atmosfera. Bukumatula è la parola chiave che indica la casa frequentata soltanto da coppie di adolescenti, a partire dai 14 o 15 anni, che non vanno troppo per il sottile e non stanno a guardare se il partner con cui avevano cominciato la serata è lo stesso con cui la finiscono. Tanta sfrenata sessualità fa impennare la percentuale delle nascite che però, secondo la gente delle Trobriand, avvengono non per merito dell'uomo, ma grazie allo spirito dell'isola che scende sulla testa della donna e dà vita alla nuova creatura. Al padre, almeno quello che in Occidente viene chiamato così, non viene riconosciuto alcun valore, ed è completamente escluso anche dall'educazione. È una società rigidamente matriarcale in cui il figlio appartiene alla donna e la cura del bambino spetta ai parenti della madre. Abitudini descritte dall'antropologo Bronsislaw Malinovsky, che subito dopo la Prima guerra mondiale rimase a lungo tra questi palmeti a studiare usi e costumi dell'intimità. C'è chi lo ricorda ancora e non con troppa simpatia: "Nessuno pronunciava il suo nome", dice Jerome, uno dei più anziani, "e tutti lo chiamavano Tolibogwa, "l'uomo che racconta le storie". Non piaceva il fatto che facesse così tante domande, ma era gentile e veniva tollerato. Non era curioso solo delle abitudini sessuali: cercava anche di capire come mai i nostri capi avessero straordinari poteri, come riuscissero a chiamare la pioggia e a far spuntare il sole tra le nuvole, oppure a placare il vento". "Questo popolo", racconta padre Pietro, uno dei missionari che alle Trobriand hanno speso anni ed energie, "è molto attaccato alle tradizioni degli antichi e degli antenati: proprio da questo discende il timore reverenziale che hanno per i capi, ritenuti dotati di poteri magici. I bigman, così chiamano i capi, incutono paura e vengono sempre ascoltati, per paura delle punizioni e perfino della morte: si può dire che sono loro a fare la parte di Dio". L'onnipotenza di comandare su nuvole, venti, pioggia e sole autorizza i grandi capi a scegliere più di una moglie e perfino di poter approfittare, qua e là, delle ragazze giovani e non ancora sposate. Libertini e senza problemi, perché non devono accollarsi la responsabilità dei figli, i signori delle isole vengono da lontano. Secondo la leggenda, che come in tutta la Nuova Guinea è molto suggestiva, il popolo delle Trobriand è lo spirito delle isole: altri racconti fanno discendere alcune tribù dagli spiriti delle caverne, dal suono dei flauti, dallo spirito del coccodrillo e della foresta. Loro vengono dal mare che si è fatto terra ed è dal mare che realmente arrivarono, 40 mila anni fa. Arcipelago di sorprese, questo delle sconosciute Trobriand. Ma anche di frustrazioni. Perché chi dovesse decidere di far rotta quaggiù, tra la Nuova Guinea e le Salomone, poco più a sud dell'Equatore, spinto soltanto da una curiosità erotica, finirebbe per scontrarsi con una profonda delusione. Perché il liberismo sessuale non riguarda affatto lo straniero, uomo o donna che sia: gli affari nella bumkumatula, ma anche nei dintorni, sono riservati soltanto ai residenti con origini trobriandesi assolutamente doc. E poi perché la gente di Kitava e Kiriwina e di tutte le altre isole dell'arcipelago non è esattamente socievole: perfino un po' burberi, non troppo inclini ai rapporti sociali, guardano il turista con un po' di fastidio, come un intruso che va a portare scompiglio tra le loro meraviglie. È il risultato di qualche secolo di isolamento, che ha protetto questo arcipelago e la sua madre terra, la grande isola di Papua Nuova Guinea, dove "i bianchi, chiamati dim dim, sono cominciati ad arrivare solo verso la fine del XVIII secolo". Le Trobriand sono lungo le rotte degli antichi traffici e sono state le prime ad essere raggiunte dagli europei. Prendono il nome da Denis de Trobriand, uno degli ufficiali di D'Entrecasteaux, il navigatore francese che si affacciò su queste coste nel 1783 e scoprì per primo la coraggiosa stravaganza del Kula Ring. Accadeva, e sebbene più raramente accade ancora, tra luglio e agosto, quando finisce il raccolto dello yam, un tubero simile alla patata dolce, alla base dell'alimentazione locale. Oggi l'itinerario è più corto, spesso solo un tragitto breve tra un'isola e un'altra, ma allora gli indigeni partivano per una specie di crociera tra le isole vicine, e davano vita a una sorta di mostra mercato galleggiante che serviva per incrementare i traffici, ma anche per rinsaldare rapporti antichi o costruirne di nuovi con comunità e tribù. Alla fine del '700 era un modo per conoscere nuove usanze, scambiare conoscenze, stringere alleanze e per mercanteggiare nel più antico dei modi, il baratto. Fino a quando lo scambio è stato sostituito con l'uso di simboliche monete, che erano le conchiglie infilate in una collana, se si viaggiava in senso orario, o in un bracciale, se invece la navigazione avveniva in senso antiorario. Ma la conchiglia, in qualche modo, è ancora usata, perché la Kina, che significa conchiglia, è la moneta ufficiale e al centro dei conii metallici c'è un buco che ricorda le collane e i bracciali di allora. Forza della tradizione, che in Papua Nuova Guinea resiste in molte cose. Lo stesso Kula Ring, che si compìva visitando gli arcipelaghi di Trobriand, Iwa, Woodlark, Misima, Panaeti, Wari, Samarai, D'Entrecasteaux e Amphlott è ormai una memoria di altri tempi, anche se si compie ancora. E nelle capanne trobriandesi si custodiscono gelosamente collane e bracciali di vecchi Kula Ring, compiute magari dai padri e dai nonni di chi oggi le conserva con venerazione. Ma chi sfida pigrizie e pericoli dei tempi moderni e arriva dalle altre isole secondo i dettami dell'antico viaggio - un "compare d'anello", secondo la vecchia definizione - viene tuttora considerato un eroe e accolto con onore. Tradizione, in Papua, vuol dire anche rispettare antiche consuetudini, come non abbandonare la lingua dei padri. Foreste impenetrabili e isole lontane, hanno reso le comunicazioni difficili in Nuova Guinea e ancora oggi le 769 diverse etnie parlano 769 dialetti differenti: per capirsi tra loro usano un linguaggio strano, il pidgin, che è un misto di inglese e idiomi locali. Pukpuk è il coccodrillo, natnat la zanzara, dim dim lo straniero bianco. Può sembrare semplice, non lo è affatto. Per dire pianoforte, strumento per la verità di uso non comune da queste parti, la gente di Papua dice: Bigfella bockus, teeth alla same shark, you hitim he cry out, che tradotto letteralmente significa pressappoco "grande uomo di legno, denti come squalo, tu colpire lui gridare". Gli squali veri, invece, abbondano. Se ne trovano in ogni baia, su ogni fondale, ovunque si dirigano le barche piccole o grandi della gente di qui. Che non si è mai posta il problema di vivere assediata dai pescecani. Anzi, il mare, per queste originali famiglie, è una specie di parco-giochi dove i bimbi vengono affidati a strane baby sitter con le pinne. I bambini sguazzano con i delfini, tra Kiriwina e Kaileuna, e i genitori stanno sereni, sicuri che i simpatici pescioni terranno lontani gli squali, loro acerrimi nemici. Ma con l'occhio vigile, dalle barche vicine o da terra, sono le mamme che controllano la situazione. I padri sono più spensierati: molto spesso non sanno neppure quali sono i loro figli, concepiti, come dice la tradizione, grazie allo spirito dell'isola.
E' lunghissimo lo so, ma estremamente affascinante.