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juventus chievo 1-1 quei 7 minuti una lezione per tornare juve
Cos’è che frena la Juve? Forse c’è un po’ di braccino corto; è inevitabile con una rosa in cui solo tre giocatori hanno vinto qualcosa in vita loro, mentre gli altri non sono abituati a certe tensioni. Ha ragione Conte a dire che per vincere lo scudetto ci vuole un miracolo e che c’è chi, più sul piano mentale che su quello squisitamente tecnico, è più attrezzato della Juve. Ma ho l’impressione che qualche piccolo gradino da scalare ce l’abbia anche il nostro allenatore. Sia chiaro affinché non ci siano equivoci: Antonio Conte merita la beatificazione per quanto fatto fino ad adesso. Ma il problema è che se il mister è stato esaltato per l’intensità fisica e mentale che ha saputo dare alla squadra e ora è messo alla graticola perché i bianconeri non avrebbero più grinta e freschezza, in realtà le fortune e le (per così dire) sfortune della Juventus dipendono quasi esclusivamente dalla conduzione tecnico tattica del suo mister. Conte si è quasi dovuto arrendere al tam tam mediatico che lo vuole tecnico di spessore caratteriale eccezionale, senza sottolineare la strepitosa preparazione. Si è arreso: quest’estate non faceva che ripetere di non essere solo un personaggio carismatico e di grande carattere, ma di avere un’idea del calcio molto innovativa. Ora non lo dice neppure più, tanto nessuno lo ascolta. Al massimo, come nella conferenza stampa pre-Chievo, si limita a mandare messaggi sibillini, spiegando che una squadra si abitua a vincere e sviluppa una mentalità vincente soltanto vincendo. Insomma, il carattere è conseguenza e non la causa delle fortune dei bianconeri.
La causa, per l’esattezza, è nella qualità di una Juve che:
1) Fa un pressing eccezionale sia nell’intensità sia nei tempi, rendendo così possibile giocare molti più palloni e alleggerendo il lavoro della difesa, molto sostenuta dagli avanti nel lavoro di transizione difensiva;
2) Cerca di evitare lo spreco di palloni, avendo la lucidità di riciclare le palle recuperate, ricominciando spesso il giro palla dal pacchetto arretrato, e aumentando così il possesso di palla che costringe gli avversari a inseguire;
3) Ha tempi di gioco impeccabili che si tramutano nei perfetti inserimenti delle mezzali, attraverso un movimento a compasso che consente di ripetere efficacemente più fasi di gioco;
4) Ha una efficace scaglionatura degli attaccanti, con Vucinic a sinistra che si carica della responsabilità del gioco tra le linee, mentre l’ala destra gioca tracce esterne allargando le difese avversarie;
5) Ha trovato la quadratura del cerchio nell’elastico difensivo, con un reparto che pressa forte con chi esce dalla linea, mentre chi resta sulla linea si abbassa verso la linea di porta, e quindi evitando la rischiosa tattica del fuorigioco senza lasciare metri agli avversari.
Se hai idee e se queste idee sono ben “allenate”, i risultati si vedono in campo con il bel gioco, e se giochi bene attaccando tanto e tenendo palla, finisce che vinci molto spesso. I giocatori si motivano, cominciano a credere nei propri mezzi, ed ecco che viene fuori lo spirito vincente. Il carattere, la grinta, non mancavano neppure alle Juventus del passato, malgrado ci sia chi insista a dare giudizi solo sulla base del risultato. Quello che mancavano erano qualità, e quindi sicurezza e quindi convinzione nella propria forza.
Conte ha affrontato questo campionato con intelligenza, venendo meno al suo modulo consolidato e affinato negli anni (cui non aveva rinunciato neppure quando le cose andavano male, come a Bergamo), per venire incontro alle esigenze dei giocatori. Rispetto al 4-2-4 iniziale, il 4-3-3 ha smarrito alcuni dei meccanismi offensivi “memorizzati” (specie in termini di triangolazioni e di veli tra le due punte) e un po’ dell’ampiezza di gioco del pacchetto offensivo, ma su tutto il resto ha consentito alla squadra di fare un salto di qualità: un giocatore fondamentale come Vidal ha trovato spazio nell’undici titolare, Lichsteiner ha avuto modo di sfruttare le sue doti offensive, la difesa ha ottenuto maggiore copertura e il mister non ha dovuto confrontarsi con la scarsa vena di alcuni dei nostri esterni offensivi. Migliore difesa, primato in classifica, nessuna sconfitta e di gran lunga il miglior gioco della serie A. Poi è arrivato il 3-5-2, complice qualche acciacco del buon Pepe. Ha ragione Conte quando dice che questo modulo è fatto su misura per i nostri difensori. Ma è altrettanto vero che il pressing (l’elemento forse più importante e caratterizzante di questa Juve) ne risente in negativo e quindi la squadra tiene meno palla, si abbassa e concede di più agli avversari, in termini di campo e di azione. Inoltre, le mezzali trovano meno spazi per gli inserimenti e l’attacco non riesce più ad allargare le difese avversarie, con Pirlo e gli esterni che quando vengono in possesso di palla hanno meno riferimenti cui passare il pallone. Del resto, il gioco finisce per affidarsi tantissimo alle capacità degli esterni, giocatori generosi ma di non sufficiente qualità per fare la differenza nell’area calda del campo. Il punto è il pressing e conseguente baricentro della squadra. Piaccia o non piaccia, il 3-5-2 sta snaturando la squadra, la sta riportando agli anni scorsi. La partita col Chievo è esemplare: nei 7 minuti in cui ha giocato con i 3 dietro, la Juve non ha passato la metà campo. Così, sull’1-0 siamo tornati a vedere i bianconeri difendersi come facevano con Deschamps, Ranieri, Ferrara, Zaccheroni e Delneri, mentre fino a poche settimane fa i bianconeri manteneva liedholmianamente il pallino del gioco anche quando erano in vantaggio, come del resto fanno le grandi squadre. Molti ora dicono che la Juve è stanca: sbaglierò, ma la sensazione mi sembra inesatta; piuttosto appare inevitabile un calo di brillantezza se si tiene meno il pallone e si è costretti a inseguire più di prima. Sia chiaro, non mi interessa parlare della partita col Milan, in cui la difesa a 3 è stata a mio giudizio un’incongruenza tattica rispetto al tridente rossonero. Perché è un errore che ci può stare. Ma un pareggio come quello col Chievo dipende invece da cosa la Juve intende o non intende fare in campo: se comandare come ha fatto fino a qualche settimana fa, o tirare a campare fino al novantesimo sperando di pescare il Jolly. O peggio ancora, come con i veronesi, dominare la partita, ma poi tirare il freno a mano con un solo gol di vantaggio.
Nello sport, la differenza tra l’essere bravini e l’essere campioni è sottilissima. Per questo c’è da essere ottimisti, un leggero calo di prestazioni non ha mai ammazzato nessuno. La Juve è seconda in classifica a 3 punti dal vertice e con una partita da recuperare, zero giocatori in infermeria per infortuni seri e la convinzione, comunque vada, di stare costruendo una grande stagione. Per di più, in panchina, ha un fenomeno, un allenatore che ha qualità da vendere. Anche grinta, sì, ma sarebbe come ricordare Michelangelo per le sue – pur eccellenti – qualità di architetto, dimenticandosi il pittore e lo scultore. Dopo un filotto di pareggi ci saranno i processi, diranno che il mister non è più capace di dare mordente alla squadra (perché non sanno cosa dire di calcio giocato), diranno che Vucinic è inutile (follia!), diranno che Marchisio è cotto (anche Pirlo a gennaio era un po’ giù di tono, e guardate come gioca ora: le condizioni dei singoli giocatori variano in continuazione), diranno che la Juve è stata un fuoco di paglia. Ma il fatto che Conte abbia rispolverato il 4-2-4 mi sembra la miglior risposta che potesse dare chi ha occhi per il campo e solo per il campo. E forse quei sette minuti di “follia” con il Chievo saranno la giusta lezione – l’ultima? – di cui questa Juve ha bisogno per tornare davvero a essere la Juve.