L’anno dei pirati: nel 2010 i mari saranno meno tranquilli
di Nicolò Carnimeo
http://temi.repubblica.it/UserFiles/...arnimeo_50.jpgRUBRICA NEI MARI DEI PIRATI. Diario di bordo dagli oceani del globo a "caccia" di storie di uomini e navi. La pirateria è un fenomeno in crescita: quali prospettive. Nuovi e potenti mezzi per la "guerra da corsa" costruiti anche nei cantieri italiani.
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Il 2010 sarà l’anno dei pirati. Per affermarlo non è necessario essere analisti o esperti di geopolitica, i dati parlano chiaro, negli ultimi quattro anni il trend nei mari del globo è in costante aumento. Secondo dati dell’International Maritime Bureau ci sono stati 239 abbordaggi nel 2006, 263 nel 2007, 293 nel 2008 e 406 nel 2009. L’anno scorso sono state attaccate 153 navi delle quali 120 crivellate da colpi di kalashnikov o di Rpg, 1052 marittimi rapiti, 68 feriti e 8 uccisi. Niente di nuovo se si pensa che negli ultimi venticinque anni nelle sole acque del sud est asiatico sono state attaccate più di diciassettemila unità con una media di 700 per anno.
Il problema non è se si avrà un incremento degli attacchi, ipotesi plausibile, ma quale evoluzione avrà la pirateria marittima, posto che questo crimine cambia forme e modalità in base alla latitudine e si evolve rapidamente secondo le opportunità. Oggi agli onori della cronache c’è il corno d’Africa, ma già nel corso del 2009 gli attacchi si sono spostati sempre più al largo delle coste somale (sino a 1000 miglia!), che non sono più considerate un rifugio sicuro. La zona operativa dei bucanieri è un quadrante di mare che abbraccia parte del Golfo di Oman, le Seychelles, Maldive e qualunque altro avamposto possa fungere da base temporanea per portare gli assalti in vaste aree dell’Oceano Indiano, che è il prossimo teatro operativo della pirateria marittima. Le gang di pirati somali sanno bene che più si allarga lo scenario, meno efficaci potranno essere le misure di contrasto da parte delle flotte internazionali.
Con ogni probabilità cambieranno le modalità di attacco, più che l’intera nave verranno sequestrati solo gli equipaggi, oppure come avviene nel mar della Cina – anche se oggi con minor frequenza – verranno fatti scomparire il carico e la nave, che si trasformerà nell’ennesima ghost ship, nave fantasma, così come la chiamano gli addetti ai lavori.
Vi sarà una escalation anche nei mezzi adoperati, le navi madri, i dhow, e gli esili scafi spinti da motori fuoribordo che le immagini ci hanno consegnato più volte, potrebbero essere sostituiti da mezzi veloci ben armati. Alcune fonti di intelligence riferiscono che nel mercato parallelo vi è una forte richiesta di speciali scafi come quelli utilizzati da tempo dalle Tigri Tamil (l’unica organizzazione terroristica così come è classificata dal Dipartimento di Stato Americano che è riuscita a dotarsi di una vera e propria flotta da guerra – chi desideri approfondimenti può scriverci).
E del resto scafi per la "guerra da corsa" sono disponibili già da tempo sul mercato, alcuni li costruivano anche in Italia, nel mio archivio ho diversi esempi.
Nell’estate del 1997 venne scoperta una banda che operava nel Lazio, sul litorale romano, una multinazionale del crimine che aveva contatti con corsari e gruppi terroristici in Africa e Asia a cui vendeva motovedette e navi da guerra in cambio di oro e gioielli. La banda, composta da sette uomini e una donna, si occupava della fabbricazione ed esportazione di navigli da guerra e di progetti di alta tecnologia militare e operava sotto la copertura di due società con sede a Roma, nel quartiere Eur, un’agenzia di pubblicità e un’azienda di dolci. Vi faceva parte un gruppo di insospettabili professionisti: un architetto che disegnava i prototipi delle navi, costruite nei pressi di Fiumicino, un broker marittimo che si occupava, invece, della commercializzazione, una giornalista di origine campana che contattava all'estero i clienti, mentre due imprenditori emiliani, titolari di aziende di import export, procacciavano affari insieme ad un ingegnere mediorientale.
Il nucleo operativo dei Carabinieri dopo averla sgominata accertò che l’organizzazione aveva piazzato già una ventina di navi i cui prezzi oscillavano tra i 2 e i 5 miliardi di lire. I committenti potevano scegliere tra una vasta gamma di modelli a partire dai Fast Patrol Boat, (vedette da 11 e 17 metri, motori ad idrogetto, velocità massima di 55 nodi, mitragliere da 12 o 20 millimetri ad elevazione idraulica, scomparsa automatica e con direzione assistita di tiro) sino all’Interceptor M42, una nave in lega leggera, (dai 14 ai 42 metri, con mitragliera da 20 millimetri servoassistita, velocità massima di 75 nodi) fornita di lanciamissili e che poteva accogliere a bordo fino a 15 uomini.
Nicolò Carnimeo è giornalista e scrittore. Insegna Diritto della navigazione all'Università di Bari. E' autore del libro
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Nei mari dei pirati” (Longanesi) sul fenomeno della pirateria a livello mondiale e che narra delle sue ricerche a bordo di cargo petroliere e barche da diporto.