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Lost, più complicato ma più intrigante

La serie tv, giunta alla quarta stagione, costringe gli spettatori a trasformarsi in sopravvissuti



La quarta stagione di «Lost» (Fox, lunedì, ore 21) si apre con un’immagine televisiva: c'è in corso un inseguimento di polizia alla caccia di un fuggiasco.

Il punto di vista è quello del canale tv che riprende la scena ma è anche quello di Jack che osserva il tutto attraverso un maestoso televisore a schermo piatto mentre sta preparandosi un cocktail. Jack intuisce che l'uomo in fuga è Hugo Reyes, detto Hurley, il simpatico ciccione. Ne ha subito la conferma: arrestato, Hurley grida «Sono uno dei sei dell'Oceanic». Lo spettatore capisce due cose: che nel «ritorno a casa» dei naufraghi non tutto fila liscio; che siamo in pieno flashforward (l' anticipazione narrativa del futuro) dopo molte stagioni di flashback. «Lost» continua a scompaginare la nozione di tempo, a farsi sempre più misterioso entrando nelle pieghe del tempo. Ma compie un passo ancora più coraggioso, molto raro nel cinema e nelle serie televisive: costringe gli spettatori a trasformarsi in sopravvissuti, in scampati, così come vuole il racconto.

Gli autori non concedono nulla al pubblico: non ammiccano, non strizzano l'occhio, non cercano complicità. Ogni episodio è più complicato di quello precedente; meglio, si complica grazie a quello precedente. Perché «Lost» riflette così tanto sul tempo—passato, presente, futuro —, mascherando questa riflessione sul tempo con segni misteriosofici, mettendo contro l'uomo di scienza con l'uomo di fede? La lunga storia della caduta dell'uomo nel tempo si chiama Storia: ed è storia di nostalgia (ai primordi l'uomo non viveva forse in una località misteriosa, forse un'isola, chiamata Eden?), ed è storia—di questo narra «Lost»—tra chi crede nella libertà della propria avventura e tra chi crede che il destino sia già scritto negli astri. Perché Hurley sull'isola è spensierato e sul continente è afflitto da turbe?
Aldo Grasso