Oh oh oh :asd:
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Oh oh oh :asd:
Ahia :asd:
provvedimenti disciplinari all'orizzonte? :asd:
Di sicuro non lo inviteranno più da Fazio
comunque non ha detto esattamente quello, ma tanto si sa, i giornalisti... (ah no vero, stavolta andavan bene :asd:)
mah.io l'ho sentito in diretta e il tono con cui elogiava l'operato del governo precedente mi sembrava abbastanza forzato
Che alla Zanzara lancino agenzie un po' così è vero, dovrei sentire il podcast :asd:
Podcast della zanzara :boh2:, in pratica Cruciani gli ha chiesto se berlusconi meritasse un premio per l'azione contro la mafia del suo governo, grasso ha risposto "su queste leggi(quelle sulle confische dei beni) si, su altre cose no". Che poi secondo me non è nemmeno dalla zanzara che lanciano le agenzie, sono i giornalisti che stanno con la radio accesa tutta lapuntata ad aspettare che dicano qualcosa.
ci ha pensato Ingroia :asd:
Ingroia a Grasso: «Lui più politico di me»
E su Berlusconi: «Non merita premi»
Il pm di Palermo replica al procuratore antimafia
Ingroia replica a Grasso: «Anche i pm hanno diritti»
MILANO - «Un premio a Berlusconi per la lotta del suo Governo contro la mafia? Non diamo meriti a chi non ce li ha». La pensa così il magistrato Antonio Ingroia, che intervistato ad Un Giorno da Pecora su Radio2 ha risposto alle dichiarazioni di Piero Grasso, il procuratore nazionale antimafia che aveva lodato l'esecutivo berlusconiano per alcune leggi che hanno agevolato la confisca dei beni mafiosi. Parole frutto dalla provocazione dei giornalisti della Zanzara, parzialmente rettificate dallo stesso Grasso (intanto Radio24 conferma fino alle virgole riproponendo la registrazione della puntata di venerdì scorso). Il capo della Dna aveva commentato negativamente anche l'intervento del suo collega procuratore aggiunto di Palermo ad alcuni eventi politici: «Io non credo di aver mai fatto politica - gli risponde Ingroia - ho solo espresso valutazioni sulla Costituzione e Riforma della giustizia, senza attribuire premi speciali a destra e a sinistra, come ha fatto Grasso parlando del premio a Berlusconi. Forse è più politica quella dichiarazione che le mie».
I MERITI DI BERLUSCONI - «Non è mai merito del Governo in carica, perché il Governo non ha nessun potere sulla magistratura, che opera in modo autonomo e indipendente». Ha aggiunto Ingroia, aggiungendo sulla possibilità che alle prossime politiche si candidi «Non credo. Ma non posso privarmi in anticipo di quello che è un diritto costituzionale».
È tempo di strappare la foto «wanted» di Mariano Abete. Il super-ricercato di camorra è stato arrestato questa mattina dai carabinieri in casa della madre, in via Ghisleri a Scampia. Si era rintanato in una intercapedine ricavata tra due pareti protette da un finto muro azionato da un telecomando. C'era giusto lo spazio per accovacciarsi e pregare che i militari non si accorgessero di lui, in quel nascondiglio.
Il dio dei camorristi non ha però accolto le sue preghiere.
Abete ha ventuno anni appena, ma l'anagrafe non ha grande valore nella nuova faida di Scampia che da un anno circa si sta combattendo nei rioni-ghetto dell'hinterland nord di Napoli. Il Viminale l'ha inserito nell'elenco dei cinque latitanti più pericolosi del momento, insieme ad altri coetanei che si stanno sfidando a colpi di morti ammazzati e sventagliate di pallottole: Marco Di Lauro (32 anni), Mariano Riccio (21), Antonio Mennetta (27) e Rosario Guarino (29), quest'ultimo catturato il 15 novembre scorso.
I militari dell'Arma lo hanno rintracciato seguendo una «soffiata» millimetrica, probabilmente proveniente dagli ambienti del suo stesso clan. È la faida dei «rampolli» di mala, questa del 2012. Mariano Abete è il figlio del boss Arcangelo, indicato nelle informative delle forze dell'ordine e negli atti giudiziari sulla criminalità organizzata della Dda partenopea come un feroce e spietato killer al soldo della banda degli scissionisti, il maxi-cartello mafioso la cui implosione, per insanabili contrasti tra le varie «anime» che lo compongono, ha provocato l'esplosione del conflitto stradale di questi mesi.
Tutti i ricercati, infatti, sono discendenti diretti di esponenti di primo piano dei boss che, fino a qualche tempo fa, hanno dettato legge tra Secondigliano e Scampia, facendo soldi a palate con il traffico di stupefacenti. Marco Di Lauro, tra i ricercati, è sicuramente quello che ha più esperienza criminale: figlio del padrino Paolo, soprannominato Ciruzzo 'o milionario per la sua incalcolabile fortuna economica, è ricercato dal 2004, quando scattò l'inchiesta sulla prima faida di Scampia che aveva provocato oltre settanta morti in sei mesi. Suo uomo di fiducia è Antonio Mennetta, indicato dagli investigatori come capo dei commando di assassini che battono i rioni alla ricerca dei nemici da abbattere.
Era stato arrestato qualche mese fa dall'Antimafia, ma liberato dopo appena quarantott'ore dal gip che non aveva convalidato il fermo. Mariano Riccio è invece il leader di un nascente gruppo di trafficanti di droga che avrebbero esteso il proprio predominio criminale anche alla vicina provincia partenopea, contaminando i comuni di Arzano, Melito, Casavatore e Mugnano. Un business da decine di milioni di euro all'anno su cui è impossibile mettersi d'accordo con le parole. Perciò, parlano le pistole.
Un super-ricercato a 21 anni :chebotta: come crescono in fretta.
Domanda sciocca: perché vengono sempre trovati in casa di parenti?
Voglio dire "uh oh, che fine ha fatto Carmen Sandiego?"
"è a casa della madre"
Sono un po' pirloni :D
I mafiosi non sono nè choosy nè bamboccioni :tsk:
Non lo vogliono.
:fag:
Processo Aspide: nell'aula bunker di Mestre arrivano le condanne per gli usurai della camorra
Sono stati condannati a vent'anni i 25 usurai legati al clan dei Casalesi che tenevano sotto pressione più di 130 imprenditori del padovano. Una sentenza storica per il Veneto e scaturita dall'operazione Serpe, condotta dalla Direzione Investigativa Antimafia di Padova e dai Carabinieri di Vicenza nel 2011. A finire dietro le sbarre anche Mario Crisci, conosciuto come o' dottore, che guidava la finta società creditizia Aspide di Padova. Era lui la faccia pulita dell'usura, quello che aveva il compito di intercettare gli imprenditori che chiedevano un prestito.
“Andava tutto bene, un periodo però avevo serie difficoltà e non riuscivo a pagare i miei operai. Non potevo permettere che molte famiglie finissero in mezzo a una strada, e quindi ho deciso di chiedere un prestito di 20 mila euro. Un collega, mi ha consigliato di rivolgermi a una società finanziaria, questa si chiamava Aspide”. Antonio (non è il nome reale) ha 52 anni, oggi è un testimone di giustizia e vive in una località protetta. Insieme ad altri sei colleghi ha fondato l'associazione testimoni di giustizia, che ha l'obiettivo di fare conoscere i disagi di cittadini invisibili.
Fino a un anno fa, era un imprenditore edile di origine campana, che da trent'anni viveva a Padova. “Tra le prime persone che ho conosciuto quando ho chiesto aiuto c'era Mario Crisci. Un uomo apparentemente impeccabile, sempre giacca e cravatta. Era lui che mi voleva concedere il prestito per fare ripartire la mia azienda. Mi sono subito reso conto che questo sarebbe diventato il mio incubo”. Antonio, immediatamente cerca di fare un passo indietro.
“Avevo deciso di lasciare perdere, mi ero reso conto che mi stavano truffando e che volevano impadronirsi delle mie aziende. Alle mie richieste di lasciar perdere, mi viene mostrata una pistola e poggiata sulla scrivania di Crisci. A quel punto ho deciso di denunciare, da allora faccio parte di una storia che inizia con: c'era una volta...”. Antonio, si rivolge alla Dia . “Insieme, per permettere gli arresti decidemmo che mi sarei infiltrato nella camorra”. Così è andata per 8 mesi.
Antonio si era trasformato in un camorrista. “Mi chiamavano Sopranos, come il boss della serie televisiva, forse per come sono fisicamente. Tutte le sere, quando finivo le mie attività di usuraio, passavo prima alla Dia, dove facevo rapporto sulla giornata e poi a casa. Certe volte con le lacrime agli occhi, per la troppa violenza vista durante il giorno. Prima di andare a letto mettevo a ricaricare i miei stivali, rigorosamente imbottiti di telecamere. L'indomani mattina tutto ricominciava, anche nella mia azienda che ormai si era trasformata in quartier generale”.
Antonio, era diventato il braccio destro di Crisci. Tutti i giorni, era costretto ad assistere a scene di violenza, sangue e obbligato al lusso mafioso e volgare. Non era l'unico spettatore obbligato spettatore di queste scene.“Uno dei camorristi, aveva un figlio di 12 anni. Anche lui era obbligato a vedere tutti i giorni questi pestaggi e costretto a contribuire alla violenza. Così come gli operai dell'azienda. Anche loro dovevano guardare in silenzio quelle scene macabre. Era una vita impossibile. Anche i macchinoni e il lusso erano un eccesso. Ci presentavamo nei locali e loro dicevano di essere camorristi. Io non ho mai avuto paura. L'unico brivido mi è venuto lungo la schiena quando li ho visti al processo dietro le sbarre. Non li vedevo da quando ero un infiltrato nel clan. Non credo che io e la mia famiglia saremo mai in grado di dimenticare quello che è successo”.Il meccanismo messo in moto da Aspide era semplice e facilmente realizzabile anche grazie all'intervento di una rete di professionisti. “ Il notaio era particolarmente disponibile nei nostri confronti”. Ha spiegato lo stesso Crisci durante l'interrogatorio. “I notai mi consentivano di apporre clausole di presa visione dei bilanci. Sicuramente sapevano che gli imprenditori che andavano a firmare non erano in condizioni di prendere visione della documentazione contabile perché in buona parte analfabeti”.
Si partiva da una società finanziaria, in questo caso Aspide, che a sua volta creava un'altra società che faceva recupero crediti per conto dei camorristi. A quel punto il denaro veniva prestato dietro garanzia di un titolo, così i tassi passavano dal 15 al 250 per cento. Solo allora l'imprenditore, vessato, picchiato a sangue, era costretto a cedere la propria azienda tramite un atto firmato nello stesso studio notarile. Il flusso di denaro dell' usura serviva anche all'erogazione di nuovi prestiti agli imprenditori in crisi. Mentre, il ricavato mensile era destinato al pagamento degli stipendi degli associati, fino a un massimo di 1500 euro al mese.
Il rimanente, inviato nella provincia di Caserta su conti intestati ad alcuni degli associati, prestanomi.
Spiega Lino Busà presidente di Sos Impresa
“Ci siamo costituiti parte civile nel processo a sostegno degli imprenditori vittime di questo sistema. L'operazione Aspide, è importante perché fa emergere la presenza della camorra anche nel nord Italia e nel Veneto, dove le mafie lavorano per sostenere le attività di riciclaggio e investimento finalizzata alle attività della camorra. C'è un altro aspetto da tenere in considerazione in questo processo. E cioè che, ormai le mafie sono nel mercato dell'usura, vi entrano anche grazie ad alcune società di mediazione creditizia e avvolgono imprenditori e imprese come una Serpe”.
Massima stima... questo vuol dire avere le palle. Ci fosse più gente come lui...
>imprenditori
>analfabeti
:uhoh:
Chiwaz io avrei inserito un errore grammaticale nel tuo post, for the lulz :asd: